Gasparri straparla invocando “un nuovo 7 aprile a base di arresti preventivi”. Cossiga si rivolta nella tomba, perché sa bene per esperienza diretta che così Gasparri spinge al terrorismo

Scrivo con qualche approfondimento per il blog quanto scritto questa mattina per il giornale online Blitzquotidiano a proposito della bella idea del’onorevole Maurizio Gasparri di mettere in galera preventivamente un po’ di studenti per evitare disordini di piazza. Idea che ci ricorda come Gasparri sia rimasto un fascista, e del resto il suo camerata ministro Ignazio La Russa di essere fascista se ne vanta anche in televisione senza che per questo il presidente della Repubblica ne imponga a tutti i costi la destituzione. L’onorevole Gasparri, che quando era minstro delle Telecomunicazioni si lustrò come servitore degli interessi televisivi e massmediatici del suo grande capo Silvio Berlusconi,  non sa di cosa parla, perciò invoca “arresti preventivi e un nuovo 7 aprile” straparlando non solo riguardo l’anno degli arresti, avvenuti nel ’79 e non nel ’78 come ha detto lui, ma anche riguardo la sostanza. Andiamo però per ordine, spiegando prima di tutto cos’è stata l’ondata di arresti del 7 aprile 1979, passato alla storia giudiziaria e giornalistica come “il blitz” per antonomasia. E aggiungendo subito che il ministro degli Interni di allora, Francesco Cossiga, ebbe poi modo di dichiarare pubblicamente d’essersi pentito di avere mandato i carabinieri e la polizia a reprimere sempre, soprattutto nel ’77,  le manifestazioni di piazza, all’epoca spesso molto più violente di quelle che hanno sconvolto Roma nei giorni scorsi. Cossiga se ne pentì perché riconobbe che proprio quella repressione spinse troppi giovani verso il terrorismo brigatista, che nel ’78 tra l’altro rapì e uccise lo statitsta e uomo di governo democristiano Aldo Moro. Non so se l’onorevole Gasparri se ne renda conto, ma la sua invocazione equivale quindi a invocare la rinascita del terrrorismo. Continua a leggere

La senatrice Fiamma Nirenstein vuole le dimissioni del presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, collega Enzo Jacopino, reo di ospitare nella sede romana la conferenza stampa di presentazione di Freedom Flotilla 2. Meglio però si dimetta lei da vicepresidente della commissione Esteri del parlamento italiano

Mi pare sia arrivato il caso di chiedere le dimissioni della senatrice Fiamma Nirenstein, giornalista e autore di libri, da vicepresidente della commissione Esteri del senato. Anche la Nirenstein è infatti caratterizzata da quello che pare proprio possa essere un conflitto di interessi, anche se nessuno ne osa parlare per timore di essere lapidato con il lancio delle solite accuse pretestuose e spesso ridicole di antisemitismo. La nostra senatrice ha infatti casa  nella colonia di Gilo, a Gerusalemme. Come è noto le colonie sorgono su terreni e territori tolti autoritariamente ai palestinesi calpestando spesso e volentieri il diritto internazionale. Mentre i mass media italiani as usual su certi temi tacciono, o vanno a rimorchio delle versioni ufficiali, di norma taroccate, il quotidiano israeliano Haaretz ha dedicato alla nostra senatrice “colona” un articolo decisamente interessante, che la definisce più a destra della destra sia italiana che israeliana, il che è tutto dire, lei ex comunista, evidentemente più che pentita addirittura contrita, articolo che riporto per intero in basso. Mentre un gruppo di ebrei italiani ha inviato alla rivista Karnenu della comunità ebraica torinese una lettera che tra l’altro sintetizza bene l’attuale ruolo della Nirenstein, lettera della quale riporto il link che la pubblica per intero. Ma veniamo ai fatti più recenti, per i quali – sommati al resto –  credo sia il caso di chiedere le dimissioni dalla commissione Esteri. Continua a leggere

Mignottocrazia politica e mitomania giornalistica

Lo spettacolo della compravendita di parlamentari da parte della banda berluscona ha qualcosa di agghiacciante. Il problema non è la prostituzione di troppi eletti dal famso popolo a rappresentarlo in parlamento, anche perché un tale spettacolo era già stato offerto a livello di composizione del governo. Il problema vero è che nessuno scenda in piazza a protestare magari anche assediando palazzo Grazioli a Roma, visto che assediare la villa berluscona ad Arcore è più difficile essendo fuori mano anziché in piena Roma. Flebili proteste da parte di qualcuno nel PD, compreso il buono ma inefficace e forse anche superfluo segretario Pierluigi Bersani, articoli e articolesse su qualche giornale, non molti a dire il vero, e per il resto tutti a pensare al pranzo di Natale. Siamo un po’ come quei poveri cristi in coma, encefalogrammo piatto. In apparenza. In realtà sempre anticamera di sconvolgimenti, che sesso però passano davvero per la morte e magari anche per la annessa putrefazione prima di dar vita a Continua a leggere

Mignottocrazia politica e mitomania giornalistica

Lo spettacolo della compravendita di parlamentari da parte della banda berluscona ha qualcosa di agghiacciante. Il problema non è la prostituzione di troppi eletti dal famso popolo a rappresentarlo in parlamento, anche perché un tale spettacolo era già stato offerto a livello di composizione del governo. Il problema vero è che nessuno scenda in piazza a protestare magari anche assediando palazzo Grazioli a Roma, visto che assediare la villa berluscona ad Arcore è più difficile essendo fuori mano anziché in piena Roma. Flebili proteste da parte di qualcuno nel PD, compreso il buono ma inefficace e forse anche superfluo segretario Pierluigi Bersani, articoli e articolesse su qualche giornale, non molti a dire il vero, e per il resto tutti a pensare al pranzo di Natale. Siamo un po’ come quei poveri cristi in coma, encefalogrammo piatto. In apparenza. In realtà sempre anticamera di sconvolgimenti, che sesso però passano davvero per la morte e magari anche per la annessa putrefazione prima di dar vita a qualcos’altro da parte della società. Continua a leggere

La sfrontatezza bugiarda di Berlusconi, che crede siano tutti coglioni. E lo strano eroismo di Saviano, che dai bimbi di Gaza si tiene ben lontano…

Il Chiavalier Silvio Berlusconi deve essere convinto che gli italiani siano tutti coglioni, per usare il termine che a suo tempo lui ha usato per indicare chi vota per la sinistra, convinzione che evidentemente gli viene dalla constatazione che nonostante tutto c’è molta gente che lo ha votato e c’è ancora chi lo voterebbe. Solo un coglione può infatti credere che le notizie rivelate da Wikileaks  siano solo balle e gossip dopo che il suo ministrello degli Esteri Franco Frattini  le ha messe nel mazzo delle cause dell”11 settembre mondiale”. Dobbiamo ricordare che con la data dell’11 settembre si indica una tragedia, l’abbattimento terroristico delle Twin Tower con annessi più o meno 4.000 morti e non una delle barzellette care al Chiavaliere. I gossip NON possono produrre tragedie, tanto meno enormi come quella che sarebbe un “11 settembre mondiale”. E’ quindi evidente che il Cainano di Arcore mente, ancora una volta, sapendo di mentire. Così come è evidente, ancora una volta, che Frattini è un ministro più della Mancanza di Dignità che degli Esteri, perché se avesse un minimo di dignità si dimetterebbe dopo essere stato smentito così clamorosamente, cioè sputtanato, dal capo del governo. Continua a leggere

Per cortesia, non offendiamo le vajasse.

La miseria del berlusconismo e dell’Italia che l’ha partorito e che ne è nata è ben rappresentato dallo scontro tra le parlamentari Mara Carfagna e Alessandra Mussolini. La prima ha voluto offendere la seconda chiamandola “vajassa”, che in napoletano pare significhi “donna dei quartieri bassi”, cioè in pratica popolana, e la seconda s’è offesa perché è stata, appunto; chiamata “donna dei quartieri bassi”, ovvero popolana. Abbiamo cioè due donne, entrambe assise in parlamento ed entrambe convinte di veicola “valori”, anche se non si è mai capito quali se non quelli trasportati dai “portavalori”, che usano come insulto un epiteto esprimente una condizione femminile non fortunata, quella della popolana, o donna del popolo,  e che si sentono offese se si sentono associare a una tale condizione femminile di donna del popolo. Le vajasse napoletane oltre che per la solita “monnezza” dovrebbero scendere in strada e protestare contro questa nuova monnezza berluscona. Sono infatti loro, le vajasse, a doversi offendere per l’uso offensivo del loro nome da parte delle due grandi dame (?) del parlamento ridotto come è ridotto e dei “quartieri alti”.
Avrei potuto capire il litigio se la signora Carfagna avesse dato alla signora Mussolini della “troja”, con tutto il rispetto dovuto alle professioniste del sesso estranee ai giri del bunga bunga e alle promozioni politico parlamentari, ma usare e interpretare come offese e insulti sostantivi o aggettivi tipo “donna dei quartieri bassi”, popolana, è davvero da miserabili, da donne di basso conio. Basso il conio, eh, non il quartiere. Insomma, donne di bassa qualità e scarso valore benché ben piazzatesi con accorgimenti vari nei “quartieri alti”. Scarso valore umano, culturale e politico, intendo, non mi riferisco a qualità di bunga bunga o simili.

Insomma, siamo allo sconcio. Insultarsi tra donne intendendo come offensiva essere popolane, cioè la condizione femminile sfortunata o comunque non favorita dalla sorte e dagli uomini che possono. Bell’esempio, tra l’altro, di femminilità, se non di femminismo. E sorvolo su tutto il resto di questa misera pantomima andata in scena purtroppo nel parlamento italiano. E poi c’è chi parla di “quote rosa” battendo magari i pugni o le scarpe, a spillo, sul tavolo.

Crisi di governo e nuove elezioni inutili se non si elimina il monopolio berlusconiano sulle tv, responsabile del virus berluscone che ha corrotto anche la sinistra. Grazie ai Veltroni e D’Alema

Ci sono avventimenti nel mondo che meritano di essere conosciuti, valutati e commentati con urgenza, ma la strana crisi non-crisi di governo italiana ci obbliga a parlare di lei. Prima di passare appunto a parlarne, cito solo due argomenti internazionali di grande interesse perché gravidi di cambiamenti nel futuro non escatologico. Gli Usa hanno garantito a Israele una nuova enorme infornata di aiuti militari, compreso un notevole numero di bombardieri Stealth, che si chiamano così perché invisibili ai radar, in cambio di molto poco: appena 90 giorni di ulteriore moratoria degli insediamenti coloniali israeliani in territorio palestinese, per giunta escludendo dalla moratoria Gerusalemme. Tradotto in italiano ciò significa che tra 90 giorni, dopo che i “colloqui di pace” (?) tra Netanyahu e Abu Mazen saranno ovviamente e purtroppo falliti a causa della volontà israeliana di farli fallire, Israele potrà essere in grado di bombardare l’Iran con i nuovi bombardieri invisibili ai radar regalatigli da Obama. Se le cose andranno così, tra 90 giorni entreremo in un periodo di pericolo estremo, che può sfociare in un’altra tragedia, molto probabilmente non destinata a restare “in loco”, ma capace di travolgere o comunque danneggiare significativamente anche noi. Continua a leggere

Processare Berlusconi per alto tradimento! Della realtà.

Processare Silvio Berlusconi per alto tradimento! Alto tradimento in primo luogo della realtà. Anni e anni di berlusconismo hanno finito infatti col tradire la realtà reale dell’Italia sostituendola con una realtà immaginaria di comodo, inculcata man mano dai vari mass media e forse politiche a rimorchio di Mediaset e annessi interessi. Sono stati così traditi anche il giornalismo e l’informazione, sostituiti dal fedismo, dal feltrismo e  dal minzolinismo, cioè a dire da forme di clientelismo e servilismo che a volte sfociano nel prossenetismo.

Avere tradito il giornalismo e l’informazione ha permesso di tradire meglio l’intera popolazione italiana, che oggi si ritrova con un Paese ridotto a Bungabungaland e avviato probabilmente al declino, però sempre descritto da televisioni e pubblicità come splendido, eterno Paese del Bengodi. Sono stati traditi il presente e il futuro, con l’illusione che si possa competere con giganti come la Cina, l’India, ecc., continuando ad autoincensarsi e demolendo nel frattempo la scuola e la ricerca scientifica. Il fiorire delle cricche e l’esibizione sguaiata ed ubiquitaria di una dolce vita da bordello nonché di mercimoni di varia natura hanno tradito la moralità pubblica. Continua a leggere

Lo Strapaese del Bunga Bunga e di Bongo Bongo. Svegliaaaaa! Mentre loro fanno quattrini e scopano come ricci a noi ce la mettono a quel posto

E dunque siamo ridotti a Paese del Bunga Bunga. Guarda caso, l’espressione Bunga Bunga inizia per B in entrambe le parole, eguali tra loro, esattamente come Berlusconi-Bossi. Parole queste ultime due diverse nella scrittura ma riferite a personaggi eguali tra loro non solo negli interessi politici, ma anche in certo andazzo.
Della vita privata del signor Berlusconi Silvio non ci interessa il classico fico secco, e anzi abbiamo anche invidia: beato lui che è beato tra le donne, per giunta giovanissime. Beato lui che può, anche e soprattutto a quattrini. Male fa la sinistra – se così la possiamo chiamare – a prendersela con il capo del governo su questo piano. Che è un piano perdente, perché se alla politica si sostituisce il moralismo e l’accidia vuol dire che non si ha una linea politica. Come del resto è ben chiaro da tempo. Ma la politica non si improvvisa in base all’andamento della vita sessuale del signor Berlusconi Silvio, anche se capo del governo, usare le sue mutande come coperta non serve a coprire il vuoto di proposte di chi lo vorrebbe mandare a casa. Pierluigi Bersani ha gridato pubblicamente “Qualcuno stacchi la spina a questo governo” senza rendersi neppure conto che quel “qualcuno” o è la sinistra capeggiata dal PD dello stesso Bersani oppure non è niente. Forse Bersani si illude che esista un “qualcuno” in grado di cacciare Berlusconi da palazzo Chigi? Il capo dello Stato non può – purtroppo – convocarlo al Quirinale e farlo arrestare dai carabinieri, facendolo poi uscire su una autombulanza come fece il re con Mussolini. Né è pensabile – per fortuna – che provvedano i militari, perché sarebbe un golpe. Bersani dovrebbe stare perciò bene attento a come parla. Fermo restando il fatto che ridursi a un tale balbettio è più che comprensibile per un partito che non solo NON ha mai voluto sbarrare la strada a Berlusconi oberato dal mega conflitto di interessi che sta colando a picco l’Italia ridotta al Bunga Bunga, ma NON ha mai neppure voluto far rispettare la legge: in base alle vigenti leggi infatti Berlusconi in quanto titolare di una concessione da parte dello Stato (per l’esattezza, la concessione delle frequanze televisive che lo hanno fatto straricco) NON poteva – e NON può – presentarsi alle elezioni come candidato, ma solo come cittadino che va a votare. Purtroppo la corruzione di vario stampo e natura e l’insipienza dei vari personaggi della sinistra si sono lasciate bungabungare dalla presa per il sedere del “mero proprietario”. Ma veniamo al sodo.
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Avetrana Italia. Esattamente come Milano e Roma. Con un degno capo del governo e degnissimi smemorati di Santa Madre Chiesa

A Milano, la famosa capitale europea  della Padania, un taxista è stato ridotto in fin di vita da un mascalzone inviperito perché aveva investito il cane della sua fidanzata. Che avrebbe dovuto semmai essere presa lei a pedate, visto che NON portava il cane al guinzaglio e quindi è sua la responsabilità di averlo fatto finore sotto le ruote del taxi.  Ad Avetrana, nel Sud profondo, una ragazzina di 15 anni è stata massacrata dallo zio e dalla cugina per non avere gradito una palpata di sedere dello stralunato parente, ammesso e non concesso che il movente non sia ancor più sordido. Degno contorno, da ovunque arrivano nella cupa Avetrana pullman di turisti del macabro… A Roma, nella capitale d’Italia, un giovane uso a essere prepotente ha ucciso con un pugno una donna per non fare la fila alla metropolitana, per giunta dopo averla raggiunta a bella posta dopo la fila. E come se non bastasse, il suo branco di amici, animaleschi forse quanto lui, hanno reclamato contro il suo arresto ai domiciliari e protestato con forza per il suo trasferimento in carcere: “La tizia morta non era neppure italiana, era solo una rumena, e poi lui non l’ha fatto apposta, mica la voleva uccidere”. Un sintetico ed efficare esempio della mancanza di senso di responsabilità, oltre che di civiltà, dei nostri tempi. Ogni tempo ha le sue tare. Continua a leggere

Omicidio Scazzi: avevo visto giusto. Ma non ne sono contento. Ormai anche la stampa è avvelenata dalla tv, più che la notizia e l’uso dell’intelligenza critica per vagliarla interessa la spettacolarizzazione, il sensazionalismo, con annessi scoop di aria fritta modello “Chi l’ha visto?”. Ho passato la notte a chiedermi perché Sabrina, la “cugina del cuore”, nei vari video parlando di un tale orrore sorride… Come la signora Anna Maria Franzoni

Mi chiedo come sia possibile che ad avere sospettato – se non capito – per primi siamo stati solo noi, qui a Blitzquotidiano e nel mio blog, mentre il grande stuolo di giornalisti e opinionisti che si sono occupati a vario titolo del caso si limitava a divagare. A spettacolarizzare. A fare del sensazionalismo perfino inaccettabile, come la deprecabile puntata di “Chi l’ha visto?”. E poi hanno il coraggio e la faccia di bronzo di sospendere “Anno Zero” e Michele Santoro!
L’argomento che ho messo in rete l’8 ottobre, cioè due puntate fa, e del quale ho curato una versione per il giornale online www.blitquotidiano.com, parla purtroppo chiaro. Tant’è che mentre io ho parlato del caso Scazzi all’interno di un discorso più vasto, e col solito titolo lungo e pluricomprensivo, Blitzquotidiano ha invece sparato un titolo secco: “Il martirio di Sarah Scazzi e la confessione dello zio assassino, Michele Misseri. Per Pino Nicotri non è attendibile”.
E Il succo del mio discorso in entrambe le versioni era lo stesso:
– probabilmente l’assassino confesso Michele Misseri, zio di Sara, si addossava tutte le responsabilità per proteggere la sua famiglia, in particolare la figlia Sabrina, la “cugina del cuore” della povera Sara;
– l’orribile vicenda di Avetrana ci avrebbe procurato “ancora molta amarezza. Non sparirà in tempi brevi dalle cronache giornalistiche prima di arrivare a una ricostruzione dei fatti credibile. Siamo in presenza di un caso giudiziario e di una personalità che potrebbe fare impallidire sia Perry Mason che Gogol o Dostoevskij”.
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Emanuela Orlandi, tutta la verità

E’ strano che venga dato ancora tanto spazio alle indagini per il “rapimento” di Emanuela Orlandi, la bella ragazzina vaticana quasi 16 enne scomparsa il 22 giugno 1983, e che venga accordata tanta credibilità alla girandola di “supertestimoni”, uno più fasullo dell’altro, che ne affollano la scena giudiziario giornalistica. E’ stato infatti lo stesso avvocato Gennaro Egidio, all’epoca dei fatti legale degli Orlandi e rimasto tale fino alla sua morte, a confidare nel 2002 a Pino Nicotri che non si è trattato di un rapimento, ma di un dramma “molto più banale” per il quale sospettava semmai il giro delle amicizie della zia paterna Anna. Purtroppo già gravemente malato quando fece tale ammissione, Egidio è morto prima di potere raccontare a Nicotri di cosa esattamente si sia trattato, come si era riservato di fare quando la salute glielo avesse permesso. Nessuno però ha contestato le sue parole quando Nicotri ne ha riportato parte a pagina 20 di “Emanuela Orlandi – La verità”, edito nel novembre 2008: «I motivi della scomparsa della ragazza sono molto più banali di quello che si è fatto credere. Contrariamente alle dichiarazioni dei familiari, Emanuela di libertà ne aveva molta, per esempio le comitive con gli amici. Il rapimento, il sequestro per essere scambiata con Agca? Ma no, la verità è molto più semplice, anzi, ripeto, è banale. Non per questo meno amara. Mirella Gregori, l’altra ragazza che pure si è fatto credere fosse stata rapita da amici e complici di Agca?
Non c’entra niente, Mirella s’è infilata in un brutto giro, forse di prostituzione, lei voleva solo aiutare la madre a comprare un appartamento».
Da una parte si finge di ignorare che è stato lo stesso legale degli Orlandi ad ammettere che non di rapimento si è trattato. Dall’altra i recenti arresti di personaggi che sono stati del giro della banda della Magliana, come Manlio Vitale detto “Gnappa”, o che si vuole far credere ne abbiano fatto parte, come lo sconosciuto alle cronache “maglianesi” Sergi Virtù, fanno pensare a possibili baratti: se questi arrestati o altri eventuali malcapitati addossassero a se stessi o a qualche defunto la responsabilità del “rapimento”, potrebbero tornare liberi. E senza eccessivi rischi. Se si autoaccusano, i reati del caso Orlandi, avvenuti ormai 28 anni fa, si estinguono. Se invece accusano un morto, i rischi sono del tutto inesistenti: i morti infatti, si sa, non possono difendersi… E poiché non sono processabili, evitano anche il fastidio di dover trovare le prove necessarie per il loro rinvio a giudizio.

Ma ripercorriamo ora i fatti. Tenendo a mente che due anni prima, nell’81, papa Wojtyla aveva subito un attentato per mano di un killer turco, Alì Mehmet Agca, terrorista del gruppo di estrema destra dei Lupi Grigi. Agca gli aveva sparato in piazza S. Pietro, ferendolo gravemente, e per questo era stato condannato all’ergastolo. A quell’epoca esisteva ancora l’Unione sovietica, il gigante comunista che occupava la Polonia, patria di Wojtyla, pontefice impegnatissimo ad aiutare i movimenti dei connazionali tesi sia alla fine del comunismo che dell’occupazione sovietica. Ed era in corso una forte campagna per sostenere che ad armare Agca erano stati i servizi segreti bulgari, su input dei “servizi” sovietici desiderosi di liberarsi una volta per tutte dello scomodo papa polacco.

Emanuela scompare nel tardo pomeriggio del 22 giugno 1983, all’età di 15 anni e mezzo. Figlia di un commesso pontificio, frequentava un liceo scientifico statale e studiava flauto al conservatorio S. Apollinare,  proprietà del Vaticano come l’intero palazzo che lo ospitava – oggi proprietà dell’Opus Dei – situato nella omonima piazza S. Apollinare contigua a piazza Navona e distante pochi metri da palazzo Madama, sede del Senato della Repubblica italiana. Ed è alla fermata degli autobus di fronte al Senato che Emanuela pare sia stata vista per l’ultima volta, dopo essere uscita a fine lezioni dal conservatorio. Pare: perché di certo e appurato riguardo Emanuela una volta uscita dalla scuola di musica non c’è in realtà nulla. In Italia scompaiono ogni anno centinaia di minorenni, che per fortuna nella maggior parte tornano a casa perché scappati solo per noia o per amore. Ed è appunto a una fuga temporanea di Emanuela, a una scappatella, che pensano gli inquirenti. Il colpo di scena avviene due settimane dopo, domenica 3 luglio, all’insaputa anche dei genitori di Emanuela, e per decisione addirittura di papa Wojtyla in persona. Il pontefice infatti a conclusione della usuale preghiera dell’Angelus recitata con la solita folla di pellegrini sorprende il mondo lanciando un appello “a chi ne avesse responsabilità” perché lasci tornare a casa la sua concittadina vaticana. E’ quindi il papa ad adombrare per primo, ma senza nessuna base, l’ipotesi del rapimento.

Se fino a mezzogiorno di quel 3 luglio si poteva sperare in un ritorno a casa di Emanuela, dopo la sortita di Wojtyla  non lo si poteva poteva sperare più. Quella sortita equivaleva di fatto a una condanna a morte. Ovvio che se la ragazza fosse stata davvero sequestrata i suoi rapitori dopo l’appello del pontefice si sarebbero resi conto di non avere più scampo, braccati di colpo da polizia, carabinieri e servizi segreti non solo italiani, come infatti è avvenuto. Tanto più che al primo appello ne sono seguiti ben altri sette. Concludere che Wojtyla e/o la Segreteria di Stato sapessero come in realtà stavano le cose, e cioè che a Emanuela ormai non poteva essere più recato alcun danno da nessuno, è  sconcertante, ma è l’unica conclusione razionale. Supportata in particolare da altri tre elementi, tutti documentati e interni al Vaticano. Il primo è la assoluta mancanza di iniziative per aprire reali canali di comunicazione con i “sequestratori”. Il secondo è la scelta della Segreteria di Stato di “lasciare le cose come stanno”, secondo le parole dette da monsignor Giovanbattista Re a monsignor Francesco Salerno. Il terzo è il muro di bugie e omertà nei confronti della magistratura italiana. Un atteggiamento speculare a quello dei “rapitori”: il Vaticano tace e mente, i “rapitori” non forniranno mai la benché minima prova di avere l’ostaggio.

La sortita di Wojtyla mette in moto la lunga messinscena, durata 25 anni, che voleva Emanuela rapita per essere scambiata con la liberazione dell’ergastolano Agca. e suggerisce ai servizi segreti della Germania Est, satellite dell’Unione Sovietica, di inserirsi nel “rapimento” con una loro autonoma messinscena, che punta a prendere due piccioni con una fava. Il primo era l’Operazione Papa, commissionata da Mosca per creare diversivi utili, ma tutti legali, ad aiutare i “fratelli” bulgari accusati d’essere i mandanti di Agca. Il secondo consisteva nel mettere il più possibile in imbarazzo Wojtyla per indurlo a smetterla con il suo aiuto alla Polonia. Insomma, una vera e propria battaglia della Guerra Fredda: l’ultima grande battaglia, esplosa per ironia della sorte nell’estate meteorologicamente più calda della storia italiana.
Dopo 25 anni di assurda “pista turco sovietica”, nell’estate del 2008 è esplosa la altrettanto assurda “pista della banda della Magliana”. A lanciare il nuovo scenario è una ex escort d’alto bordo, Sabrina Minardi, devastata da anni di droghe e fin troppo confusa nei “ricordi”. Uno scenario che, come è noto, nonostante tutto tiene banco ancora oggi.

In questo libro il giornalista Pino Nicotri ha condotto in modo serrato e implacabile l’analisi non più rinviabile dei fatti, passando al setaccio tutti gli elementi della vicenda e il torbido contesto in cui si è svolta, comprese le manovre condotte dai servizi segreti della Germania comunista. Il vuoto assoluto di verità nel gioco di specchi tra Vaticano e “rapitori” lascia spazio alle messinscene più varie, man mano legittimate e ampliate in televisione dal “Novecento” di Pippo Baudo fino a “Chi l’ha visto?” di Federica Sciarelli. The show must go on.

Lettera aperta all’onorevole Veltroni: eviti di parlare a vanvera di cose che non conosce. Ci invii, semmai, un commento su due argomenti purtroppo di attualità. No, non un’altra “Lettera al mio Paese”: solo un commento.

Egregio onorevole Veltroni,

le scrivo in quanto giornalista autore in particolare di due libri sul cosiddetto “rapimento” di Emanuela  Orlandi e di uno, recentissimo, sulla cosiddetta Banda della Magliana  intitolato “Cronaca criminale”. Sono perciò tra i più titolati a rispondere alla sua sbalorditiva lettera pubblicata su Repubblica il 7 ottobre contro la sepoltura del “boss della banda della Magliana” Enrico De Pedis nella basilica romana di S. Apollinare. Il caso vuole che “Cronaca criminale” faccia parlare per la prima volta, e per varie pagine, la signora Carla vedova De Pedis, le cui parole già da sole contengono la demolizione di quanto da lei scritto su Repubblica.
Come prima osservazione c’è da porle una domanda: perché definisce De Pedis “un boss” di quella banda? In base a quali sentenze?
La risposta purtroppo è semplice e sconfortante: lei, onorevole Veltroni, parla basandosi non su sentenze, ma su affermazioni fatte da pentiti, più volte colti in fallo come mendaci  e con uno di loro, Vittorio Carnovale, addirittura condannato per calunnia e gli altri, da Fulvio Lucioli ad Antonio Mancini, demoliti dai magistrati della Cassazione. Affermazioni a loro volta trasformate, nonostante tutto, in Verità grazie a inchieste giornalistiche abborracciate e programmi della Rai più attenti a fare a qualunque costo rumore che a fare informazione. Mancini e i suoi imitatori sono arrivati a “rivelare” in tribunale che “la pistola usata per uccidere il giornalista Mino Pecorelli venne affidata subito dopo il delitto a De Pedis”. Peccato che De Pedis quando veniva ucciso Pecorelli, marzo 1979, era chiuso in carcere e ci rimase ancora fino all’anno successivo, motivo per cui la bugia di Mancini&C è risultata clamorosa. Peccato anche che tutte le ormai famose accuse di omicidi e rapimenti siano state lanciate quando De Pedis era passato ormai da tempo a miglior vita, e quindi impossibilitato a difendersi. La famosa frase “Vile, tu uccidi un uomo morto” dovrebbe essere un ammonimento per tutti. E invece….
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Più scandalismo e “mistero” che informazione e verità. La versione dello zio di Sara mi pare riduttiva, utile a scansare furbescamente condanne pesanti. Intanto resiste sempre il muro di gomma di “Chi l’ha visto?” su certi particolari del “rapimento” di Emanuela Orlandi

Dunque, a uccidere Sara Scazzi è stato lo zio. Lo zio materno. Notizia che mi ha fatto venire in mente un altro zio, Mario Meneguzzi, zio materno di Emanuela Orlandi, la bella ragazzina sedicenne del Vaticano scomparsa il 22 giugno 1983, sfiorato da qualche dubbio degli inquirenti rivelatosi però infondato. “Un giorno mi accorsi che un’auto lo seguiva, e commisi la fesseria di avvertirlo”, racconta Giulio Gangi, l’ex agente del Sisde, come si chiamavano allora i servizi segreti civili, che in qualità di amico di Monica Meneguzzi, figlia di Mario e quindi cugina di Emanuela, aveva iniziato a interessarsi del caso fin dai primissimi giorni dopo la scomparsa della ragazza. “Quella macchina infatti era della polizia”, prosegue Gangi: “E a mettergliela alle calcagna erano stati i magistrati che probabilmente nutrivano qualche sospetto su di lui”.
Dopo la scomparsa della nipote, lo zio Mario si installò in casa Orlandi su richiesta del capofamiglia, Ercole, il papà di Emanuela, perché, come mi spiegò lo stesso Ercole, “eravamo troppo distrutti per poter rispondere alle molte telefonate, spesso di mitomani. Perciò chiesi a Mario di fermarsi a casa nostra e di rispondere lui ai visitatori che suonavano alla porta e a chi telefonava”.
I dubbi dei magistrati non hanno avuto seguito. Evidentemente si sono rivelati ingenerosi e infondati.
Ciò premesso, c’è da fare un’altra considerazione, che in qualche modo accomuna il caso Scazzi con il caso Orlandi e gli annessi  depistaggi di entrambi.
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Cronaca Criminale

Si intitola “Cronaca criminale”, ha per sottotitolo “La storia definitiva della Banda della Magliana”, lo ha scritto il giornalista e saggista Pino Nicotri e lo ha pubblicato la casa editrice Baldini-Castoldi-Dalai. A leggerlo si ricevono vari scossoni e qualche shock. Il più forte di tutti è apprendere che la morte di Aldo Moro, lo statista democristiano rapito dalle brigate rosse nel marzo 1978 e ucciso dopo 55 giorni, è stata scientemente voluta da un uomo, Steve Pieczenik, inviato dal Dipartimento di Stato degli Usa, allora guidato dal famoso Henry Kissinger, a presiedere il comitato di crisi che doveva decidere come fronteggiare la strategia impostata dai brigatisti con quel rapimento. Il comitato comprendeva il ministro degli Interni di allora, Francesco Cossiga, i capi dei servizi segreti e alcuni specialisti criminologi che si scorì in seguito essere tutti iscritti alla loggia segreta massonica P2. E’ infatti lo stesso Pieczenik ad averlo dichiarato in più sedi, specificando che Moro stava cedendo, rivelava ai brigatisti troppe cose, scriveva troppe lettere accusatorie contro il mondo politico ad amici, parenti e redazioni di giornali, mettendo così troppo a rischio la stabilità politica dell’Italia quando invece il supremo interesse Usa era la stabilità filo atlantica, cioè filo Usa, dei suoi vari alleati, compreso il nostro Paese.
Pieczenik ha specificato che per spingere i sequestratori a uccidere Moro venne fatto confezionare a bella posta, d’accordo con il futuro presidente della repubblica Cossiga, un falso comunicato brigatista, il N. 7 di quei drammatici 55 giorni, che ne annunciava falsamente l’avvenuta uccisione. Un modo per far capire a chi aveva in mano Moro che non c’era nulla da trattare e che la sua morte era ormai un dato di fatto già accettato dall’opinione pubblica e, soprattutto, dal potere che la manovrava. L’autore del falso comunicato, e di altri depistaggi “brigatisti”, è stato un malavitoso del giorno della banda della Magliana, Antonio “Toni” Chichiarelli. Come si vede, un intreccio da far tremare i polsi.

Un altro scossone lo si riceve apprendendo che il famoso “rapimento” di Emanuela Orlandi, la bella ragazzina sedicenne abitante in Vaticano sparita nel giugno dell’83, non è mai esistito, è stato sempre e solo un “rapimento mediatico”, cioè un messa in scena chiaramente per nascondere una pesante verità che chiama in causa qualche pezzo grosso del Vaticano. E suscita sgomento scoprire che il can can che per esempio porta vanti da anni su tale vicenda il programma televisivo “Chi l’ha visto?” è lastricato di falsi e scoop fasulli, il più vistoso dei quali è il “mistero” della sepoltura di Renato De Pedis, definito a torto un boss della banda della Magliana e un pluriassassino nonostante sia morto incensurato e sia sempre stato assolto dalle varie accuse sempre più pesanti. Il “mistero” era infatti già stato esplorato e archiviato come inesistente dalla magistratura romana ben 10 anni prima che la trasmissione di Federica Sciarelli ci si tuffasse a capofitto. Non a caso Nicotri ha fatto parlare la vedova De Pedis, signora Carla, che per la prima volta prende pubblicamente la parola e dice la sua in una ventina di pagine.

Si resta di sale anche ad apprendere che il famoso generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso dalla mafia il 3 settembre ’82, ha cercato di mettere in piedi una montatura contro il potente uomo politico democristiano Giulio Andreotti, evidentemente perché lo riteneva pericoloso e con legami fin troppo compromettenti, come del resto hanno dimostrato varie inchieste delle quali Nicotri traccia un sunto.
“Cronaca criminale” sembra che parli di fatti del passato, ma da quel passato emergono nomi e modi di operare, quali il faccendiere sempre in pista Flavio Carboni, la loggia segreta P2 progenitrice dell’odierna cosiddetta P3, le scorribande finanziarie della banca IOR del Vaticano e l’uso disinvolto da parte dello stesso Vaticano del suo enorme patrimonio immobiliare romano per “addomesticare” i personaggi che per la Chiesa è utile addomesticare o comunque tenerseli buoni.

A Nicotri è bastato un sopralluogo sul posto dove a suo tempo venne ucciso a revolverate Domenico “Memmo” Balducci, “cravattaro” di spicco nella Roma criminale dell’epoca, per scoprire che la versione dei fatti data dai pentiti è pura fantasia, benché sia stata presa per oro colato da giornali e tv.

Il 20 gennaio 2010 il magistrato del tribunale di Roma Giancarlo Capaldo in un dibattito alla libreria Mondadori ha dichiarato che la Banda della Magliana «è un’invenzione giornalistica» e che «non è mai esistita una organizzazione unitaria della malavita romana», concetto ribadito da vari altri inquirenti. In effetti, Nicotri la chiama spesso “la banda a geometria variabile” o la definisce un mosaico di tessere tra loro diverse, a volte convergenti in un disegno unitario, ma più spesso in lotta tra loro, al punto da sterminarsi a vicenda ponendo fine nei primi anni ’90 a un’epopea nera iniziata nella seconda metà degli anni ’70. Eppure la «bandaccia», come veniva anche chiamata, è stata protagonista di romanzi, film e sceneggiati televisivi di grande successo e suggestione, fino a diventare sinonimo di «cupola» onnicomprensiva della malavita capitolina dalla seconda metà degli anni Settanta alla fine degli anni Ottanta, e a far sospettare, addirittura, che esista ancora.
Ritenuta ricca di agganci compiacenti nelle zone torbide dei servizi segreti, della finanza, della massoneria, del terrorismo e della gerarchia vaticana, fino a essere la loro longa manus negli affari più sporchi, alla Banda della Magliana sono stati addebitati quasi tutti i casi che hanno scandito la burrascosa storia italiana di quegli anni «ruggenti» e sanguinosi: l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli, l’attentato al banchiere Roberto Rosone, la morte del banchiere Roberto Calvi, i depistaggi riguardo il rapimento e l’uccisione dell’onorevole Aldo Moro e la strage della stazione di Bologna, le razzie della banca vaticana IOR, della mafia, della camorra, della ’ndrangheta, della Loggia P2 di Licio Gelli, ecc… I confini tra mito e realtà si sono sempre più assottigliati fino a diventare evanescenti e provocare il coinvolgimento della banda nelle indagini sulla scomparsa della Ma come stanno in realtà le cose? Esisteva la onnitentacolare Banda della Magliana o esisteva invece Roma Caput Criminis? Domande alle quali Pino Nicotri fornisce le risposte.

Nicotri ha il merito di far notare che gli anni dell’epopea della “bandaccia” erano gli anni in cui la sinistra extraparlamentare, nata nel “mitico” ’68 e diventata infine il polivalente e composito Movimento ’77, aveva dato “l’assalto al cielo” impugnando le armi. Sulla sua scia, i borgatari e i sottoproletari romani tenteranno anche loro “l’assalto al cielo” impugnando anch’essi le armi e imboccando la scorciatoia del crimine, dai sequestri a scopo di estorsione al dilagare del commercio delle droghe nell’intera Roma e dintorni. Il fiume di denaro tratto con il monopolio delle droghe ha avuto come effetto anche quello di una strana debolezza dell’azione di prevenzione e repressione del crimine da parte di polizia, carabinieri, ecc. Nicotri fa notare che se non fosse stato per i pentiti, a partire dal primo, Fulvio Lucioli, per finire con l’ultimo, Vittorio Carnovale, e per gli ammazzamenti reciproci, la “bandaccia” avrebbe avuto vita ancora più lunga… La timidezza delle forze dell’ordine non è stata però solo un fatto di corruzione, bensì anche una ben precisa scelta politico strategica: lasciar dilagare la droga tra i giovani, tra i contestatori e i borgatari significava corrompere i movimenti di protesta, diminuendone così le capacità e la forza, grazie anche al vizio dell’eroina, chiamato dal romanziere Burroughs “La scimmia sulla spalla”, che ha seminato morte eliminando così i possibili “caporioni” e “teste calde”. Gli eroinomani dei movimenti di contestazione erano inoltre facilmente ricattabili e quindi utilizzabili come informatori di polizia, carabinieri e servizi segreti. Il “buco” dell’eroina è diventato così un buco nero che ha inghiottito i tutto, vite umane, sogni, programmi e interi gruppi politici.
L’eroina anche a Roma ha seminato morte non solo tra chi lottava contro la vita agra, ma anche tra chi si godeva la dolce vita o tentava comunque di capire quale fosse la propria strada, come per esempio il giornalista di Repubblica Carlo Rivolta e il giovane erede dell’impero Fiat Edoardo Agnelli, figlio del famoso “Avvocato” Gianni Agnelli.

La dedica che Nicotri ha scritto per il suo libro è ad un tempo un omaggio a tutte le vittime della “scimmia” e un terribile schiaffo in faccia all’ipocrisia e alle menzogne del caso Moro e del caso Orlandi, usati entrambi non per cercare la verità, bensì per coprire responsabilità, vendere più copie di giornali e aumentare l’audience televisiva:

“A Carlo Rivolta,
a Edoardo Agnelli
e a tutti gli sconosciuti
con “la scimmia sulla schiena”
che non ce l’hanno fatta.

Ad Aldo Moro
e a Emanuela Orlandi,
traditi e venduti da tutti”.