Evoluzione o decrescita?

L’evoluzione è un concetto molto relativo, come quello di progresso. Sembra che la si debba intendere come un processo che va da un aspetto inferiore verso uno superiore. Ma già questo modo astratto è fuorviante.

I concetti di “inferiore” e “superiore” sono quanto mai condizionati dal contesto in cui vengono formulati. Per noi per esempio è “inferiore” vivere soltanto a contatto con la natura, mentre è “superiore” essere dotati delle più moderne tecnologie.

L’uomo primitivo avrebbe però potuto dirci che, dovendo essere dipendenti da qualcosa, è sempre meglio scegliere la natura. Probabilmente ce l’avrebbe detto anche se avesse potuto conoscere l’uso che facciamo dei nostri strumenti di lavoro e di comunicazione.

Oggi infatti abbiamo a che fare con una tecnologia così complessa che pochissime persone sono davvero in grado di padroneggiarla. Per la sua periodica manutenzione noi abbiamo sempre bisogno di un tecnico specializzato.

Viceversa l’uomo primitivo era in grado di fare qualunque cosa, e non perché avesse un basso livello di tecnologia (ogni cosa va rapportata al suo contesto), quanto perché i mezzi erano sufficienti per vivere un’esistenza appagante, in cui non ci si sentiva frustrati per ogni inconveniente.

Quindi è difficile parlare di evoluzione: bisogna prima intendersi sul significato delle parole. E’ stato forse un progresso essere passati dalla fitoterapia alla medicina di sintesi? Abbiamo certamente sconfitto molte malattie, ma quante altre ne abbiamo introdotte? E siamo proprio sicuri che le malattie sconfitte siano sempre esistite? O lo diciamo soltanto per giustificare la nostra artificiosità? Al tempo di Colombo tante malattie che gli europei consideravano naturali, erano del tutto sconosciute agli amerindi.

Dire “coscienza evoluta”, dal punto di vista tecnologico, non vuol dire assolutamente nulla. Nessuna società avanzata sul piano scientifico riuscirebbe a sopravvivere se non avesse un rapporto iniquo col cosiddetto “Terzo mondo” e un rapporto dispotico con le risorse naturali. Lo sviluppo della tecnologia ci ha portati a dominare il pianeta, non a essere eticamente migliori.

Una vera “coscienza evoluta” può essere soltanto quella che vuole ripristinare un rapporto diretto con la natura. Questo significa però fare piazza pulita degli ultimi seimila anni di storia. Infatti tutta la storia delle civiltà non ci serve assolutamente a nulla per capire la profondità della nostra coscienza. Dobbiamo tornare a studiare gli stili di vita dell’uomo primitivo, perché solo quelli salveranno l’umanità dalla desolazione.

“Coscienza evoluta” significa fermarsi e tornare indietro. Qualcuno la sta chiamando “decrescita”. Bisogna uscire quanto prima dal sistema, rioccupare le terre abbandonate, recuperare i mestieri perduti, valorizzare le risorse del territorio locale, tornare all’autoconsumo, gestire in maniera collettiva i mezzi produttivi.

La “coscienza evoluta” è quella che ci fa tornare alla semplicità, all’immediatezza, alla trasparenza dei rapporti tra noi e tra noi e la natura. Dobbiamo avere il coraggio di farlo e certamente da soli, come singoli, non vi riusciremo mai.

2 commenti
  1. controcorrente
    controcorrente says:

    Caro Enrico,

    in natura esistono un processo irreversibile,dato dal secondo principio della termodinamica.
    L’aumento del disordine globale !
    L’aumento del disordine porta con sè , inevitabilmente l’aumento della complessità !
    Ma come ben sai , il pesce comincia sempre a puzzare dalla testa,la tecnologia altro non è che un derivato della scienza ,che si afferma quando esistono tutte le condizioni ,soprattutto quelle economiche, di sistema capitalistico, per affermarsi a livello massificato.
    Le leggi dell’elettricità e del magnetismo furono scoperte ben prima, che Edison,fabbricasse la laMPADINA AD INCANDESCENZA, prima però c’erano già stato il Kerosene per evitare di accendere torce.
    Io credo,che tornando alle torce, senza cambiare sistema di potere,si speculerebbe pure sulle Torce..beh insomma basta ripetere il percorso delle “enclosures”che privarono i buoni contadini Inglesi dei boschi comuni..eh,ehe,eh !!!
    Sennò con cavolo che si sarebbero avviati come maialetti al mecello nelle metropoli …
    Ricorda però che le Enclosures furono un processo economico -politico ben chiaro…
    Ma ti voglio porre una domanda da cento milioni..i contadini vandeani, bigotti e ignoranti..erano dei rivoluzionari o dei reazionari ??
    Dico questo perchè recentemente ho scoperto che un mio avo era “un bannato ” dei Francesi…e pensare che al mio paesello all’epoca prima dell’arrivo dei Francesi…(piemonte) , il paesello doveva occuparsi di sostentare ben 70 tra preti e monaci..adesso ci sono problemi per uno solo..
    Progresso o regresso..mah?!

    cc

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  2. Enrico Galavotti
    Enrico Galavotti says:

    La Vandea l’abbiamo avuta anche noi al Sud al tempo dell’unificazione: i contadini stavano spesso dalla parte della chiesa e dei baroni, senza rendersi conto delle possibili alternative. Purtroppo però per loro la medicina (borghese) è stata peggiore del male (feudale) che si voleva curare. Infatti a fronte di pochi contadini divenuti borghesi, la stragrande maggioranza ha dovuto cambiare lavoro, trasferendosi nelle industrie. Non c’è mai stata alcuna vera riforma agraria che spezzasse il latifondo, come quella bolscevica, poi devastata dallo stalinismo.
    Oggi è evidente che, in ogni caso, si deve parlare di “progresso”: è il potere costituito che decide il significato e l’impiego di questa parola. Ma se ci mettiamo dalla parte dei contadini è stata soltanto una trasformazione formale dello sfruttamento, che da personale è divenuto contrattuale.
    ciao e buon anno

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