Che cos’è l’ignavia?

Noi siamo destinati a ripetere le cose, ma sempre in forme diverse, proprio perché gli effetti negativi ch’esse ci procurano, modificano il livello di consapevolezza del bene comune.

Dovremmo però metterci nelle condizioni di troncare questa spirale perversa, questa coazione a ripetere, poiché se è vero che il ripetere fa parte del ciclo della vita umana, e in fondo della stessa natura, cui apparteniamo, è anche vero che dovremmo basarci soltanto sul meglio, senza sentirci obbligati, ogni volta, a sperimentare il peggio.

Purtroppo però, non sapendo più noi cosa sia il vero bene, in quanto abbiamo voluto abbandonare il comunismo primitivo ed eliminato tutti coloro che nella storia, in un modo o nell’altro, con maggiore o minore consapevolezza, volevano ripristinarlo, sembra che l’unica possibilità che ci resta (di sopravvivere o di resistere dignitosamente), sia quella di far tesoro della negatività, nella speranza di non dover reiterare gli enormi errori già compiuti. Possiamo cioè arrivare al bene attraverso il male, all’ovvia condizione di volerlo davvero.

Sotto questo aspetto non c’è alcun bisogno di guardare la storia in maniera tragica. La vera tragedia infatti non sta tanto nel male che si compie, quanto piuttosto nell’incapacità di trarne profitto per compiere delle svolte decisive verso un’alternativa, sottraendosi al ciclo infernale dei corsi e ricorsi.

La vera tragedia è la perdita di tempo, è la rassegnazione con cui s’accetta qualunque decorso della storia. E’ questa ignavia che meriterebbe d’esser messa all’inferno, poiché essa non è, posta in questi termini, un semplice fatto personale, come nella Commedia dantesca, ma un’ipoteca sul futuro della storia, un peso insopportabile sullo sviluppo delle generazioni.

Se affrontassimo con decisione e lungimiranza le conseguenze dei nostri errori, eviteremmo certamente di ripeterli in altre forme e modi. Le dittature (esplicite o, come quelle occidentali, mascherate dal parlamentarismo) dovrebbero servirci per capire il valore della democrazia, quella vera, non per passare continuamente da una dittatura all’altra, in un crescendo di orrori e tragedie, col rischio di annientare per sempre la nostra libertà, salvo gli intermezzi in cui ci lecchiamo le ferite e in cui nuove mistificazioni, ancora più sofisticate, ci fanno vedere la realtà come Alice nel paese delle meraviglie.

Se ci pensiamo, tutta la storia della fase imperiale della Roma classica ha pagato duramente la mancata realizzazione della democrazia durante la fase repubblicana. Ci sono volute le popolazioni cosiddette “barbariche” per ridare libertà non solo agli schiavi catturati in guerra ma anche agli stessi cittadini romani ridotti in schiavitù per i debiti. Ma quanti secoli s’è dovuto soffrire?

Anche nel basso Medioevo tutti i tentativi abortiti d’impedire la nascita della borghesia, non hanno fatto altro che favorire lo sviluppo impetuoso del capitalismo industriale vero e proprio, legittimandolo sul piano dei valori, facendolo diventare “cultura dominante”.

Ecco dunque che cos’è l’ignavia: è l’illusione di credere che i poteri forti, vedendo la debolezza della società civile, abbiano meno motivi di comportarsi in maniera arrogante. L’ignavia è il timore che il proprio sacrificio sia inutile per la causa della libertà individuale e, insieme, della giustizia collettiva. L’ignavia è la falsissima idea di far coincidere la giustizia sociale col mero conseguimento di una libertà personale. E’ cioè l’accontentarsi di un vantaggio individuale, invece di estenderlo a quante più persone possibili.

Gli ignavi sono peggio dei nemici dichiarati, proprio perché spendono parole sopraffine per arrendersi al sopruso, oppure fingono soltanto di opporvisi.

La stragrande maggioranza dei credenti può essere considerata indifferente alle sorti dell’umanità. Quando un credente si fa ammazzare, lo fa per difendere il suo credo personale, al fine di rivendicare una libertà di coscienza che andrà poi a usare contro la credenza o la non-credenza altrui.

Quand’anche infatti si trovasse un credente capace di lottare contro le assurdità del suo tempo, non lo farebbe certo in nome della propria religione, poiché ogni religione è sempre stata debole coi forti e forte coi deboli. Non è possibile liberarsi dell’ignavia se non ci si libera della fede.

2 commenti
  1. illupodeicieli
    illupodeicieli says:

    Non tutte le religioni sono uguali.Penso che le nuove religioni, pur ispirandosi alle “vecchie” e a quelle già esistenti e diffuse, abbiano un’apertura mentale tale che non sposano certo la legge del più forte. Ciò non toglie che cercando di essere accomodanti si finisce con il ritrovarsi per terra, con il politicamente corretto non si dicono nè si manifestano le proprie idee ma si accolgono quelle altrui o ,peggio, mai si chiamano le cose per nome.

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  2. Enrico Galavotti
    Enrico Galavotti says:

    La religione va distinta in due ambiti: umano e politico. In quello politico è sempre una forma di rassegnazione, oggettivamente, e quando non lo è, è fanatismo, intolleranza nei confronti di altre religioni o dell’ateismo, oppure perché influenzata da ideologie rivoluzionarie (come successe ai teologi della liberazione, tutti scomunicati dagli ultimi due pontefici).
    Sul piano umano vi possono essere dei credenti che, soggettivamente, sono migliori delle loro religioni, ma il loro atteggiamento propositivo non va mai a incidere sulla sostanza del loro credo.
    Se la religione non fosse una forma di rassegnazione, non esisterebbe neppure. L’ignavia è strettamente correlata alla religione, sia che questa predichi il misticismo, sia che voglia imporsi con gli strumenti del potere politico. O predica la rassegnazione rinunciando a qualunque forma di potere, o la predica per poterlo conservare, dopo averlo acquisito con la forza. Ecco in sintesi la differenza tra cattolicesimo e ortodossia.

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