Obama vuole la pace e perciò anche il controllo Usa delle atomiche israeliane. La prima metà del molto documentato diario di un mio compagno di viaggio in Palestina [segue]
Nonostante le dichiarazioni boomerang di Bibi Netanyahu sul massacro di dicembre/gennaio 2008 a Gaza (dove – come ha fatto notare un nostro lettore – ha praticamente ammesso che Israele il cammino verso la pace lo percorre compiendo quelli che la stessa Onu ha definito crimini di guerra e anche contro l’umanità, critica che peraltro pare si possa rivolgere anche contro Hamas) e nonostante il suo pubblico e reiterato rifiuto a bloccare la vergogna dell’espansione delle colonie in territorio palestinese, a New York il primo ministro israeliano si è sentito fare dal presidente degli Stati Uniti il discorso che mai nessuno ha osato fare a Israele. “Il problema non è tanto l’ipotetica bomba atomica iraniana, ma il già esistente arsenale nucleare di Israele”, ha infatti detto Obama a un allibito e molto contrariato Netanyahu. Che però per uscire dall’angolo nel quale Obama lo ha stretto nei colloqui newyorkesi ha dovuto non solo abbozzare, ma anche prendere una serie di impegni:
a) NON attaccare l’Iran, checché pretendano gli estremisti fanatici e guerrafondai che sono lo zoccolo duro elettorale di Bibi;
2) lasciare che eventualmente l’Iran si costruisca l’atomica, visto che ne ha tutto il diritto data anche la vicinanza con Paesi dotati di armamenti nucleari;
3) smetterla di far finta che Israele le atomiche non sa neppure cosa siano;
4) affiancare nel controllo delle atomiche israeliane gli statunitensi. Visto che sono gli Usa a garantire di fatto, ed esplicitamente, la vita e la sopravvivenza di Israele contro qualunque pericolo di aggressione, comprese quelle nucleari di cui tanto si straparla, tanto vale trarne le conseguenze sul piano pratico. Quella che si profila quindi è una soluzione del tipo “doppia chiave”, come per le atomiche Usa che ancora stazionano in Italia quanto meno negli aeroporti di Ghedi e Aviano: a deciderne l’eventuale uso NON sono gli italiani, ma – nella migliore delle ipotesi – questi assieme agli americani. Del resto il controllo Usa sull’Iran diventa più stretto con il blocco dello “scudo stellare” rivolto verso la Russia per rivolgerlo invece verso l’Iran. Vale a dire, verso tutte le potenze nucleari già esistenti ed eventualmente future di quella martoriata parte del mondo.
Questa dunque è la grande e unica grande novità che si profila a New York. Sempre che qualche “pazzo” o qualche delinquente non la faccia saltare per aria eliminando dalla scena Obama e il suo think-thank. Tutto il resto è fuffa e messinscena, compreso il gesto di abbandonare la sala quando Ahmadinejad dice che “Israele è uno Stato disumano”, gesto indecoroso specie se si pensa che all’Onu si lasciano parlare i sauditi e altri rappresentanti di regimi odiosi o infami.
Sperando che la novità di New York vada in porto e assicuri la ripresa e la conclusione degli accordi per la creazione dello Stato palestinese e per l’accettazione dell’esistenza dello Stato di Israele, vi invito a leggere i diario di viaggio di uno dei componenti la comitiva con la quale a fine luglio ho girato in lungo e in largo per la Palestina raccogliendo notizie, racconti e testimonianze dei contendenti dell’una e dell’altra parte. Il racconto, al quale rpima o poi farà seguito il mio, lo divido in due parti e per ora pubblico solo la prima. Le foto sono tra quelle che ho scattato io. Le note e i riferimenti indicati nel testo del racconto li troverete alle fine della secondo pezzo, che pubblicherò credo domenica prossima.
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COMBATTENTI PER LA PACE – UN VIAGGIO IN PALESTINA
di Lorenzo Bernini (ricercatore in Filosofia politica all’Università di Verona)
Dove ti trovavi l’11 settembre 2001? Io ero a New York. Alle 8.46, quando il primo aereo si è schiantato contro la torre nord del World Trade Center, stavo facendo colazione. L’impatto ha fatto tremare i muri del mio appartamento. Ho visto il crollo delle torri dalla mia finestra, come immagino tu lo abbia visto dallo schermo della tua televisione. A poca distanza da me sono morte 2.974 persone, dicono le stime ufficiali, di 90 diverse nazionalità. Più i 19 dirottatori. Sono tanti 2.993 esseri umani. Mi ci è voluto un pò di tempo per capire la differenza tra avere assistito alla loro fine trovandomi così vicino a loro piuttosto che guardando la tv – oltre ad aver avvertito la forza d’urto, oltre alla paura. Non dimenticherò mai New York nei giorni successivi: le veglie di preghiera in riva al fiume, i primi gadgets venduti agli angoli delle strade (le magliette e i cappellini con la scritta “America under attack”, la bandiera a stelle e strisce in tutti i formati che riesci a immaginare), e anche le prime manifestazioni pacifiste in Washington square. Ma soprattutto i parenti, gli amici, i mariti le mogli gli amanti che cercavano i propri cari, la città tappezzata di manifestini fotocopiati con i volti delle vittime disperse e i loro nomi: missing John, missing Judith, missing Abdul. Sono tanti 2.993 esseri umani, e trovarmi lì vicino a loro mi ha fatto sentire (che è diverso da “capire”) che ognuno e ognuna di questi 2.993 esseri umani è scomparso portando con sé il suo nome proprio, il suo corpo, il suo volto, lasciando a chi è rimasto un immenso, incolmabile vuoto. Anche quando si muore insieme a tanti altri, si muore uno per uno. E uno per uno si viene compianti dai propri cari.
Esistono poi celebrazioni collettive, ma solo per alcuni lutti, non per tutti. Così, se le vittime degli attentati dell’11 settembre sono state ampiamente ricordate dai mass media, troppe morti vengono accolte con indifferenza dall’opinione pubblica occidentale. Per cercare di sottrarmi a questa indifferenza, negli ultimi anni ho tentato, non solo nella mia attività accademica (si vedano, ad esempio: http://www.nazioneindiana.com/2008/09/10/maschio-e-femmina-dio-li-creo-il-binarismo-sessuale-visto-dai-suoi-zoccoli-1/#more-8130; http://www.nazioneindiana.com/2009/03/30/luoghi-di-confino-linee-di-confine/#more-16039) ma anche attraverso l’esperienza diretta, di occuparmi di quelle linee di confine simbolica e materiale che ancora nel presente distinguono chi è riconosciuto pienamente umano (e quindi degno di pubblico lutto), da chi è bandito dalla piena umanità (e la cui morte passa quindi sotto silenzio). Per questa ragione ho intrapreso il viaggio tra i curdi di Istanbul e le visite ai campi rom di Milano e al centro di accoglienza per migranti di Lampedusa – ora di nuovo centro di identificazione ed espulsione – di cui, grazie a Jan Reister e a Giovanni Hänninen, ho lasciato tracce anche su nazione indiana (http://www.nazioneindiana.com/2008/05/06/istanbul-turchia-i-curdi-di-istanbul/; http://www.nazioneindiana.com/2008/07/17/il-razzismo-e-la-burocrazia-la-costruzione-del-nemico-pubblico-zingaro/; http://www.nazioneindiana.com/2008/10/27/lampedusa-europa-la-fabbrica-della-clandestinita/). E per questa ragione ho partecipato quest’anno alla missione di pace in Palestina e Israele organizzata dall’Associazione per la pace (www.assopace.org) di Luisa Morgantini (http://it.wikipedia.org/wiki/Luisa_Morgantini; www.luisamorgantini.net), fondatrice della rete internazionale delle Donne in nero contro la guerra e la violenza (http://www.donneinnero.it/index.htm) ed ex vicepresidente uscente del Parlamento europeo. Quanto segue è il mio punto di vista su quello che ho visto, su quello che ho udito dalle vive voci di chi, in una situazione di conflitto e di lutto che potrebbe sembrare rendere obbligatoria la scelta della violenza, sulla pulsione della vendetta ha fatto prevalere il desiderio della giustizia.
Prima del consolidarsi dello stato moderno, prima dei massacri delle guerre di religione tra cattolici e protestanti del 1600, in Europa filosofi cristiani come Tommaso d’Aquino e Francisco de Vitoria, dimentichi del pacifismo radicale del messaggio evangelico, elaborarono teorie della “guerra giusta”, tese a giustificare la guerra quando è volta alla riparazione di un torto subito. Dopo la caduta del muro di Berlino il 9 novembre 1989, e con maggiore intensità dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, alcuni intellettuali americani, a partire da John Rawls e Michael Walzer, hanno riabilitato quest’antica tradizione per legittimare interventi di “polizia internazionale” quali la prima guerra del Golfo nel 1991, la guerra contro il terrorismo in Afghanistan, iniziata nel 2001, e persino la seconda guerra del Golfo iniziata nel 2003 (com’è noto, una guerra preventiva basata su pretesti).
Oggi come allora, a quanto pare, c’è chi crede nell’esistenza di un unico ordine mondiale (impersonato allora dal Papa di Roma, e oggi garantito dall’ONU) e quindi nella possibilità di determinare con certezza chi ha ragione e chi ha torto nell’arena internazionale. Tale possibilità è a dire il vero piuttosto remota in un conflitto come quello arabo-israeliano dove, data la complessità degli eventi coinvolti, è molto facile per le parti in causa fare un uso strumentale della storia. Ma anche chi credesse nell’esistenza di un punto di vista neutrale sulla storia, e anche chi volesse accordare fiducia all’ONU come garante della giustizia internazionale (vorrei ricordarti che l’ONU è espressione dell’ordine mondiale stabilitosi dopo la seconda guerra mondiale e infatti i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU, l’organismo preposto a stabilire sanzioni contro gli Stati colpevoli di aggressione, sono le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale), dovrebbe riconoscere l’inadeguatezza della teoria della guerra giusta nello scenario contemporaneo.
Infatti – anche se, mentre scrivevano, non esistevano strumenti di distruzione di massa e le guerre tra gli Stati europei non avevano la struttura asimmetrica che caratterizza le guerre contemporanee – i teorici della guerra giusta furono molto attenti a stabilire non solo criteri di legittimità della guerra (la riparazione di un torto subito), ma anche criteri di legalità: una reazione sproporzionata rispetto ai danni subiti, e in ogni caso il massacro di civili innocenti, la distruzione ingiustificata dei campi, l’avvelenamento delle acque rendevano, secondo loro, illegale la guerra, e quindi ingiusta anche se mossa da causa legittima. Anche chi ancora credesse nella possibilità di definire “giusta” una guerra, dovrebbe quindi tener conto del fatto che la maggior parte delle guerre combattute oggi dagli USA e dalle potenze occidentali, dato l’alto numero di vittime civili, sarebbero state considerate illegali dai filosofi cristiani della prima modernità – a prescindere dai pareri dell’ONU che, tra l’altro, com’è noto, sono sovente disattesi da chi è nella posizione di poterlo fare. E lo stesso giudizio sarebbe stato applicato anche alle pratiche di guerra, di embargo, di occupazione, di apartheid e di pulizia etnica perseguite dallo Stato di Israele sul proprio territorio e nei territori occupati della West Bank (Cisgiordania) e della Striscia di Gaza: le presunte ragioni dello Stato di Israele e del suo nuovo governo di destra non sarebbero state ritenute sufficienti a giustificare il suo operato che rende invivibile l’esistenza di uomini, donne e bambini palestinesi e pressoché impossibile una soluzione pacifica del conflitto. Allo stesso modo, naturalmente, in alcun modo sarebbero stati giustificati gli attentati suicidi e il lancio dei rudimentali missili Qassam (http://it.wikipedia.org/wiki/Qassam) sui civili israeliani da parte di organizzazioni armate palestinesi.
La sproporzione delle forze tra una popolazione occupata e male armata e una potenza occupante con uno degli eserciti meglio equipaggiati del mondo è comunque evidente: durante la seconda intifada (dal settembre 2000 al 2004, quando Hamas ha dichiarato la cessazione degli atti terroristici) sono morti circa 5.000 palestinesi e circa 1.000 israeliani. E soprattutto durante l’operazione Piombo fuso, tra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio 2009, l’esercito israeliano, infierendo su una popolazione (di circa 1.400.000 persone) già affamata da due anni di rigido embargo, ha ucciso 1.417 palestinesi della Striscia di Gaza (la maggior parte dei quali civili, tra cui più di 400 bambini), distrutto 4.000 case e 1.500 tra fabbriche e laboratori artigiani. Le vittime israeliane sono state invece 13, di cui 3 civili. 1.430 morti in 22 giorni, quindi: uccisi insieme, uno per uno.
Di fronte a questo quadro, lascio ad altri la valutazione delle giustificazioni dell’una o dell’altra parte belligerante. La scelta dell’Associazione per la pace, che sottoscrivo pienamente, è invece di dare sostegno a chi, nella società civile palestinese e in quella israeliana, alle ragioni della guerra e della violenza ha preferito quelle della pace e della resistenza non violenta. Sono queste le voci che ho ascoltato, e che adesso vorrei riferire.
La missione dell’Associazione per la pace avrebbe inizialmente dovuto svolgersi ad aprile nella Striscia di Gaza, ma le autorità israeliane consentono l’ingresso nella zona soltanto a pochi giornalisti e diplomatici. Più di una nave organizzata da reti di ONG ha tentato di violare l’embargo e di sbarcare nella Striscia per portare aiuti umanitari, ma le imbarcazioni sono state intercettate dalla flotta israeliana e i cooperanti arrestati – e in breve tempo rilasciati. Ad aprile Morgantini, allora vicepresidente del parlamento europeo, è riuscita a organizzare una visita a Gaza di una delegazione di parlamentari. Ci ha descritto scene di devastazione, e ci ha spiegato che non a caso i famosi tunnel che collegano la striscia di Gaza all’Egitto, da cui entrano clandestinamente beni di prima necessità, motorini, armi e anche l’esplosivo necessario alla fabbricazione dei razzi Qassam sono stati risparmiati dai bombardamenti. Servono a “calmierare la disperazione”, ha commentato Paola Caridi, socia fondatrice dell’associazione di giornalisti indipendenti Lettera 22 (http://www.lettera22.it/) e autrice dei libri Arabi Invisibili e Hamas (http://invisiblearabs.blogspot.com). Ma la disperazione di chi non è considerato pienamente umano, per quanto possa essere tatticamente “calmierata”, a quanto pare non deve essere mostrata più di tanto all’opinione pubblica internazionale: così la missione dell’Associazione per la pace nella Striscia di Gaza progettata per aprile non è stata possibile.
Il nostro viaggio ha invece avuto luogo dal 17 al 24 luglio: in quaranta (un gruppo eterogeneo per genere, età, professione) guidati dall’energica Luisa e dalla sua gentilissima assistente Barbara Antonelli, abbiamo visitato alcune significative città israeliane e la West Bank, dove ci siamo scontrati con una realtà che nessuno di noi, per quanto ben informato, poteva immaginare.
A farci da guida a Gerusalemme est è stato Ali M. Jiddah, membro della comunità “afro-palestinese” di Israele: figlio di migranti sudanesi, come gli altri africani musulmani che vivono in Israele, si considera parte del popolo palestinese in virtù delle comuni discriminazioni riservate ai musulmani dallo Stato di Israele. Negli anni sessanta Jiddah entrò nel Fronte popolare di liberazione della Palestina, gruppo di ispirazione marxista-leninista poi confluito nell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, e nel 1968 fu tra gli esecutori di un attentato a Gerusalemme che ferì 9 israeliani, per cui ha in seguito scontato 17 anni di carcere. Pur non rinnegando il suo passato, oggi ha optato per una scelta di resistenza non-violenta, di cui la sua attività di “guida alternativa” di Gerusalemme è parte integrante. “Non mi sono mai divertito a mettere bombe: è stata una reazione all’ingiustizia – ci ha spiegato – essere nero a Gerusalemme significa essere costantemente vittima dei maltrattamenti dei coloni e dei soldati. Voglio un futuro diverso per i miei figli, vorrei che facessero gli avvocati, i dottori, e non che perdessero i migliori anni delle loro vite in galera. Perché questo sia possibile è importante che il mondo sappia che cosa succede qui”.
Ad Haifa Jafar Farah, direttore di Mosawa, The Advocacy Center for Arab Citizens of Israel (http://www.mossawacenter.org/), ci ha illustrato la vasta gamma di discriminazioni a cui sono sottoposti i cittadini arabi israeliani (circa 1.400.000 su un totale di 7.100.000 israeliani): ai profughi palestinesi è impedito il ritorno alle loro terre, pochi palestinesi scelgono di fare il servizio militare (che è invece obbligatorio per gli israeliani, 3 anni per gli uomini e 2 per le donne) e questo li penalizza nella ricerca del lavoro, il governo non costruisce servizi e infrastrutture nelle zone abitate dai palestinesi (garantisco ad esempio che le bellissime spiagge di Jisr az-Zarqua, l’unico vilaggio palestinese in territorio israeliano che si affaccia sul Mediterraneo, potrebbero diventare un’ambita zona turistica se solo fossero raggiungibili con l’autostrada http://en.wikipedia.org/wiki/Jisr_az-Zarqa), i maltrattamenti da parte di fanatici ebrei ortodossi, complici le forze dell’ordine, sono all’ordine del giorno. A giugno il nuovo parlamento ha discusso, e fortunatamente non approvato, una legge che intendeva punire con tre anni di reclusione chiunque celebri la Naqba (la “catastrofe” del popolo palestinese che coincise con la fondazione dello Stato di Israele nel 1948, quando circa l’80% dei palestinesi che abitavano i territori che sarebbero poi diventati Israele furono costretti all’esodo: http://en.wikipedia.org/wiki/Naqba) e proprio nei giorni della nostra permanenza, ha approvato una legge che proibisce alle istituzioni pubbliche di finanziare qualsiasi organizzazione che celbri la Naqba e inoltre di nominare la Naqba nei testi scolastici. Segno evidente che la catastrofe non è mai finita.
Allarmante, ad esempio, è la questione abitativa: le amministarazioni giudicano abusivi tutti gli edifici palestinesi costruiti prima della formazione dello Stato di Israele, tanto sotto la dominazione ottomana quanto sotto il mandato inglese, e non autorizza i palestinesi a costruire nuove case. Con questo pretesto le famiglie palestinesi vengono costrette ad abbandonare o addirittura a demolire le proprie case, e al loro posto si insediano solitamente famiglie di ebrei integralisti armati e scortati dall’esercito (per informazioni sugli sgomberi rimando ai seguenti siti: http://coalitionforjerusalem.blogspot.com/; www.icahd.org/eng; http://www.standupforjerusalem.org/). Ad esempio Silwan, un intero quartiere di Gerusalemme edificato prima della Guerra dei sei giorni del 1967 su quello che gli israeliani presumono essere il sito della tomba di David, che conta 88 case e 1.500 abitanti, è attualmente sotto minaccia di sgombero: al suo posto sorgerà un “parco biblico”. Sotto sfratto sono anche gli abitanti di Sheikh Jarrah, altro quartiere di Gerusalemme abitato da 28 famiglie (500 persone) di profughi del 1948 che si sono insediate nella zona nel 1956, su autorizzazione dell’amministrazione giordana. Nonostante queste famiglie posseggano regolari atti di proprietà, un gruppo di coloni ha iniziato a reclamare le loro abitazioni in base a documenti falsificati che i tribunali isaraeliani hanno ritenuto validi. Una donna sfrattata il 16 luglio 2008, Um Kamel, è diventata il simbolo della protesta: da più di un anno vive in una tenda vicina alla sua casa, protetta dai volontari dell’International Solidarity Movement (http://palsolidarity.org/). Siamo andati a trovarla sotto la sua tenda, dove ci ha accolto assieme alle famiglie Hanoun e Al Ghawi, entrambe sotto sfratto.
Con la dignità di una regina, senza abbandonarsi ad alcuna commiserazione, ci ha raccontato i soprusi che ha dovuto subire dai coloni israeliani quando ancora aveva una casa: l’immondizia gettata dalle finestre, i pavimenti inondati di liquame, una pistola provocatoriamente lasciata sull’uscio… Poco pù di una settimana dopo il nostro ritorno in Italia, all’alba del 2 agosto, lo sfratto è stato eseguito: le famiglie Hanoun e Al Ghawi sono state evacuate con la forza, e al loro posto si sono insediate due famiglie di coloni, protette dalle forze dell’ordine israeliane. Due palestinesi e 11 volontari internazionali sono stati arrestati, la tenda di Um Kamel è stata spianata da un bulldozer.
Maltrattamenti come questi sono purtroppo all’ordine del giorno anche in West Bank, territorio occupato militarmente da Israele, assieme alla Striscia di Gaza, durante la guerra dei sei giorni. Come ci ha spiegato Ray Dolphin, responsabile dell’OCHA, l’ufficio dell’ONU per le questioni umanitarie nei territori occupati (www.ochaopt.org), in West Bank vivono 2.350.000 palestinesi e 462.000 coloni israeliani protetti da un ampio numero di militari. Recentemente, in seguito alle pressioni del presidente Americano Barack Obama, il premier israeliano Banjamin Netanyahu ha promesso che interverrà sugli insediamenti illegali in West bank, intendendo con questa espressione gli outpost di nuova formazione, costituiti da camper e roulotte o container, ma in realtà per il diritto internazionale tutti i 149 insediamenti israeliani (a cui si aggiungono 48 basi militari) in West Bank sono illegali, atti di colonizzazione operati da una potenza occupante su un territorio occupato. La maggior parte dei coloni sono religiosi integralisti che si sentono legittimati dalla Bibbia ai peggiori comportamenti nei confronti della popolazione palestinese che, a loro avviso, semplicemente non ha diritto di vivere nella terra di Israele. Il loro leit-motiv è: “Questa è l’unica terra assegnata da Dio al popolo di Israele, i palestinesi hanno 22 Stati arabi dove andare”. Ma a dire il vero fino ad ora gli Stati arabi hanno dimostrato di strumentalizzare la questione palestinese più che di preoccuparsi davvero delle condizioni in cui versa il popolo palestinese, e in ogni caso i palestinesi preferiscono continuare a vivere nelle proprie case piuttosto che in un campo profughi in uno dei “22 Stati arabi dove possono andare”. Inizialmente i coloni costruiscono abitazioni di fortuna, solitamente sulla cima delle colline da cui possono controllare meglio le valli.
Questi outpost in breve tempo vengono riforniti di elettricità, acqua e gas, e poi si espandono: ai container si sostituiscono gradualmente case a un piano, poi a due e tre piani, fino all’edificazione di ampi agglomerati abitativi. Gli accordi di Oslo del 1993 (http://it.wikipedia.org/wiki/Accordi_di_Oslo), dividendo la West Bank in zone controllate dall’Autorità Nazionale Palestinese e in zone (corrispondenti agli insediamenti) controllate dal’esercito israeliano, ha aperto la strada alla realizzazione dei checkpoint interni alla West Bank. La costruzione della “barriera”, cioè del muro di separazione, iniziata nel 2002 con lo scopo uffciale di “proteggere” la popolazione israeliana dagli attentati suicidi dei palestinesi, ha peggiorato la situazione. Secondo Ray Dolphin “il problema non è tanto il muro, quanto il suo percorso, che non coincide con i confini del 1967, e che per l’86% è costruito all’interno della West Bank. A Gerusalemme il muro penetra in West Bank per 14 km, più a nord per 25 km: la barriera traccia nuovi confini che di fatto annettono il 10% della West Bank a Israele”. Naturalmente a essere annesse a Israele sono le terre più fertili e quelle dotate di risorse idriche. A essere protetta dal muro è anche la rete autostradale, dove possono correre solo le auto israeliane con la targa gialla e non quelle palestinesi con la targa verde (l’infrazione è punita con sei mesi di reclusione). Il muro e i circa 90 checkpoint in West Bank sono in realtà una barriera eretta contro la dignità umana dei palestinesi e contro la loro sopravvivenza. I checkpoint rendono infatti difficile ogni spostamento e danneggiano la già fragile economia palestinese. ll muro separa gli agricoltori dalle loro terre, gli studenti dalle scuole e dalle università, l’intera popolazione da ospedali e da servizi sanitari: in seguito alla costruzione della “barriera”, decine di donne hanno perso i loro bambini durante il parto o sono morte di parto perché il travaglio “non ha rispettato” gli orari stabiliti per il varco dei checkpoint.
Un caso esemplare è il distretto di Hebron. Come Gerusalemme, anche Hebron è divisa in due. Un tempo vitale centro di commercio nel sud della West Bank, ora è ridotta a una città-fantasma: alcune strade sono state interrotte da cancelli, blocchi di cemento e checkpoint (per un numero complessivo di 101 sbarramenti), in altre strade è stato proibito ogni accesso ai palestinesi. Tutto è iniziato poco dopo la guerra dei sei giorni, quando un manipolo di ebrei ortodossi si introdusse nella città fingendo di essere un gruppo di turisti. I coloni fondarono un primo insediamento a Kyriat Arba, appena fuori Hebron. Poi arrivarono i rinforzi, che con la consueta violenza occuparono cinque edifici all’interno della città. In seguito agli accordi di Oslo, la città è stata ufficialmente divisa in due zone, denominate H1 (la Hebron palestinese) e H2 (la Hebron ebraica), ma non per questo la violenza è finita. Nel 1994 Baruch Goldstein, ebreo di origine americana, aprì il fuoco su una folla di fedeli musulmani inginocchiati in preghiera nella moschea di Ibrahim: riuscì a uccidere 29 persone e a ferirne 150 prima di essere a sua volta ucciso dalla folla superstite. La sua tomba a Kyriat Arba, su cui si legge “Il santo Baruch Goldstein, che ha dato la vita per il popolo ebraico, la Torah e la nazione di Israele” è oggi luogo di pellegrinaggi (http://www.geocities.com/dr_b_goldstein/kever.htm). Attualmente vivono a Hebron 220.000 palestinesi, 400 coloni ebrei e circa 1.300 militari israeliani, la cui presenza salta subito all’occhio: sui tetti delle case sono disseminate numerose postazioni di guardia. Sentendosi ben “protetti”, non di rado i coloni sfilano per la città brandendo armi e intonando canzoni antiarabe, lanciano uova contro i pullman di turisti, pietre e immondizia contro i palestinesi. Dal 2000 al 2003 Hebron è stata uno dei centri della seconda intifada: ha subito 583 giorni di coprifuoco, e la chiusura per ordine miitare di 500 negozi. In seguito altri 1.141 negozi hanno chiuso per fallimento. Come a Gerusalemme est, i pochi esercizi commerciali rimasti si proteggono dai frequenti lanci di oggetti contundenti dai tetti delle case con reti metalliche che ricoprono i vicoli da parte a parte. In tale situazione, una delle forme che ha assunto la “resistenza non violenta” palestinese è l’Hebron Rehabilitation Committee (www.hebronrc.org). Si tratta di un’associazione finanziata da aiuti internazionali, fondata nel 1996 allo scopo di preservare l’identità culturale della città, a partire dal restauro della città vecchia, dei suoi mercati e della sue infrastrutture. “Resistenza non violenta” significa infatti, per i palestinesi, innanzitutto sfidare i coloni e l’esercito occupante tentando un ritorno a una vita “normale”.
Un altro significativo esempio di resistenza non violenta è rappresentato dal movimento dei pastori, delle donne e dei bambini delle colline a Sud di Hebron. Abbiamo incontrato Hafez Hurain, che ne è il portavoce, nel villaggio di At-Tuwani, un piccolo centro abitato da 300 pastori, circondato da tre insediamenti ebraici e situato in una zona che, per gli accordi di Oslo, è interamente amministrata dalle autorità israeliane. Ad At-Tuwani l’elettricità è presente tre ore al giorno, grazie a un generatore (il 30 luglio, pochi giorni dopo la nostra visita, l’esercito israeliano ha dato ordine di fermare i lavori di costruzione dei pali della luce), e le riserve d’acqua sono molto scarse, mentre i vicini insediamenti godono di ogni confort. Ma oltre al peso di questa ingiustizia, il villaggio patisce varie forme di violenza: i coloni inquinano le acque gettando polli morti nelle cisterne, avvelenano i pascoli, sgozzano il bestiame e, come se non bastasse, lanciano pietre contro i bambini dei villaggi vicini quando tentano di raggiungere la scuola di At-Tuwani, l’unica scuola della zona. Il movimento non violento dei pastori, delle donne e dei bambini delle colline a Sud di Hebron invita le famiglie del villaggio a non abbandonare la terra, a continuare a pascolare il proprio bestiame, a continuare a mandare i bambini a scuola. Il lavoro più difficile, ci ha spiegato Hurain, è convincere i giovani della superiorità non solo etica ma anche pragmatica della scelta non violenta: “Cerco di far capire loro che di fronte ai coloni armati e alle forze dell’esercito israeliano rispondere alla violenza con la violenza è la reazione più facile, ma anche la meno utile. Se tutte le malefatte dei coloni restano impunite in nome di un pretestuoso diritto di autodifesa, per il lancio di una pietra un ragazzo palestinese rischia anni e anni di carcere, e ancor prima la propria vita”. (Parole simili ci sono state dette anche a Nablus dai volontari dell’associazione Human Supporters – www.humansupporters.org – che tra le altre cose organizza campi-gioco estivi per bambini: “Quando i bambini tirano pietre contro l’esercito non compiono un’azione politica, ma cercano di esprimere qualcosa. Noi cerchiamo di ascoltarli e di parlare con loro: cerchiamo di far capire loro che il lancio delle pietre li porta solo alla prigione, o alla morte”).
Anziché lanciare pietre, il movimento nonviolento risponde a ogni ordine di sgombero o di demolizione con manifestazione pacifiche, con preghiere e canti. Particolarmente preziosa è stata la collaborazione con organizzazioni pacifiste israeliane che hanno fornito assistenza legale gratuita, e soprattutto con il movimento internazionale Christian Peacemaker Teams (http://www.cpt.org/work/palestine) e con i volontari di Operazione Colomba (http://www.operazionecolomba.com/), che hanno organizzato un presidio permanente nel villaggio e che ogni giorno accompagnano i bambini a scuola e i pastori ai pascoli. “Purtroppo – ci hanno spiegato – da queste parti le vite degli esseri umani non hanno lo stesso valore. Come insegna il tragico caso di Rachel Corrie (http://www.rachelcorrie.org/), soltanto quando i coloni o l’esercito mettono in pericolo la vita di un volontario occidentale, l’opinione pubblica mondiale si mobilita, e allora persino il parlamento israeliano deve tenerne conto”. Dopo il ferimento di un volontario ad opera dei coloni, infatti, su pressioni della Corte israeliana per i diritti dell’infanzia, il parlamento ha deliberato che ogni giorno i militari israeliani scortino i bambini all’andata e al ritorno da scuola. Non per questo il lavoro dei volontari di Operazione Colomba è terminato: non solo perché i soprusi dei coloni proseguono, ma anche perché occorre vigilare sugli stessi militari, che talvolta spintonano e maltrattano i bambini.
Come ho anticipato poco fa, l’impressione che ho tratto da questo viaggio in Palestina e Israele non è stata soltanto di una situazione estremente intricata, ma anche di una realtà inimmaginabile per un europeo, a cui io stesso stenterei a credere se non ne avessi fatto esperienza diretta. Un’esperienza che mi ha costretto ad abbandonare ogni immagine stereotipata della guerra intesa – alla maniera dei teorici della guerra giusta della prima modernità – come combattimento tra eserciti regolari. Il conflitto israelo-palestinese non soltanto miete nella maggior parte dei casi vittime civili (come la maggior parte delle guerre asimmetriche contemporanee) ma è un conflitto combattuto in gran parte dai civili, che investe quotidianamente, “microfisicamente” la vita di uomini e donne qualunque, potenziali vittime in ogni momento della loro esistenza di soprusi e di violenze, oltre che di proiettili, ordigni esplosivi e attentati suicidi.
A sorprendermi sono state anche le divisioni che percorrono quello che nell’immaginario della sinistra italiana è rappresentato come un unico popolo palestinese: per tutta la durata del viaggio è sembrato che l’assedio di Gaza fosse una realtà presente soltanto nelle nostre menti. Nessuno (a eccezione di Mustafa Barghouti, di cui dirò tra poco), né i rappresentanti delle associazioni in difesa dei cittadini arabi israeliani, né le autorità governative e le organizzazioni non governative che abbiamo incontrato in West Bank, ha menzionato di propria iniziativa la condizione dei palestinesi di Gaza. È difficile azzardare previsioni su quale sarà il futuro della West Bank: la condizione attuale, di un territorio percorso dal muro, diviso da 93 checkpoint (75 permanenti e 18 temporanei) e da 97 cancelli, punteggiato da 48 basi militari israeliane e da 149 insediamenti abitati da 300.000 coloni, rende molto difficile immaginare uno Stato dotato di integrità territoriale. Però la speranza non deve morire: i sindaci e i governatori che abbiamo incontrato sono concordi nel sostenere che negli ultimissimi tempi, forse anche in virtù delle dichiarazioni di Obama, la pressione dell’esercito israeliano si è fatta meno violenta. Su un punto tuttavia mi sembra che Israele abbia già vinto: vittime di un’efficace politica del “divide et impera”, ognuno dei tre gruppi in cui si trova scomposta la popolazione palestinese – cittadini israeliani, abitanti della West Bank governati dal partito nazionalista laico Fatah e abitanti della Striscia di Gaza governati dal partito islamico integralista Hamas – sembra troppo occupato dai propri immediati problemi di sopravvivenza quotidiana per poter pensare alla causa di un unico popolo. Difficilmente sanabile sembra essere soprattutto il conflitto tra Fatah e Hamas, che nel 2007 – quando Hamas ha assunto con la forza il controllo delle Striscia di Gaza e in West Bank è stato espulso dal governo e messo fuori legge – ha preso la forma di una vera e propria guerra civile tra gruppi dirigenti.
[SEGUE]
caro Pino,
ho risposto a Linosse fuori tempo massimo.
La leggerò domani.
Buonanotte Sylvi
Richiamo all’impegno, al dovere, ai valori ideali e morali può suonare fastidioso.
Ma è un richiamo che rivolgo a tutti e in particolare a ciascuno di noi che rappresenta le istituzioni della Repubblica.
È da noi che deve venire il buon esempio.
Giorgio Napolitano,
24 settembre
x Pino
Caro Pino,
dopo aver sentito e visto i discorsi principali alle Nazioni Unite, la mia opinione e’ che poco o niente verra’ accompiuto.
Fiumi, oceani di parole inutili, gli US sopportano il 30% delle spese per mantenere l’edificio ed i suoi nulla facenti ed ho sentito ben poco di fattibile e ben poca sincerita’.
Sono sempre scettica di questi meetings, ognuno pensa ai suoi interessi, eccetto Obama che non fa altro che scusarsi di fronte alle altre nazioni.
Ho letto giornali del UK……i cittadini Americani si scusano per il comportamento del nostro Presidente.
Mah…………………
Buona notte,
Anita
Berlusconi bifronte: in Italia lo scudo,
all’estero condanna i paradisi fiscali, all’Onu
sul clima si comporta al contrario di come si comporta in Italia e in Europa.
Ha un comportamento ondivago e privo di concretezza politica, è inadeguato a fare politica.
Mentre all’Onu Berlusconi fa un discorso centrato sull’importanza dell’ambiente, Bruxelles svela la vera politica dell’esecutivo in fatto di clima: l’Europa ha infatti respinto al richiesta del governo italiano di rivedere i limiti delle emissioni di Co2.
Le quote non sono negoziabili – ha detto la portavoce della commissione Ue Barbara Hellfrich. Berlusconi, a quanto si apprende, aveva scritto una lettera a Barroso.
In Italia aiuta i riciclatori di danaro sporco, aiuta vistosamente gli evasori fiscali con lo scudo fiscale, all’estero si comporta in maniera diametralmente opposta, dice di voler combattere i paradisi fiscali.
Così ha scritto a Obama.
Si denotano chiari segni di “Schizofrenia” è una vergogna “Basta amnistie”
è un chiaro aiuto a terrorismo e riciclaggio, forse è un uomo sofferente.
Il ministro chiede 900mila euro di danni. Nella citazione il legale scrive: “Dopo la lettura degli articoli il ministro ha accusato perdite di peso ed emicrania”
La Carfagna querela Repubblica: “Ha riportato frasi ingiuriose della Guzzanti”
ROMA – Dopo Berlusconi la Carfagna. Anche il ministro delle Pari Opportunità ha deciso, a oltre un anno di distanza dai fatti, di citare in giudizio la Repubblica. Gli articoli oggetto dell’azione civile di risarcimento sono due, uno del 9 luglio del 2008, ovvero il resoconto del “No Cav Day”, compreso il comizio di Sabina Guzzanti, e un altro del 6 agosto scorso, che riassume quanto riportato dai giornali stranieri sull’inchiesta di Bari.
“L’autore dell’articolo del 9 luglio 2008 – scrive l’avvocato Federica Mondani – ritiene di dover riportare testualmente le frasi “osteria delle ministre… se a letto sei un portento figuriamoci in Parlamento”. “… Non può diventare ministro una che gli ha succhiato l’uccello”, riferendosi evidentemente al presidente del Consiglio”. Nel secondo articolo il legale della Carfagna contesta un’altra frase, che il giornalista riportava dal Nouvel Observateur: “Un ipotetico nastro… nel quale Mara Carfagna (amante quasi ufficiale) e Maria Stella Gelmini (le due sono definite bimbe) addirittura si interrogano reciprocamente per sapere come soddisfare al meglio il primo ministro, evocano le iniezioni che deve farsi prima di ogni rapporto”.
Secondo l’avvocato si tratta di “parole talmente offensive della reputazione e della dignità di un personaggio politico con incarico istituzionale”, che “non trovano precedenti nel nostro paese”. Il legale insiste innumerevoli volte sullo stesso tasto: “Le espressioni “succhiato l’uccello”, “amante quasi ufficiale”, “come soddisfare il primo ministro” e “evocano le iniezioni che deve farsi prima di ogni rapporto” hanno travalicato il limite della continenza”.
“Le locuzioni suggeriscono il riferimento all’attività, data per certa, di “concessione” del ministro”, mentre la fonte sarebbe rappresentata “da un lato dai contenuti blasfemi di un aspirante comico (nella fattispecie Sig. ra Sabina Guzzanti) e dall’altra dall’articolo di un giornale estero che richiama una presunta, mai esistita, “registrazione””. Quindi il legale si lancia in una “umile riflessione a sfondo giuridico”, ovvero “se l’argomento intercettazioni a sfondo sesso-volgare siano davvero di “interesse pubblico” o se piuttosto i quotidiani, anche per una crescente crisi del settore, rifondino speranze nel trarre beneficio quando i medesimi argomenti diventino di “interesse del pubblico””. Insomma, la stampa si occuperebbe di queste vicende solo per vendere più copie.
L’avvocato della Carfagna, nella lunga citazione, sottopone al tribunale anche il presunto “danno” arrecato al ministro. La “ricezione dell’insulto a livello popolare” avrebbe infatti implicato la possibilità “per l’On. Ministro di aver perduto connotati politici di stima e carisma oltreché la capacità di proselitismo”. La Carfagna denuncia “una notevole flessione negativa” nei sondaggi e pretende nei suoi confronti quel “diritto all’oblio di cui ciascun soggetto pubblico gode”. Poi, oltre al “danno morale”, l’avvocato elenca il presunto danno biologico: “In seguito alla lettura degli articoli imputati il Ministro Carfagna registrava anche sofferenze fisiche che portavano la stessa a perdere peso e a soffrire di insonnia e forti emicranie”.
C’è di più: “Il Ministro si è trovato nella condizione di dover evitare interviste al fine di non dare ulteriore eco alle false notizie”. E, per questo, la Carfagna chiede in totale ai giornalisti e all’editore di Repubblica 900 mila euro. Nulla invece, a quanto risulta, chiede al Foglio di Giuliano Ferrara, che pubblicò insieme le stesse invettive di Sabina Guzzanti.
Lo fanno tutte, perchè mai la cara Carfagna dal bel culo si offende e querela chi dice che lei lo ha succhiato al Berlusca?
Maria Stalla Gel Mona
….quello di Berlusca fa schifo? E che solo la sua signaaaara può avere il fegato di succhiarlo?
Eh, i misteri della fede……
Uccelly a Maryssymy
Caro Pino,
complimenti per l’articolo,i soprusi vanno sempre denunciati anche se poi sara’ difficile “ottenere giustizia”.
E’ la prima volta che un presidente americano parla chiaro contro i soprusi di Israele verso i palastenisi e la sua potenza atomica incontrollata.
“Speriamo che qualche pazzo fanatico non lo faccia saltare in aria”,…come dici tu e il mondo civile e’ d’accordo con te.
Obama e’ un “visionario intelligente” e questo da fastidio alla finanza sporca,…quella dei bonus di liquidazione a banca fallita.
C’e’ gia’ un grande tam-tam sul superamento della crisi,…tutto e’ tornato normale,…i governi hanno messo i soldi e le banche hanno ripianato i loro debiti,…piu’ facle di cosi….
Resta solo il fatto che i disoccupati mondiali aumentano a vista d’ occhio,…le madri ammazzano i propri figli per la disperazione di non poterli sfamare e una banda di farabutti,…”quelli veri che sono al governo”,…querela la poca stampa seria rimasta,…per
diffamazione.
Mi piacerebbe fare un viaggio con te in palestina,….e’ riservato solo ai giornalist?
Un caro saluto,Ber
Come si permette la bella dal popò d’oro di ritenersi offesa se qualcuno dice che l’ha succhiato al nostro amatissimo capo del governo? Oh, un primo ministro ammirato, amato e invidiato e magari pure un po’ condizioNato dagli Usa, da Israele, da Putin e da Gheddafi. Succhiargli l’uccello è un grande onore, altro che balle, tant’è vero che glielo succhiano un po’ tutti i berluscones, anche quelli nel Blablablamento, che una volta era il Parlamento.
Inoltre la bella dal popò d’oro vorrebbe insinuare che quando glielo succhia la moglie, l’in-3-pida Veronica, compie una cosa abominevole?
E allora questa Carfagna dal popò che è una cuccagna la devono querelare entrambi i bravi coniugi Silvio&Veronica. Anzi, pure i loro belli figli.
Maria Stalla Gel Mona
Da Repubblica oggi
“Abrogate le disposizioni annunciate dal ministro Brunetta come la rivoluzione della P.A.
I sindacati: “Erano anticostituzionali. Mentre i veri problemi non sono mai stati affrontati”
‘Sparite’ le norme antifannulloni
“Tanto rumore per nulla…””
:::::::::::::::::::::::::::::::::::
Il nuovo che avanza è un tsunami impetuoso ed instancabile(tranne alcune pause ninnanannate).
Di colpo,come ho gia detto,ha eliminato i fannulloni sostituendoli con PERDITEMPO e con quanto valore aggiunto!
Onore e merito all’intrepido ,in attesa del meritato Nobel(adesso lo consegnano a Milan?).
Io non aspiro a tanto ma (per dire)quando preparo un semplice viaggio in macchina controllo almeno la pressione delle gomme e METTO LA BENZINA NEL SERBATOIO altrimenti ,anche se corro il rischio “fannullato” ,sto fermo senza far rumore
L.
18 anni di carcere x aver passato la notte agguardare farfalle nel lettone di putin… Questa la pena che darebbero alla Daddario se Sirvio la denunciasse… Attente signore e signorine.. il cazzo dellimperatore nano… vva maneggiato con cura da infermiera come quella che cche da infermiera è corsa in Emergenza… ha dovuto farsi riparare il culetto… e dallospedale telefona alla mamma… Hai capito mamma mi ha sfondato il culetto… Bene, rispose la mamma adesso ce lhai x le palle… Il resto è storia-
Faust
Il tappo più amato d’Italia…ha fatto Flop…!!
ROMA – Doveva essere la ‘rivoluzione’ del Pubblico Impiego. Ma, come sempre, alla rivoluzione è seguita la restaurazione. E così è stata silenziosamente abrogata con un decreto legge pubblicato l’1 luglio (poi diventato la legge n.102/2009) la normativa ‘antifannulloni’ varata l’anno scorso dal ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta, che prevedeva disposizioni penalizzanti per gli impiegati pubblici, tra le quali indennità di malattia ridotta, e fascia di reperibilità per i dipendenti in malattia estesa praticamente a tutta la giornata (con un’unica ‘ora d’aria’ dalle 13 alle 14).
Questa deve essere l’eccezione che conferma la regola sull’intelligenza a compenso nei “tappi”…..
Una Waterloo,dopo l’altra…dopo tanto parlare a vanvera..
Che Dio ci assista..!!
cc
Sei così bella questa sera
così assurdamente felice
che dovrei osare ora, subito
farti scivolare giù la camicia
larga e bianca attraverso
cui intravedo il tuo seno
e prenderti qui nel giardino,
prenderti sino al primo mattino.
Invece ci siamo appena baciati
e adesso già fuggiamo via
dicendoci solo: ci rivedremo.
Ma quando? Dove? Chi ci assicura
che tanta brama domani dura?
x Faust e x gli altri “incarfagniti”
Evitate per cortesia di farmi prendere querele a causa di espressioni troppo dirette e non dimostrabili. Capisco che il sedere della Carfagna è tentatore e che la sua querela contro Repubblica è roba da Paese delle banane, intese non necessariamente come frutta, ma preferirei vi leggeste l’argomento di questa puntata e che i commenti vertessero in maggioranza su quanto c’è scritto.
Abbacchi e cavalladdondoli
pino
Ricordo la veglia dell’esito per le elezioni USA,la vittoria di Obama,tutte le speranze riposte su una politica che ,anche con 10 anni di ritardo, sia quella coerente con il terzo millennio.
Qualcosa si muove .
Uno spiraglio internazionale,a parte alcuni irriducibili sdentati e ciechi per i quali è OBBLIGATORIO UN ALTOLÀ,si sta aprendo e si sta diffondendo la consapevolezza di un cambio concreto,il blablabla del passato non ha condotto a nulla,mi sbaglio
ha condotto ad altre tragedie annunciate INUTILI e SANGUINOSE come le precedenti.
Speriamo che tutte queste vittime,queste morti ,abbiano lasciato un insegnamento;si sa che la speranza è l’ultima a morire (almeno lei),adesso è molto importante che rinasca e cresca in buona salute!
L.
http://www.giornalettismo.com/archives/7124/carfagna-berlusconi/
La calunnia è un venticello (via etere)
pubblicato il 10 ottobre 2008 alle 09:32
Ora ne siamo certi: la faccenda dei pompini della signora Mara Carfagna al cavalier Silvio Berlusconi è una balla! E’ perciò una balla anche che Sua Emittenza l’abbia fatta ministra per sdebitarsi delle pompe magne ricevute. A Berlusconi infatti – è noto anche alla sua signora – non piacciono le donne che sudano alle ascelle: lui è un igienista e di narici delicate, ancorché aduse agli afrori della sua stalla ad Arcore, quella tenuta a bada dalla buonanima di Mangano. Era forse mafioso Mangano? Noooooooo! E allora… perché calunniare la Carfagna? Che alle ascelle suda, eccome, ci sono le prove. Basta guardare infatti le foto della sua storica comparsa a Matrix.
Visto? Suda, suda, alle ascelle suda, eccome se suda. Come una puledrina di Arcore. Make up da pin up, visino compunto e occhio ingenuo ma vispo, molto attento, sgranato bene ma puntuto, tipo donna virtuosa ma sgamata, della serie “Oibbò, siùr Mentana, ma cosa mi dice mai!”. Camiciuola vezzosa, setosa, accollata da donna pudica e morigerata, ma con implacabili macchie ascellari stile camionista o signora stressata. Stressata? E de che?
Insomma, mica come la Lewinsky, che non sudava di ascelle neppure a mascelle sfinite, motivo per cui poteva fare i ser-vizi orali accucciata sotto la scrivania di Bill Clinton, mentre lui telefonava ai potenti della Terra e alla Cia: “Pronto? Avete trovato Bin Laden? Ahhh, beneeee, beneeee, benissimoooooohhh…. Ehhh, come diteeee? Ahhhh, ohhh, sìììììì, Bin Laden, sì, sì, sì, ancoraaa, ancoraaa, ancoraaaa…. Vengooooo!”. E te credo che quelli a Bin Laden il missile nel culo non gliel’hanno sparato: alla Cia stanno ancora lì, ad aspettare che Bill venga a Langley…
Scherzi a parte, come si usa dire a Canale 5, assodato che i pompini a Berlusconi sono una volgare calunnia, suggeriamo alla ministra delle Pari Opportunità di dare ascolto, lei donna timorata, alle parole del papa: “Il danaro è niente, Dio è tutto”. Rinunci perciò a pretendere il milione di euro, pari a due miliardi di vecchie e sudaticce lire, perché tanto il danaro è niente. Che se ne fa la Carfagna di niente? Non se ne fa niente, è ovvio. Perciò non ci pensi più a quel niente chiamato milione di euro. Amen.
Piuttosto dia, lei ministra delle Pari Opportunità, una opportunità pari anche alla Guzzanti di dire la sua in tv da Mentana. E di evitare di finire sul lastrico povera in canna per racimolare un po’ di quel niente che dovrebbe risarcirla. Preferisce che glielo chiediamo con una bella petizione popolare con tanto di firme raccolte ovunque, o meglio, nel nostro caso, un po’ dove capita? Basta che ce lo dica, e la accontentiamo subito.
Abbiamo pronto il modulo da far sottoscrivere: “Certi che la signora Carfagna Mara non ha fatto pompini a Berlusconi Silvio, i sottoscritti le chiedono di ascoltare le parole del papa e di ritirare quindi la richiesta di risarcimento avanzata nei confronti di Guzzanti Sabina”.
Al largo della Calabria oltre a non rispettare i “tetti” Europei non si sono rispettati i fondali Italiani,insomma di casa nostra.
Da Repubblica oggi:
“Sostanze tossiche e resti umani: a una svolta l’inchiesta sul relitto del “Cunski”. E spunta la mappa delle altre imbarcazioni cariche di scorie
Le 30 navi che avvelenano il mar Mediterraneo
di PAOLO GRISERI e FRANCESCO VIVIANO”
Ma non fa niente ALLEGRIA!
Il Mediterrano era già in coma adesso bisogna pensare al funerale!
L.
Honduras nel dibattito generale delle Nazioni Unite
Con lo sguardo agli avvenimenti dell’Honduras, l’Assemblea delle Nazioni Unite sta sviluppando il suo dibattito generale annuale, con una maratona di quasi una settimana di discorsi sui più incisivi problemi internazionali.
La situazione in Honduras ha suscitato una forte dinamica, dovuta al ritorno del presidente costituzionale del paese, Manuel Zelaya, espulso dal potere e inviato a forza all’estero, lo scorso 28 giugno.
L’Assemblea della ONU, dopo quell’azione, aveva approvato una risoluzione di condanna per il colpo di Stato, esigendo la restituzione del potere al legittimo presidente e al suo governo.
Ora la crisi ha assunto nuove dimensioni con forti connotazioni internazionali, dato che Zelaya è ospite dell’ambasciata del Brasile, nella capitale Tegucigalpa e le forze militari, con la polizia assediano e minacciano la sede diplomatica.
Il problema è presente anche nei corridoi dell’ ONU, e si sono sentite severe dichiarazioni dei presidenti Cristina Fernández ed Evo Morales, di Argentina e Bolivia, rispettivamente, e del ministro degli esteri cubano, Bruno Rodríguez, contro i golpisti honduregni.
Nella sede dell’ONU sono in atto i lavori dell’Assemblea e sono state già emesse dichiarazioni a favore del ritorno di Zelaya alla presidenza e per pretendere che si rispetti la vita del presidente liberamente eletto dal popolo dell’Honduras.
È presente anche , Patricia Rodas, ministra degli Esteri di Zelaya, che ha chiesto ai igoverni degli altri paesi di rimandare i loro ambasciatori a Tegucigalpa, dato che tutti sono stati ritirati per protestare contro il colpo di Stato.
Sono già intervenuti i governanti di Brasile, Stati Uniti, Libia, Uruguay, Cile, Argentina, Colombia, El Salvador, Repubblica Dominicana e Nicaragua.
Per la Lupa Feroce, il ritorno
di Zelaya è “minaccioso”
Mentre il suo “capo” cerca disperatamente d’indovinare come uscirà dalla nuova situazione creata in Honduras, con il ritorno del presidente legittimo, Manuel Zelaya, il regime di Micheletti può contare sulla politicante Ileana Ros-Lehtinen, divenuta la portavoce della destra più reazionaria del Congresso nordamericano.
Nata a L’Avana e reincarnata in una gringa di puro ceppo imperiale, la rappresentante del 18º Distretto della Florida, ha conservato il suo scanno a forza di demagogia anticastrista, pretendo d’ essere protettrice dei diritti umani,
In maniera paradossale, mentre predica per Cuba questa stessa democrazia corrotta che le assicura introiti milionari per la sua rielezione, la prima donna repubblicana ha garantito alla dittatura dell’Honduras alcuni dei pochi appoggi tra i tanti di cui lei dispone nel pianeta.
La detta Lupa Feroce, spaventata dal ritorno del presidente nella sua capitale, ha detto: “Manuel Zelaya ha dimostrato ancora una volta un ovvio disprezzo per la legge e per il benessere del popolo honduregno, questa volta penetrando illegalmente nel paese e creando una situazione potenzialmente volatile”.
In un comunicato stampa diffuso con la tribuna della stampa del Congresso, la Ros-Lehtinen afferma che: “Questa minacciosa manovra darà al presidente posticcio Micheletti l’opportunità di rispondermi sulle illegalità di Zelaya”, riporta la BBC.
Dirigendosi alla OEA, la Ros- Lethinen ha reiterato che Manuel Zelaya deve rispondere delle sue azioni che minacciano la pace e la sicurezza regionali ed erodono la democrazia costituzionale.
Nella sua febbre reazionaria la furibonda Lupa Feroce ha chiesto inutilmente alla Camera dei Rappresentanti una risoluzione d’appoggio al detto processo elettorale di novembre, organizzato dalla giunta golpista in Honduras.
Il primo settembre la vice ministra degli Esteri golpista, Marta Lorena Alvarado, ha incontrato Ileana Ros-Lehtinen ed il suo socio Lincoln Díaz Balart, un altro “anticastrista” di carriera, che considerano il governo fascista e golpista “democratico e legittimo”.
OSSERVATORI FASCISTI VINCOLATI ALLA CIA
Nella stessa logica della destra reazionaria che la Ros-Lehtinen difende le elezioni che la giunta golpista vuole realizzare in novembre sostenendo che disporranno di osservatori e invitati come quelli del gruppo neonazista UnoAmérica e della “Rete Latinoamericana e dei Caraibi per la Libertà”, un’appendice della Fondazione Libertà, finanziata dalla NED e del Faes di José María Aznar, dice la stampa pro-golpisti dell’Honduras.
I magistrati del Tribunale Supremo Elettorale – TSE – hanno annunciato che hanno ricevuto l’offerta ufficiale di partecipazione come osservatori di questi gruppi, la cui affiliazione con la CIA e con la destra latinoamericana più recalcitrante sono ben documentate.
Negli ultimi mesi, UnoAmérica (Unione delle Organizzazioni Democratiche d’ America) ha realizzato campagne di propaganda contro Venezuela, Bolivia, Cuba, Ecuador, Paraguay e Nicaragua.
UnoAmerica è diretta dal venezuelano Alejandro Peña Esclusa, un oppositore golpista nemico di Hugo Chávez.
A leggere tutto proprio non ce la faccio.
Continuare sui commenti garfagnini,
alla mia età, ancorché facilitato, tutto quel sesso stanca.
Mica sono papiiiiii!!!
Ci riprovo questa sera/notte, … a leggere s’intende.
Antonio – – – antonio.zaimbri@tiscali.it
Scusate la mia ignoranza, ma Zelaya non e’ stato rimosso perche’ voleva cambiare la Costituzione Hondurena?
Cioe’ il limite del termine presidenziale.
L’Honduras ha una solo limite di 4 anni e solo per un termine.
Micheletti e’ temporaneo e come tale non potrebbe neanche candidarsi nelle prossime elezioni.
Qualche giorno fa’ ho sentito Micheletti in una intervista, parla in inglese abbastanza bene, molto capibile ed ha spiegato come funziona la loro costituzione.
Chavez poi ha detto al UN che vorrebbe che Obama fosse Presidente a vita.
Un epidemia di termini a vita?
Non ci bastano i nostri senatori e giudici a vita?
Per questi ci dovrebbe essere almeno un limite di eta’ o di competenza.
Anita
PS:
Sono confusa, Chavez ha anche detto che Obama e’ suo fratello, suo figlio, ma che ci sono DUE Obama, si e’ chiesto: Qual’e’ il vero Obama?
Dipende da quello che vuole adottare….non sembra un po’ incoerente?
Anita
Mamma mia che deserto.
Dopo che i cacciucchiari si sono messi in viaggio, il forum e’ morto.
_______________________________________________
x Peter,
Dove ti sei cacciato?
Buonanotte,
Anita
I condoni fiscali non sono mai una buona idea.
Ma questo vostro provvedimento somiglia sempre più ad un amnistia.
I capitali esportati clandestinamente sono nella grande maggioranza dei casi frutto di operazioni fraudolente.
Jean-Paul Fitoussi,
23 settembre
Bisogna rispettare i richiami del Presidente Napolitano, io capisco le sue angustie, le sue paure, ma la situazione nel nostro Paese abbisogna di un’attenzione particolare da chi ha scambiato questa nostra Repubblica nata dalla Resistenza con un qualcosa di sua proprietà, per il sol fatto di aver vinto l’ultima tornata elettorale.
Cos’ì non dev’essere, no, e cioè: abbiamo un capo di governo che ne combina di tutti i colori, ha un conflitto d’interessi enorme, una maggioranza che dall’alto della sua forza minaccia la libertà d’espressione in ogni dove, Berlusconi minaccia anche in sedi dove lui dovrebbe tenere un profilo degno di un capo di governo che si rispetti, invece no, sbrodola offese, ingiuria tutto e tutti; la Magistratura, l’opposizione, i giornalisti che non hanno piegato il capo, tenta di chiudere trasmissioni di denuncia, insomma abbiamo un Premier e un governo che minaccia i principi più elementari della democrazia italiana.
Le vicende della politica interna dell’Italia, inoltre, sono da tempo sotto l’occhio attento e vigile della grande stampa internazionale, che vede il nostro Paese come un’anomalia, un pericolo per l’intera Europa.
Capisco il richiamo di Napolitano, lo rispetto, però non l’approvo, quindi, ma l’Ue, con questo governo, che non poche volte ha polemizzato con la stessa Ue, rischia di diventare sempre più luogo di cassa di risonanza della stolta politica italiana, dei madornali errori comportamentali del nostro Premier.
… siamooo quiii!!
stiamo sparlando di quelli cche non ci sono… questo è il primo post dove scriviamo in piu persone…
un saluto uroburo…
pino, in attesa del caciucco e anche d’altro.
Salutoni
A Z Cecina li <i<— antonio.zaimbri@tiscali.it
tanti saluti
cccp
X Striscia Rossa
Dopo essermi chiesto ,per molto tempo ,cosa vogliano dire le libertà del P.d.l.(partito delle libertà,al plurale)per es:
Libertà personali,compresa quella di decisioni molto ma molto personali?
Libera chiesa in libero Stato?
Libertà di stampa ed informazione più in generale?
Libertà di pensiero senza essere messi alla gogna mediatica?
Libertà nelle e delle Istituzioni Costituzionali?
(cito quelle che mi vengono in mente ora)ecc.,ecc.
con molta pena non trovo che siano il riferimento ma la negazione.
In questi giorni ho trovato finalmente la ragione del termine libertà “caposaldo Pdl”:
Libertà di portare liberamente all’estero i capitali clandestinamente(che controsenso,o no!) per poi riportarli liberamente e tranquillamente “in loco” senza problemi anzi con ringraziamento ufficiale!
Eh queste libertà…………………
Saluti
L.
x i caciuccari
sparlate…sparlate…qualcosa resterà!!
Io ho finito di preparare la mostarda!
Uroburo, mi pare, ma vedremo, che le gocce di senape, (il massimo da lei indicato) siano “insufficienti”.
Comunque io ho preparato per la “famiglia allargata” gnocchi di zucca e patate, conditi burro, salvia, spek, e ricotta affumicata stagionata.
Tié!!!
…certo però…che per una mangiatrice di pesce …l’invidia è tanta!
Ps: parlando a mio marito gli ho detto : i piemontesi e i lumbard sono a Livorno a mangiare il caciucco…
Risposta: ma sono là per qualche scissione????!!!
Buona conversazione nella digestione.
Sylvi
x Faust e x il gruppo del cacciucco
Sapevo che parlavate di me, mi fischiavano le orecchie……
Tanti saluti, buon appetito e buona visita in buona compagnia.
Anita
x Sylvi
Abbiamo scritto al medesimo minuto……..
Solo che qui sono le 8:10 AM
Ciao, Anita
X TUTTI CACIUCCARI(se trovano il tempo di leggere presi dall’attività frenetica di onorare il caciucco)
Anche da lontano giungono gli effluvi caciuccheschi ;che effluvi!.
Quelli che oltre gli effluvi possono apprezzare anche la sostanza sono sempre i più fortunati appartenti alla “tribù dei piedi sotto la tavola,questa volta,caciucchesca.Per le prossime si vedrà.
Buon APPETITO,o BUONA DIGESTIONE!
Saluti e sempre alla salute(come buona regola il pesce di origine deve ritornare alle origini liquide,le più nobili sono quelle del succo d’uva debitamente fermentato !)
L.
L.
X Sylvi,in attesa di riprendere il discorso scolastico.
X Ber
Una ricetta che non è quella del caciucco ma una valida alternativa(se riesce come quella de Zi Bass,Termoli che conosco meglio)
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‘U BREDETTE (la zuppa di pesce)
Ingredienti: per 4 persone:
1,5 kg di pesce assortito freschissimo (gallinella o scorfano, coda di rospo, trigliette, calamaretti, code di gamberetti, cozze e vongole), 1 peperone verde, ½ peperone giallo, 1 cipolla, 1 spicchio di aglio, 1 mazzetto di prezzemolo, 300 g di pomodori maturi e sodi, 4 cucchiai di olio extravergine di oliva, 1 punta di peperoncino, sale, pepe.
Pulite accuratamente tutti i pesci, lavateli e tagliateli a pezzetti. Pulite cozze e vongole, mettetele in una padella sul fuoco con un cucchiaio di olio, un poco di prezzemolo e fatele aprire, scuotendo di tanto in tanto la padella; scolatele ed eliminate quelle rimaste chiuse. Filtrate il liquido di cottura e tenetelo da parte; staccate i molluschi ed eliminate i gusci. Pulite i peperoni, lavateli e tagliateli a striscioline. Fate scottare i pomodori, privateli dei semi e tritateli grossolanamente. In un tegame con l’olio rimasto fate appassire la cipolla sbucciata e tritata, i peperoni, il prezzemolo e l’aglio; aggiungete i pomodori, il peperoncino, sale e pepe e fateli cuocere, a fuoco vivace, per 5 minuti. Aggiungete il pesce iniziando dalla coda di rospo, quindi la gallinella, i calamaretti, le code di gamberetti e le trigliette. Fate cuocere, a fuoco dolcissimo, per 15 minuti circa; a metà cottura aggiungete l’acqua di cottura delle cozze e vongole e a fine cottura aggiungete le cozze e le vongole”
Alla fine la messa(in opera) è sempre premiata e ve ne renderete conto
Saluti ed anche per noi ,non caciuccari,alla salute!
L.
cara Anita,
l’ho notato anch’io!
Ieri ho cominciato a fare “la nonna”.
Mio figlio ha parecchio da fare fuori casa e mia nuora ha bisogno di un po’ di riposo, per l’allattamento.
I primi arrivati squinternano la famiglia, ma in complesso il piccolo è abbastanza buono.
Spalanca gli occhi di colore ancora indefinibile, curioso.
Sentire, ci sente!
Gli faccio ascoltare le vecchie canzoni di Sergio Endrigo e Bruno Lauzi, che per i piccoli hanno scritto pagine di grande poesia.
Buona mattinata a te.
ciao Sylvi
x Linosse
Dimenticato di dire che il tutto è buono “riposato” il giorno dopo!
Proverò però questa variante che oltrettutto non prevede nè vino nè aceto come usa nell’alto Adriatico.
Suppongo che U Brudette sia di qualche zona campana.
Di quale zona?
mandi mandi Sylvi
X Sylvi
Termoli,Molise
L.
Per Linosse n. 27.
Interessante, lo Statuto del partito del “Popolo della Libertà”.
Un’esempio da manuale di regressione (o scomparsa) della Democrazia in un paese europeo, occidentale, economicamente sviluppato e che le sue esperienze monarchiche, dittatoriali o oligarchiche sembrava averle già superate.
L’Italia è una monarchia plutocratica fondata sulle leggi ad personam, tale personam governa a reti unificate il popolo- pubblico che lo applaude in una sala ovale detta parlamento.
Linosse la parola libertà e sfregiata e vilipesa dal malvagio imperatore che oggi s’è prostrato davanti al pope nazista.
x Linosse
Grazie. Anche un po’ di nanna non guasta. A sapere che faceva così caldo mi sarei portato il costume da bagno e un asciugamano per starmene un po’ a mollo in mare.
Caciucco ottimo, con ottimi vini e anfitrione venuto gentilmente apposta per noi per servirci le cose ottime preparate per noi nel suo ristorante che non poteva accoglierci perché chiuso il sabato.
Abbiamo sentito la mancanza di tutti i blogghisti più assidui, compreso Rodolfo che da qualche giorno non si fa vivo.
Buon fine settimana.
pino
x Linosse,
e’ il classico brodetto,anche detto zuppa di pesce qui in Abruzzo.
Quando sono venuti CC e Uro a trovarmi io avevo ordinato sia il
classico brodetto che il pranzo classico della mia famiglia:
Tutti gli antipapasti,
fettuccine ,gnocchetti alle vongole,….tra i primi,
spiedini di pesce e grigliata per i secondi,…
il tutto annaffiatto con un ottimo locale,…se ricordo bene era un
zaccagnini,… (niente a che vedere con quello di brescia).
Per Faust non ricordo se fu ordinato il brodetto o solo il pranzo classico…..
Un saluto,Ber
X Ber
Ciao Ber,certo u bredette è un patrimonio culturale del precedente Abruzzo e Molise.Mi hai fatto ricordare, quando scendevamo con la gloriosa 500 nel “profondo” Sud dal “superficiale “Nord”, la sosta di obbligo a Casalbordino in un ristorantino vicinissimo al casello autostr.
Anche li era OTTIMA.
Un saluto
x Ber
Caro Ber,
i nostri migliori cuochi vengono dagli Abruzzo e Molise.
Sfortunatamente la vecchia guardia sta invecchiando e la progenie sta abbandonando le tradizioni.
I cuochi del nostro business erano Abruzzesi, erano i supervisori, in cucina avevamo tutti cuochi ed aiutanti dalle Azzorre.
Per Natale andavamo a casa del cuoco principale, Lorenzo, non posso neanche descrivere la varieta’ dei piatti e…..l’abbondanza.
La moglie e la mamma passavano settimane a cucinare, tra biscotti e pasticcerie varie.
Ho letto ricette per il Ciopino e per il Cacciucco, in inglese……..
Mi fa ridere che scrivono che sono piatti a buon prezzo, non certo dalle mie parti.
Per fare un buon Ciopino ci vuole un patrimonio, tra pesci, vongole, scampi, etc….e’ piu’ conveniente andare al ristorante.
Tra’ l’altro non si trovano i pesci descritti, non nei supermarkets, i pesci sono sempre a filetti o di taglia grossa.
Io preferisco cose semplici, pesce alla griglia con un po’ di limone.
Anita
Ber e Linosse
parlando di Abruzzo e Molise mi hanno fatto ricordare un viaggio al Sud, in Puglia.
Sposi senza ancora impegni, eravamo andati all’avventura, con tenda al seguito.
Al ritorno di un lungo giro per le Puglie, che cominciavano allora ad organizzarsi coi campeggi, frequentati quasi esclusivamente da tedeschi,arrivammo, a sera nel Molise.
Io insistevo per fermarci a campeggio libero nella prima radura adatta, mio marito, più convenzionale, insisteva per un campeggio organizzato a Isernia o poco più su in Abruzzo.
La spuntai io, perchè trovammo uno spiazzo oltre una ferrovia che pareva ottimo.
Canadese, picchetti ecc. ecc., coltello da sub a portata di mano.
Suoni del bosco, fruiscii, canti d’uccelli…ci addormentammo comme pupi!
Ad un tratto, in un tempo che ci parve brevissimo,sentimmo latrati di cani, voci alte di uomini…
Saltammo sul sacco a pelo, mio marito prese il coltello e guardammo fuori…
Alla luce delle pile nostre e loro vedemmo degli uomini che ci parvero briganti, con cani che abbaiavano forsennatamente , trattenuti dai loro padroni.
Ci parve che parlassero napoletano; ci rivolsero più volte la parola senza che noi capissimo un accidente!
Non parevano però avere cattive intenzioni.
Ma chi si fidava!!!
Noi afferrammo tenda pichetti e sacchi, li infilammo nel portabagagli e ce la demmo a gambe levate, mentre mio marito mi si rivolgeva, avevo voluto io il campeggio libero, con termini a cui non ero abituata!!!
Erano le tre del mattino e ci dirigemmo al campeggio d’Isernia,nuovo, coi servizi, ma assolutamente deserto.
Ripiantammo picchetti e tenda e ci disponemmo a dormire, finalmente!
Non eravamo nemmeno arrivati al primo sonno che…pum, pam,
spari di fucili , cani scatenati, voci alte…
Era l’alba!
Ancora la tenda appallottolata, i picchetti raccattati e via…
La notte dopo abbiamo dormito a Recanati in albergo!
Ci hanno poi spiegato che era l’alba di apertura della caccia.
Fine delle nostre esperienze in tenda!!!
Però i paesaggi erano bellissimi!
Sylvi
Le orecchie fischieranno un po’ a tutti gli abitué del blog ma dovrebbero essere fischi di flauto non di sirene, mi dispiace che non siate tutti qui con noi.
Il cacciucco è andato ma non è finita li. Domani, grazie all’intraprendenza di Faust, ancora pesce fresco appena pescato, in una vera baracca di pescatori che cucineranno per noi.
Antonio – – – antonio.zaimbri@tiscali.it
X Sylvi
I cacciatori a tempo pieno che cacciano….anche i villeggianti in tenda;è il massimo.
Mi sono ricordato di un’altro Massimo,anche lui cacciatore al massimo che quando ritornava con il carniere pieno guardava sconsolato gli animali ridotti allo stato cadaverico e ci diceva che avrebbe voluto che ritornassero a volare nei cieli,da vivi!
Mi fa ricordare certi discorsi di certi politici di certi partiti su certe guerre(o paci?,mah)
Saluti
L.
x Sylvi
I campeggi non sono mai stati per me.
Anche se ne avessimo avuto il tempo.
I miei figli amavano il campeggio a modo loro, con amici piantavano un paio di tende sulla nostra proprieta’, dopo che gli amici si erano addormentati, li trovavo beati nei loro letti, in casa.
Il maggiore andava al campeggio con i Boy scouts, al ritorno non sentivo altro che lamentele ed un mucchio di roba da lavare, bauli da disinfettare e mettere al sole per la muffa e la puzzetta…….
Il minore ci ando’ per un anno ma lo andai a prelevare dopo pochi giorni…………
Anita
cara Anita,
quello che si raggiunge con la tenda non si raggiunge andando in albergo.
Hai ragione, scomodo, ma molto interessante!
Ne sanno molto i tedeschi, campeggiatori impenitenti, anche se ora girano con il Camper e la Smart appollaiata sopra!
Mio figlio ha girato Italia e Europa con gli Scout, ma ricordo di essere andata una volta in montagna a prenderli dopo un campo (erano quattro)!
Durante il viaggio tenevo tutti i finestrini della macchina spalancati, io guidavo in apnea, ho preteso che si spogliasse nudo in garage, prima di farsi la doccia!!!
Ma mio nonno diceva: ciò che non ammazza, educa!
Gli è servito fare lo scout!
Sylvi
x Sylvi
Si’, nei Boy Scouts imparano parecchio.
Mio figlio si credeva di essere diventato medico perche’ insegnano il pronto soccorso, che fieramente uso’ su una mia vicina di allora.
Gli applico’ un tourniquet alla gamba fino a che arrivo’ l’ambulanza. (un po’ con la mia assistenza)
Tra’ i suoi badge d’onore aveva anche quello di aver scavata la migliore latrina….
Ho alberi nel mio giardino piantati da lui, erano fuscelli, adesso sono enormi.
Un abbraccio,
Anita
e mi sun cchi che camini avantindre in sul marcape e me fan mal i pe…Nina!!
Faust
scusa Faust,
ma io ed Anita parlavamo di boy scouts;
e quei bravi ragazzi non fanno su e giù pel marciapiè , come certi diavolacci pieni di caciucco e di chi sa quali “beveroni” toscani fermentati in botti!!!
Aspetto l’elenco dei pesci che formavano il caciucco!
Mandi biel!
Sylvi
Veramente bello ed interessante l’articolo che non ho ancora terminato di leggere perché mi sono addentrato, perdendomi, nella giungla dei linck anche quelli molto interessanti.
X Sylvi – una quasi ricetta per il Cacciucco,
( Cacciucco non caciucco come qualcuno scrive, con 5 c, è l’unica parola che i livornesi pronunciano con la prima c ben marcata mentre solitamente se le mangiano, classico al bar ordinare ”una ‘o’a ‘ola ‘o la ‘annuccia” per “una coca cola con la cannuccia”
Componenti :
Parti visivamente distinguibili: Gamberi, cozze, polpo, seppia e tranci di palombo, cappone, nasello, cotti, con tempi differenziati, più o meno “in umido” con aglio salvia e vino rosso. Parti indistinte: con cipolla, carota, sedano, prezzemolo, scorfani, gallinelle, bocacce, sparlotti, tordi, ed altri dei così detti pesci da minestra secondo la disponibilità del mercato ed in proporzioni variabili, tutto passato al tritatutto a formare un brodo denso da aggiungere agli altri componenti a cottura quasi ultimata. La variabilità dei componenti è il grande pregio del cacciucco un piatto che è sempre uguale ma sempre diverso. S completa con pane scuro abbrustolito e sfregato con aglio e/o peperoncino.
Antonio – – – antonio.zaimbri@tiscali.it
ehh, caro AZ,
devo andare sull’enciclopedia che indica tutti i nomi dei pesci nelle varie regioni d’Italia.
Lo sparlotto credo sia un sarago…
gallinella … della famiglia degli spari…
boccaccia e il tordo …ci sono sconosciuti!…
Mi meraviglia molto che mettiate lo scorfano fra le parti indistinte;
è carne molto soda e buona e quassù insieme alla tracina, agli scampi sono alla base di qualsiasi zuppa, con i calamari e le seppie naturalmente.
Comunque grazie e oggi buon bis!
ps. un vecchio piatto delle isole dalmate è lo “scorfano in peca”.
Adagiano lo scorfano in un alto strato di patate, quelle loro rosse e asciutte, dentro una “peca” di ferro con coperto stagno.
Innaffiano con poco vino ed erbe di macchia.
Il tutto cuoce lentamente sotto uno strato di braci rinnovate continuamente.
La vera morte dello scorfano, da leccarsi i diti, direbbe la Gelmini!
buonadomenica
Sylvi