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E Renzi ha fatto plof

La notizia è che Matteo Renzi ha perso e perso male. Però ha dalla sua il merito di avere suscitato l’interesse alla politica di una buona fetta dei giovani che di tutto si interessano fuorché di politica. Speriamo solo che non restino talmente delusi da questa sconfitta da ripiombare nel loro ghetto giovanile avulso da partiti, elezioni, politica, istituzioni, parlamento, ecc. Sarebbe un danno grave, molto grave. Che si aggiunge a danni già notevoli che i giovani subiscono con il degrado della scuola, dell’Università, dell’educazione civica e personale provocata da decenni di blablablà e scosciamenti televisivi oltre che di iperboli modaiole, e infine  dalla grande difficoltà a trovare un lavoro degno di questo nome e di una vita tutta da vivere.

In tv, e non solo nel confronto con Pierluigi Bersani, Renzi è parso un po’ troppo enfatico, troppo verboso, pronto più alla battuta a effetto che all’esposizione di programmi e strategie per risolvere i problemi dell’Italia. In politica estera la sua tirata contro l’Iran, che pareva quasi l’anticamera di una dichiarazione di guerra se fosse diventato premier, è apparsa di una rozzezza sorprendente come pure il molto riduttivo accenno a Gaza. In  vista del ballottaggio Renzi è diventato anche un po’ troppo polemico, lamentoso, in affanno, con quel suo  innescare il vicolo cieco del sospetto su trucchi vari per impedire ai suoi supposti fans il voto al ballottaggio: il tipico comportamento di chi sente sul collo il fiato della sconfitta e comincia perciò a straparlare di complotti. Non ho capito perché al ballottaggio non poteva partecipare chi non aveva votato al primo turno, e non l’ho capito anche perché nei Paesi dove vige il ballottaggio – Italia compresa per sindaci, presidenti di provincie,  senato e corte costituzionale – vota chiunque voglia di votare anche se non lo ha fatto al primo turno. Continua a leggere

La nostra solidarietà a Berlusconi colpito in faccia da uno squilibrato. Ciò non toglie però che deve smetterla di mentire e che deve dimettersi. Ecco perché, e senza bisogno né di Spatuzza né dei Graviano

Come spiegavo a una nostra forumista nel mio ultimo commento della puntata precedente, gli squilibrati esistono in tutto il mondo, ma ciò non toglie che colpire per giunta in pubblico un capo di governo, spaccandogli un labbro e rompendogli un dente, come è successo a Berlusconi, è cosa grave e inammissibile. Per fortuna non ci sono state conseguenze drammatiche o tragiche, e per fortuna il gesto è frutto di uno squilibrato anziché dell’idiozia di un gruppetto “politico”, eventualità che avrebbe precipitato il Paese nel baratro: è chiaro infatti da troppi sintomi che nelle file del partito berluscon-bossiano non aspettano altro che poter “regolare i conti”. Immagino però che gli untori di professione soffieranno sul fuoco comunque sulle prime pagine dei giornali, e del resto Berlusconi paga bene i suoi mazzieri mediatici.

E che i suoi mazzieri si metteranno alacremente all’opara è già chiaro fin dalle prime parole attribuite a Berlusconi al pronto soccorso. Leggo infatti sul sito di un quotidiano:
“Comunque Berlusconi, riferisce chi gli ha fatto visita, si è detto “amareggiato” per “questa campagna di odio nei miei confronti. Questo è il frutto – ha spiegato – di chi ha voluto seminare zizzania. Quasi me l’aspettavo…”. Berlusconi a tutti ha ripetuto di essere stato nei giorni scorsi nel mirino di una campagna di veleni. “Tutti dovrebbero capire che non è possibile oltraggiare un presidente del Consiglio, questa è la difesa delle istituzioni”. Al di là dell’amarezza, il Cavaliere ha sottolineato di non voler minimamente farsi impressionare dall’episodio. “Sono ancora qui e non mi fermeranno””.
Per parlare così ci vuole una bella dose di irresponsabilità e di faccia di bronzo. Se c’è qualcuno che conduce una campagna di odio è proprio lui, Berlusconi Silvio, che da mesi – anomalia unica nell’intero Occidente democratico –  accusa in continuazione i magistrati – fino alla Corte Costituzionale! – e ormai anche il presidente della Repubblica.
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