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1) – CRIMEA E UCRAINA: LA REALTA’ E L’IPOCRITA AVVENTURISMO OCCIDENTALE 2) – IL GRANDE PROGETTO DI SVILUPPO DELL’EURASIA 3) FINALMENTE LA SEPARAZIONE BANCARIA?

Se anziché badare ai meschini ma grassi interessi di parte si badasse davvero all’interesse generale, la Comunità Europea andrebbe estesa non solo fino a Kiev, capitale dell’Ucraina in pericolosa ebollizione, ma fino a Mosca (così come a sud dovrebbe comprendere almeno anche la Turchia). Non a caso a Verona ha sede da qualche anno il Forum Eurasiatico, che si batte per diffondere appunto l’idea che l’Europa deve allargarsi all’Asia, questa volta con mezzi pacifici, trattati economici e strategie di ampio respiro anziché con le invasioni napoleoniche e nazifasciste.

Cominciamo col chiarirci le idee in modo da sapere di cosa stiamo parlando. La Crimea è Russia dal ’700, prima faceva parte dell’impero turco. L’Ucraina ha la sua parte sudorientale composta da popolazione di lingua russa e la sua parte occidentale composta dalla Rutenia di memoria austro-ungarica e da una parte della Polonia,  che fino al 1939 era estesa molto più a est. L’Ucraina avrebbe quindi tutto l’interesse a cedere alla Russia oltre alla Crimea anche le regioni sudorientali russofone in cambio di buoni rapporti, stabili e vantaggiosi per tutti. Alle elezioni ucraine filo occidentali e filo russi sono entrambi al 50%. Se l’Ucraina cedesse il sud est russofono, i filo occidentali si assicurerebbero stabilmente il governo. Invece l’Europa e gli Usa titillano il nazionalismo ucraino, deleterio e pericoloso come tutti i nazionalismi, assecondandolo nella pretesa assurda di voler tenere nell’Ucraina anche le province russofone, sull’esempio della prepotenza degli Stati baltici prontamente assecondata dagli Usa e dall’Europa quando per far saltare l’Urss ricorsero anche all’invenzione dei tre Stati baltici.
Ovvio inoltre che alla Russia non faccia piacere la spinta Usa a piazzare basi Nato anche ai suoi confini con l’Ucraina, visto anche che gli Usa con la scusa del “pericolo Iran” hanno piazzato grandi basi militari negli Stati ex sovietici centro asiatici Uzbekistan, che li ha infine sloggiati, Kazakistan, ecc. La strategia Usa consistente nel circondare il più possibile la Russia con basi militari dai confini est europei a quelli meridionali centroasiatici è fin troppo evidente e ha un duplice scopo: poter minacciare militarmente sia la contingua Russia che la non lontana Cina. La durezza e l’aggressività, più a parole che con i fatti, di Putin non è altro che la logica conseguenza dell’aggressività politico militare degli Usa. Con al guinzaglio la docile Europa, che avrebbe invece tutto l’interesse a ingrandire la sua unione a est fino a Mosca, geograficamente cioè fino a Vladivostok, e a sud almeno fino alla Turchia – sicuramente più europea degli Stati baltici! – se non fino alla Mesopotamia. Continua a leggere

1° febbraio, Giorno della Memoria. 28 gennaio, terza udienza del processo all’Operazione Condor. LA VERGOGNA DEL SILENZIO GENERALE!

1) Ieri, 1° febbraio, era Il Giorno della Memoria. Che però non è fregato nulla a nessuno e nessuno lo ha infatti ricordato perché riguarda un pezzetto del gigantesco Olocausto di indigeni perpetrato nelle Americhe da noi europei man mano diventati americani.

2) E il 28 gennaio c’è stata a Roma la terza udienza preliminare del processo per le vittime italiane dell’Operazione Condor, come venia chiamato in codice lo sterminio clandestino nel Sud America dei militari golpisti foraggiati dagli Usa degli oppositori politici, veri o presunti, tragicamente noti come desaparecidos, cioè scomparsi.

Il 25 gennaio si è invece molto parlato della Giornata della Memoria che riguarda invece lo sterminio degli ebrei nella Germania nazista. Il solito nostro uso di due pesi e due misure è stato particolarmente sfacciato perché è stata ospite di molte iniziative – da “Che tempo che fa” a Rai Tre a cerimonie e interviste – una anziana signora  nipote di un ebreo milanese deportato ad Auscwitz e madre di una ragazza desaparecida in Argentina. Molta giusta commozione. Ma, ongiustamente, neppure un accenno all’udienza imminente al trbunale di Roma e tanto meno all’Olocausto dei “musi rossi” americani. Il che la dice lunga anche sulla nostra ipocrisia, nutrita dal non disinteressato buonismo e politicamente corretto “de sinistra”.

Propongo pertato un paio di articoli, il secondo è un’intervista, apparsi sui rispettivi due argomenti. E un commento apparso al primo. Commento che dovrebbe far riflettere in particolare oggi, visto che c’è un papa gesuita. Cioè di un ordine religioso che ha preso parte alla persecuzione degli “indiani d’America”.

1) – http://www.famigliacristiana.it/articolo/indiani_010212101431.aspx

INDIANI SIOUX, IL GIORNO DELLA MEMORIA

01/02/2012  Il 1 febbraio 1876 gli Stati Uniti dichiararono guerra ai Sioux che non volevano abbandonare i territori dov’era stato scoperto l’oro. E fu l’inizio del massacro di Wounded Knee.

Oggi cade l’anniversario di una dichiarazione di guerra troppo spesso ignorata o non considerata come tale. Il 1 febbraio 1876 il ministro degli Interni degli Stati Uniti d’America dichiarò guerra ai Sioux “ostili”, quelli cioè che non avevano accettato di trasferirsi nelle riserve, dopo che era stato scoperto l’oro nelle Black Hills, il cuore del territorio Lakota. Come si potevano traferire migliaia di uomini, donne e bambini dalla terra dov’erano nati, in una stagione dell’anno in cui il territorio era coperto di neve? Molti indiani pare neanche ricevettero l’ordine, in quanto impegnati nelle loro attività di caccia, lontano dalla propria residenza. Continua a leggere

Gaza, vergogna d’Europa e degli Usa

Norman G. Filkenstein è un ebreo canadese, figlio di genitori sopravvissuti alla tragedia del ghetto di Varsavia e al campo di sterminio di Auschwitz, che ha scritto il libro “L’industria dell’Olocausto: lo sfruttamento della sofferenza degli ebrei” per denunciare come tale industria abbia corrotto sia la cultura ebraica che la autentica memoria della Shoà. Il libro dimostra che tale sfruttamento avviene per ottenere vantaggi politici ed economici e per fare gli interessi di Israele. Filkenstein sul suo sito ha pubblicato un appello urgente per aiutare Gaza colpita da una inondazione che rende la vita ancor più impossibile del solito. Appello che mi pare doveroso diffondere. Me lo hanno inviato un gruppo di sardi colpiti dai recenti disastri del maltempo in Sardegna, che si chiedono perché gli abitanti di Gaza vengano invece abbandonati al loro destino.

La versione originale dell’appello di Filkenstein la si trova qui: http://normanfinkelstein.com/2013/state-of-emergency-in-gaza-what-we-can-do/

E questo video aiuta a capire la situazione: dihttp://www.youtube.com/watch?v=uVBGysDrcsE

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Abbiamo deciso di pubblicare questa relazione inviata da Mohammed Omer come avviso urgente: gli abitanti di Gaza hanno bisogno del nostro aiuto ora!

Contattate il Segretario di Stato USA John Kerry

Scrivi a: US Department of State 2201 C ST., NW Washington, DC 20520

Telefona al: 202-647-4000; selezionare l’opzione 4 e chiedere dell’operatore per la linea di commento. 202-647-6575 (Public Communication Division), selezionare l’opzione 8 per lasciare il vostro commento.

Stato di emergenza a Gaza

di Mohammed Omer

Fa freddo, non c’è corrente, e sto ricaricando il mio computer usando una batteria per auto, al fine di mandare questo messaggio. Fa così freddo a Gaza che ognuno ha i piedi freddi e il naso freddo. Una nuova tempesta sta colpendo questa enclave assediata. Non c’è elettricità, e la carenza di acqua, carburante e servizi vitali significa che la gente semplicemente si siede e aspetta l’ignoto. Decine di case a est di Gaza City, nel nord della Striscia di Gaza, a Khan Younes e Rafah sono inondate dalla pioggia. Il sistema di depurazione non può funzionare e la municipalità di Gaza ha annunciato lo stato di emergenza. Continua a leggere

1) Rispondere agli USA con l’Eurasia 2) Fan di Israele, tattiche e tecniche: per chi non sa o fa il finto tonto

Le accuse all’Europa di deflazione. La sfida dello sviluppo eurasiatico.

Mario Lettieri* Paolo Raimondi**

L’ultimo Rapporto semestrale del Tesoro americano sulla situazione economica internazionale addebita tutte le responsabilità della mancata stabilità dell’economia mondiale alla Germania. Il suo surplus commerciale sarebbe la causa di tutti i mali. Più che una esagerazione ci sembra una pura provocazione non solo nei confronti della Germania ma dell’Unione Europea. I malfunzionamenti e gli squilibri nel vecchio continente pur ci sono e spetta a noi affrontarli e risolverli.

In passato nel mirino c’era soprattutto la Cina a cui si addebitava che la mancata rivalutazione dello yuan avrebbe aggravato le difficoltà economiche degli Usa e di conseguenza anche del resto del mondo. Oggi il problema sarebbero le troppe esportazioni tedesche. Nel 2012 il surplus tedesco è stato di 238,5 miliardi di dollari superando di gran lunga i 193,1 miliardi della Cina. E nel primo semestre del 2013 il surplus tedesco è aumentato ancora andando oltre il 7% del Pil. Questi andamenti, secondo il Tesoro americano, e in mancanza di una crescita della domanda interna tedesca, starebbero provocando una situazione di deflazione, con una inflazione più bassa delle aspettative ed una stagnazione nei consumi in tutta Europa. Con conseguenze negative per gli Usa e il resto del mondo. Continua a leggere

Ci serve una crociata

Mille anni fa la situazione sociale, economica, etica e politica era, in Europa occidentale, sull’orlo della catastrofe. La corruzione imperava ovunque. Dopo aver acquisito l’ereditarietà dei feudi maggiori, nell’877, ogni nobile si comportava, nei propri possedimenti, come un autentico despota, sapendo benissimo che nessuno avrebbe potuto impedirglielo, neppure il sovrano.

A Roma la carica di pontefice era appannaggio delle famiglie aristocratiche più influenti. Nepotismo e simonia nella chiesa non erano l’eccezione ma la regola, al punto che tra le fila del clero benedettino – uno dei maggiori proprietari terrieri – parti di una riforma generale che trovò soltanto nel fanatismo dogmatico e teocratico lo strumento migliore per affrontare l’immoralità dominante.

Lo stesso papato, insieme ai Franchi, aveva completamente distrutto il valore dell’istituzione imperiale del basileus bizantino, tanto che nel 1054 decise di separarsi definitivamente dalla chiesa ortodossa, che dell’impero d’oriente costituiva la rappresentazione più significativa.

La formazione delle città italiane stava avvenendo contro la feudalità rurale, e si stava sviluppando contro qualunque prerogativa imperiale. La borghesia era disposta a scendere a patti col papato in funzione anti-imperiale, ma non amava ingerenze di alcun tipo nella propria attività affaristica.

Avversa alla grande nobiltà era pure quella piccola, che pretese l’ereditarietà dei feudi minori nel 1037 e che appoggiò lo sviluppo dell’urbanizzazione.

La progressiva abolizione del servaggio nelle campagne comportava la formazione del primo proletariato cittadino, che però era già così numeroso da non poter essere assorbito in toto dalle nascenti manifatture.

Le tensioni erano molto forti: i Comuni più grandi tendevano a fagocitare quelli più piccoli e a ridurre i contadi rurali in aree coloniali prive di autonomia economica.

Bande di pirati normanni (a nord), ungari (a est) e saraceni (a sud) infestavano buona parte dell’Europa, e, di questi, sicuramente i primi erano i più organizzati e i più feroci, tant’è che in pochissimo tempo riuscirono a conquistare la Normandia, l’Inghilterra e l’Italia meridionale, e poco mancò, a est, che arrivassero ad annettersi la Russia e Bisanzio.

Intanto dalla Persia erano giunti i Turchi Selgiuchidi, i quali, dopo aver occupato il Medio oriente, stavano minacciando, in Asia minore, quel che era rimasto dell’impero bizantino.

Quando venne in occidente la richiesta, da parte del basileus, di un aiuto militare, nessuno vi prestò ascolto, sia perché i bizantini e gli ortodossi erano avvertiti come rivali nella fede religiosa (sin dai tempi del Filioque introdotto nel Credo) e nel potere politico (sin dai tempi dell’incoronazione illegale di Carlo Magno), sia perché l’occidente latino non aveva possedimenti da difendere in Palestina o nell’Africa settentrionale, anche se cominciava a preoccuparsi della presenza dei Mori in Spagna, in Sicilia e in altre località ove erano approdati come pirati.

Lo spirito di crociata nacque così, come tentativo di risolvere militarmente una crisi molto grave, che si trascinava da almeno due secoli. Bisognava darsi un’ottima motivazione – è questa la offrirono i Turchi intolleranti e fiscalmente esosi -, cui se ne sarebbe subito aggiunta un’altra: la possibilità di conquistare nuove terre in Medio oriente, che anche per colpa degli ebrei deicidi – si diceva – erano da sempre tormentate (l’antisemitismo nacque proprio in occasione della prima crociata).

La soluzione dei problemi interni venne affidata alla politica estera. Che è, in fondo, quello che stanno facendo oggi gli americani, che dopo il crollo delle torri di Manhattan, si sono inventati un nemico internazionale, chiamato “terrorista islamico”, che ha autorizzato loro a spiare il mondo intero per motivi di sicurezza e a dichiarare guerra a qualunque paese (o a minacciare di farlo) che, anche solo intenzionalmente, voglia munirsi di armi di sterminio di massa.

Gli Usa pensano di risolvere così il disastro della loro economia interna, indebitata fino al collo e corrotta quanto mai: stanno pressando tutti i paesi avanzati a muover guerra contro questo fantomatico “nemico mondiale” (che fino a ieri pareva essere il “socialismo reale”), e a farlo, beninteso, non in autonomia, ma seguendo le loro direttive strategiche.

Per convincersi a mettersi in fila dietro questi nuovi feudatari diretti in “oriente”, occorre soltanto che la situazione peggiori, che si acuiscano le contraddizioni e che emergano pseudo motivazioni ideali molto sentite. I più forti militarmente son loro: su questo non si può avere dubbi. E loro ci dicono d’essere anche i più democratici di tutti: per questo sono così odiati.

L’economia Usa è malata. Con rischio di collasso

di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Lo “shutdown”, che è scattato all’inizio di ottobre con la chiusura di settori importanti della pubblica amministrazione, è la più evidente dimostrazione della patologica crisi sistemica dell’economia e della finanza degli Stati Uniti. Il governo di Washington è senza soldi in quanto ha utilizzato tutte le disponibilità di bilancio approvate dal Congresso. Per continuare con l’attuale ritmo di spesa previsto dovrebbe “sfondare” il tetto del debito pubblico prestabilito. Come è noto, ogni anno e da tempo si ripete lo sfondamento del limite massimo del debito, un’operazione che richiede però l’approvazione del potere legislativo.

Nel frattempo oltre 800.000 dipendenti federali che lavorano in alcuni settori amministrativi, nella gestione del territorio e dei parchi e perfino nel settore spaziale e dell’intelligence sono da giorni a casa e senza stipendio. Naturalmente la sospensione dal lavoro di centinaia di migliaia di impiegati comporta una perdita di reddito pari a circa 200 milioni di dollari al giorno che inevitabilmente genera una riduzione dei consumi mettendo in crisi anche settori del commercio. Continua a leggere

Dopo l’Iraq e la Libia, ora tocca alla Siria. In attesa di poter colpire di nuovo l’Iran. Intanto con la politica monetaria strangoliamo anche le economie emergenti

Paragonare il siriano Assad, o chiunque altro, a Hitler è solo da ignoranti, cinici, bari e quindi disonesti. Eppure è  il comportamento del Segretario di Stato Usa John Kerry, nonostante che lui la sua signora con Hitler-Assad ci abbiano beatamente cenato qualche anno fa. Tanta cialtroneria da parte di Kerry è solo il patetico tentativo di ipnotizzare di nuovo gli americani e il mondo come già fatto a suo tempo per poter invadere l’Iraq. Questa volta però non potendo ripetere la gigantesca balla e il gigantesco inganno, al proprio popolo di statunitensi e al mondo intero, delle “bombe atomiche e altre armi di distruzione di massa di Saddam” ecco che si ripiega sull’uso dei gas attribuito ad Assad. Anche questa volta sono stati subito scoperti dei falsi, per esempio l’uso di una foto che mostra decine di cadaveri già usata per accusare di stragi Saddam ora usata di nuovo per accusare di stragi Assad.

Domanda: cosa può fare Kerry, oltre a fregare ancora di più i palestinesi, nella sua veste di asserito mediatore negli incontri da lui voluti tra palestinesi e israeliani per la ormai mitologica ricerca di un accordo di pace?

E’ particolarmente vergognoso che a mentire pur di arrivare a colpire militarmente un altro Paese sia un premio Nobel per la Pace qual è Obama. La vergogna è doppia perché a colpire la musulmana Siria, sempre con l’obiettivo di fondo di colpire infine l’Iran per accontentare il governo israeliano, sia lo stesso Obama che all’inizio del suo primo mandato ha promesso in un discorso a Il Cairo “un’era di rapporti nuovi con il mondo islamico”. S’è visto…. E teniamo presente che gli Usa hanno già colpito pesantemente l’Iran due volte: la prima volta quando organizzarono il colpo di Stato contro il democraticamente eletto presidente Mossadeq, la seconda quando aiutarono in tutti i modi l’Iraq di Saddam nella sanguinosa guerra, qualche milione di morti, contro l’Iran.

E’ infine raccapricciante che a fare la voce grossa e a minacciare sfracelli per l’asserito uso di gas da parte del governo  siriano  siano quegli Usa che oltre a usare il gas per eseguire le sentenze di condanne a morte dei propri cittadini sono gli stessi Usa che aiutarono Saddam a sterminare col gas almeno quattro volte migliaia di iraniani durante la guerra Iraq-Iran. Gli Usa infatti fornirono  all’Iraq le informazioni di intelligence per poter colpire senza errori le truppe iraniane. E quando gli iraniani inviarono vari rapporti ai servizi segreti Usa per denunciare l’uso dei gas da parte degli iracheni i servizi segreti statunitensi fecero vergognosamente finta di niente. Da notare che una ricerca ha dimostrato vari anni fa che almeno il 10% delle condanne a morte negli Usa colpiscono innocenti. Cittadini statunitensi gasati quindi benché innocenti. Esattamente come farebbe Saddam stando a quanto affermano Kerry e Obama. Ma cos’è più grave? L’eventuale uso di gas da parte di Assad che avrebbe ammazzato 1.500 siriani o l’uso delle menzogne sulle “bombe atomiche irachene” da parte di Bush junior che mandò così a farsi ammazzare ben più di 1.500 soldati statunitensi? Per una guerra, si noti, che ha provocato centinaia di migliaia di morti tra gli iracheni e, da parte deglle truppe Usa, anche l’uso delle armi al fosforo bianco proibite esattamente come i gas.

La realtà è che gli Usa e l’Europa, cioè l’Occidente, non intendono accettare che i popoli sfruttati prima col colonialismo e poi con il neocolonialismo e imperialismo possano dotarsi di Stati unitari, e di economie ben sviluppate, che non siano regimi orribili e fanatici in fatto di religione come l’Arabia Saudita o le monarchie del Golfo. Orribili, ma felici di incassare e godersi le cifre gigantesche ricavate con le  vendite di petrolio all’Occidente, che sulle loro malefatte, in primo luogo il trattare le donne come oggetti privi di ogni diritto, chiude entrambi gli occhi pur di essere rifornito di petrolioe sogna che restino solo i nostri serbatoi di oro nero. E anzi mostra felice alle proprie opinioni pubbliche le enormi Disneyland quali sono di fatto le capitali del Golfo, tacendo da cosa sono corcondate nel resto del territorio. Tutti gli Stati laici, dall’Iran di Mossadeq alla Libia di Gheddafi passando per l’Iraq di Saddam, sono stati combattuti e frantumati spingendoli verso il tribalismo e il fanatismo religioso. Gli Usa e l’Europa al mondo islamico che non si piega sanno offrire solo la fine fatta fare agli indiani d’America, agli indios del Centro e Sud America e agli aborigeni australiani. Ma sperare in un bis del successo di quella ricetta è forse illusorio, in un mondo decisamente cambiato e nel quale crescono giganti economico militari che non hanno nessun motivo per amarci. Avanti di questo passo, con il continuo trasferimento di richezza finanziaria verso i “Paesi produttori”, è più probabile che faremo la fine dell’impero romano: da una parte rovinato dalla bella vita e dai vizi, dall’altra impoverito per il continuo trasferimento della massa monetaria, vale a dire oro e argento,  verso l’Oriente produttore di ogni  ben di Dio, dalle spezie alle sete e ale pietre preziose, ben di Dio che costava sempre più caro, ma senza il quale i romani non sapevano più vivere. Il ben di Dio che forse ci colerà a picco è quell’energia elettrica e quella benzina che, ricavate dal petrolio che non possediamo a sufficienza, sono ormai alla base dell’intera nostra vita.

Da una parte lo strangolamento politico militare. Dall’altra, come dimostra l’articolo di Raimondi e Lettieri che segue il mio, lo strangolamento monetario e finanziario delle economia emergenti.

Ma torniamo alla situazione siriana. Continua a leggere

Egitto, fine delle illusioni occidentali sulla bontà dei colpi di Stato in casa altrui quando ci fa comodo.

La tragedia egiziana ha posto la parola fine a un’altra illusione dell’Occidente, e dell’Europa in particolare: all’illusione, vale a dire, che i colpi di Stato militari possano arginare man mano e una volta per tutte le spinte popolari extra occidentali che per un motivo o per l’altro non ci piacciono. Quest’illusione si fonda sul fatto che di norma gli ufficiali militari che costituiscono l’ossatura delle forze armate altrui sono stati formati quasi tutti nelle più prestigiose accademie e scuole militari degli Usa e dell’Europa. Quelle italiane, per esempio,  hanno contribuito a formare il colonnello Gheddafi e il generale Siad Barre, ex sottotenente dei carabinieri italiani, diventati a suo tempo con i rispettivi colpi di Stato i padroni di lungo corso della Libia il primo e della Somalia il secondo. Finiti entrambi come sono finiti: ucciso dai ribelli il primo, cacciato a furor di popolo il secondo.

In Tunisia il generale Ben Ali, che nel 1987 abbatté con un colpo di Stato morbido il presidente Bourguiba prima di essere cacciato a sua volta con la cosiddetta “primavera araba” nel gennaio 2011, si guadagnò i gradi nella prestigiosa Ecole spéciale militaire de Saint-Cye e nell’Ecole d’application de l’artillerie de Chalons-sur-Marne, per poi perfezionarsi nella Senior Intelligence School e infine nella School for Anti-Aircraft Field Artillery negli Usa. E a metterlo in sella a Tunisi furono i nostri segreti militari, che seppero agire con discrezione: Bourguiba fu deposto per senilità a 84 anni e fatto accudire da una equipe di medici nel suo dorato palazzo di Monastir.

E’ francamente incomprensibile, se non con l’odio verso gli islamici in generale, la simpatia con la quale soprattutto in Italia è stato accolto il colpo di Stato che in Egitto ha portato in galera il presidente Mohamed Morsi. Candidato dei Fratelli Musulmani, Morsi nel giugno dell’anno scorso ha vinto le prime elezioni libere e democratiche egiziane, che hanno posto fine ai quasi 30 anni di potere di Hosmi Mubarak, generale dell’aeronautica diventato presidente. I generali che hanno deposto e arrestato Morsi, primo non militare diventato presidente,li abbiamo applauditi come “salvatori della democrazia”, nonostante siano stati le colonne portanti del potere man mano sempre più duro di Mubarak. Il precedente algerino avrebbe dovuto invece farci riflettere di più, ma si è preferito ignorarlo. Purtroppo i fatti però sono testardi, e continuano a esistere anche se non se ne parla. Com’era prevedibile, in Egitto si sta ripetendo infatti quanto successo in Algeria nel 1992, quando alla vittoria schiacciante del Fronte Islamico di Salvezza Nazionale, che nel primo turno delle libere elezioni aveva riportato nel dicembre 1991 il 60% dei voti, l’esercito applaudito dall’intero Occidente rispose con un golpe. Golpe che se ha rassicurato in particolare la Francia, ha però aperto la strada a una guerra civile particolarmente feroce, che ha mietuto centinaia di migliaia di morti. E che tuttora lascia aperta la porta ad altre possibili convulsioni dagli sbocchi potenzialmente ancora più gravi. Continua a leggere

Progetti importanti tra illusioni di ripresa. E la rischiosa abboffata di profitti della banche Usa

di Mario Lettieri*  e Paolo Raimondi**

1) – Mobilitare il nostro sistema-paese sul territorio e a livello internazionale

Riteniamo che le prospettive economiche del nostro Paese non si possano misurare con meri dati statistici o peggio con qualche altro indicatore basato magari sulle aspettative degli intervistati. Le tante esternazioni di questi giorni sulla fine della recessione e sulla svolta economica positiva prevista per il terzo trimestre 2013 ci suonano più come auguri di Ferragosto che serie analisi suffragate da dati e andamenti reali. Non si tratta di iniziare una diatriba tra ottimisti e pessimisti sul futuro dell’economia nazionale. In passato questi “psicologismi spiccioli” hanno infatti dato spazio solo alla frustrazione e alla rabbia. Siamo consapevoli che spesso certe valutazioni negative sulla nostra economia, come quelle delle agenzie di rating, si sono tradotte, purtroppo, in tagli e spesso in cieca politica di bilancio.

Allo stato non esistono però concreti e solidi elementi per poter salutare l’uscita dalla crisi né a livello globale né a livello europeo e tanto meno a livello nazionale. Basti pensare che l’Ocse prevede un alto livello di disoccupazione. Per l’Italia il tasso relativo dovrebbe salire al 12,5% alla fine del 2014! E’ davvero difficile quindi immaginare una ripresa economica mentre l’occupazione scende così vistosamente, determinando ovviamente un conseguente generalizzato aumento della povertà. In Italia, purtroppo, da tempo manca una seria programmazione con una conseguente puntuale verifica di quanto realizzato. E’ indispensabile indicare percorsi di sviluppo ma anche progetti sul medio e lungo termine e scadenze precise.  Continua a leggere

Le banche centrali hanno fallito. Non si può penalizzare il lavoro e le imprese.

Le banche centrali hanno fallito. Non si può penalizzare lavoro e imprese

Mario Lettieri* Paolo Raimondi**

Le recenti stime della Banca dei Regolamenti Internazionali ci dicono che dal 2007 al 2012 il debito aggregato globale, comprendente non solo quello del settore pubblico degli Stati ma anche quello delle famiglie e delle imprese non finanziarie, è cresciuto del 20% in rapporto al Pil, cioè di ben 33  trilioni di dollari! E’ cresciuto di circa il 40% negli Usa, di oltre il 50% in Francia e di circa il 65% nel Regno Unito. In Italia è aumentato del 25%. Pur se nel mezzo di un reale sviluppo economico, anche la Cina ha registrato una crescita di oltre il 50% del proprio debito aggregato in rapporto al Pil che, però, riguarda esclusivamente le famiglie e il settore delle imprese non finanziarie.

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Presto un’inversione nelle politiche monetarie troppo accomodanti non solo dagli USA.

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

La Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea annuncia che a breve potrebbe esserci un virata nelle politiche monetarie delle banche centrali. Si porrebbe fine ai tassi di interesse vicini allo zero. A Londra recentemente, il direttore generale della Bri, Jaime Caruana, ha affermato che, sebbene siano trascorsi cinque anni dallo scoppio della crisi, la ripresa non c’è ancora e l’attività economica complessivamente è ancora inferiore rispetto al livello pre crisi. In questo periodo le banche centrali dei paesi del G20 hanno abbandonato il fondamentale criterio del controllo dei prezzi instaurato dopo le ondate inflative degli anni settanta. Esse invece hanno adottato politiche non convenzionali ma “accomodanti” con la immissione di una quantità impressionante di nuova liquidità. Il direttore Caruana, sa che ciò “ha impedito che il sistema finanziario implodesse trascinando con sé anche l’economia reale”, ma ciò ha anche “ridotto grandemente la percezione del rischio finanziario”.

Dal 2007 ad oggi il debito totale, pubblico e privato, del settore non finanziario dei Paesi del G20 è aumentato di oltre 30 trilioni di dollari! Questo dato contraddice in modo eclatante i tanti impegni e le tante promesse di ridurre (deleveraging) il livello del debito. Inoltre nello stesso periodo le attività e i bilanci delle banche centrali del G20 sono aumentati di ben 10 trilioni di dollari! Esse hanno comprato obbligazioni e una montagna di derivati e di altri titoli tossici! Lo hanno fatto, secondo noi irresponsabilmente, stampando moneta. Continua a leggere

L’Iran recupera il tempo perso per responsabilità di Bush figlio? Lo speriamo.

Dopo l’elezione al primo colpo di Hassan Rohani a presidente dell’Iran, viene in mente questo scambio di domande e risposte, che qualche lettore ricorderà per averle già lette nei miei reportage dall’Iran del 2009.
Chi sarà eletto Presidente della Repubblica Islamica dell’ Iran, inshallah?
“Chi verrà scelto dal popolo”.
Certo, ma – chiunque vinca – lei non crede sia comunque auspicabile un cambiamento?
“Il cambiamento ci sarà e sarà molto grande. L’opinione pubblica mondiale ne sarà sorpresa”.
E quali saranno i temi del cambiamento? Per esempio, quali sono i punti centrali del suo programma?
“Lo sviluppo economico, la politica estera, i diritti civili e i diritti delle donne”.
Questo il botta e risposta nel 2009 poco prima delle elezioni presidenziali iraniane con il candidato riformista Mehdi Kharroubi, ex presidente del parlamento, incontrato per caso in strada a Esfahan vicino la cattedrale cristiana armena di S.Gregorio, nota anche come cattedrale di Vank.
Le elezioni purtroppo ebbero un esito diverso da quello sperato da Kharroubi e dai riformisti, Ahmadinejad venne confermato e ci furono anche gravi disordini e manifestazioni di piazza, con Kharroubi agli arresti domiciliari.
Questa volta invece senza neppure un timido accenno di manifestazione studentesca o comunque del mondo giovanile, che morde il freno perché ansioso di riforme e sviluppo, ha vinto al primo turno Hassan Rohani, che può essere considerato il Kharroubi di oggi. Rohani è buon amico di Khatami, il leader riformista che si vide soffiare la vittoria elettorale e stroncare il suo ambizioso programma di modernizzazioni dall’infelice idea di Bush figlio di inventarsi l’Asse del Male, composto dai Paesi che gli Usa vedono come il fumo negli occhi compreso l’Iran. L’orgoglio nazionalista e annessa vittoria elettorale della destra fu la risposta dell’elettorato iraniano a Bush, con l’era di Amadinejad che oggi pare finalmente al tramonto.
Rohani appare sicuro di sé e affabile come Kharroubi, e nonostante sia un religioso con il turbante a mo’ di galloni ricorda da vicino sia i nostri migliori leader democristiani di una volta che quelli socialisti: molto abile, paziente ma molto deciso, del tipo che punta al cambiamento vero senza esagerare nella retorica e conciliando tra loro temi apparentemente inconciliabili. Continua a leggere

Economia e finanza: Papa Francesco, pensaci tu! Politiche monetarie troppo accomodanti? Negli Usa spinte al protezionismo.

Mario Lettieri* Paolo Raimondi** * Sottosegretario all’Economia del governo Prodi **Economista

Papa Francesco, pensaci tu!

Mentre il mondo dell’economia si “perde in chiacchiere” sulla necessità di rivedere il sistema della finanza globale, papa Francesco ha ripreso il suo lungo percorso di riflessione per stimolare i dirigenti politici a ”realizzare una riforma finanziaria che sia etica e che produca a sua volta una riforma economica salutare per tutti”.

Giovedì 16 maggio, parlando ad un gruppo di nuovi ambasciatori presso il Vaticano, ha ricordato che “mentre il reddito di una minoranza cresce in maniera esponenziale, quello della maggioranza si indebolisce. Questo squilibrio deriva da ideologie che promuovono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria, negando così il diritto di controllo agli Stati pur incaricati di provvedere al bene comune”.

Papa Bergoglio stigmatizza il consumismo fine a se stesso, il dominio e l’adorazione del denaro, la dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano. Denuncia “la nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, del mercato che impone unilateralmente le sue leggi e le sue regole”. Egli vi contrappone la solidarietà, l’etica, il bene comune, la convivenza e la lotta dei popoli contro la povertà.

Non si tratta di un appello moralista. E’ invece un vero e proprio manifesto che pone al centro della società e dell’economia l’uomo con i suoi valori e i suoi bisogni. Continua a leggere

Israele e i suoi supporter negli Usa verso il Medioevo. Deutsche Bank: la caduta degli Dei. La Fed e la Bce comprano titoli tossici per gonfiare di liquidità il sistema

LA FOTO ESPRIME MERAVIGLIOSAMENTE IL FATTO CHE SIAMO TUTTI FIGLI DELLA MADRE TERRA. GRANDE E’ QUINDI LA STOLTEZZA, LA CATTIVERIA E LA FEROCIA DEI NAZIONALISMI. DI QUALUNQUE TIPO E SOTTO QUALUNQUE CIELO.

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1) – http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=74138&typeb=0&Muro-del-Pianto-ultraortodossi-contro-le-donne

Gerusalemme, 10 maggio 2013, Nena News – Questa mattina sono scoppiati scontri al Muro del Pianto a Gerusalemme: un migliaio di giovani ebrei ultraortodossi hanno cercato di impedire alle donne dell’associazione israeliana “Women of the Wall” di pregare nel sito religioso, lanciando loro pietre e bottiglie d’acqua. Cinque di loro sono stati arrestati dalla polizia, riporta Mickey Rosenfeld, portavoce della polizia. Hanno partecipato alla protesta decine di centinaia di ragazzi e ragazze provenienti da tutto il Paese, dopo la decisione del tribunale di Gerusalemme di permettere alle donne dell’associazione di pregare al Muro del Pianto vestendo iltallit (lo scialle della preghiera), generalmente riservato agli uomini.

Tutto era cominciato circa un mese fa quando “Women of the Wall” aveva lanciato un’azione per garantire il diritto delle donne ebraiche di pregare liberamente e leggere collettivamente la Torah. Lo scorso 11 aprile, le donne dell’associazione erano entrate nella sezione del Muro del Pianto destinata agli uomini e avevano pregato a voce alta. Un modo per rivendicare l’uguaglianza in campo religioso, spesso chimera tra gli ebrei ultraortodossi. Continua a leggere

Bergoglio, probabile Wojtyla dell’America Latina. In Argentina ha taciuto? Come Pio XII con la Germania e Togliatti e il Pci (Napolitano compreso) con Stalin. L’atroce dilemma Wojtyla-Emanuela Orlandi

Strano. Nessuno, eccetto il mio collega Andrea Tornielli su La Stampa, ha previsto che tra i papabili c’era anche Bergoglio, eppure era stato il cardinale più votato dopo Ratzinger quando questi venne eletto papa. Una svista  che la dice lunga sulle pecche della nostra informazione, che qui incassa il secondo fallimento, il secondo clamoroso “buco” come si dice in gergo, subito dopo la mancata previsione del boom elettorale di Grillo. Per non parlare dei 30 anni di frottole sul caso Orlandi…. Nessuno, ecctto Tornielli, s’è ricordato del suo nome prima e durante il conclave, eppure ora tutti fanno a gara a chi sa di più cosa farà il nuovo papa. S’è gettato a capofitto nella gara anche Eugenio Scalfari: non pago delle fregatura ricevuta alla vigilia di Natale da Mario Monti, della quale si è lamentato alla grande su Repubblica, ora sempre su Repubblica spiega in dettaglio cosa farà papa Bergoglio e perché ha scelto di chiamarsi Francesco (  http://ricerca.gelocal.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/03/15/un-prete-di-strada.html ). Ad alimentare le previsioni di Scalfari c’è la propria soddisfazione per avere scritto il 12 febbraio e il 10 marzo, parlando de “Il rebus che il Colle dovrà sciogliere”,  che se il futuro papa non fosse stato un uomo della Curia avrebbe potuto chiamarsi Giovanni XXIV, in prosecuzione col “papa buono” Roncalli, oppure Francesco. Previsione azzeccata, sia pure a metà. Speriamo ora che le previsioni di venerdì 15 marzo non siano il bis di quelle natalizie su Monti.

Nel mio piccolo, ho l’impressione che Bergoglio sarà il Wojtyla del Centro e Sud America. Wojtyla lo elessero per indebolire e dare la spallata finale all’Unione Sovietica già dissanguata dalla forsennata corsa al riarmo condotta dagli Usa. Bergoglio mi pare lo abbiano eletto per contrastare e sconfiggere la tendenza di alcuni governi sudamericani a recuperare le radici indigene, cioè indie e non europee, e a lanciare la terza via, cioè una sorta di socialdemocrazia o comunque maggiore attenzione al popolo. Terza via perché diversa da quella di Cuba, ma ancor più diversa da quella degli Usa. Metere in pista su vasca scala la socialdemocrazia o una più decisa attenzione alle masse popolari può diventare per gli Usa e per il suo declinante predominio WASP (acronimo di White, Anglo, Saxon, Protestant) più pericoloso di Cuba. Teniamo presente che secondo le ultime proiezioni del Census Bureau negli Usa la popolazione bianca di origine europea  si avvia a perdere il suo primato demografico. Oggi è ispanico – quindi di fatto con componente di origine india – un cittadino su sei, nel 2060 il rapporto diventerà di uno a tre. Ci sono inoltre i filoni evangelici, pentecostali, ecc., che, come fa notare anche il forumista “alberto C.”,  nelle Americhe stanno diventando concorrenti pericolosi. Continua a leggere