Articoli

Andarsene per ricominciare

Abbiamo il tempo contato. Per quanti sforzi noi si faccia di durare il più a lungo possibile, per quanto ci si possa illudere di restare sempre giovani – il destino è segnato. Su questa Terra, che per molti versi amiamo, non possiamo restare in eterno. La odiassimo a morte, non c’importerebbe nulla; anzi, forse non vedremmo l’ora di andarcene. Il fatto è che, accanto a motivi di rabbia e di sofferenza, ce ne sono molti di soddisfazione, e questi, alla fine, sembrano prevalere. Ci dispiace andarcene. Anche se ci dicessero che passeremo a miglior vita, non sarebbe per noi una grande consolazione.

Alla Terra ci siamo abituati; ci è diventata familiare; la sentiamo come la nostra seconda casa. E’ per noi difficile pensare a qualcosa di più bello, anche perché, guardandoci attorno, nell’universo, vediamo soltanto pianeti aridi e inospitali, infinitamente più brutti del nostro. Non riusciamo a immaginare qualcosa di più bello della Terra.

L’unico vero motivo che può spingerci a desiderare d’andarcene, è la progressiva devastazione ambientale procurata alla Terra dagli esseri umani. Probabilmente questo desiderio aumenterà quanto più gli uomini renderanno il nostro pianeta invivibile, e non solo sul piano ecologico, ma anche su quello dei rapporti umani, poiché l’antagonismo sociale sembra incupirsi sempre più.

Tuttavia, se davvero siamo destinati ad andarcene, è bene precisare almeno una cosa: ricominciare da capo, nell’universo, nelle stesse condizioni in cui lasceremo la Terra, è una prospettiva assolutamente da rifiutare. Non sarebbe in alcun modo sopportabile. Quindi, se qualcosa ci costringe ad esistere anche al di fuori del nostro pianeta, occorre che vengano ripristinate le condizioni della vivibilità umana e naturale. Non è possibile che chi vuole tornare a vivere in pace con se stesso, a contatto diretto con la natura, in armonia con tutto l’ambiente che lo circonda, debba essere condizionato negativamente da chi si oppone a queste sue aspettative. Deve essere data a chiunque la possibilità di realizzarsi come persona, cioè di essere quel che si vuole essere. E questo non è possibile se qualcuno o qualcosa ce lo impedisce.

Certo, noi stessi non possiamo pensare di realizzarci a danno degli altri, impedendo l’esercizio dell’altrui libertà; ma questo deve valere anche nei nostri confronti. In fondo l’universo è infinito: ognuno può scegliersi lo stile di vita che preferisce. La condizione, valida per tutti, è che non si devono danneggiare gli altri in alcuna maniera, non si deve dar fastidio alla libertà altrui.

Questa cosa avremmo già dovuto metterla in pratica sulla Terra, e anzi per moltissimi secoli l’abbiamo fatto. Poi qualcosa s’è spezzato e non siamo più riusciti a ricomporlo. Quindi se l’universo, per noi, vuole essere una nuova possibilità, dobbiamo utilizzarla nel migliore dei modi.

L’ideale sarebbe che fossimo messi in grado di ricostruirci un habitat adatto alle nuove caratteristiche umane e naturali che avremmo. Sarebbe infatti alquanto frustrante trovare le cose già pronte. L’essere umano è un lavoratore e soprattutto un creativo. Ha bisogno di agire in prima persona sull’ambiente in cui vuole andare a vivere.

Indubbiamente oggi siamo diventati così ignoranti in materia di eco-compatibilità, che, prima di fare qualunque cosa nell’universo, dovremmo essere rieducati come scolaretti delle elementari. Probabilmente i nostri maestri saranno gli stessi uomini primitivi che, con fare sprezzante e supponente, abbiamo considerato “preistorici”. In ogni caso avremo tutto il tempo che vogliamo per imparare: ne avremo un’eternità.

Riconciliarsi col proprio passato

Se, in via ipotetica, ammettessimo che la coscienza umana non è il frutto di un processo evolutivo, avvenuto per successive determinazioni quantitative, ma una caratteristica assolutamente originaria, la cui qualità intrinseca non dipende da particolari modificazioni della materia, saremmo poi in un certo senso costretti ad ammettere che con la fine dell’esistenza corporea dell’essere umano non può aver termine anche l’esistenza e quindi lo sviluppo della coscienza.

Cioè se esiste una correlazione tra materia e coscienza, o è negativa, nel senso che alla fine dell’una corrisponde la fine dell’altra, o è positiva, nel senso che non vi è un’origine per nessuna delle due ed entrambe sono destinate a durare nel tempo, influenzandosi a vicenda.

In altre parole: se l’essenza umana coesiste, in origine, con la materia, essa è destinata per sempre a tale coesistenza. Se invece ammettiamo che la coscienza è un prodotto evoluto della materia, dovremmo poi spiegarci perché questo prodotto non è destinato a sopravvivere alla morte del nostro corpo.

Infatti che senso avrebbe, da parte della natura, aver creato un prodotto così complesso e, fino a prova contraria, unico in tutto l’universo, per poi lasciare che si annulli al momento della morte del corpo? Sarebbe un incomprensibile spreco di risorse e di energie.

Delle due l’una: o la coscienza non è un prodotto assolutamente unico nell’universo ed è, in un certo senso, facilmente riproducibile anche in assenza di esseri umani, oppure noi siamo destinati a esistere anche dopo la morte del nostro fisico. Cioè il corpo è solo un involucro che la coscienza si è data per esistere sulla terra, ma, essendo destinati a esistere nell’universo, esso sarà libera di darsi un nuovo involucro, molto probabilmente con migliori caratteristiche qualitative, p. es. in grado di adeguare più facilmente il desiderio alla realtà; o forse soltanto con migliori caratteristiche quantitative, come p. es. la possibilità di viaggiare alla velocità della luce.

In un certo senso dovremmo dire che l’essere umano non è mai nato, proprio perché non morirà mai. Parole come nascere o morire dovremmo reinterpretarle, poiché quando vengono racchiuse in un orizzonte meramente terreno, acquisiscono un significato molto restrittivo. Il nostro pianeta è soltanto il luogo in cui la coscienza universale ha preso una forma corporea determinata, cui però non si sente legata in maniera assoluta.

La coscienza umana terrena è solo il riflesso di una coscienza umana universale: il corpo ch’essa ha assunto ha caratteristiche idonee per il pianeta in cui è stata chiamata a svilupparsi, ma non necessariamente si deve pensare che tali caratteristiche saranno le stesse in un’esistenza extra-terrena. Noi dovremmo considerarci più figli dell’universo che non di un semplice pianeta.

L’universo è la possibilità di ricapitolare tutte le cose, a un livello di consapevolezza che sarà enormemente superiore a quello che possiamo avere su questa terra, ove siamo strettamente condizionati da uno spazio e da un tempo finiti, limitati. Dovremmo, in tal senso, fare uno sforzo di fantasia e immaginarci all’interno di una dimensione spazio-temporale dove tutto è infinito, illimitato, e dove la stessa coscienza può raggiungere livelli di profondità impensabili su questa terra.

Cioè tutto quanto su questa terra abbiamo compiuto, pensando d’essere assolutamente nel giusto, dovrà essere sottoposto al vaglio di una coscienza universale. Nell’universo tempo e spazio coincidono in qualunque momento e luogo, per cui non ci sarà modo di sottrarsi a un giudizio di merito, confidando nel fatto che il passato non può più essere compreso come se fosse un presente.

Finché tutte le scelte compiute su questa terra non avranno trovato il loro punto di chiarimento, sarà impossibile andare avanti, pensando di poter fare qualcosa in comune. Il genere umano di tutti tempi dovrà riconciliarsi con se stesso. Non possiamo rischiare di ripetere nell’universo gli stessi madornali errori che abbiamo compiuto su questa terra e che ci sono costati immani sofferenze.

È anche vero però che nessuno può essere obbligato a credere in cose in cui è implicata la libertà di coscienza. Questo quindi vuol dire che il processo di umanizzazione dovrà poter andare avanti anche se una parte dell’umanità non ne vorrà sapere. Cioè se l’adeguamento del desiderio alla realtà non potrà essere il frutto di un’azione meramente soggettiva, che non tenga conto della libertà altrui, è anche vero che non ci potranno essere impedimenti allo sviluppo della coscienza altrui da parte di chi non vuole riconciliarsi col proprio passato.

Chi vuole migliorare se stesso, deve poterlo fare in libertà, rispettando la libertà altrui, e non potrà certo essere impedito dal farlo dalla non-libertà altrui. Nell’universo non esistono principi giuridici del tipo “chi ha sbagliato paga”, come, d’altra parte, non esiste alcuna verità autoevidente, che s’impone da sé. L’essere umano avrà soltanto la consapevolezza di poter migliorare se stesso, e il primo modo di farlo sarà quello di riconciliarsi col proprio passato, poiché questo, in una dimensione infinita di spazio tempo, gli è sempre presente.

La morte, laicamente

Non è possibile che il bene più prezioso dell’universo, la libertà di coscienza, sia legato a un filo, quello dell’esistenza terrena. Non è logico. Sarebbe uno spreco assurdo di energia, anche se simile a quello cui ci ha abituato l’uomo negli ultimi seimila anni, costruendo e distruggendo le cose con una disinvoltura preoccupante.

La cosa potrebbe avere un qualche senso se gli esseri umani fossero tutti relativamente uguali e solo se fossero facilmente riproducibili in condizioni extraterrestri. La natura però ci ha voluti, ognuno di noi, uniciirripetibili e la nostra generazione, stando alle conoscenze di cui disponiamo, sembra avvenire solo su questo pianeta, anche se non possiamo escludere a priori un qualche intervento esterno, nella fase, per così dire, della “fecondazione”, come avviene in tutti i casi riproduttivi, salvo eccezione (p. es. in certi vermi ermafroditi).

Tuttavia, se c’è stato un qualche intervento esterno, nell’essenza non possiamo considerarlo superiore all’essere umano, come non lo sono i genitori nei confronti del figlio che mettono al mondo.

Un’altra cosa che resta da chiarire è il motivo per cui esiste la morte. In natura la morte è un fenomeno meno ricorrente della vita. Per fortuna non siamo tutti farfalle. Coi nostri occhi vediamo che, in ogni cosa, la morte è soltanto il passaggio da una condizione a un’altra. Tutto è soggetto a perenne trasformazione.

Ci si può chiedere però perché questa cosa avvenga anche nell’essere umano, che è dotato del bene più prezioso dell’universo, la libertà di coscienza, che non è cosa che possa essere sostituita o riciclata. La libertà di coscienza muore con la morte del nostro corpo: non c’è niente, su questa terra, che possa farci pensare il contrario.

La cosa che più ci fa riflettere è il motivo per cui un bene così prezioso, il cui valore è assolutamente inestimabile, abbia un destino legato all’esistenza di una cosa materiale, soggetta a deperimento, come appunto il nostro corpo.

Se possiamo rispondere, guardando la natura, alla domanda “perché si muore”, non riusciamo a farlo quando è in gioco l’esistenza umana. Lo strazio per la morte di una persona che si ama è incolmabile. Questa cosa la si vede persino in molti mammiferi (p. es. negli elefanti).

Per rispondere alla domanda sul perché si muore dovremmo però prima chiederci: perché all’aumentare della consapevolezza della libertà di coscienza diminuisce la forza fisica con cui esercitarla? Ovvero perché la saggezza deve riguardare la persona anziana che di quella saggezza, in un certo senso, non sa che farsene e che magari la baratterebbe volentieri con una migliore prestanza fisica, dimostrando così di non essere affatto una persona “saggia”?

Deve essere esistito un tempo in cui la morte veniva vissuta, anche nell’essere umano, come un fenomeno del tutto naturale, come una vera e propria liberazione dal decadimento fisico. Tuttavia anche questa non è una risposta convincente. Qui ce ne possono essere altre due e dobbiamo andarle a cercare nella mitologia religiosa, che nel tempo ha preceduto la riflessione filosofica.

La prima è questa: probabilmente ai primordi dell’umanità era più netta la percezione o addirittura la consapevolezza che l’esistenza umana non riguardava solo il pianeta terra ma l’intero universo, sicché si avvertiva il decadimento fisico come l’anticamera di una mutazione necessaria (e persino desiderata) da una condizione di vita a un’altra, per cui di fronte alla morte, in definitiva, non ci si angosciava ma ci si rallegrava. Il suicidio poteva essere ammesso solo in presenza di un corpo umano in disfacimento, assolutamente irrecuperabile. E’ sufficiente infatti smettere di nutrirsi.

La seconda risposta può essere questa: probabilmente nel corso dell’evoluzione della nostra specie deve essere accaduto qualcosa che ci ha indotto a considerare un’esistenza temporale limitata come una condizione accettabile da sopportare a fronte di un persistente uso improprio della libertà. Nel senso che nel passato dobbiamo avere avuto consapevolezza della piena legittimità, da parte della natura, di limitare su questa terra il tempo a nostra disposizione. La riduzione cioè sarebbe stata voluta proprio a nostro vantaggio, al fine di limitare al massimo gli errori che si potevano compiere.

Ma anche in questo caso nessuna angoscia, quanto piuttosto consolazione. Non avevamo ancora compiuto uno sbaglio nei confronti del quale non si poteva trovare rimedio.

Entrambe queste risposte – è facile notarlo – ci portano a credere che i nostri più antichi progenitori si sentissero parte dell’intero universo, anche molto tempo prima che allestissero i noti osservatori astronomici.

E’ stato in virtù di questa discrepanza tra percezione dell’infinità della libertà di coscienza e consapevolezza dei limiti organici in cui poterla esercitare, che è nata la religione, una risposta infantile a un problema reale.

Il contenitore e il suo contenuto

La coscienza umana, nella sua assoluta profondità, è insondabile, persino a noi stessi.

La conoscenza che abbiamo delle sue caratteristiche è invece relativa, nel senso che può aumentare o diminuire a seconda delle circostanze, sociali e personali.

Possiamo scoprire in noi degli stati d’animo, dei sentimenti, delle facoltà di scelta grazie non tanto a delle nostre riflessioni personali, quanto piuttosto a delle relazioni sociali.

Sono proprio nelle relazioni sociali che ci aiutano a capire meglio noi stessi: sia che gli altri siano individui positivi, che ci fanno vivere meglio la vita e quindi comprendere meglio le nostre risorse; sia che gli altri siano individui negativi, che ci traggono in inganno e ci fanno compiere azioni che non avremmo dovuto fare e che non avremmo mai pensato di fare. In questo secondo caso dobbiamo essere abbastanza intelligenti da capire in che modo un’esperienza da negativa può diventare positiva.

Le riflessioni personali, introspettive, sono tanto più ricche quanto più profonde sono le relazioni sociali. La controprova di questo è data dal fatto che le persone isolate tendono a ripetere sempre le stesse cose, a fissarsi su determinate idee o abitudini, fino a diventare maniache, ossessive.

Noi non siamo fatti per stare soli, tant’è che quando andiamo a cercare un po’ di pace nella solitudine, ci annoiamo molto presto e abbiamo persino bisogno d’inventarci delle cose da fare, coltivare degli interessi particolari o anche solo degli hobby, con cui far passare il tempo.

Ovviamente una qualunque relazione personale è sottoposta ai condizionamenti oggettivi di una determinata società o, se si preferisce, è delimitata dalle condizioni storiche di una certa epoca.

E’ indubbio, p. es., che la grande capacità tecnologica dei mezzi di comunicazione di massa ha oggi ridotto di molto l’esigenza di avere ampie relazioni sociali. Gli individui, sempre più soli, s’interfacciano col mondo esterno attraverso la mediazione di canali televisivi (che fino a sessant’anni fa erano solo radiofonici e cinematografici).

Oggi addirittura si pensa di ovviare a questa anomalia comportamentale, tipica di tutte le società tecnologicamente avanzate, accedendo alle cosiddette “reti telematiche”, di cui i “social network” rappresentano la quintessenza più significativa. La magia dell’interazione utente, da viversi in tempo reale con persone in capo al mondo, fa illudere enormemente sulla capacità di stabilire effettive relazioni sociali: si finisce col confondere il reale col virtuale.

In ogni caso per una coscienza sociale insondabile come la nostra ci vuole uno spazio adeguato, una comunità di persone che potenzialmente sia infinita. Certo, possiamo accontentarci di vivere in una piccola comunità, che, anche quando piccolissima (come per esempio quella del rapporto di coppia), è sempre meglio della solitudine. Però vogliamo essere sicuri che alla comunità non venga mai negata la possibilità di conoscere nuove persone. Ci piacciono le novità, ci stimolano a riflettere, ampliano i nostri orizzonti cognitivi, le nostre competenze e abilità.

Ora, è evidente che quanto più andiamo in profondità, tanto più la nostra coscienza avverte che lo spazio attorno a sé è insufficiente, come lo avverte il feto, che ad un certo momento si posiziona per uscire.

Ma per una coscienza insondabile, della cui profondità infinita abbiamo sempre più consapevolezza, quale può essere il luogo più adatto per sentirsi adeguata? Cioè per avvertire che le sue possibilità di scelta sono illimitate? Non esiste altro luogo che l’universo, le cui dimensioni geo-fisiche sono per noi del tutto incommensurabili.

L’unico modo in cui un contenuto possa esprimersi in maniera conforme alla propria profondità, o possa comunque sentirsi potenzialmente idoneo a vivere secondo le proprie possibilità, è quello di esistere in un contenitore illimitato per estensione.

La coscienza, in altre parole, ha bisogno di sapere che lo spazio in cui chiede di vivere non ha limiti che essa stessa non si ponga. Le infinite possibilità di relazioni, per costruirsi un’identità, possono essere ridotte a un nulla solo se la coscienza desidera vivere nella solitudine. Nessuno potrà essere impedito dal vivere come un eremita, ma bisognerà comunque metterlo nelle condizioni di non volerlo fare soltanto come forma di protesta, cioè come opposizione individuale a delle relazioni fasulle. Se l’inferno esiste, deve esistere solo per chi lo vuole.

Se questo è possibile, chiunque si rende facilmente conto:

  1. che tra il nostro pianeta e l’universo le differenze non sono di sostanza, ma solo di forma;
  2. che la dimensione umana è l’unica ad essere adeguata all’universo, avendo analoghe caratteristiche;
  3. che la legge fondamentale dell’universo, in grado di sintetizzare tutte le altre, è la libertà di coscienza.