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Holodomor: tra mito e realtà

La guerra in Ucraina e il conseguente mainstream russofobo ci hanno improvvisamente fatto scoprire l’Holodomor, riconosciuto il 26 luglio di quest’anno dal nostro parlamento come il genocidio dei russi contro gli ucraini, fatti morire di fame da Stalin con la collettivizzazione forzata delle campagne e la lotta contro i kulaki, cioè contro i latifondisti[1]. Il 26 luglio sì è concluso così l’iter iniziato a maggio dai parlamentari del PD Fausto Raciti, Andrea Romano e Flavia Nardelli Piccoli, primi firmatari di una mozione per far riconoscere al parlamento l’Holodomor come genocidio stalinista. Mozione basata su studi e approfondimenti di notevole valore, come testimonia la partecipazione del professor Andrea Graziosi nella stesura del testo, che non tiene conto di alcune cose fondamentali[2].

Cerchiamo perciò di capire meglio come stanno in realtà le cose. Che c’entra la Russia con l’Holodomor ucraino? E l’Ucraina per il suo Holodomor è esente da responsabilità e colpe? Tra le narrazioni purtroppo disinvolte e a volte omissive dell’attuale tragedia ucraina si insiste spesso nell’affermare che gli ucraini abbiano ancora oggi del risentimento contro i russi perché nel 1932-33 la politica di industrializzazione e collettivizzazione forzata imposta da Giuseppe Stalin provocò in Ucraina qualche milione di morti per fame: l’Holodomor, appunto, che in ucraino significa “sterminio per fame”[3]. Stalin con la collettivizzazione forzata dell’agricoltura ha ordinato anche l’eliminazione fisica dei kulaki, cioè dei contadini benestanti che avevano alle loro dipendenze altri contadini[4].


La narrativa attuale parla dell’Holodomor come di un vero e proprio genocidio russo ai danni degli ucraini – così come la Shoà è stata il genocidio tedesco degli ebrei e il Samudaripen il genocidio (dimenticato) tedesco degli “zingari”, più correttamente detti romanès (donde il termine rom, oggi usato spesso al posto della parola zingaro ritenuta offensiva)[5]. Le cose però non stanno come le racconta tale narrativa. E anzi nell’Holodomor c’è proprio lo zampino o meglio lo zampone ucraino.

www.glistatigenerali.com/partiti-politici_storia-cultura/holodomor-ucraino-tra-mito-e-realta/

1) – La vera vergogna è che l’Europa tollera tutte le atrocità di Israele. E che gli Usa vi si inchinano. 2) – Il Family Day

Il rabbino capo Shmuel Eliyahu ha scritto su Facebook, martedì 19 gennaio, che i palestinesi dovrebbero essere giustiziati per garantire la sicurezza di Israele.

“L’esercito israeliano dovrebbe smettere di arrestare i palestinesi”, ha scritto sulla sua pagina Facebook, “ma dovrebbe giustiziarli e non lasciare alcun superstite”.
Secondo il PNN, Eliyahu è famoso per il suo atteggiamento razzista e per le sue affermazioni controverse sugli arabi e sui musulmani. E’ stato chiamato dal governo per condurre una campagna ufficiale e di rappresaglia contro gli arabi per, nelle sue parole, “restaurare la forza deterrente di Israele.”
Il rabbino della città di Safed, estrema destra, assetato di sangue, membro del principale concilio dei rabbini, ha anche dichiarato che i palestinesi sono il nemico dello Stato di Israele e che “devono essere distrutti e schiacciati per mettere fine alle violenze”.
Nel 2007, secondo il Jerusalem Post, Eliyah aveva affermato che “se non si fermano dopo che ne avremo uccisi 100, bene ne uccideremo 1000. E se non si fermano dopo questi 1000, ne dovremo uccidere 10.000. Se nemmeno allora si fermeranno, ne uccideremo 100.000, persino un milione”.
Nel 2012 Eliyahu era stato contestato per queste sue affermazioni razziste, tra le quali queste, riportate dai quotidiani nazionali israeliani: “La cultura araba è molto violenta” e “Gli arabi si comportano secondo vari codici e norme violente che sono poi sfociate in un’ ideologia”.
Il rabbino avrebbe dichiarato che esempi di questa nuova “ideologia” araba includono ora rubare attrezzature agricole agli ebrei e ricattare i contadini per la protezione contro i furti. Egli avrebbe apparentemente anche detto che “nel momento in cui si lascia spazio per gli arabi, tra gli ebrei, già cinque minuti prima questi incominciano a fare quello che vogliono”. Il ministero della Giustizia ha lasciato cadere le accuse perché “le affermazioni potrebbero essere state alterate dai giornalisti”.
Il Jerusalem Post lo ha citato nella sua affermazione: “Dovremmo farli vivere per poi lasciarli liberi e offrire così un altro gesto a favore un altro presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas? Il fatto che essi ancora bramino di commettere attacchi terroristici mostra che noi non stiamo agendo con abbastanza forza”.
Per rincarare la dose a proposito della sua fatwa Eliyahu ha scritto, sulla sua pagina Facebook, che “gli ufficiali di polizia israeliani che permettono ai palestinesi di rimanere in vita dovrebbero essere giudicati anche’essi”.
Ha proseguito dicendo: “Non possiamo permettere a un palestinese di sopravvivere dopo che è stato arrestato. Se lo si lascia vivo, rimane la possibilità che questo venga rilasciato e uccida altre persone. Dobbiamo estirpare questo male dall’interno della nostra società”.
Traduzione di Marta Bettenzoli

http://www.infopal.it/rabbino-israeliano-lancia-un-appello-per-giustiziare-i-palestinesi/

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Sì, Israele sta commettendo esecuzioni extragiudiziarie

Di Gideon Levy – Haaretz – 17 gennaio 2016
Potremmo dirlo così: Israele giustizia persone senza processo praticamente ogni giorno. Ogni altra definizione sarebbe una menzogna. Se una volta c’era qui una discussione sulla pena di morte per i terroristi, ora sono giustiziati anche senza processo (e senza che se ne discuta). Se una volta c’era un dibattito sulle regole d’ingaggio, oggi è chiaro: spariamo per uccidere ogni palestinese sospetto.
Il ministro della Sicurezza Pubblica, Gilad Erdan, ha illustrato chiaramente la situazione quando ha detto: “Ogni terrorista deve sapere che non sopravviverà all’attacco che sta per compiere,” e praticamente tutti i politici lo hanno seguito con nauseabonda unanimità, da Yair Lapid [fondatore del partito di centro “Yesh Atid” (C’è un futuro). Ndtr.] in su. Non erano mai stati rilasciati tante licenze di uccidere, né il dito era stato così nervoso sul grilletto.
Nel 2016, non c’è bisogno di essere Adolf Eichmann [criminale nazista rapito in Argentina, processato e giustiziato in Israele. Ndtr.] per essere giustiziati, basta essere un’adolescente palestinese con delle forbici. I plotoni d’esecuzione sono attivi ogni giorno. Soldati, poliziotti e civili sparano a quelli che hanno accoltellato israeliani, o hanno cercato di farlo o sono sospettati di averlo fatto, e anche a coloro che hanno investito israeliani con la loro auto o sembra che lo abbiano fatto.
In molti casi, non c’era bisogno di sparare, e sicuramente non di uccidere. Nella maggior parte dei casi la vita di chi ha sparato non era in pericolo. Sparano per uccidere persone che avevano un coltello o persino forbici, o gente che ha semplicemente messo le mani in tasca o ha perso il controllo della propria auto.
Li uccidono indiscriminatamente – donne, uomini, ragazzine, ragazzini. Gli sparano mentre stanno fermi, ed anche quando non sono più pericolosi. Sparano per uccidere, per punire, per sfogare la propria rabbia e per vendicarsi. Qui c’è un tale disprezzo che questi incidenti sono a malapena raccontati dai media.
Sabato scorso [16 gennaio 2016] al checkpoint di Beka’ot (chiamato Hamra dai palestinesi), nella valle del Giordano, alcuni soldati hanno ucciso l’uomo d’affari Said Abu al-Wafa , di 35 anni, padre di 4 figli, con 11 pallottole. Contemporaneamente, hanno ucciso anche Ali Abu Maryam, un bracciante agricolo e studente di 21 anni, con tre pallottole. L’esercito israeliano non ha spiegato le ragioni dell’uccisione dei due uomini, salvo sostenere che c’era il sospetto che qualcuno avesse sfoderato un coltello. Ci sono delle telecamere di sicurezza sul posto, ma l’esercito israeliano non ha mostrato il filmato dell’incidente.
Il mese scorso altri soldati dell’IDF hanno ucciso Nashat Asfur, padre di tre figli che lavorava in un mattatoio israeliano per polli. Gli hanno sparato nel suo villaggio, Sinjil, dalla distanza di 150 metri, mentre stava camminando verso casa per un matrimonio. All’inizio di questo mese, Mahdia Hammad, quarantenne madre di 4 figli, stava guidando verso casa attraverso il suo villaggio, Silwad. Ufficiali della polizia di frontiera hanno crivellato la sua macchina con dozzine di proiettili dopo aver sospettato che volesse investirli.
I soldati non hanno avuto sospetti di nessun genere sulla studentessa di cosmetologia Samah Abdallah, 18 anni. Hanno sparato all’auto di suo padre “per sbaglio”, uccidendola; hanno sospettato il pedone sedicenne Alaa al-Hashash di volerli accoltellare. Ovviamente hanno giustiziato anche lui.
Hanno ucciso anche Ashrakat Qattanani, 16 anni, che aveva un coltello e inseguiva una donna israeliana. Prima un colono l’ha investita con la sua macchina, e quando era a terra ferita, soldati e coloni le hanno sparato per almeno quattro volte. Un’esecuzione, cos’altro?
E quando i soldati hanno sparato alla schiena a Lafi Awad, 20 anni, mentre stava scappando dopo aver lanciato delle pietre, non si è trattato di un’esecuzione?
Sono solo alcuni dei casi che ho documentato nelle scorse settimane su Haaretz. Il sito web dell’associazione [israeliana] per i diritti umani B’tselem presenta un elenco di altri 12 casi di esecuzioni.
Margot Wallström, ministra degli Esteri svedese, una dei pochi ministri al mondo che hanno ancora una coscienza, ha chiesto che si indaghi su queste uccisioni. Non c’è una richiesta più morale di questa. Avrebbe dovuto essere fatta dal nostro stesso ministro della Giustizia.
Israele ha risposto con i suoi soliti ululati. Il primo ministro ha detto che ciò era “oltraggioso, immorale e ingiusto”. e Benjamin Netanyahu comprende bene questi termini: è esattamente il modo in cui descrivere la campagna di esecuzioni criminali da parte di Israele sotto la sua guida.
(traduzione di Amedeo Rossi)

Gideon Levy : Yes, Israel Is Executing Palestinians Without Trial

http://frammentivocalimo.blogspot.it/2016/01/gideon-levy-si-israele-sta-giustiziando.html

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http://frammentivocalimo.blogspot.it/2016/01/gideon-levy-loccupazione-israeliana.html

Sintesi personale

DUBLINO – La permanenza in America ha reso Michael Sfard ottimista : “Un giorno l’occupazione finirà” ha scritto in un toccante articolo

Ha descritto come l’occupazione crollerà in un brevissimo lasso di tempo, come Israele cambierà bruscamente, come improvvisamente tutti diranno che erano sempre stati contro l’occupazione. La sua descrizione accende l’immaginazione, infonde speranza, tonifica e ci stimola a continuare la lotta.

E ‘successo in Sud Africa, nell’ Unione Sovietica e a Berlino E ‘così piacevole da leggere Sfard da essere tentati di credergli e ,conseguentmente, è così difficile essere un guastafeste.

Eppure ci sono alcuni fattori che potrebbero determinare il prolungamento dell’ occupazione israeliana , forse non per sempre, ma sicuramente molto più a lungo di quanto Sfard speri . Osservi Michael ciò che sta accadendo qui : una ragazza di 13 anni con un coltello viene giustiziata tra le acclamazioni della folla o con silenzio passivo
Nessuno ha predetto la fine dell’apartheid in Sud Africa, ma l’ apartheid non ha mai avuto forti alleati e finanziatori generosi come l’apartheid israeliana nei territori ha. Non c’era un presidente americano che ha tenuto un discorso nell’ ambasciata israeliana a Washington, un atto imbarazzante di adulazione a uno Stato che non ha mai ascoltato il suo consiglio e a un ambasciatore che non ha fatto altro che minarne il prestigio .

Non c’è nessuno stato al mondo che oserebbe agire in quel modo verso un potere globale Eppure Barack Obama continua a piegarsi ad Israele. Questo non è certamente il modo per porre fine all’occupazione.

Quando in Francia passa una legge che vieta il boicottaggio di Israele, è assolutamente chiaro che l’occupazione è qui per rimanere . Israele non ha mai inteso terminarla . Il mondo continuerà a utilizzare misure come la marcatura dei prodotti provenienti dagli insediamenti, ma a fornire armi e a supportare l’occupazione . Con questo tipo di comportamento l’occupazione non finirà

A differenza di Israele il Sudafrica non aveva un prigioniero come l’ America, né il senso di colpa dell’ ‘Europa. Così è stato possibile organizzare una campagna di sanzioni in tutto il mondo che alla fine hanno portato al crollo del suo regime. Ci possono essere differenze di opinioni sul piano internazionale , ma i media e i politici hanno ancora molta paura d’Israele per motivi non chiari.

Contro l’abominio del Sud Africa vi sono state figure esemplari : Nelson Mandela, neri e bianchi, tra cui non pochi ebrei . Israele è troppo forte e i palestinesi sono troppo deboli e divisi. A volte, sembra che la loro leadership abbia già rinunciato . Questo non contribuirà alla fine della occupazione.

La società israeliana sta galoppando verso l’estremo opposto. Con il suo sciovinismo e razzismo radicato, la sua vita vissuta nella negazione , nelle bugie e nel lavaggio del cervello, come si può prevedere che Israele si risvegli dal suo sonno? Perché dovrebbe? Si può continuare con l’occupazione fino a quando ciò gli aggrada , quindi perché dovrebbe porre fine ad essa? Chi si preoccupa dei palestinesi? E a chi interessa ciò che il mondo antisemita e gli odiatori di Israele pensano. . Non ci sono segni di speranza, interni o esterni, caro Michele.

Scrivo queste righe nella mia camera d’albergo a Dublino, di fronte al General Post Office, dove è iniziata la lotta per l’indipendenza 100 anni fa. Ci sono voluti 750 anni per eliminare l’occupazione britannica, molto meno brutale e feroce di quella israeliana.

Gideon Levy : Don’t Celebrate the Israeli Occupation’s Impending Demise Just Yet

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UNA AGGIUNTA SUL FAMILY DAY

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Germania ingrata verso la Grecia, che nel 1953 contribuì a salvarla dal debito pubblico

Paolo Raimondi* Mario Lettieri**

Dopo le elezioni politiche, da Atene è partita la proposta di una “conferenza europea sul debito”. Ciò sta determinando un ampio dibattito in tutto il vecchio continente. La Bce di Draghi e la Commissione europea non possono ignorarla. I fautori del rigore fiscale e dell’austerità senza crescita e senza sviluppo dovranno rivedere il loro approccio.

L’Unione Europea e l’eurogruppo sono di fronte a decisioni che sollecitano profondi cambiamenti di metodo e di politica economica.

La Grecia ha un debito pubblico di 310 miliardi di euro pari a circa il 175% del suo pil. Prima del 2007 era dell’89%. Nella zona euro era del 66% prima della crisi finanziaria globale, oggi si aggira intorno al 93%.

Negli anni passati per salvarsi dalla bancarotta Atene ha chiesto e ricevuto dalla Ue e dal Fondo Monetario Internazionale due bailout per 240 miliardi di euro. In cambio ha dovuto sottoporsi ad una “terapia shock” fatta di tagli dei budget statali, di drastiche riduzioni delle spese pubbliche e di aumenti delle tasse richiesti e imposti dalla Troika.

Di conseguenza oggi l’economia greca è in ginocchio. Dopo 6 anni di compressione economica, gli investimenti sono stati ridotti del 63,5%, la sua produzione industriale è scesa di un terzo, il pil si è ridotto del 26%. La disoccupazione è salita a oltre il 25% della forza lavoro e quella giovanile al 62%.

D’altra parte è noto che dei 240 miliardi di “aiuti” (l’Italia vi ha contribuito con 41 miliardi di euro) solo il 10% è andato a sostegno della spesa pubblica o del reddito dei cittadini greci. Il resto di fatto è stato una partita di giro. Sono stati acquistati titoli di stato greco detenuti dalle grandi banche private europee ed internazionali che premevano per disfarsene, minacciando quindi di accelerare il processo di bancarotta dello Stato. E una parte è andata a pagare gli interessi sul debito pubblico cresciuti a dismisura.

In una simile situazione la cosiddetta ripresa economica non ci può essere, è uccisa ancora prima di iniziare. Riteniamo che sia una scelta suicida sia per Atene che per Bruxelles.

Perciò la richiesta della ristrutturazione del debito greco all’interno di una specifica conferenza europea sul debito è l’unica mossa razionale possibile che va ben al di là del colore politico del governo pro tempore. Infatti la Spagna, l’Irlanda e il Portogallo mostrano un grande interesse per tale proposta. Pensiamo che lo debba fare anche il nostro Paese.

Anche importanti analisti economici di differenti scuole di pensiero economico, e persino il Financial Times, giudicano la politica europea nei confronti della Grecia completamente fallimentare. Osservano che se fossero concessi nuovi aiuti finanziari, indispensabili per tenere in vita lo Stato e il debito della Grecia, e fossero usati come nel passato, l’economia e la società comunque sprofonderebbero nella palude della depressione.

La Bce sta già acquistando titoli di stato dei Paesi europei nella prospettiva di creare maggiore liquidità per nuovi investimenti nell’economia reale. La stessa banca inoltre potrebbe acquistare sui secondary bond market, i cosiddetti mercati obbligazionari secondari, titoli di stato, detenuti dai privati, della Grecia e non solo. Naturalmente ciò comporterebbe una rivoluzione copernicana sia nella Bce che nell’Ue in quanto si potrebbe unilateralmente rinviare indefinitamente le scadenze di tali titoli mantenendo tassi di interesse irrisori.

In sintesi Atene chiede un trattamento non dissimile a quello concesso alla Germania dopo la Seconda Guerra mondiale. Lo si decise alla Conferenza di Londra del 1953 che fu guidata dagli Stati Uniti e coinvolse 20 nazioni, tra cui la Grecia. Alla Germania fu concessa la cancellazione del 50% del debito accumulato dopo le due guerre mondiali e l’estensione per almeno 30 anni del periodo di ripagamento del restante.

Inoltre dal 1953 al 1958 la Germania avrebbe pagato soltanto gli interessi sul debito. Fu concordato in particolare che tali pagamenti non superassero il 5% del surplus commerciale della Germania.

Tale accordo permise all’economia tedesca di ripartire. Il Piano Marshall di sostegni economici fu poi determinate per lo sviluppo dell’economia. Molti Paesi creditori furono interessati a sostenere l’export della Germania permettendole così di pagare i debiti e gli interessi. Naturalmente l’allora geopolitica, che assegnava alla Germania il ruolo di baluardo nei confronti dell’Unione Sovietica, fu decisiva.

E’ importante sottolineare che l’Accordo del 1953 affermava di voler “rimuovere gli ostacoli alle normali relazioni economiche delle Germania Federale con gli altri Paesi e quindi di dare un contributo allo sviluppo di una prosperosa comunità di nazioni”. Un concetto che meriterebbe di essere proposto anche oggi per l’intera Europa.

* economista ** già deputato e sottosegretario all’Economia

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[Pubblicato come interfvista su Blitz: http://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/germania-nel-1953-ebbe-dalla-grecia-laiuto-che-oggi-le-nega-2104374/ ]

 

A proposito di sbarco in Normandia e Seconda Guerra Mondiale: la raccapricciante ferocia di vincitori, vinti e sopravvissuti

http://www.europaorientale.net/sir_liberatori.htm Ovvero, “chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Che anche in questo caso nessuno potrebbe scagliare.

Interessante il passo dove si ipotizza che i bombardamenti incendiari terroristici sulle città tedesche erano un monito di Churchill all’Unione Sovietica. Che da quel tipo di bombardamenti avrebbe subìto danni ancora più atroci a causa dell’infinità di case in legno, come in effetti è capitato al Giappone prima dell’Olocausto Nucleare di Hiroshima e Nagasaki.

Dall’analisi dei fatti appare chiaro che gli inglesi se avessero avuto le atomiche le avrebbero sicuramente sganciate sulla Germania, oltre che sulla Russia in caso di immediata prosecuzione della guerra contro l’Unione Sovietica. Idem per quanto riguarda gli Usa nei confronti della stessa Russia se la guerra fosse proseguita contro quella che al momento era un’alleata contro l’asse Roma-Berlino-Tokio.

E per le bombe atomiche, 24 mila euro a testa a Enrico Fermi e agli altri “ragazzi di via Panisperna”.

Brevetto numero 324458 per produrre sostanze radioattive sottoponendole in particolare a flussi di neutroni rallentati con urti multipli, brevetto registrato il 26 ottobre 1935 a Roma presso lo Studio Laboccetta, ed esteso poi ad altri Paesi: la storia dei reattori atomici, della bomba A, cioè atomica, nonché quindi delle bombe H all’idrogeno e delle bombe N a neutroni, comincia da qual brevetto, la cui storia è davvero avventurosa oltre che lunga. Registrato a nome di Enrico Fermi, Edoardo  Amaldi, Bruno Pontecorvo, Franco Rasetti ed Emilio Segrè, i più attivi tra i “ragazzi di via Panisperna”, come vennero chiamati una volta famosi perché in quella via, nell’attuale numero civico 89,  c’era l’Istituto di Fisica dell’Università, dove Fermi all’età di soli 27 anni s’era guadagnato la cattedra di fisica teorica. Dell’istituto oggi in quella strada e non solo in quel numero civico s’è persa anche la memoria. Poiché la loro scoperta brevettata aveva permesso agli Stati Uniti di costruire le prime bombe atomiche e di usarle vittoriosamente contro i giapponesi nella seconda guerra mondiale, i “ragazzi” intentarono causa al governo degli Stati Uniti per vedersi riconoscere dei diritti, e di conseguenza dei quattrini.

La casa durò anni, in piena guerra fredda con l’ormai scomparsa Unione Sovietica, si concluse nel 1953 e fruttò agli ex di via Panisperna la bella cifra di 400.000 dollari  dell’epoca: pari a un bel pacco di milioni di euro di oggi, diciamo tra i 15 e i 20.

E’ una storia che vale la pena conoscere, visto anche che ormai si parla di bombe atomiche spesso a sproposito, come fossero noccioline o grossi petardi…. Continua a leggere

Attacco aereo di Israele all’Iran? Tecnicamente impossibile: può servire solo a voler costringere gli Usa a intervenire militarmente

Le guerre peggiori scoppiano d’estate. Forse perché il gran caldo fa impazzire non solo le menti deboli. La prima guerra mondiale iniziò il 28 luglio, la seconda il 1° settembre, l’invasione israeliana del Libano che portò alla mattanza di Sabra e Chatila scattò il 6 giugno. Sta dunque per esplodere anche la guerra di Israele contro l’Iran? Quasi tutti lo danno per certo. Netanyahu, Barak, Lieberman e il loro rabbino di riferimento Josef Ovadia, che prega per “la distruzione dell’Iran”, forse hanno tutte le rotelle a posto, ma sono spinti da uno zelo politico “religioso” (!) tipico dei fanatici pericolosi sotto ogni cielo. E in effetti il governo israeliano sta costruendo caparbiamente la legittimità morale della sua guerra contro Teheran senza tenere in conto – almeno in apparenza – neppure i sondaggi che dimostrano come la gran parte degli israeliani sia contro questa nuova guerra: 42% di no contro il 32 di sì, il resto è incerto. Se poi si dovesse tener presente il parere dei palestinesi che di fatto vivono insaccati in enclave interne a Israele, pari a 2,1 milioni di persone, e quello degli arabi con cittadinanza israeliana, il 20% della popolazione israeliana, pari a quasi un altro milione e mezzo di persone, ecco che quel 42% schizzerebbe molto più in alto. Ma in Israele i non ebrei non hanno molta voce. E la stampa è impegnata a suonare la grancassa a favore del governo  in modo da coprire o diluire le voci critiche. Eccone un buon campionario, scelto non da me, ma da chi è per Israele senza se e senza ma, sempre e comunque, e come se non bastasse spinge anche per la guerra all’Iran: http://www.israele.net/articolo,3513.htm .

Senza contare l’atteggiamento di parte di alcune comunità all’estero, come quella che in Italia si riconosce nella linea isterica di  Informazione Corretta, il cui motto è in pratica l’allucinante e allucinato “Armiamoci e partite”, con la strana pretesa di insegnare agli israeliani cosa devono fare e di spingerli alla guerra restandosene però loro comodamente al calduccio e al sicuro in Italia e altrove lontano da Israele. Continua a leggere

Siria, primo atto dell’assedio geopolitico all’Iran. I documenti Usa però parlano chiaro: NON si tratta di difendere la democrazia, ma solo “gli interessi americani in Medio Oriente”.

Il salto di qualità dell’appoggio dell’Occidente ai ribelli siriani è avvenuto non solo e non tanto con la recente decisione europea, Italia compresa, di un più deciso appoggio militare quanto con la decisione Usa di fornire loro missili terra aria, in grado cioè di colpire qualunque velivolo. Si tratta della stessa decisione che a suo tempo presero gli Usa di fornire i micidiali Stinger terra aria per mettere in grado i ribelli afgani di colpire gli aerei e gli elicotteri sovietici, segnando così il punto di svolta che permise la vittoria dei talebani appoggiati da tempo i tutti i modi da Washington. Per fare un paragone dei nostri tempi: se qualcuno  fornisse gli Stinger o i loro equivalenti non made in Usa ai palestinesi, Israele non potrebbe più bombardare Gaza con l’aeronautica. Continua a leggere

Non c’è bisogno di Spatuzza. E neppure di aspettare Godot. In un Paese civile per cacciare Berlusconi basta e avanza il tentativo nel suo primo governo di far diventare ministro della Giustizia il suo avvocato personale usato per corrompere magistrati: Cesare Previti. Che la Cassazione ha condannato in via definitiva scrivendo chiaro e tondo che la sentenza scippa Mondadori l’ha comprata in combutta con Berlusconi. Caso Boffo: Feltri ammette che avevo ragione io. Il grande “No Berlusconi Day”: opera della e-generation e del popolo del web che già a novembre dell’anno scorso ho definito come inevitabili e sottovalutati scavatori della fossa per il Cavaliere e il suo impero mediatico

“L’enorme afflusso di gente alla manifestazione per la libertà di informazione dimostra che urge una manifestazione nazionale contro il governo Berlusconi e il suo capo. Che politicamente, oltre che moralmente, somiglia ormai a un cadavere”. E’ il titolo della puntata del 3 ottobre (  http://www.pinonicotri.it/?p=1413 ), scritta al ritorno dalla grande manifestazione di Roma contro i continui attacchi al giornalismo e quindi alla libertà di stampa e alla qualità della democrazia.  Siamo stati i primi a far notare che una manifestazione nazionale contro Berlusconi e il suo governo, andata finalmente in porto il 5 dicembre, era ormai inderogabile. Piano piano se ne sono resi conto anche tutti coloro che l’hanno miracolosamente messa in piedi, organizzata materialmente e portata a buon fine, vale a dire gli altri grilli parlanti “fuori gioco” come me, ossia l’anonimo popolo del web, dei blog, dei social network  e di Facebook, la e-generation che non ha accesso alla tv e alla grande stampa e non conta nulla nei partiti. Salvo essere da questi corteggiati come portaborracce, esattamente come a suo tempo sono stati corteggiati il movimento studentesco, gli extraparlamentari, il movimento femminista, ecc., prima di essere presi a bastonate perché irriducibili al mercato della vacche che dài oggi e dài domani ha portato il parlamento e l’Italia intera nella morta gora nella quale galleggiamo annaspando sempre di più. Il ruolo di questa e-generation come scavatori della fossa per Fininvest-Mediaset e Berlusconi lo avevo già previsto e scritto in una puntata del blog nel novembre dell’anno scorso, come ho voluto ricordare nel Post Scriptum numero 2 in fondo a questa puntata.

Come è noto, Berlusconi in 15 anni si è fatto confezionare 18 leggi su misura per proteggere i propri interessi, non sempre trasparenti, e proteggere se stesso dalla giustizia, e ora tenta disperatamente con la 19esima: sepolto il lodo Alfano ci riprova con il “processo breve” oppure con la non processabilità del capo del governo finché è in carica oppure con qualche altra trovata dei suoi servitori in livrea doppia, di ministro della Repubblica italiana, che in tale veste è tenuto a fare gli interessi dell’Italia intera, e di avvocato del Signore d’Arcore, veste nella quale  in cambio di grasse parcelle si acconciano alle invenzioni di leggi e ai tentativi di altre leggi sempre più indecorosi in nome degli interessi privati del loro straricco cliente spacciati impudicamente per interesse generale. Mi chiedo se il cosiddetto ministro della Giustizia Angelino Alfano si faccia la barba ogni mattina, e se quando si rade si guarda allo specchio. Continua a leggere

Inopportuna e sbagliata la sortita di Napolitano. Bill Clinton, presidente degli Usa eletto dal popolo, ha dovuto non solo rispondere al magistrato, ma perfino far controllare le fattezze del suo “coso”, pena la cacciata dalla Casa Bianca. Perciò è una balla che Berlusconi – peraltro eletto sì, ma NON dal popolo – non è tenuto a rispondere ai magistrati e che questi sono “eversivi”. Ma il nostro ormai è lo Strapaese delle nullità politiche ipocrite in puro stile Carfagna/Marrazzo

L’intervento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per sollecitare nell’interesse nazionale una minore tensione tra la magistratura e il governo è quanto mai fuori luogo e ha dato la stura al solito balletto delle ipocrisie nazionali. Per prima cosa c’è da dire che non ci sono magistrati che ce l’hanno col governo o che indagano su di esso, ci sono solo magistrati che a norma di legge devono completare alcuni iter processuali riguardanti solo Silvio Berlusconi e i suoi più stretti sodali. La trovata di Napolitano equivale a dire che i giudici della Consulta, cioè della Corte Costituzionale!, ce l’hanno con il governo o con  Berlusconi solo perché hanno osato emettere una sentenza su una legge chiaramente illegale perché chiaramente incostituzionale, che Napolitano semmai non avrebbe neppure dovuto promulgare.

Sgomberiamo il campo dagli equivoci e dalle cazzate con un esempio che moooolto stranamente nessuno ricorda, in queste ore, neppure a sinistra. A suo tempo il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton dovette sottomettersi non solo a interrogatori stringenti da parte di un giudice appositamente nominato per torchiarlo sulle fellatio e sveltine con la stagista Monica Lewinsky, ma anche a una visita medica nudo come un verme per permettere di verificare se avesse davvero il “coso” come lo aveva descritto un’altra sua ex amante, vale a dire non diritto come quasi tutti i maschietti, ma abbastanza piegato (si spera verso l’alto e non verso il basso…). Da notare che Clinton non era impegnato solo in orge e gag di pessimo gusto con gli altri capi di Stato e di governo, ma anche in una guerra e aveva tra l’altro la responsabilità, in quanto capo anche delle forze armate Usa, di varie migliaia di bombe atomiche. Eppure ha dovuto calare letteralmente le brache, e le mutande, e mostrare come mamma  lo aveva fatto, “attrezzo” compreso. Continua a leggere

Il muro di Berlino è crollato, l’ipocrisia e il doppiopesismo invece no. Mentre Berlusconi trasforma sempre più l’Italia in una repubblica della banane, uno dei principali responsabili del suo successo, Uòlter Veltroni, scrive romanzi buonisti continuando a ignorare la realtà. E i propri giganteschi errori

Trovo francamente strano che si festeggi la caduta del muro di Berlino senza spendere neppure una parola sul fatto che esiste il Muro della Palestina. I politici più coraggiosi si sono spinti a dire che “nel mondo esistono però altri muri che un giorno si spera vengano abbattuti”, ma nessuno – ripeto: nessuno – ha nominato il Muro della Palestina. Mi si dirà che sono due cose molto differenti, non paragonabili tra loro. E’ vero. Ma solo fino a un certo punto. Vediamo perché.
Israele ha imposto e costruito il Muro con la motivazione che era necessario come filtro per arginare gli attentati dei palestinesi, diventati troppo facili a causa della loro libertà di movimento, per quanto già ben lontana da essere comunque priva di filtri come le centinaia di i check point. La Germania Est aveva costruito il Muro con pretesti simili: non si trattava di attentati con bombe, ma comunque di attentato alla sua integrità da parte della Germania Ovest tramite le lusinghe di una migliore tenore di vita e di una maggiore libertà di movimento, lusinghe che spingevano molti tedeschi dell’Est a fuggire all’Ovest. Insomma, ognuno accampa le sue ragioni. Nel caso della Germania Est c’è però da aggiungere che  la faccenda era complicata dal fatto che l’Unione Sovietica e la Russia erano state invase dall’Occidente almeno due volte, prima da Napoleone e poi dalla Germania nazista. Entrambe le invasioni sono state devastanti, ma la seconda in particolare ha massacrato almeno 20 milioni di russi (pari a quasi quattro Shoà) e distrutto l’80% dell’apparato produttivo sovietico.
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Berlusconi è andato da Putin per farsi dare documenti su Giorgio Napolitano dell’epoca in cui esistevano il Pcus, l’Urss e il Kgb?

Uso il punto interrogativo SOLO perché sono una persona educata e prudente, ma non riesco a crederci. Mi è stato detto che il misterioso e improvviso viaggio di Silvio Berlsuconi in Russia dall’amico Putin aveva uno scopo ben preciso: prendere visione – e farne copia – dei documenti esistenti nei capaci archivi russi sul nostro attuale presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per il periodo in cui lui era comunista ed esistavano ancora l’Urss, cioè l’Unione Sovietica, il Pcus, cioè il Partito comunista sovietico, e il Kgb, cioè gli invasivi servizi segreti dell’Unione Sovietica.

In Italia c’è già stato il tentativo di travolgere molti dirigenti e giornalisti comunisti italiani per mezzo del famoso “rapporto Mitrokhin”, dal nome dell’agente del Kgb che per anni copiò pazientemente documenti segreti per poi venderli all’Inghilterra. Il contenuto del “rapporto Mitrokhin” provocò, tra l’altro, la creazione di una apposita commissione parlamentare che cercasse di capire cosa ci fosse di vero. Alla fine la montagna partorì il topolino, e tutto finì italianamente a tarallucci e vino.

Se è vero che Berlusconi è volato dall’amico Putin per procurarsi direttamente dagli archivi ex sovietici documenti, che si presume non si riferiscano ad attività da suffragette o di carità alla S. Vincenzo, riguardanti Giorgio Napolitano e magari anche qualche ancora attuale big ex comunista di ciò che sopravvive della sinistra, allora è possibile che stiamo per assistere a scossoni molto più violenti del caso Boffo e del caso Marrazzo messi assieme e moltiplicati per cento. Un caso Boffo e Marrazo al Quirinale, e per motivi ben diversi da quelli da quattro soldi che hanno travolto l’ex direttore de L’Avvenire d’Italia e l’ancora per poco governatore del Lazio? Da un ex direttore del quotidiano dei vescovi italiani e da un prossimo ex governatore del Lazio si sta per passare a un ex presidente della Repubblica italiana? O ci saranno “solo” manovre e pressioni silenziose, che qualche cinico irriverente forse chiamerebbe ricatti inconfessabili? Magari per evitare altri “tradimenti” di Napolitano come quello denunciato in televisione, alla Rai, da Berlusconi in persona  riguardo le mancate pressioni sulla Corte costituzionale per farle approvare l’indecente Lodo Alfano?

Temo che la politica italiana stia per vivere una stagione ancor più fogniaria di quella che già sta vivendo da troppi anni. E che l’inverno in arrivo sarà molto ma molto freddo. Un inverno….. russo. Scaldato dal gas graziosamente concesso dal caro Putin…

Termino perciò ponendo a Silvio Berlusconi un’altra domanda, una sola, rinunciando per ora alle altre due o tre che ho sulla punta della lingua:

“Egregio signor primo ministro, può dirci per cortesia se è vero quanto alcune malelingue mi hanno ventilato, e cioè che lei è volato improvvisamente in Russia, accampando un torcicolo e bidonando anche il re e la regina di Giordania, per farsi regalare dal caro amico Putin documenti dei servizi segreti dell’era sovietica sul nostro attuale presidente della Repubblica? Vale a dire, sull’ex dirigente del Partito comunista italiano Giorgio Napolitano”.

Certi che lei non risponderà, e in attesa di nuove imprese di Vittorio Feltri, le ricordiamo un noto proverbio: “Chi tace acconsente”.