Articoli

I limiti della Terza ricerca su Gesù

A

Dai tempi “illuministici” del linguista tedesco Reimarus, che ha inaugurato la moderna esegesi critica del Nuovo Testamento, ad oggi tutti gli esegeti sono stati inseriti in tre grandi raggruppamenti: quelli della Prima, della Seconda e della Terza ricerca. Quest’ultima, iniziata nel 1985, è tuttora presente e ben rappresentata. Viene detta anche “giudaica post-moderna”, in quanto si stanno recuperando le origini semitiche di Gesù, ovvero il significato dell’ambiente in cui viveva, con tutte le sue tradizioni, i suoi valori ecc.: cosa che si era scarsamente fatta nelle precedenti Ricerche.

Ora, cerchiamo di partire da una tesi di fondo che potrebbe valere come presupposto ermeneutico per interpretare proprio questa “Terza ricerca” sui vangeli: Se si sottolinea troppo l’ebraicità del Cristo, si finisce col non comprendere il motivo per cui l’hanno condannato a morte.

Gesù era un ebreo al 100 per cento? Sì, ma in che senso? Di sicuro non lo era come gli esseni, poiché non si accontentò della pratica battesimale del Battista, e ancor meno scelse un luogo semidesertico ove predicare (in quei luoghi remoti lo vediamo rifugiarsi solo per evitare linciaggi e mandati di cattura). Non era ebreo neppure come i sadducei, poiché non sopportava la loro gestione corrotta del Tempio e il loro collaborazionismo con l’occupante romano. Non lo era neppure come gli zeloti, poiché non accettava i metodi terroristici, le concezioni integralistiche della fede, il gretto nazionalismo e l’avventurismo politico-conflittuale (rifiutò l’invito dei cinquemila Galilei che volevano farlo entrare con la forza di un sovrano assoluto a Gerusalemme e, per di più, senza il consenso dei Giudei). Non lo era neppure come i farisei, dei quali non condivideva il rispetto maniacale delle regole di purità legale e l’idolatria del sabato, e tanto meno la convinzione di potersi opporre efficacemente al dominio romano limitandosi a restare tenacemente attaccati alle tradizioni del passato. Cercò a più riprese alleanze con loro per scardinare il potere dei sadducei e cacciare i Romani dalla Palestina, ma siccome i farisei anteponevano l’ideologia alla politica, non riuscì mai a trovarle.

Dunque, in che senso Gesù può essere considerato un ebreo? Bastava forse essere circoncisi per dimostrare d’essere ebrei? Bastava forse parlare bene l’aramaico, senza avere la pronuncia rozza dei Galilei? Non è forse vero che dalle sinagoghe veniva regolarmente espulso, tanto che, ad un certo punto, non vi poté più entrare? Non lo si vede mai pregare (le sue preghiere sono tutte post-pasquali) né compiere sacrifici al Tempio, dove al massimo si recava per predicare temi eversivi alle folle. Quando partecipava alle feste di precetto, lo faceva per discutere di politica, non per amministrare un determinato culto o una funzione religiosa. Neppure lo si vede interessato a svolgere un mestiere cattedratico come quello degli scribi o dei rabbini, tant’è che non fa nulla per ottenere un seggio al Sinedrio, pur avendone i titoli (per Matteo e Luca è figlio di Davide) e le competenze (parlava come una persona autorevole, dice Mc 1,27).

Noi siamo anche disposti a considerarlo più giudeo che galileo, quindi ancora più “ortodosso” degli ebrei non giudaici o della diaspora. Ma tutto ciò significa soltanto una cosa, che dobbiamo limitarci a considerarlo ebreo più sul piano formale che sostanziale. Diciamo che era un ebreo che voleva la liberazione di tutta la Palestina (e non solo della Giudea) dai Romani e dalla casta sacerdotale corrotta. Anche gli esseni e gli zeloti volevano la stessa cosa e combattevano per averla; anche i farisei, in teoria, l’avrebbero voluta. Qual era dunque la differenza tra il suo ebraismo e quello degli altri ebrei che politicamente volevano le sue stesse cose?

La differenza stava unicamente nel modo di essere ebreo per realizzare l’obiettivo dell’insurrezione nazionale. Era, quello, un obiettivo di grande portata, per il quale sarebbe stata necessaria l’alleanza del maggior numero di partiti, correnti, associazioni, movimenti, comunità di vario tipo. Per realizzare un obiettivo del genere non era possibile soffermarsi troppo sulle differenze che opponevano i vari gruppi sociali, culturali e politici. Non aveva alcun senso anteporre all’obiettivo politico-nazionale, di natura generale, le questioni particolari di carattere ideologico (p.es. quelle relative agli alimenti da mangiare, alle abluzioni da rispettare e così via). Gesù cercò di ridurle al minimo, di non farle pesare sulla sua strategia rivoluzionaria, ovvero di demandarne l’affronto a liberazione compiuta.

Nella sua attività politica sono sufficientemente chiare due modalità con cui egli si approccia ai vari gruppi politico-religiosi della Palestina: la democraticità nella gestione della strategia rivoluzionaria, e l’umanizzazione nell’affronto dei bisogni comuni. Democraticità vuol dire non imporre con la forza un proprio progetto politico, ma cercare di farlo condividere ad ampie masse popolari; umanizzazione vuol dire molte cose: anzitutto non compiere discriminazioni di alcun tipo (p.es. tra gli apostoli vi erano soggetti provenienti da vari gruppi politici, vi erano anche pubblicani e peccatori pentiti, vi erano uomini e donne, Giudei e Galilei, ecc.); valorizzare, degli oppressi, le istanze di emancipazione dal peso di tradizioni soffocanti, le esigenze di giustizia e di riscatto sociale, di liberazione nazionale dai nemici interni ed esterni; non anteporre mai le idee ai fatti, e quindi cercare sempre di avere un senso realistico delle cose, mirando a vincere i pregiudizi, le illusioni, le false rappresentazioni della realtà. In una parola: voleva fare della libertà di coscienza, della condivisione dei bisogni, del rispetto dei valori umani fondamentali i criteri elementari del vivere civile.

Gesù, in tal senso, era un vero ebreo? Sì, lo era, ma, alla luce di quanto detto, quanti ebrei, politicamente o socialmente o culturalmente più importanti di lui, non lo erano? Sottolineare troppo l’ebraicità di Gesù non aiuta a comprendere le grandi differenze che opponevano lui a molti altri ebrei nel vivere la sostanza dell’ebraismo. Se era così tanto ebreo, perché nei vangeli le autorità religiose gli sono irriducibilmente nemiche, salvo eccezioni? Perché i farisei, quando lo contattano, lo fanno sempre con molta circospezione? Perché i rabbini lo giudicano subito come un eretico? Perché molti intellettuali giudei arrivano più volte sul punto di linciarlo mentre sta parlando? E soprattutto perché lo consegnano ai Romani, il peggior nemico d’Israele? E che bisogno avevano i Romani, se egli fosse stato un semplice ebreo ortodosso, ancorché “non allineato”, di punirlo con la peggiore sentenza di morte? Non potevano considerarlo un loro alleato? Il cristianesimo primitivo, a partire dalla predicazione di Pietro e Paolo, ha mai cercato con l’impero romano uno scontro politico diretto?

Insomma molti esegeti della cosiddetta “Terza ricerca” rischiano di apparire ideologici non meno di quelli che negavano al Cristo un’esistenza storica o non meno di quelli che, condizionati da un’appartenenza ecclesiastica, non vedono alcuna differenza tra il Gesù storico e il Cristo teologico.

B

Peraltro, accentuando il tema dell’ebraicità di Gesù si finisce col porre in risalto una sua inesistente religiosità. Tutte le odierne chiese cristiane non possono che essere soddisfatte di questa tendenza clericale presente nella “Terza ricerca”, la quale, anche se nega gli aspetti più mistici dei racconti evangelici (dimostrando, in ciò, d’essere più vicina alle tradizioni ermeneutiche di matrice protestantica), non è certamente paragonabile all’anticlericalismo della “Prima ricerca” o al distaccato intellettualismo della “Seconda”, che esaminava il caso-Gesù senza nessuna particolare empatia.

Noi, personalmente, ci sentiamo lontani da tutte e tre le Ricerche, o meglio vorremmo cercare di radicalizzare la Prima, perché, così com’è, pecca di antistoricismo. Vorremmo farlo sulla base di presupposti che consideriamo irrinunciabili: 1) Gesù Cristo era ateo, cioè credeva che l’unico dio presente nell’universo fosse l’uomo; 2) se di questo uomo lui si considerava il “prototipo”, ciò non poteva comunicarlo ai suoi discepoli; 3) qualunque cosa egli potesse compiere oltre le capacità degli uomini del suo tempo, avrebbe violato la loro libertà di coscienza, per cui va escluso qualunque suo intervento prodigioso o miracoloso; 4) se si vuole accettare l’idea che sia nato in una maniera non esattamente naturale, nessuno può saperne la modalità, neppure sua madre, per cui non è un argomento che possa interessare l’esegesi laica; 5) si può anche dare per scontato l’evento della tomba vuota, ma non lo si può interpretare con la categoria della “resurrezione”, poiché questa implica, di necessità, che il corpo scomparso venga rivisto vivo, il che non poteva accadere senza violare – di nuovo – la libertà di coscienza; 6) si può anche dare per acquisito che l’immagine impressa nella Sindone sia quella di Gesù Cristo, ma essa non è in grado di “dimostrare” alcuna “resurrezione”, semmai “mostra” che qualcosa di strano è avvenuto in quel sepolcro, su cui però gli esegeti non possono dire nulla; 7) l’immagine presente nella Sindone indica l’esecuzione capitale di un uomo che venne ritenuto un pericoloso sovversivo da parte del potere romano, quindi si può dare per scontato che Gesù volesse compiere una insurrezione nazionale; 8) poiché, secondo i vangeli, è stato tradito da un proprio discepolo e consegnato ai Romani dalle autorità giudaiche, si deve dare per scontato ch’egli si ponesse anche contro la casta sacerdotale che gestiva il Tempio. Ciò vuol dire che di tentativi insurrezionali egli ne fece due: il primo, contro il Tempio, all’inizio della sua carriera politica, come risulta nel quarto vangelo; il secondo, contro la Fortezza Antonia, ove era acquartierata la coorte romana, nell’ultimo ingresso trionfale a Gerusalemme; 9) tutti gli argomenti etici, sociali, culturali, religiosi o politici, affrontati dal Cristo nel corso della sua vita, vennero svolti avendo come obiettivo finale la liberazione della Palestina dagli occupanti Romani e dai collaborazionisti ebrei; 10) i contenuti delle argomentazioni sostenute dal Cristo riguardavano i valori umani fondamentali, la democrazia politica, la necessità di recuperare i princìpi del comunismo primitivo, il rispetto della libertà di coscienza, il rispetto della differenza di genere, l’uguaglianza sociale, la testimonianza della verità… In nessun caso tali contenuti dovevano portare l’interlocutore a credere in qualcosa di sovrannaturale o di mistico-teologico.

Quindi, parafrasando un’espressione di Wittgenstein, si potrebbe concludere dicendo: Di ciò di cui non si può parlare, in quanto va oltre una semplice umana comprensione, è meglio tacere; ma di ciò di cui si può parlare, è bene farlo con chi è disposto ad ascoltare, non avendo motivazioni oggettive che glielo impediscano, come in genere hanno coloro che appartengono alla categoria del “clero”.