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Le unità produttive per uscire dal sistema

Di che cosa hanno bisogno gli operai industriali e rurali? Forse di sapere i motivi per cui il capitalismo è oggettivamente un sistema da abbattere? In realtà lo sanno già. Non hanno bisogno di intellettuali che prendano in esame le contraddizioni del sistema. Semmai hanno bisogno di politici che organizzino le loro lotte.

I motivi per cui il capitalismo va abbattuto li vede anche un bambino: è un sistema basato su divisione e alienazione, p. es. tra mezzi e prodotti del lavoro, tra lavoro manuale e intellettuale, tra capitale e lavoro, tra essere e dover essere, ecc. Chi si trova ad essere sfruttato non si ribella a questo sistema solo perché il salario che prende gli permette di sopravvivere e di riprodursi, ma se dipendesse da lui, l’avrebbe già fatto.

Le rivoluzioni non hanno bisogno della consapevolezza di tutte le contraddizioni del sistema: basta quella principale. Se in un sistema non si riesce a vivere, a riprodursi, cioè a metter su famiglia, allora il sistema va sostituito con un altro.

Perché fino ad oggi in Europa occidentale non si è stati capaci di farlo? Le ragioni sono due: la più importante è che l’Europa occidentale è un’area geografica che pratica il colonialismo praticamente da un millennio, cioè a partire dalle crociate; anzi, se si esclude il breve periodo altomedievale (ma non quello dei Franchi di Carlo Magno), dobbiamo dire che già dai tempi dei Romani ci siamo abituati a vivere sulle spalle degli altri. Questo colonialismo permette di avere in Europa dei salari sufficientemente elevati per garantirsi la sopravvivenza e la riproduzione.

Il secondo motivo è correlato a questo: i salari che si danno agli intellettuali integrati nel sistema, che parlano di riforme o addirittura di rivoluzione, sono ancora più alti di quelli dei lavoratori dell’industria e dell’agricoltura, infinitamente più alti, sicché è facile corromperli ed è quindi facile che questi intellettuali tradiscano la classe operaia e quella contadina.

Cioè in Europa si sa benissimo che il capitalismo è un sistema sociale antagonistico che va superato, in quanto provoca sofferenze di ogni tipo, ma di fatto non si fa nulla per abbatterlo, proprio perché esso garantisce agli intellettuali un tenore di vita elevato, e persino agli operai, almeno rispetto ai loro colleghi sfruttati nel Terzo mondo.

In Europa occidentale il denaro corrompe tutti, e abbiamo esportato questa nostra caratteristica in tutti i paesi del mondo. Sicché tutte le discussioni che fanno gli intellettuali sulle contraddizioni del sistema, sulle sue crisi, non servono a nulla, se anzitutto non si pensa a come organizzare gli sfruttati per farli uscire dal sistema.

L’unica cosa che davvero conta, in attesa di vedere gli operai e gli intellettuali del Terzo mondo dire basta a questo sfruttamento che li rovina da mezzo millennio, è quella di organizzare una lotta per uscire dal sistema. E l’unico modo per farlo è quello di creare delle unità produttive che, per quanto riguarda la soddisfazione dei bisogni primari, siano autosufficienti. Uscire dal sistema vuol dire ridurre al minimo la propria dipendenza dei mercati, nazionali e soprattutto internazionali.

Se non si fa questo, inevitabilmente gli intellettuali si limiteranno a fare discorsi astratti e gli operai e i contadini a fare rivendicazioni meramente sindacali. Non serve a nulla andare in Parlamento, gestire quotidiani nazionali, avere partiti o sindacati se, contemporaneamente, non si sperimentano da subito queste unità produttive autonome, che devono rappresentare le future cellule economiche, le future comunità di vita: la loro indipendenza garantirà il superamento dello Stato e delle sue istituzioni.

Dobbiamo immaginare un tipo di società che sia insieme un nuovo tipo di civiltà, in cui il rispetto della natura dovrà essere la regola fondamentale dell’esistenza umana, per cui non è da escludere che l’attuale strumentazione lavorativa, che ci permette di vivere, vada totalmente ripensata, proprio perché in questo sistema capitalistico non c’è nulla di quanto usiamo che non abbia per fine la realizzazione di un profitto.

Paradossalmente potrebbe anche non servire a nulla occupare le fabbriche e abolire la proprietà privata dei fondamentali mezzi produttivi. Con la proprietà andranno aboliti anche taluni mezzi produttivi, anzi forse tutti.

Ora, è evidente che una svolta radicale del genere non potrà essere accettata passivamente dalle classi egemoni e dalle loro istituzioni di potere. Tuttavia, una cosa è lottare contro queste classi facendo della mera teoria o delle mere rivendicazioni salariali; un’altra è farlo avendo in mente che cosa si vuole realizzare da subito o, almeno, che cosa assolutamente non si vuole più fare.

L’alternativa delle unità produttive non avrà nulla di violento, per cui non giustificherà in alcun modo una reazione violenta da parte dei poteri costituiti. Sarà soltanto un’alternativa per sopravvivere in armonia con la natura e col genere umano. Il problema di come difendere questa alternativa si porrà soltanto nel caso in cui i poteri costituiti decidano di abbatterla con la forza.