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Giustizia è fatta! O no? Cerchiamo di capire.

Dopo oltre 20 anni di attesa il giornalista e scrittore di lungo corso Beppe Lopez, cronista di politica interna dell’esordio di Repubblica e man mano detentore di un curriculum di tutto rispetto  (  http://infodem.it/iniziative.asp?id=2977  ), s’è visto negare dal tribunale di Potenza tutti i suoi diritti economico professionali nonostante risultassero nero su bianco da regolari contratti di lavoro. Come se non bastasse, di recente è stato condannato non solo a pagare 30 mila euro di spese processuali e parcelle alla controparte, ma anche a cominciare a pagarle subito senza aspettare l’esito dei  sui ricorsi in appello. Insomma, come si suol dire, cornuto e mazziato.

Il tutto in un tribunale il cui bar, dal 2017 ufficialmente gestito dalla società “Bar del Tribunale Srl”, secondo la Direzione Distrettuale Antimafia sarebbe in realtà gestito da prestanomi e affiliati di un’organizzazione mafiosa colpita il 27 aprile da 17 mandati di cattura. Ma torniamo a Beppe Lopez.

Dal 1989 al 1997 il collega è ancora a Roma a dirigere la Quotidiani Associati, la più importante agenzia italiana di servizi giornalistici,  forniti a una 30ina di testate locali. Poi nel 1998 Lopez cede alle sirene dell’editore lucano, cioè della Basilicata, Donato Macchia, titolare della tv privata Teleregione, desideroso di varare con la sua società Alice Idea Multimediale anche un quotidiano che vada in edicola, visto che la sua è l’unica regione che ne è ancora sprovvista. Contratto da direttore garantito dall’azienda editrice per dieci anni e per tre anni dall’editore in persona.

E così Lopez lascia Roma per andare a progettare e realizzare a Potenza il quotidiano regionale La Nuova Basilicata, rifornita di pubblicità dalla Manzoni e di articoli e inchieste nazionali dell’Agenzia dei Giornali Locali (AGL), entrambe del Gruppo L’Espresso. Successo oltre le previsioni. Ed entusiasmo del manipolo di pionieri raccolti da Lopez. Due cose che però non piacciono a tutti, specie a chi era abituato a condurre affari e politica senza avere ficcanaso tra i piedi, specie in un periodo in cui vengono scoperti il settore eolico e i ricchi contributi pubblici. Sta di fatto che Macchia, in seguito imprenditore anche del settore eolico, dopo meno di un anno dal varo del giornale licenzia quattro redattori. E poiché Lopez si oppone e protesta Macchia licenzia anche lui

E i dieci anni di contratto garantito dall’azienda? E i tre anni garantiti dall’editore in persona? Svaporati. Alice Idea Multimediale dichiara fallimento, la Nuova Basilicata chiude i battenti e il suo posto viene preso da La Nuova del Sud. Il magistrato nega a Lopez anche la possibilità di inserirsi nel fallimento nonostante fosse un “creditore privilegiato” in quanto ex dipendente della società fallita.

Dopo un palleggio tra Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI, sindacato nazionale dei giornalisti)  e l’Associazione Regionale della Stampa (ARS, sindacato regionale dei giornalisti) su chi dovesse prendere l’iniziativa, nel 2019, cioè a 20 anni dai fatti e dopo una decina di rinvii delle udienze, la FNSI s’è decisa a  denunciare entrambe le vicende al  Consiglio Superiore della Magistratura (CSM). Che ha chiesto chiarimenti al Tribunale di Potenza.

Risultati? Nel giugno 2020 i magistrati di Potenza hanno rigettato come inammissibili ambedue le vertenze intentate da Lopez. E lo hanno condannato al pagamento delle spese processuali, per un totale di 30 mila euro. Da cominciare a prelevare subito a rate dalla sua pensione: Lopez ha infatti sì chiesto i processi d’appello, ma i magistrati hanno respinto anche la sua domanda di sospensione della riscossione in attesa delle nuove sentenze. E sì, cornuto e mazziato.

Nelle loro sentenze  vengono negati a Lopez in particolare i seguenti diritti:

- la partecipazione al fallimento, 

- il riconoscimento del contratto garantito per dieci anni, 

- il riconoscimento dei contratto garantito di persona dall’editore,

- il pagamento delle mensilità dei nove anni “saltati”,

- il pagamento della liquidazione (detta anche TFR, Trattamento di Fine Rapporto),

- i risarcimenti per demansionamento, 

- il risarcimento da mancato preavviso del licenziamento, 

- il credito per spese connesse ai procedimenti penali.

Sarebbe utile pubblicare la sentenza per renderla di pubblico dominio, e poter così leggere le motivazioni addotte dai magistrati.

Il botto del bar del tribunale a quanto pare gestito per interposta persona da malavitosi, sfacciato trofeo del loro asserito avere le mani in pasta ovunque, ha dato la stura a una serie di voci che è meglio non raccogliere. 

Perché alla Fiat non licenziare anche i manager e gli azionisti incapaci che l’hanno portata a questo punto di inadeguatezza ormai fuori mercato?

Come è noto, tre operai del reparto montaggio dello stabilimento di Melfi (Potenza) della Fiat – dove si produce la Punto Evo – sono stati prima sospesi e poi licenziati con l’accusa di aver ostacolato il percorso di un carrello robotizzato durante un corteo interno. Secondo l’azienda il blocco del carrello robotizzato impediva di lavorare agli operai che non partecipavano allo sciopero e al corteo interno. Ed è di oggi la notizia di un quarto licenziamento, sempre per motivi dello steso tipo, piuttosto speciosi. Ma tralasciamo.

Bene. Ma allora perché non licenziare i manager e gli azionisti di riferimento incapaci che con le loro incapacità e strategie perdenti impediscono di lavorare a centinaia di migliaia di dipendenti compromettendo anche il futuro di molti di loro? Altro che blocco del carrello robotizzato: nei primi sei mesi del 2010 la quota di mercato della Fiat nell’Europa composta da 27 Paesi è calata del 20, 8%. Si è cioè ridotta nel giro di sei mesi addirittura di un quinto! A fronte di un mercato dell’auto di fatto stazionario anche se registra un incrementino dello 0,2%. Detto in parole povere, la Fiat è fuori gioco, va peggio di tutti i suoi principali e con la sua fettina del 7,4% di quota di mercato è solo la sesta casa automobilistica del Vecchio Continente. Che fine hanno fatto le profezie dell’Avvocato, cioè dello scomparso Gianni Agnelli che in realtà non era neppure avvocato, di quando – pochi anni fa – si diceva sicuro che la Fiat sarebbe cresciuta fino a diventare uno dei pochi giganti automobilistici mondiali? Evidentemente sono state seppellite con lui. Purtroppo. Continua a leggere

Il MinzoloFeltrismo, malattia servile del giornalismo già affetto da doppiopesismo. I 7 senatori del Pdl autori dell’incredibile “emendamento 1707″ protettore dei pedofili. L’ipocrisia di Netanyahu anche con Obama, la disponibilità servile di Frattini e il significato della grave ammissione sul massacro dei pacifisti turchi diretti a Gaza. Dal Belgio a Potenza problemi pesanti per la Chiesa.

La cosa strana è che nessuno sappia ribattere a tono. E così il solito Vittorio Feltri anche questa volta ha potuto gettare palate di merda addirittura sul presidente della Repubblica senza che nessuno facesse notare l’ipocrisia e il doppiogiochismo del suo (s)ragionamento. E infatti: se il baldo Feltri, un tanto al chilo, sospetta che Giorgio Napolitano abbia “chissà quale segreto da nascondere” perché un parlamentare del PD ha inseito in un progetto di legge una clausola per “l’immunità penale totale” del cpo dello Stato, come mai non chiede altrettanto ad altta voce e a caratteri cubitali “quali segreti ha da nascondere” Berlusconi visto che da anni fugge ai magistrati con ormai quasi 20 leggi ad personam, cioè a suo esclusivo uso e consumo? Come mai il baldo Feltri, un tanto al chilo, non chiede al alta voce e a caratteri cubitali “quali segreti ha da nascondere” il Nano Supremo e Gran Chiavaliere Papino il Breve visto che vuole, vuole, fortissimamente vuole la legge bavaglio alla stampa e anti intercettazioni? C’è stato l’indecoroso e indecente caso Brancher, il ridicolo ministro all’Immunità della Cricca&C, però Vittorio Feltri, un tanto al chilo, s’è ben guardato dal chiedere ad alta voce e a caratteri cubitali “quali segreti ha da nascondere” anche questo ex dipendente Fininvest rimasto dipendente del padrone della Fininvest. Continua a leggere