L’assurdità della guerra moderna
In fondo le guerre odierne sono assurde, profondamente disumane, anche per una semplice ragione: basta un missile per distruggere completamente una casa che si è costruita dopo tanti anni di sacrifici. Tutto quello che si aveva sparisce in un attimo. Si deve ricominciare tutto da capo, e non sempre si ha un’età appetibile per il mercato del lavoro.
Come si fa a non desiderare la pace? A non essere disposti a cedere qualcosa pur di farla finita con questo scempio? Possibile che gli ucraini abbiano in testa solo l’aut-aut di Kierkegaard e non l’et-et di Hegel? Possibile che non conoscano parole come mediazione, compromesso…? Lo capisce anche un bambino che il Donbass e la Crimea sono un’altra cosa rispetto al resto del Paese, e quando non si è capace di rispettarsi, è meglio dividersi: si fanno meno danni.
Le armi sono talmente devastanti che, pur essendo convenzionali, ammazzano sul colpo o fanno restare gravemente menomati, al punto da desiderare la morte. E se anche non infieriscono, per puro caso, sul corpo, lo fanno nella psiche, nella mente, creando disturbi, disagi a non finire, ricordi indelebili, non facilmente risolvibili, soprattutto nei bambini.
Noi europei, pur avendo vissuto due guerre mondiali, prendiamo con troppa superficialità queste tragedie, forse perché la generazione che ha vissuto l’ultima, quasi non esiste più. C’è da dire anche che le guerre in genere avvengono lontano da noi: o per motivi logistici (vedi quelle in Medioriente, Afghanistan, Libia…), o per motivi ideologici (vedi quella contro il cosiddetto “terrorismo islamico” o contro la Jugoslavia socialista).
In presenza dell’attuale conflitto russo-ucraino abbiamo reagito istintivamente, alimentando una russofobia senza precedenti, analoga a certe ondate antisemitiche del nostro passato europeo. L’abbiamo fatto sostanzialmente per due motivi: gli ucraini sono europei come noi, anche sul piano somatico, sono fisicamente nostri confinanti e non sono né islamici né comunisti.
Neanche la Russia è islamica o comunista, ma siccome è molto grande ed è lontana, e nei suoi confronti abbiamo nutrito paura sin da quando ha compiuto la rivoluzione d’Ottobre, abbiamo deciso di dipingerla come il lupo delle fiabe che ci leggevano da bambini, che non era mai sazio di nulla e che le faceva di tutte pur di sfamarsi.
Ecco perché non abbiamo voluto sentire ragioni sulle motivazioni dell’operazione bellica scatenata da Putin. Le abbiamo ritenute a priori tutte sbagliate, frutto di una perversa propaganda, completamente falsa. Come manichei che vedono il mondo in bianco e nero, abbiamo deciso di credere senza discutere a tutto quanto dicevano gli ucraini, fossero popolani o politici.
Abbiamo riempito i telegiornali e i talk show di casi pietosi, abbiamo rincorso i profughi per intervistarli, abbiamo seguito, passo dopo passo, gli sforzi delle loro truppe militari, armandole e finanziandole come meglio potevamo. E in mezzo a tutto questo abbiamo fatto finta di non vedere né la guerra civile durata 8 anni, né il mancato rispetto degli accordi di Minsk, né la forte presenza dei neonazisti seguaci di Bandera, né i pericolosi laboratori biologici gestiti dagli americani, né l’uso strumentale dei civili come scudi umani, né la corruzione dilagante a livello istituzionale, né la sceneggiata di Bucha, né le tante madri surrogate e tante altre schifezze.
Tutte queste cose per noi erano o indimostrate o irrilevanti. Corriamo come cavalli coi paraocchi. L’importante è vincere il feroce orso russo, il mostro Putin, cui auguriamo tutto il male possibile, perfino che qualcuno nel suo Paese lo faccia fuori o che se lo porti via qualche tumore maligno. Siamo diventati folli come Orlando, il cui senno è addirittura finito sulla Luna.
Un’ipnosi collettiva in cui ci si giustifica a vicenda, come in certe sette religiose, che non mettono mai in discussione il verbo del leader carismatico, e dove si guarda con sospetto la minima dissidenza dalla narrativa ufficiale: ecco in quale tunnel ci siamo infilati.
Di fronte a un fenomeno così socialmente vasto e profondo è difficile pensare che riusciremo a venirne fuori una volta conclusa la pace. Sarà impossibile ammettere spontaneamente che si era presa una sonora cantonata. Meno che mai faranno autocritica i gestori del potere politico e mediatico. Ci vorrà un atto di forza, una spallata per togliersi di dosso questo insopportabile fardello, incapace di leggere il nuovo mondo multipolare che sta per nascere. Noi non possiamo rischiare che nel caso di un prossimo conflitto europeo o asiatico (vedi la questione di Taiwan), a qualcuno venga voglia di premere un bottone nucleare.