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L’assurdità della guerra moderna

In fondo le guerre odierne sono assurde, profondamente disumane, anche per una semplice ragione: basta un missile per distruggere completamente una casa che si è costruita dopo tanti anni di sacrifici. Tutto quello che si aveva sparisce in un attimo. Si deve ricominciare tutto da capo, e non sempre si ha un’età appetibile per il mercato del lavoro.

Come si fa a non desiderare la pace? A non essere disposti a cedere qualcosa pur di farla finita con questo scempio? Possibile che gli ucraini abbiano in testa solo l’aut-aut di Kierkegaard e non l’et-et di Hegel? Possibile che non conoscano parole come mediazione, compromesso…? Lo capisce anche un bambino che il Donbass e la Crimea sono un’altra cosa rispetto al resto del Paese, e quando non si è capace di rispettarsi, è meglio dividersi: si fanno meno danni.

Le armi sono talmente devastanti che, pur essendo convenzionali, ammazzano sul colpo o fanno restare gravemente menomati, al punto da desiderare la morte. E se anche non infieriscono, per puro caso, sul corpo, lo fanno nella psiche, nella mente, creando disturbi, disagi a non finire, ricordi indelebili, non facilmente risolvibili, soprattutto nei bambini.

Noi europei, pur avendo vissuto due guerre mondiali, prendiamo con troppa superficialità queste tragedie, forse perché la generazione che ha vissuto l’ultima, quasi non esiste più. C’è da dire anche che le guerre in genere avvengono lontano da noi: o per motivi logistici (vedi quelle in Medioriente, Afghanistan, Libia…), o per motivi ideologici (vedi quella contro il cosiddetto “terrorismo islamico” o contro la Jugoslavia socialista).

In presenza dell’attuale conflitto russo-ucraino abbiamo reagito istintivamente, alimentando una russofobia senza precedenti, analoga a certe ondate antisemitiche del nostro passato europeo. L’abbiamo fatto sostanzialmente per due motivi: gli ucraini sono europei come noi, anche sul piano somatico, sono fisicamente nostri confinanti e non sono né islamici né comunisti.

Neanche la Russia è islamica o comunista, ma siccome è molto grande ed è lontana, e nei suoi confronti abbiamo nutrito paura sin da quando ha compiuto la rivoluzione d’Ottobre, abbiamo deciso di dipingerla come il lupo delle fiabe che ci leggevano da bambini, che non era mai sazio di nulla e che le faceva di tutte pur di sfamarsi.

Ecco perché non abbiamo voluto sentire ragioni sulle motivazioni dell’operazione bellica scatenata da Putin. Le abbiamo ritenute a priori tutte sbagliate, frutto di una perversa propaganda, completamente falsa. Come manichei che vedono il mondo in bianco e nero, abbiamo deciso di credere senza discutere a tutto quanto dicevano gli ucraini, fossero popolani o politici.

Abbiamo riempito i telegiornali e i talk show di casi pietosi, abbiamo rincorso i profughi per intervistarli, abbiamo seguito, passo dopo passo, gli sforzi delle loro truppe militari, armandole e finanziandole come meglio potevamo. E in mezzo a tutto questo abbiamo fatto finta di non vedere né la guerra civile durata 8 anni, né il mancato rispetto degli accordi di Minsk, né la forte presenza dei neonazisti seguaci di Bandera, né i pericolosi laboratori biologici gestiti dagli americani, né l’uso strumentale dei civili come scudi umani, né la corruzione dilagante a livello istituzionale, né la sceneggiata di Bucha, né le tante madri surrogate e tante altre schifezze.

Tutte queste cose per noi erano o indimostrate o irrilevanti. Corriamo come cavalli coi paraocchi. L’importante è vincere il feroce orso russo, il mostro Putin, cui auguriamo tutto il male possibile, perfino che qualcuno nel suo Paese lo faccia fuori o che se lo porti via qualche tumore maligno. Siamo diventati folli come Orlando, il cui senno è addirittura finito sulla Luna.

Un’ipnosi collettiva in cui ci si giustifica a vicenda, come in certe sette religiose, che non mettono mai in discussione il verbo del leader carismatico, e dove si guarda con sospetto la minima dissidenza dalla narrativa ufficiale: ecco in quale tunnel ci siamo infilati.

Di fronte a un fenomeno così socialmente vasto e profondo è difficile pensare che riusciremo a venirne fuori una volta conclusa la pace. Sarà impossibile ammettere spontaneamente che si era presa una sonora cantonata. Meno che mai faranno autocritica i gestori del potere politico e mediatico. Ci vorrà un atto di forza, una spallata per togliersi di dosso questo insopportabile fardello, incapace di leggere il nuovo mondo multipolare che sta per nascere. Noi non possiamo rischiare che nel caso di un prossimo conflitto europeo o asiatico (vedi la questione di Taiwan), a qualcuno venga voglia di premere un bottone nucleare.

Molto pertinente il costituzionalista Ainis

1. Ineccepibile Ainis

Il costituzionalista Michele Ainis (che stimo moltissimo) ha parlato chiaro: l’art. 52 della Costituzione esclude categoricamente qualunque guerra che non sia quella di “difesa della propria Patria”. Detto altrimenti: “se adottiamo il punto di vista dei costituenti del 1947, non c’è dubbio che avrebbero fortemente dissentito da una co-belligeranza, anche se questa si traduce, come accade oggi, con l’invio di armi e non di eserciti. Questo è pacifico. Se andiamo a guardare i manuali di Diritto costituzionale del primo dopoguerra, è chiaro che l’unica guerra ammissibile è quella difensiva rispetto alla nostra integrità territoriale”.

Quanto alla cosiddetta “disciplina della neutralità” (cui sono dedicate la V e la XIII Convenzione dell’Aia del 1907), essa prevede “obblighi di astensione”, ossia di non impegnarsi nel conflitto armato in corso, e di “imparzialità”, ossia di trattare in modo uguale le parti del conflitto. Cosa che di sicuro non abbiamo fatto inviando armi al governo di Kiev.

Secondo Michael Bothe (docente di diritto pubblico all’Università Goethe di Francoforte) una violazione degli obblighi di neutralità, seppur motivata dalla volontà di prestare soccorso ad uno Stato aggredito, non si potrebbe giustificare “neppure sulla base di un diritto alla legittima difesa collettiva”. Chi viola la propria neutralità deve aspettarsi contromisure belliche, per cui l’escalation diventa inevitabile.

Peraltro non solo non c’è alcuna risoluzione dell’ONU che obblighi tutti gli Stati del mondo a porre fine al conflitto, ma l’Ucraina non appartiene neppure alla NATO. Che senso ha che un’alleanza del genere faccia di tutto per sostenerla militarmente? Alla fine la guerra diventa per procura tra NATO e Russia, in cui l’Ucraina viene usata solo come paravento.

2. Puntiglioso Ainis

Il costituzionalista Ainis sostiene che là dove nell’art. 11 della Costituzione è scritto che la Repubblica “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo” – ciò non vuole affatto dire che viene giustificata qualunque limitazione alla sovranità della Repubblica. Cioè non ha alcun senso concedere una “delega in bianco” a favore del diritto internazionale.

Tutt’al più il nostro ordinamento finalizza “cessioni di sovranità” a organizzazioni che si prefiggono come scopo preciso “la pace e la giustizia fra le nazioni”.

Ma questo appunto significa che eventuali conflitti non potranno mai essere risolti attraverso lo strumento della guerra, proprio perché la nostra Repubblica “ripudia tale mezzo come risoluzione dei conflitti internazionali”. Non avrebbe alcun senso che l’“apertura” della Carta costituzionale al diritto internazionale possa essere talmente estesa da condurre al rovesciamento totale delle fonti del diritto, con relativa paralisi e svuotamento del diritto costituzionale.

In altre parole: la cessione di armamenti al governo di Kiev è anticostituzionale per definizione, per cui questo governo è fuorilegge e Mattarella non se n’è accorto, e tanto meno la Corte costituzionale.

3. Preoccupato Ainis

Va giù duro il costituzionalista Ainis col governo Draghi.

Deve infatti constatare che il ruolo del parlamento è stato completamente esautorato dalle sue funzioni di controllo.

Lo si è visto nel momento stesso in cui, per poter procedere all’autorizzazione dell’invio delle armi in Ucraina, il governo ha dovuto ricorrere all’emergenza e alla decretazione d’urgenza, financo a derogare alle leggi vigenti. Di fatto non si conoscono il tipo di armi inviate, la loro natura e nemmeno le modalità che sono state seguite per la loro fornitura.

È evidente che il Parlamento non ha esercitato la funzione di controllo che gli spetta.

Anche la costituzionalista Roberta Calvano ha dovuto constatare che il dibattito parlamentare è stato intenzionalmente evitato, e non si comprende perché “l’Italia debba applicare principi diversi che ci allontanano dalle democrazie parlamentari”. L’invio delle armi “dovrebbe essere l’extrema ratio e ridotto al minimo indispensabile in attesa della soluzione diplomatica, senza la quale l’invio incrementale delle armi non fa che assottigliare sempre più il margine di compatibilità costituzionale. Abbandonare la via diplomatica andrebbe di fatto contro la Costituzione”.

Insomma, secondo Ainis (e non solo lui) il nostro Paese sta abbandonando il diritto come strumento di soluzione delle controversie internazionali.

Fonte: https://www.lafionda.org/2022/05/31/questioni-sulla-legittimita-costituzionale-dellinvio-delle-armi-in-ucraina/

Ripudiare vuol dire ripudiare

Forse non ci è chiaro abbastanza il significato del verbo “ripudiare”, presente nell’art. 11 della nostra Costituzione.

La guerra non è solo da evitare o da condannare come strumento di risoluzione dei conflitti internazionali, ma è proprio da ripudiare. Cioè non è questione di verificare caso per caso, ma di affermare un principio in sé, che prescinde da tutto (come dire “le razze umane” non esistono, ce n’è una sola).

La guerra non può mai essere giustificata, non può essere in alcun modo presa in considerazione, a meno che non si tratti di difendere la propria nazione da un’aggressione esterna, come recita l’art. 52. Noi non potremmo neppure aiutare militarmente uno Stato aggredito, poiché ciò, anche se fatto con le migliori intenzioni, viola la nostra Costituzione. Cioè non potremmo in alcun modo fornire armi o forze armate sul campo, o istruttori o consulenza sulle operazioni militari.

Uno potrà dire che questa è una posizione astratta, di tipo filosofico, che non fa differenza tra guerre di liberazione e di oppressione, tra aggredito e aggressore. Eppure se fino adesso quell’art. non è stato modificato una ragione ci sarà. Noi possiamo partecipare alle guerre altrui solo offrendo aiuti umanitari. E dovremmo farlo nei confronti di tutti, aggrediti e aggressori, come se fossimo dei seguaci di Gandhi o di san Francesco o di Gino Strada.

Siamo buonisti? Sì, lo siamo. Almeno a livello teorico. E siamo anche convinti che se tutti si comportassero come noi, non ci sarebbe mai alcuna guerra, anche perché diminuirebbe di molto la necessità di armarsi, cioè ci si limiterebbe a dotarsi di armi puramente difensive.

Ma per comportarsi così, bisogna mettersi in testa che per risolvere qualunque conflitto ci vuole la trattativa, la mediazione, la diplomazia, un processo di distensione promosso da organismi super partes, internazionali. Tutte cose che andrebbero fatte non solo quando la guerra è in corso, ma anche e soprattutto prima che scoppi. Tutte cose che non possono venirci in mente appartenendo a un’alleanza militare così aggressiva e provocatoria come la NATO. Né possono essere adottate stando sottomessi alla narrativa guerrafondaia degli USA, che peraltro i livelli istituzionali della UE han fatto propria in maniera totalmente acritica e subitanea.

L’Italia sta assumendo atteggiamenti lontanissimi dalle intenzioni dei costituenti. Dobbiamo davvero ripensare la nostra appartenenza non solo alla NATO ma anche alla UE. Rischiamo di diventare il bersaglio militare di una grande potenza nucleare come la Russia. Ci stiamo isolando completamente dai mercati asiatici e quindi ci stiamo autocondannando a un ruolo marginale e di progressivo impoverimento. Non riusciamo minimamente a capire che si sta formando un nuovo mondo multipolare. Stiamo dimenticando molto pericolosamente le lezioni della storia.

Ma soprattutto ci stiamo mettendo nelle condizioni in cui l’unica alternativa alla irresponsabilità di chi ci governa sembra diventare quella di un rivolgimento istituzionale, di una rivoluzione popolare, persino di una guerra civile simile a quella che la stessa Ucraina ha vissuto per ben 8 anni.

Dal punto di vista degli Azande

Gli Azande, un popolo dell’Africa centrale, considerano illogici gli europei, in quanto questi, pur sostenendo che chi uccide volontariamente sia un assassino, negano che lo siano i piloti dei loro bombardieri.

È un ragionamento semplice, molto efficace, privo dei nostri fronzoli pseudo-etici. Infatti per noi occidentali chi esegue ordini militari, implicanti l’uccisione di nemici individuati da una dichiarazione di guerra, fatta da un governo in carica, non può essere considerato un assassino, a meno che non compia azioni spregevoli non richieste da ordini superiori. Anche al processo di Norimberga si arrivò a dire che vi è una certa differenza tra un militare “delinquente” e un militare “normale”, ovvero che il soldato tedesco poteva rifiutarsi tranquillamente di obbedire a ordini contrari alla sua coscienza e non per questo veniva fucilato. Non aveva quindi senso che i gerarchi nazisti sotto processo si giustificassero dicendo che avevano obbedito agli ordini di Hitler. Se avessero potuto processare anche lui, sicuramente avrebbe risposto che i suoi ordini erano largamente condivisi dal suo stato maggiore.

Oggi però, in virtù delle spaventose armi che abbiamo, dovremmo ribadire a chiare lettere che, in mancanza di uno scontro diretto col nemico, un militare non dovrebbe mai arrivare a colpire alla cieca un determinato territorio, senza chiedersi se esso sia abitato da persone inermi o disarmate (come è stato fatto a Guernica, a Coventry, a Hiroshima e Nagasaki, a Dresda e nelle tre città sovietiche di Mosca, Leningrado e Stalingrado). Non dovrebbe muovere un dito neppure nei confronti di uno specifico obiettivo militare, se avesse un dubbio circa l’effettiva presenza, in quell’obiettivo, di soli militari e non anche di civili.

Se un avversario militare si serve di ostaggi civili nella speranza di non essere attaccato, compie sicuramente un gesto vergognoso, ma lo compie anche chi, sapendolo, lo colpisce ugualmente. Oggi, quando si muove guerra a qualcuno, bisognerebbe dirlo sin dall’inizio che non si farà differenza tra militari e civili (una volta si diceva che non si sarebbero fatti prigionieri). In tal modo si eviterebbe la retorica di chi dice di comportarsi correttamente per dimostrare d’essere eticamente superiore.1

Chi usa mezzi di sterminio di massa andrebbe considerato un criminale a prescindere non solo dal numero di morti che le sue armi sono in grado di procurare (in potenza o in atto), ma anche dal livello di coscienza con cui sarebbe disposto a eseguire ordini del genere. Anche tale conseguenza bisognerebbe conoscerla preventivamente, proprio perché non può essere accampata la “legittima difesa” quando si usano mezzi del genere. Non ci si può mettere la coscienza a posto solo perché non si vede il nemico in faccia, o solo perché si condividono le motivazioni dei propri superiori, o perché, pur non condividendole, si accetta di eseguirle per spirito di obbedienza.

O il confronto bellico è diretto, corpo a corpo, cioè alla pari, oppure andrebbe vietato da leggi internazionali. L’ideale sarebbe che lo scontro fosse solo simbolico, di tipo sportivo o tecnico-scientifico, senza morti. Ogni parte in causa si sceglie i migliori e chi perde accetta le condizioni di chi vince, come in qualunque gioco, dopo che si sono fissate delle precise regole comuni. Ovviamente se si fosse molto più intelligenti di quel che siamo, non vi sarebbe necessità che qualcuno dominasse qualcun altro: la tradizionale diplomazia dovrebbe essere sufficiente.

Andrebbero vietate anche le armi a scoppio ritardato o differito (come p.es. le mine antiuomo), cioè tutte quelle armi che possono entrare in funzione quando, a guerra già finita, qualcuno fa scattare accidentalmente il detonatore. Chi ha predisposto armi del genere (sia chi le ha progettate, sia chi le ha costruite, sapendo ciò che faceva, sia chi le ha posizionate) andrebbe sottoposto a una corte di giustizia. Non ci può essere prescrizione per crimini così altamente immorali.

Andrebbero infine proibite tutte le armi il cui uso nefasto si prolunga oltre il tempo effettivo del conflitto. Infatti le parti in causa devono prevedere che si arriverà, prima o poi, a firmare un trattato di pace, che si ristabiliranno le relazioni diplomatiche, che si riprenderanno gli scambi commerciali e culturali. Com’è possibile tornare alla normalità quando le armi chimiche, batteriologiche, neutroniche e nucleari possiedono effetti sugli esseri umani e sulla natura che non si possono in alcun modo controllare? Anzi, per molti versi non si possono neppure prevedere. La nube tossica di Černobyl’ arrivò tranquillamente, a causa dei venti, persino in Italia, a 1700 km di distanza, e tutti ci mettemmo a mangiare cibo inscatolato. Molti non riuscirono a risparmiarsi il tumore alla tiroide.

Chi usa armi del genere andrebbe bandito dalla comunità internazionale, espulso dagli organismi rappresentativi delle nazioni, isolato politicamente, diplomaticamente e anche economicamente, poiché non ci si può fidare dei suoi prodotti commerciali. Il suo Paese dovrebbe essere sottoposto a un embargo permanente, almeno fino a quando il mondo intero non sia sicuro, previo controllo super partes, che tutte le armi di questo tipo siano state smantellate.

Gli Stati che hanno usato armi del genere dovrebbero risarcire materialmente le vittime, proferendo scuse ufficiali, promettendo che non le fabbricheranno mai più e impegnandosi a impedire che altri Stati abbiano comportamenti analoghi.

Chi possiede armi del genere dovrebbe dare il buon esempio iniziando per primo, in maniera unilaterale, a eliminarle, evitando di sostenere che vuole conservarle per potersi difendere. Non serve a nulla neanche dire che, in caso di guerra, verranno usate soltanto per rispondere a un attacco del genere, cioè non per un attacco preventivo. Chi si disarma per primo a livello nucleare dovrebbe sentirsi autorizzato a pretendere che chi non lo fa venga boicottato a livello internazionale.

Nota

1 C’è da dire che mentre per i nazisti i russi, in generale, era un popolo sub-umano che andava sottomesso, i russi invece cercarono sempre di far capire che non stavano facendo una guerra contro i tedeschi bensì contro il nazismo. È difficile tuttavia far capire queste cose quando per decenni un popolo viene indottrinato a odiarne un altro. Si arriva a un punto tale per cui, se si attacca senza fare differenza tra obiettivi militari e obiettivi civili, si finisce col credere, quando ci si difende, che l’avversario si comporterà nella stessa maniera.

AUGURISSIMI!!!!! PER UN ANNO FELICE, DI GIUSTIZIA, PACE, AMORE, AFFETTI, AMICIZIE, RIAPPACIFICAZIONI, PROSPERITA’, VERITA’, LACRIME SOLO DI GIOIA, SALUTE, DIGNITA’, PROGRESSI.
VI ABBRACCIO TUTTI, VI VOGLIO BENE E VI RINGRAZIO.

La scienza come nuova religione

Che l’artificiale stia sostituendo completamente il naturale lo si vede in tutto il mondo, non solo nei paesi a capitalismo avanzato, dove si è cominciato a farlo, in maniera considerevole, a partire dalle rivoluzioni industriali.

L’uomo ha sempre modificato la natura per i suoi bisogni, ma oggi lo fa impedendo alla natura di soddisfare i suoi propri bisogni. Manca il rispetto e, quel che è peggio, manca la convinzione che il rispetto sia necessario per la sopravvivenza dell’intero pianeta, inclusa quindi la specie umana.

Non riusciamo più a capire quale sia il limite oltre il quale l’uso di strumenti lavorativi diventa, agli occhi della natura, un abuso. Non è un caso che il capitalismo si sia sviluppato di pari passo con la devastazione ambientale. Solo che con la scoperta del “Nuovo Mondo”, in virtù della quale abbiamo potuto trasferire altrove il peso delle nostre contraddizioni, non ce ne siamo accorti più di tanto. Da un lato infatti abbiamo potuto rendere gli abitanti del Terzo mondo più “schiavi” degli operai occidentali; dall’altro abbiamo potuto saccheggiare le loro risorse, ritenendo che questo processo sarebbe durato in eterno.

La percezione di una vastità immensa di risorse umane e materiali da utilizzare ci ha permesso di guardare con molta benevolenza i problemi che nei nostri territori occidentali sono stati creati dallo sviluppo del capitalismo. Il concetto di “vastità geografica” ci ha permesso di restare a un livello di “profondità” molto superficiale.

Noi non abbiamo mai una vera consapevolezza dei problemi che creiamo: pensiamo sempre di poterli risolvere in maniera relativamente semplice. E ci stupiamo enormemente quando vediamo le crisi prolungarsi troppo nel tempo. Preferiamo non guardarci mai direttamente allo specchio, ma restando sempre dentro una bolla di sapone. Ci piace guardare la realtà in maniera deformata, per poter sognare ad occhi aperti, come i grassoni in quegli specchi dimagranti di certi luna park.

Quando l’Europa occidentale ha fatto scoppiare le due ultime guerre mondiali, sembrava che nessuno le volesse, ma, appena si sono verificati i primi conflitti, subito quasi tutti hanno voluto prendervi parte, perché sappiamo bene che, in caso di vittoria, i vantaggi sono considerevoli.

La guerra fa parte del nostro DNA, nel senso che non ci viene istintivo fare di tutto per evitarla. Noi siamo figli di quel Carl von Clausewitz secondo cui “la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”.

Forse pochi si ricordano che quando, nella seconda guerra irachena, gli americani adottarono la dottrina militare nota col nome di shock and awe (colpisci e terrorizza), si comportarono, più o meno, come i nazisti nelle loro battaglie, a partire da quella di “prova” che fu il bombardamento di Guernica, durante la guerra civile spagnola.

I moderni Clausewitz oggi si chiamano H. Ullman e J. P. Wade, per i quali i bombardamenti massicci devono imporre un livello travolgente di distruzione e di terrore in un lasso di tempo sufficientemente breve da paralizzare del tutto la volontà del nemico di proseguire una qualunque forma di resistenza. E’ il blitzkrieg hitleriano in salsa yankee, cioè con l’aggiunta di armi molto più potenti e sofisticate, cui vanno aggiunte quelle dei mezzi di comunicazione di massa, utili a creare un clima “patriottico” di euforia per la potenza tecnologica e militare dispiegata. L’importante è non far vedere le immagini delle vittime civili.

Oggi, quando distruggiamo tutto, siamo convinti di poterlo ricostruire abbastanza facilmente, in tempi relativamente rapidi, proprio in virtù dei mezzi che disponiamo, e non ci preoccupa granché il fatto che l’ambiente abbia subìto, a causa delle nostre azioni scriteriate, dei danni enormi. Nel nostro vocabolario non esiste la parola “irreparabile”, anche perché non andiamo certo a chiederlo a chi, vivendo a Hiroshima e Nagasaki, ha subìto bombardamenti atomici, o ai vietnamiti che hanno subito bombardamenti chimici (agent orange), né ai serbi che hanno subito bombardamenti all’uranio impoverito (che peraltro hanno fatto ammalare di cancro persino i nostri militari) e neppure agli iracheni che hanno subito bombardamenti al fosforo. Che c’importa di sapere se la popolazione e l’ambiente bombardati hanno subito danni irreversibili, al punto che non si è più nemmeno in grado di riprodursi normalmente?

Quando nel mondo antico e medievale si considerava la natura praticamente immutabile, in quanto l’uomo sembrava poterla modificare solo parzialmente, in realtà ci s’illudeva. Nel senso cioè che non ci si rendeva conto che anche delle piccole modifiche ripetute nel tempo, possono provocare sconvolgimenti inarrestabili, com’è successo con la formazione dei deserti in seguito alle deforestazioni compiute nell’area del Mediterraneo.

Oggi l’illusione di poter riportare le cose a com’erano prima delle nostre devastazioni è ancora più grande, proprio perché riteniamo la potenza della nostra tecnologia una realtà praticamente invincibile. Se c’è una cosa che oggi non vogliamo assolutamente mettere in discussione è l’emancipazione che l’umanità ha compiuto nei confronti della religione medievale, grazie alle scoperte scientifiche e alle innovazioni tecnologiche. Senza volerlo abbiamo fatto della scienza una nuova religione.