Il declino democratico della Tanzania
Alle recenti elezioni in Tanzania ha vinto il presidente uscente John Magufuli, che cercava il secondo mandato. Il suo Partito della Rivoluzione, che governa il Paese dal 1977, ha ottenuto 12,5 milioni di voti (76%), mentre il suo principale sfidante, Tundu Lissu, del partito Chadema, solo 1,9 milioni (13%). Nel 2015 il rapporto tra i due partiti era di 58% a 40%.
Le opposizioni han parlato di brogli (anche nel 2015 l’avevano fatto) e Lissu ha detto di non accettare il risultato delle elezioni. Lissu è rientrato nel Paese a luglio dopo tre anni di esilio. Nel 2017 era fuggito dopo un tentato assassinio che l’aveva ridotto in fin di vita con una decina di pallottole nel corpo.
Magufuli ha 61 anni ed è presidente dal 2015. È conosciuto col soprannome “Bulldozer” per la sua passione per i grandi lavori pubblici e per la sua capacità di ottenere sempre quello che vuole.
Egli consolida un processo già da tempo in corso: il progressivo allontanamento della Tanzania dagli ideali democratici con cui si era liberata all’inizio degli anni ’60 del colonialismo inglese, e il suo avvicinamento a modelli autoritari (p.es. quello dello Zimbabwe).
Durante i suoi anni di presidenza Magufuli è riuscito a far crescere l’economia del Paese, avviare importanti progetti infrastrutturali, tagliare gli sprechi nella spesa pubblica e rendere gratuita l’istruzione per tutte le scuole statali.
Ha vietato il fumo dell’hashish, l’esportazione di minerali non lavorati, l’uso del suo Paese come bandiera di comodo su navi mercantili straniere che trasportano droghe e armi.
Con uno dei tassi di crescita economica più elevati del continente (circa il 6%), il governo ha favorito particolarmente il settore ferroviario. Il piccolo porto peschereccio di Bagamoyo, per il quale sono stati stanziati 10 miliardi di dollari di investimenti, dovrebbe diventare il più grande porto dell’Africa entro il 2030.
Ha promosso inoltre una legislazione che elimina il diritto delle società minerarie di ricorrere all’arbitrato internazionale. Il contenzioso fiscale con Acacia Mining, accusata di aver sottovalutato per anni la sua produzione di oro, ha portato a un accordo secondo cui la Tanzania ottiene il 16% delle quote delle miniere detenute dalla multinazionale.
È stato però anche accusato di avere aumentato la repressione, arrestato gli oppositori e approvato misure per limitare la libertà di stampa e l’attività dei gruppi che si occupano di difesa dei diritti umani. Una legge del 2018 impone ai blog e ad altri fornitori di news online di detenere licenze governative con limitazioni sui contenuti.
Chi contesta le statistiche ufficiali e soprattutto i numeri del PIL rischia tre anni di galera. La Banca mondiale ha pronosticato solo il 2,5% per l’anno in corso.
Ha favorito la discriminazione per motivi legati al genere e all’orientamento sessuale. Le persone condannate per relazioni omosessuali possono essere incarcerate fino a 30 anni. Ha vietato tutti i progetti di sensibilizzazione sull’HIV e AIDS. Ha minacciato di arrestare e deportare chiunque faccia una campagna per i diritti dei gay, rendendo difficile trovare un avvocato che difenda i casi di violenza contro le persone LGBTQ. Se c’è un omosessuale che ha un account Facebook o Instagram, tutti coloro che lo seguono sono colpevoli come lui.
Da buon cattolico devoto è contrario a contraccezione e aborto.
Si rifiuta di dare dati statistici sulla questione del coronavirus.
Già a partire da gennaio aveva ordinato la sospensione delle attività di sei media tanzaniani, per un periodo fino a undici mesi. Ha obbligato le emittenti di radio e tv a chiedere l’autorizzazione alle autorità per usare qualsiasi tipo di materiale prodotto dai media stranieri. Ha negato a molte testate straniere i permessi per andare nel paese e seguire le elezioni, e ha imposto a quelle accettate la presenza costante di un funzionario del governo.
Queste news ci possono servire non solo per conoscere i Paesi africani, oggetto di una sempre più marcata migrazione verso la UE, ma anche per capire quanto può essere relativa una democrazia col 76% dei consensi. All’inizio ti presenti come progressista, poi, ottenuto il consenso, fai il contrario. Tutto il mondo è paese.