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“Un pezzo di Palestina è in Libano”

“Un pezzo di Palestina è in Libano”, ci scrive la mia amica Stefania Limiti in questo breve reportage da lei intitolato “Voci dai campi profughi dove si vive in condizioni estreme. Con la grande illusione che Israele, paese che occupa militarmente terre di altri, voglia costruire la pace”. Avrei dovuto partire con Stefania e un gruppetto di volenterosi, ma occuparmi del libro per don Andrea Gallo “Non uccidete il futuro dei giovani!”, che arriva in libreria sabato prossimo, mi ha assorbito talmente da avermi impedito, oltre ad anche un solo giorno di ferie, di tornare in Libano. Leggiamo cosa ci scrive Stefania:

Scrivo questo post di ritorno da Beirut, dove il Comitato per non dimenticare Sabra e Chatila ha portato la solidarietà ai rifugiati della Palestina.
Un pezzo di Palestina è in Libano. Oltre cinquecentomila persone, cacciate dalle loro case nel 1948 e poi nel 1967, vivono in circa dodici campi profughi sparsi nel paese dei Cedri, oggi alle prese con una difficile sfida per difendere la propria indipendenza e per superare l’eredità coloniale.
Nel 2003 l’ufficio centrale di statistica palestinese (Pcbs) calcolava che nel mondo ci sono 9.6 milioni di palestinesi: quasi cinque milioni (4.8 per l’esattezza) quelli della diaspora – una delle grandi tragedie del ‘900 completamente rimossa – che vivono in Giordania, Libano, Siria ma anche in altri stati arabi, Europa e Stati uniti: un milione e centomila vivono in Israele, i cosiddetti «arabo-israeliani», 3.7 quelli che risiedono nei Territori occupati – 380 sono le scuole gestite dall’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, un dato che segnala la gran quantità di bambini palestinesi costretti ad affrontare lo studio in condizioni di grande difficoltà. Continua a leggere

Il colonialismo non è affatto morto: lo dimostrano la guerra alla Libia, simile alla tragica guerra di secessione del Biafra, e il veto Usa all’Onu contro la nascita dello Stato palestinese (decisa a suo tempo dalla stessa Onu!). Ovvero: dal miserabile fallimento del “Nuovo Medio Oriente” di Bush e del “Nuovo rapporto con l’Islam” di Obama alla “Nuova Libia” di Levy-Sarkozy

Il colonialismo europeo pareva morto. Finita in tragedia con milioni di morti l’occupazione del Vietnam e fallito nel sangue il tentativo della Francia di indorare la pillola nordafricana dichiarando l’Algeria “territorio metropololitano francese”, dichiarando cioè che i due Paesi su sponde opposte del Mediterraneo erano in realtà un Paese unico. Ora invece si scopre che il colonialismo europeo, capitanato proprio dalla Francia, non è affatto morto. L’intervento militare in Libia, stravolgendo ancora una volta una risoluzione Onu, è infatti sempre più chiaramente e scopertamente un’iniziativa francese, e inglese, per poter continuare ad avere dei protettorati e delle colonie petrolifere in Nord Africa. La Francia ha già le mani sporche di sangue di un paio di milioni di nigeriani vittime del suo avere finanziato, armato e appoggiato la secessione del Biafra dalla Nigeria perché nel Biafra c’era il grosso del petrolio nigeriano. Prima di quella tragedia la Nigeria era un Paese in via di forte sviluppo, poi invece si è ridotto all’emigrazione di nigeriane per fare le prostitute in Europa, solo a Torino ce una ventina di anni fa ce n’erano ben 7.000. Ora Sarkozy sta facendo il bis con la Libia.

Non esiste nessuna “rivoluzione democratica” e nessuna “primavera libica”, esistono invece la volontà e l’intervento militare franco-inglese per buttar giù Gheddafi e sostituirlo con un governo più o meno come il suo, ma prono alla volontà di Parigi e Londra. Alla stessa stregua con la quale gli Usa hanno invaso l’Iraq, per mettere in piedi una caricatura di democrazia tenendosi però ben stretti gli accessi, i giacimenti e i privilegi petroliferi. Speriamo che i cinesi o gli indiani non prendano esempio da noi per invadere la Francia o l’Inghilterra o l’Italia per imporre governi e regimi a loro graditi. Continua a leggere