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Letteratura: cui prodest?

La letteratura italiana è nata nel Duecento ed è morta nel Novecento. E’ nata come fenomeno intellettuale della borghesia, che in quel momento era in ascesa, ed è morta come fenomeno intellettuale della stessa borghesia, entrata in un declino irreversibile.

La borghesia ha svolto una funzione progressiva contro il clero e la nobiltà, ma ha distrutto la classe contadina e artigianale, trasformando tutti in operai salariati, ivi inclusi gli intellettuali.

Tutta la letteratura borghese è rimasta ottimistica finché le contraddizioni sociali non sono esplose, dopodiché è diventata decadente, in quanto la borghesia non solo è incapace di risolvere i propri problemi, ma non ha neppure alcun interesse a farlo.

La domanda che oggi dobbiamo porci è la seguente: che tipo di letteratura possiamo fare senza ricalcare gli stili di vita borghese? Le classi marginali non sembrano essere in grado di fare una letteratura di pari livello, perché non ne hanno le capacità; forse non sono in grado di fare alcun tipo di letteratura, almeno non secondo i canoni tradizionali, e se anche riescono a fare qualcosa di significativo, sul piano letterario, non hanno poi i mezzi per divulgarla. Se un intellettuale fa letteratura “per” le classi marginali, la fa da “borghese”, per cui la sua produzione è viziata in partenza. Se, di tanto in tanto, emerge qualche scrittore pregevole dalle classi subalterne, è assai raro ch’egli non voglia diventare un intellettuale borghese.

E’ proprio la separazione di teoria e prassi, di lavoro intellettuale e manuale che rende l’odierna letteratura una cosa del tutto inutile per i ceti marginali. Ecco perché diciamo che la letteratura italiana (e forse europea o addirittura occidentale), davanti agli orrori del Novecento prodotti dalla borghesia, è morta, in quanto non ha saputo creare alcuna valida alternativa.

La borghesia ha soltanto avuto un momento di contrizione, di pentimento, s’è leccata le ferite e poi ha ricominciato a comportarsi come prima, differenziando la propria attività solo negli aspetti formali, oggi dominati dal globalismo e dall’infotelematica.

Una qualunque letteratura borghese oggi è falsa per definizione. E di fronte a un qualunque tipo di letteratura, la prima da cosa da chiedersi è: a chi giova?

Noi dovremmo ripensare completamente il concetto di “letteratura”, poiché quello che abbiamo non serve a farci uscire dalla crisi, e star lì a pensare di dover scrivere qualcosa che in definitiva è solo fine a se stesso, è un lusso che non possiamo permetterci. La situazione è diventata troppo grave.

La letteratura non può più essere un semplice romanzo: “semplice” non perché il romanzo non possa essere qualcosa di molto complesso, ma perché la vita non può più essere “romanzata”. La vita sta diventando troppo dura da vivere.

Noi dobbiamo scrivere qualcosa che serva per uscire da questo tormento. E siccome da questo tormento non si può uscire da soli, ci vorrebbe, prima di scrivere qualunque cosa, una sorta di esperienza comune, di cui la letteratura possa diventare il riflesso.

Questa cosa andrebbe fatta subito, perché non è possibile aspettare un’ennesima tragedia nazionale o europea prima di veder emergere una nuova buona letteratura. Dobbiamo uscire da quel maledetto circolo vizioso dei corsi e ricorsi.