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Usa: debito, interessi e titoli pubblici


di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi*
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Quando all’inizio di agosto l’agenzia di rating Fitch ha declassato gli Usa da AAA a AA+ il governo americano ha subito risposto duramente. Janet Yellen ha dichiarato il suo totale disaccordo e definito “arbitraria” la decisione. Nel 2011 Obama reagì ancora più violentemente quando Standard & Poor’s fece lo stesso declassamento. Lo ricordino i governi europei quando le agenzie americane pontificheranno sull’andamento delle loro economie.
La ragione data da Fitch è troppo generica e non va al nocciolo del problema. Essa afferma che negli ultimi 20 anni c’è stato un continuo deterioramento negli standard di governance dell’economia anche rispetto alle questioni fiscali e debitorie”.
In verità, sarebbe stato opportuno entrare nel merito. Il debito pubblico americano totale (federale e regionale) è oggi di oltre 32.000 miliardi di dollari, era di circa10.000 miliardi quando esplose la grande crisi finanziaria del 2008. Si stima che entro la fine del decennio raggiungerà i 50.000 miliardi.

Inoltre, da molto tempo ogni anno i governi Usa non riescono a mantenere le spese entro i limiti di bilancio e, ritualmente, devono sfondare il tetto del debito per evitare la bancarotta dello Stato! Questa volta un accordo bipartisan ha deciso di sospendere il limite del debito federale fino a gennaio 2025, cioè per opportunità politica fino all’insediamento del nuovo presidente dopo le elezioni di novembre 2024. A seguito dello “sfondamento” del debito, si stima che quest’anno il deficit di bilancio salirà al 6,3% del pil. L’anno scorso era stato del 3,7%.

Il declassamento del rating inevitabilmente farà crescere il livello di interessi da pagare per le obbligazioni pubbliche, per i noti Treasury bond. Questo si andrà ad aggiungere all’aumento prodotto dagli alti tassi d’interesse imposti dalla Federal Reserve e giustificati come mossa indispensabile per contenere l’inflazione. A ciò occorre aggiungere che la Fed da mesi sta cercando di “smontare” il quantitative easing, evitando anche di comprare nuovi titoli di Stato o di rinnovare parte di quelli in scadenza.

Il risultato è che i titoli pubblici sono in una fase di grande fibrillazione. Il che non rivela soltanto un problema di gestione del debito pubblico. Come abbiamo visto nelle settimane passate, l’aumento del tasso d’interesse sui bond ha avuto pericolosissime ripercussioni sulla tenuta di alcune banche regionali, anche con dei veri e propri fallimenti.
Si noti che recentemente Moody’s ha declassato alcune banche regionali.
Infatti, il sistema bancario americano è pieno di titoli pubblici che, rispetto ai tassi di oggi, sono in perdita. Cercare di rimpiazzarli non è un’operazione lineare. Oltre a perdite da registrare nella foga delle vendite, l’effetto generale sui loro valori di mercato potrebbe essere molto destabilizzante per la loro tenuta.

Intanto, è opportuno registrare che nel periodo ottobre 2022 – giugno 2023, a seguito degli aumenti dei tassi voluto dalla Fed il pagamento per gli interessi è stato di 652 miliardi di dollari, addirittura superiore alle spese per la Difesa. L’ammontare è maggiore del 25% rispetto alle spese per interessi dello stesso periodo dell’anno precedente. Il Congressional Budget Office (Cbo) stima in 745 miliardi di dollari gli interessi da pagare nel 2024 e a oltre 10.000 miliardi nel decennio successivo.

Il problema sta anche nel fatto che il debito pubblico americano è “circondato” da innumerevoli bolle debitorie e speculative. Il declassamento, per esempio, avrà forti riverberi anche sui tassi applicati alle ipoteche e ai mutui che i cittadini devono pagare per l’acquisto delle proprie abitazioni. La somma del debito per le ipoteche residenziali e per gli edifici commerciali è di circa 18.000 miliardi di dollari. Un altro effetto negativo si vedrà sui debiti accesi per finanziare il percorso educativo, il cosiddetto “student debt”. Detta bolla è oggi pari a oltre 1.700 miliardi di dollari. Il pagamento degli interessi e delle quote di questi debiti era stato sospeso durante il periodo del Covid, ma, per decisione del governo, ripartirà da settembre.

Si teme, perciò, che nel tentativo di contenere i debiti pubblici e i deficit di bilancio a farne le spese possano essere i servizi pubblici, a cominciare dalla sanità e dalla scuola. Una ricetta, purtroppo, ben conosciuta anche in Italia.
I gravissimi problemi finanziari di Evergrande, il colosso cinese delle costruzioni e della finanza privata, oltre a creare seri problemi a Pechino, rischia di impattare l’incerto andamento finanziario e debitorio anche negli Usa e altrove.

*già sottosegretario all’Economia **economista

Usa: riflessioni pacate sull’economia globale

di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Recentemente il governo di Washington ha manifestato pubblicamente alcune valutazioni economiche strategiche con toni più realistici rispetto al passato. Per il momento potrebbero essere solo enunciazioni, ma sono importanti dato il momento di grande stress geopolitico. Lo ha fatto il segretario del Tesoro, Janet Yellen, già presidente della Federal Reserve..

Pur non modificando minimamente la strategia di politica estera, in un’intervista alla CNN Yellen ha ammesso che “l’uso di sanzioni finanziarie legate al ruolo del dollaro comporta il rischio che, nel tempo, possa minare l’egemonia del dollaro”. Ciò “crea un desiderio da parte della Cina, della Russia, dell’Iran di trovare un’alternativa”. Anche se, aggiunge, il dollaro è sempre utilizzato come “valuta globale” e “non abbiamo visto nessun altro Paese che abbia l’infrastruttura istituzionale che consentirebbe alla sua valuta di operare nello stesso modo”.
D’altra parte è un dato di fatto che, fuori da quello che consideriamo Occidente, le sanzioni, i commerci e le monete, a cominciare dal dollaro, sono visti e giudicati in modi differenti.
L’amministrazione Biden non può ignorare quanto sta succedendo nel mondo delle valute. Anche se non se ne parla o si tende a minimizzarlo, l’impatto della crescente collaborazione tra i Paesi del Brics, estesa a molte altre economie emergenti, è un processo continuo.

L’ultimo sviluppo è stato la nomina dell’ex presidente brasiliana, Dilma Rousseff, a capo della Nuova Banca di Sviluppo del Brics. Al suo insediamento a Shanghai, Dilma ha affermato: “Abbiamo bisogno di un meccanismo anticiclico che sostenga la stabilizzazione. E’necessario trovare modi per evitare il rischio di cambio e la dipendenza da una moneta unica come il dollaro Usa. La buona notizia è che molti Paesi scelgono di fare trading utilizzando le proprie valute. La strategia della Banca per il periodo 2022-2026 è di fare il 30% dei prestiti in valute locali.“.

Poi, in un discorso alla John Hopkins School of Advanced International Studies di Washington, Yellen ha parlato in modo pratico dei rapporti tra Usa e Cina. “Gli Stati Uniti si faranno valere quando sono in gioco i propri interessi vitali, ha affermato, ma non cerchiamo di separare (decoupling) la nostra economia da quella cinese. Una completa separazione delle nostre economie sarebbe disastrosa per entrambi i Paesi e sarebbe destabilizzante per il resto del mondo.”. Ha aggiunto che “la salute delle economie cinese e statunitense è strettamente collegata. Una Cina in crescita e che rispetta le regole può essere vantaggiosa per gli Stati Uniti.”.

Si ricordi che il commercio degli Usa con la Cina ha superato i 700 miliardi di dollari nel 2021, terzo rispetto a quello con il Canada e il Messico.

Naturalmente Yellen ha ripetuto che “un rapporto economico costruttivo ed equo con la Cina” si colloca nella volontà americana di “difendere i valori e la sicurezza nazionale”. La Cina è invitata a mantenere una concorrenza economica leale. Interessante notare che nel suo discorso, volutamente e opportunamente, non ha mai menzionato Taiwan.

La stessa ha anche ricordato che, nell’incontro dello scorso anno tra i presidenti Biden e Xi, si era concordato di migliorare le comunicazioni sulla macroeconomia e la cooperazione su grandi questioni come il clima e il debito. “Affrontare insieme questi problemi promuoverebbe gli interessi nazionali di entrambi i nostri Paesi”, ha detto. La Cina è il creditore bilaterale più grande a livello mondiale e detiene la metà dei crediti concessi da tutti i governi ai Paesi in via di sviluppo.

Possiamo dire che la preoccupazione sul debito non riguarda soltanto quello dei Paesi poveri e in via di sviluppo, ma anche quello americano. All’inizio del 2021 la Cina, infatti, deteneva Treasury Bond per 1.095 miliardi di dollari, pari a circa il 4% del debito nazionale americano. Oggi ne detiene per un valore di 850 miliardi. Anche se la diminuzione è dovuta in parte al deprezzamento dei titoli, potrebbe segnare una più marcata tendenza futura.

Molti politici e analisti si riferiscono ai rapporti di forza nel mondo solo rispetto alla politica, alla forza militare, al commercio o al pil. Non si comprende, e di conseguenza non si evidenzia, i due aspetti fondamentali degli assetti di potere: la moneta e la finanza. Si rischia, quindi, di sottovalutare situazioni e andamenti che accrescono i rischi di conflitto e persino di guerra. Allo stesso tempo si tende a ignorare anche possibili iniziative positive, proprio nel campo monetario e finanziario internazionale e multipolare. La collaborazione, potrebbe, invece, aiutare a promuovere azioni e soluzioni di sviluppo congiunto e pacifico, come la creazione di un paniere di monete e nuove regole per i mercati finanziari.

*già sottosegretario all’Economia **economista