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Morta Nawal al-Sa’dawi, grande femminista egiziana

Tutte le religioni sono prigioni per le donne”, sosteneva con coraggio e lucidità la scrittrice e intellettuale femminista egiziana Nawal al-Sa’dawi, morta nel 2021 all’età di 90 anni. Suo padre era stato un funzionario governativo del ministero dell’Educazione Nazionale, che aveva preso parte alle lotte contro i britannici nel corso della rivoluzione del 1919.

Scrisse numerosi libri sulla condizione della donna nell’islam, dedicando particolare attenzione alla pratica della mutilazione genitale femminile, ancora presente in alcune parti della società egiziana e che lei stessa aveva subìto in giovane età.

Si laureò in medicina all’Università statale del Cairo nel 1955 e si specializzò in psichiatria. Mentre operava come medico nel suo villaggio natale di Kafr Tahla, denunciò le brutali ineguaglianze sociali cui erano sottoposte le donne in quell’ambiente rurale, e per questo fu richiamata al Cairo.

Divorziò da due mariti che volevano imporle di abbandonare la sua carriera di medico e di scrittrice, poiché consideravano queste attività imbarazzanti e ostacolanti per le proprie carriere rispettivamente di medico e di avvocato.

Divenne Direttrice della Sanità Pubblica e qui incontrò il suo terzo marito, Sherif Hetata, che ricopriva un incarico presso il ministero della Sanità. Hetata era stato prigioniero politico per 13 anni.

La Sa’dawi fu allontanata dal suo incarico presso il ministero della Sanità a causa della sua attività politica. Perse anche il posto di redattore-capo di un giornale sanitario e di Segretario Generale aggiunto dell’Associazione Medica in Egitto. Questo perché era stato ristampato il suo primo libro, Women and Sex, dopo essere stato bandito in Egitto per quasi due decenni.

Poi però dal 1973 al 1976 lavorò come ricercatrice nel campo delle nevrosi nella Facoltà di Medicina dell’Università statale di ‘Ayn Shams, al Cairo. Nel 1979-80 fu consigliera delle Nazioni Unite per il Women’s Programme in Africa e Medio Oriente.

I suoi libri (una cinquantina) sono sempre stati sottoposti a censura: autorità religiose, capi-villaggio e autorità statali l’accusavano di non rispettare i valori tradizionali e d’incitare le donne a ribellarsi contro la Legge e la religione. La sua autobiografia la scrisse in prigione sulla carta igienica con una matita per gli occhi ch’era stata introdotta di nascosto nella sua cella.

Fu incarcerata nel 1981 per crimini contro lo Stato, insieme a circa 1.500 attivisti, che protestavano contro il “Trattato di pace di Gerusalemme” firmato dal Presidente Anwar al-Sadat. Fu rilasciata alla fine dell’anno, un mese dopo l’assassinio di Sadat. Di quella sua esperienza ha scritto: “Il pericolo ha fatto parte della mia vita fin da quando ho impugnato una penna e ho scritto: ‘Niente è più pericoloso della verità in un mondo che mente’”.

Fonda The Arab Women’s Solidarity Association, la prima organizzazione legale indipendente femminista. Ciò le provoca nuove persecuzioni e minacce da parte di gruppi fondamentalisti islamici e la condanna a morte per eresia. Il suo nome era stato incluso in una lista di morte pubblicata in Arabia Saudita.

L’Associazione, dichiarata fuori legge, venne chiusa. Di nuovo Sa’dawi visse l’esperienza del carcere, fin quando, nel 1992, è costretta all’esilio. Si trasferì, insieme al terzo marito, medico e scrittore che curava la traduzione in inglese dall’arabo dei suoi libri, nel North Carolina, presso la Duke University (Asian and African Languages Department).

Nel 1996 tornò in Egitto, ma nel 2002 un avvocato integralista egiziano richiese il divorzio coatto tra lei e il marito, i quali però vinsero la causa grazie a una mobilitazione internazionale.

Continuò nella sua azione attivistica e prese in considerazione la possibilità di presentarsi candidata alle elezioni presidenziali del 2005 contro Mubarak, ma poi decise di boicottarle quando vide che i suoi seguaci erano stati minacciati di morte.

Nel 2007 fu denunciata due volte per apostasia, una volta con la figlia economista Mona Helmy, e la seconda volta per apostasia ed eresia a causa del suo spettacolo teatrale “God Resigns at the Summit Meeting”. Entrambe le cause sono state vinte dalla scrittrice egiziana.

Nel 2008 in Egitto sono state promulgate alcune leggi per le quali lei aveva lungamente combattuto: le donne egiziane hanno conquistato il diritto di registrare i figli nati fuori dal matrimonio con il proprio cognome; l’età minima per il matrimonio è stata alzata a 18 anni; la circoncisione femminile, la clitoridectomia e l’infibulazione sono ora un reato perseguibile e punibile con il carcere o una pena pecuniaria.

Nel 2010 divorziò anche da Hetata, che aveva una relazione con un’altra donna.

L’ultimo suo scontro con le autorità laiche e religiose avvenne nel 2011, all’età di 79 anni, quando si unì ai manifestanti in piazza Tahrir al Cairo per protestare contro il presidente Mubarak, che si dimetterà nello stesso anno.

La retromarcia di Macron

Preso dal panico, perché ha capito che dopo le sue farneticanti dichiarazioni di guerra culturale anti-islamica metteva a rischio l’incolumità di tutti i francesi sparsi nel mondo, il presidente Emmanuel Macron ha concesso un’intervista rivolta al mondo arabo, registrata dalla tv Al Jazeera. Pur condannando ovviamente e risolutamente ogni “violenza”, ha finalmente ammesso di “comprendere lo shock provocato dalle caricature di Maometto da parte di Charlie Hebdo”.

Come se quelle vignette non costituissero alcuna forma di violenza! Come se la violenza potesse essere solo fisica e non anche verbale o mediatica o morale!

Va bene che sei cresciuto in una famiglia non religiosa, però tu stesso a 12 anni hai chiesto d’essere battezzato come cattolico romano. E poi hai frequentato il lycée de la Providence di Amiens, gestito dai gesuiti, dove tra l’altro hai conosciuto la professoressa Brigitte Trogneux, coniugata con figli, di cui ti eri follemente innamorato e con la quale, pur essendoci 24 anni di differenza, avevi stabilito una relazione sentimentale, poi addirittura approdata in un matrimonio.

Quindi un minimo di “istruzione religiosa” dovresti averla, anche se ti vanti d’essere un campione della laicità. E allora medita su quanto disse Gesù Cristo ai propri discepoli: “Non sono le cose che entrano dentro che fanno male, perché quelle finiscono nella latrina. Sono le cose che escono dal cuore che feriscono”.

Non ci vuol molto a capire che il cuore può servirsi anche di una matita.

E poi, per favore, non insultare l’intelligenza degli islamici dicendo che le vignette incriminate non sono state prodotte dal governo, quando fino a ieri le hai difese strenuamente.

La libertà d’espressione senza rispetto delle opinioni altrui l’hai fatta diventare un’aberrazione del laicismo. Anzi del “tuo” laicismo, che pur viene osannato da altri politici e statisti irresponsabili come te.

Il tasso zero dell’etica liberistica

Scrive Luca Bottura il 30 ottobre su Repubblica.it: “La diffusa opinione che le vignette di Charlie Hebdo rappresenterebbero un brodo di coltura per il terrorismo somiglia a quella di chi pensa che la minigonna faciliti lo stupro. Tra i valori non negoziabili che la Francia ha insegnato all’Occidente c’è quello della laicità, più che del laicismo, e tutti poggiano sull’architrave della libertà di espressione. Dire che Macron se l’è cercata, con la sua difesa del foglio satirico parigino, rappresenta un grave equivoco e un ribaltamento plateale del rapporto di causa-effetto. Nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore, è il paravento per una torsione democratica che non solo non dobbiamo permettere, ma non dobbiamo concedere agli estremisti islamici.

Le copertine di Charlie su Maometto erano orribili? Certo. Specie se sei musulmano. Quelle sull’Italia dopo il terremoto, col sangue dei morti paragonato al sugo, irricevibili? Ovviamente. Specie se sei italiano. I motteggi contro il Papa, le suore, altre religioni assortite, potevano risultare disturbanti? Se sei cattolico, di più. Perché di qualunque evenienza satirica è difficile dire che “non fa ridere”. Spesso fa ridere alcuni, non altri. Dipende da quanto ti tocca.

Ma c’è una differenza ancora più decisiva. Che dopo la pubblicazione, nessun italiano è mai entrato nella sede del giornale che le ha stampate per giustiziarne gli autori. E che nessun cattolico si è messo a sgozzare innocenti per lavare una presunta onta scritta con l’inchiostro.

Delle due, dunque, l’una: l’emancipazione non tanto culturale, ma esperienziale, di chi con la democrazia ha una consuetudine più lunga, va onorata continuando a difendere i valori che da noi sono ben riposti nella Costituzione all’altezza dell’articolo 21.

Oppure, mettiamo un tetto. Fissiamo delle regole di buon gusto, non foss’altro che per paura, a quel che si può dire. Sostituiamo l’opportunità al codice penale, che al momento stabilisce i limiti di ciò che è pronunciabile e cosa no.

A quel punto però si pone la domande delle domande: chi decide questi limiti? Chi decide dove sia la decenza? Chi mette il punto di non ritorno oltre il quale devono valere la censura o l’autocensura? Perché mica ce n’è una sola, di soglia da superare. Che tu sia cattolico, islamico, italiano, sammarinese, persino tifoso del Bologna, la tua percezione del sacro non è la stessa di quello che ti sta accanto. Figurarsi del legislatore. O del giudice.

Ma poi: ne basterebbe uno? Chi dovrebbe stilare il codice di auto-condotta?”.

Poi va avanti con altre amenità, quelle tipiche di chi ama l’individualismo delle nostre società liberistiche. Infatti arriva a dire “non riesco a immaginare nulla di più sottomesso che intimare a qualcuno di nascondere i propri disegni perché qualcuno se ne fa schermo per uccidere”.

Perché questi ragionamenti hanno un valore etico prossimo allo zero? Il motivo è molto semplice e lo diceva già Paolo di Tarso duemila anni fa: “Non possiamo fare della nostra libertà un motivo per scandalizzare gli altri”. Cioè in sostanza non basta affermare la laicità dei valori. Occorre anche che i valori siano umani e se sono umani non possono certamente essere imposti. Vogliamo che lo Stato imponga la laicità per tutti? Bene, ma laicità vuol dire rispetto delle idee umane e democratiche. Charlie Hebdo rispetta con le sue vignette indecenti la sensibilità, i valori, la fede religiosa degli altri? No, non lo fa. E allora lo si chiuda. Non è utile a nessuno. Non favorisce la convivenza civile. È antipedagogico per definizione. È una minaccia alla stabilità di un paese, anche perché può essere facilmente strumentalizzato da un governo con ambizioni autoritarie. Come appunto quello di Macron.

Stiamo tirando troppo la corda

Ecco un elenco dei messaggi di cordoglio che avrebbero meritato delle precisazioni. Ci si riferisce alle tre persone uccise da un tunisino nella cattedrale di Notre Dame, nel centro di Nizza.

Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha riportato le parole del papa: “assicura la sua vicinanza alla Comunità cattolica di Francia e a tutto il popolo francese che chiama all’unità”.

La vicinanza deve assicurarla anche alla comunità islamica di Francia, in quanto milioni di credenti non hanno nulla a che fare con questi atti terroristici, anzi loro stessi ne sono vittime, rischiando facilmente di diventare il bersaglio di chi compie indebite generalizzazioni. Come quella p.es. di chi parla di “terrorismo islamico”, come se chi appartiene a questa religione potesse più facilmente diventare un terrorista.

I cattolici francesi devono in realtà sentirsi uniti agli islamici francesi nella lotta contro ogni forma di estremismo giustizialista in nome della religione.

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in un messaggio inviato al Presidente della Repubblica Francese, Emmanuel Macron: “Nel condannare quest’ulteriore, deplorevole gesto di violenza, manteniamo ferma la determinazione nel contrastare il fanatismo di qualsivoglia matrice, a difesa di quei principi di tolleranza che costituiscono il tessuto connettivo delle nostre società democratiche”.

Ottimo. Avrei solo aggiunto, dopo le parole “qualsivoglia matrice”, laica o religiosa che sia. Questo perché non siamo così ingenui da pensare che solo un credente possa diventare un fanatico. Non ha senso credere che un laico o un ateo, solo perché tale, abbia la patente della persona tollerante. Il criterio della verità è la pratica.

“Il vile attacco che si è consumato a Nizza non scalfisce il fronte comune a difesa dei valori di libertà e pace. Le nostre certezze sono più forti di fanatismo, odio e terrore. Ci stringiamo ai familiari delle vittime e ai nostri fratelli francesi. Nous Sommes Unis!”. Lo scrive il premier Giuseppe Conte.

Non ho capito: siamo già uniti contro qualcuno? Dobbiamo considerare i nostri “fratelli francesi”, quelli laici o cattolici, migliori degli islamici presenti in Francia? Non sono forse anche quelli nostri “fratelli”? Sono cittadini francesi, anzi europei, pagano le tasse come noi, obbediscono alle leggi come noi. Con chi dobbiamo fare “fronte comune” per combattere “fanatismo, odio e terrore”? Con una parte della società contro l’altra? Rischiando così di far scoppiare dei pogrom razzistici? O delle guerre di religione?

“L’Italia ripudia ogni estremismo e resta al fianco della Francia nella lotta contro il terrorismo e ogni radicalismo violento”. Lo scrive il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

Giusto. E l’Italia soprattutto teme l’istigazione alla violenza, per cui raccomanda prudenza, tatto, diplomazia quando si difendono le ragioni di qualcuno senza considerare le ragioni di chi la pensa diversamente. Non si può dire infatti che le recenti dichiarazioni di Macron, che hanno fatto infuriare due miliardi di musulmani, sia andate in questa direzione.

“Contro il terrorismo dobbiamo essere capaci di unirci come comunità, rispondendo con fermezza e affermando i nostri valori”. Lo scrive il presidente della Camera, Roberto Fico.

Quali “nostri valori”? Quelli cattolici? La Francia è la patria del laicismo. Quelli laici? La Francia cade spesso nella tentazione di trasformare il laicismo in una nuova religione, da contrapporre in questo caso all’Islam. Forse i valori occidentali? Ma anche gli immigrati francesi, dopo un po’ che vivono da noi, e soprattutto se decidono di non tornare ai loro paesi d’origine, dobbiamo considerarli occidentali come noi. Non possiamo ghettizzarli, anche perché nella UE sono decine di milioni di persone. Dunque non restano che i valori umani. E noi non possiamo certo dire che gli islamici ne siano privi. Li ha riconosciuti persino il papa nella sua ultima enciclica.

La cancelliera tedesca Angela Merkel ha scritto in un messaggio pubblicato dal suo portavoce, Steffen Seibert: “La Germania è con la Francia in questo momento difficile”. Anche il primo ministro britannico Boris Johnson ha scritto: “Il Regno Unito è al fianco della Francia nella lotta al terrore e all’intolleranza”.

Cioè si fa fronte comune tra due Stati contro chi? Anche gli immigrati islamici residenti in Francia sono cittadini francesi. Se dovesse scoppiare una guerra, quanti cittadini islamici francesi contribuirebbero a difendere la loro nazione? È naturale che sia così. Che senso ha che uno Stato dichiari la propria solidarietà a un altro Stato quando non è in corso alcuna guerra contro un terzo Stato? Queste espressioni nazionalistiche non fanno bene alla pace nel mondo.

TRUMP: ALTRA CLAMOROSA SCONFITTA DEL GIORNALISMO FACILONE E DEL MORALISMO UN TANTO AL CHILO DELLA “SINISTRA” (?)

Ha vinto Trump. Il confronto Trump-Clinton è finito come è finito per il solito eccesso di moralismo della sinistra (?), più o meno cosiddetta, e per la faciloneria dei giornalisti oltre che per l’indebito irrompere sul palco di “star” del cinema e della musica che hanno la mania di ergersi a maestri di pensiero. Il messaggio di questa “intellighenzia” è in fin dei conti lo stesso dell’aborrito Trump: solo chi ha successo e quattrini può dire cose sensate e intelligenti, illuminare le tenebre, mentre gli sfigati e gli essere umani comuni – cioè la grandissima parte del mondo, Usa compresi – sono solo zavorra incapace di pensare. Incapace di pensare, ma da attrarre al botteghino, dove la si ritiene invece utile, anzi utilissima: venghino, siòri, venghino…..

Trump NON farà quello che si teme faccia, perlomeno non le cose peggiori, esattamente come Obama NON ha fatto quello che si sperava facesse, perlomeno le cose migliori. Trump non farà quello che ha detto di voler fare, perlomeno le cose peggiori, esattamente come Obama NON ha fatto quello che ha detto di voler fare, per lo meno le cose migliori, a partire da un rapporto migliore con l’Islam.Al quale ha preferitoinvece il solito rapporto “speciale” con Israele – ormai Usraele –  e  con i regimi più infami del mondo arabo, vedi i regimi sauditi e dei vari regnotti del Golfo, tutti wahabiti, cioè il peggio del peggo dell’Islam.

Continueranno a comandare in primis l’apparato militar industriale,  denunciato già da Eisenhower, che pure se ne intendeva, e il sistema finanziario “globalizzato”, compreso quello Sheldon Adelson che finanzia anche Netanyahu ed è l’imperatore dei casinò da Las Vegas a Macao. Continueremo perciò ad avere guerre “locali”, perché gli Usa – e l’Europa – devono vendere le armi che producono e smaltire le vecchie sulla pelle degli esseri umani. I palestinesi saranno ancor più trattati come Untermenschen da affarmare, espellere, lasciar crepare, accoppare, rinchiudere in riserve indiane e ai quali cancellare l’identità con l’ennesimo identicidio perpetrato dall’Occidente nei confronti del resto dl mondo.

Trump o Hilary Clinton, come tutti anche gli Usa cambieranno davvero in meglio solo quando sbatteranno la faccia contro il muro. La propria faccia.
L’elezione della Clinton avrebbe se non altro segnato il buon punto della novità di un presidente Usa donna, che faceva seguito all’incredibile elezione di un presidente nero. Ma sotto questo profilo, gli Usa hanno preferito fare un passo indietro.

Quando il califfato si chiamava papato

Dal IV sec. in poi la storia della chiesa cristiana è stata la storia di differenti forme d’intolleranza, con tanto di violenza fisica, torture ed esecuzioni capitali, al solo scopo d’imporre una determinata fede.

A partire dall’editto di Teodosio del 380 le misure persecutorie cominciarono ad essere rivolte sia contro i pagani, sempre più costretti a riunirsi in case private, mentre i loro templi venivano demoliti; sia contro gli stessi eretici (p.es. in Spagna Priscilliano e i suoi seguaci). La filosofa neoplatonica Ipazia fu addirittura linciata da un gruppo di fanatici, istigati dal vescovo Cirillo di Alessandria.

La legittimazione dottrinale per qualunque tipo di persecuzione veniva presa dall’Antico Testamento, cioè da quella stessa fonte ch’era già servita agli ebrei per sterminare i cosiddetti “idolatri”. Loro stessi si videro perseguitati dai cristiani proprio in nome di un dio che aveva assunto sembianze veterotestamentarie. Sant’Ambrogio di Milano ammise molto tranquillamente d’aver dato lui l’ordine di bruciare la sinagoga della sua città.

L’intolleranza religiosa fu teorizzata da gran parte dei Padri della chiesa (Agostino, Girolamo ecc.), nonché da tutti i papi, a partire da Leone I Magno, che chiedeva all’imperatore bizantino di non fare differenza tra nemici della chiesa e nemici dello Stato. Fu proprio lui ad anticipare ciò che nel Medioevo diverrà l’idea-chiave dell’Inquisizione: il potere temporale va considerato come braccio secolare di quello spirituale. La chiesa cioè si limitava a condannare sul piano ideologico, mentre lo Stato eseguiva le sentenze.

Papa Gelasio I considerava gli eretici peggio delle devastazioni barbariche, mentre per Gregorio I se gli schiavi andavano convertiti con “botte e torture”, i liberi invece dovevano subire una “dura carcerazione”. Ovviamente i papi non erano sempre così espliciti nell’uso della violenza ai fini della conversione, però il ricorso a metodi autoritari veniva considerato legittimo in extrema ratio.

L’uso del rogo iniziò nel 1022, quando il re di Francia, Roberto II il Pio, fece bruciare una quindicina di monaci di Orléans, e divenne una prassi consueta con l’Inquisizione, le cui esecuzioni sono state circa mezzo milione (da 70 mila a 300 mila solo le streghe). Gli ultimi roghi per stregoneria in Europa avvennero tra il 1782 e il 1793 in Svizzera e in Polonia.

Tutti potevano essere sospettati, imprigionati, perdere le proprietà, privati di qualunque difesa, torturati (anche solo come misura precauzionale, per sincerarsi dell’affidabilità della confessione) e infine arsi vivi. Non si giudicavano i crimini ma le idee, e la presunzione non era quella d’innocenza (come oggi) ma di colpevolezza, per cui era a carico dell’accusato dimostrare il contrario.

Quando si parla di perseguitati dalla chiesa romana, si ricordano sempre i soliti nomi (Giordano Bruno, Galilei, Vanini, Jan Huss, Savonarola…), lasciando credere che, tutto sommato, non dovettero essere molti, ma quegli intellettuali, in realtà, erano soltanto la punta di un iceberg. Decine di migliaia sono stati gli illustri sconosciuti o i seguaci di leader religiosi significativi.

Federico Barbarossa non batté ciglio quando al Concilio di Verona papa Lucio III pretese la bolla Ad abolendam, poi integrata nelle Decretali di Gregorio IX. Sperava d’essere riconosciuto come imperatore nell’Italia comunale, ma il papato, dopo essersi servito di lui contro gli eretici (clamorosa fu l’esecuzione di Arnaldo da Brescia), si servì degli stessi Comuni contro di lui, e ne uscì vittorioso, anche se l’imperatore, poco prima di andare a morire in un’ennesima quanto inutile crociata anti-islamica, fece sposare suo figlio con l’erede dei Normanni d’Altavilla, che nel Mezzogiorno svolgevano la parte di feudatari della chiesa. Il papato andò su tutte le furie, perché voleva allargare a dismisura il proprio Stato, e alla morte di Federico II, nipote del Barbarossa, non ci pensò un attimo a far venire in Italia gli Angioini. Questa infatti è sempre stata un’altra caratteristica del papato italiano: servirsi di una potenza straniera per combattere i nemici interni.

Per la chiesa feudale l’eresia doveva essere equiparata al reato di “lesa maestà” (cosa molto contestata, p.es., da un grande teologo come Marsilio da Padova), per cui andava sempre punita con la morte, soprattutto in caso di recidiva. Si era così severi che la condanna si estendeva anche ai discendenti degli eretici: lo si faceva al solo scopo d’intimidire, oltre ovviamente a quello di privare l’eretico di ogni suo bene.

La crociata interna contro gli Albigesi fu una strage incredibile in Occitania. Papa Innocenzo III fu, in quell’occasione, un vero “macellaio”, poiché permise di far fuori un’intera comunità di duemila fedeli.

Oggi ci stupiamo molto che i membri dell’Isis taglino la testa o brucino vivo chi per loro è un eretico o un infedele. Ma questi trattamenti erano considerati del tutto legittimi dalla chiesa e dai sovrani cattolici in Europa. Catari arsi vivi vi furono a Colonia nel 1163, 80 eretici a Strasburgo nel 1212, e così via: l’elenco di casi del genere è lunghissimo.

Nel 1197 Pietro d’Aragona introdusse il rogo tra le forme di punizione espressamente previste per gli eretici che non avessero lasciato immediatamente il paese (spesso l’esecuzione era preceduta dal taglio della lingua, come punizione contro il reato di bestemmia).

I papi fondamentalisti non lesinavano citazioni ad hoc per giustificare i loro crimini. Disse, p.es., Gregorio IX nel 1233: “Dov’è lo zelo di un Mosè, che in un solo giorno annientò 23 mila idolatri? Dov’è lo zelo di un Elia, che uccise con la spada i 450 profeti di Baal?”.

Anche il teologo più importante della chiesa romana, Tommaso d’Aquino, se non aveva dubbi che i giudei o i pagani non potessero essere costretti a credere, di sicuro però dovevano esserlo gli eretici e gli apostati, con pene corporali e anche con quella capitale, se necessario.

La pena del rogo fu introdotta da Federico II in tutto il sacro romano-germanico impero; ufficialmente la Francia lo fece nel 1270; Venezia nel 1249; Alfonso X di Castiglia la prevedeva nel 1255 per chi si convertiva dal cristianesimo all’islam o all’ebraismo; nel 1401 entrò nella legislazione inglese.

Quando il papato era ad Avignone, i Templari, che si erano arricchiti enormemente con le crociate anti-islamiche, furono sterminati dal re di Francia con l’avallo di papa Clemente V, che autorizzò le più barbare torture al fine di privarli di tutti i loro beni: 500 di loro morirono persino prima ancora di finire sul rogo. Nel caso in oggetto non si trattava neppure di veri e propri “eretici” in senso teologico.

E neppure lo erano i fraticelli francescani, che contestavano il clero corrotto non sul piano ideologico ma solo dal punto di vista della pratica della fede. A Carcassonne papa Giovanni XXII ne fece bruciare 113. In Italia gli apostolici-dolciniani sterminati furono circa 3.000.

Quando papa Wojtyla disse che tali atti erano in contrasto con la dottrina della chiesa, mentiva sapendo di mentire. Gli inquisitori, i teologi, i papi erano tutti convinti che, uccidendo l’eretico, facevano il suo bene, in quanto gli impedivano di continuare a peccare.

La chiesa romana ha praticato esecuzioni capitali sino all’unificazione italiana (l’ultimo giustiziato è del 1870) e ha abolito giuridicamente la pena di morte solo nel 2001!

Innocenzo IV (1243-54) legittimò l’uso della tortura con la bolla Ad extirpanda, e i suoi successori, Alessandro IV e Urbano IV autorizzarono gli inquisitori ad essere presenti a tutte le torture. Il solo Bernardo Gui, domenicano francese e grande inquisitore di Tolosa, condannò 636 persone dal 1308 al 1322, di cui 40 finirono sul rogo, 300 imprigionate a vita, e le altre a pene minori. Papa Giovanni XXII lo premiò facendolo diventare vescovo.

Nel Manuale dell’inquisitore, scritto nel 1376 dal domenicano Eymerich, si può chiaramente leggere che persino gli eretici pentiti finivano male: come minimo infatti subivano l’ergastolo.

Non dimentichiamo che se si scopriva in ritardo che uno era stato eretico, si poteva anche riesumarlo dalla tomba, fargli il processo e mandarlo al rogo. Il primo a subire una procedura del genere, che a dir macabra è poco, ma che poi divenne prassi, fu addirittura un papa, di nome Formoso, nell’897. Lo si faceva per far capire all’eretico che non aveva scampo, né da vivo né da morto.

Di recente papa Bergoglio ha chiesto scusa ai Valdesi per le persecuzioni subite. Pochi infatti sanno che persino in epoca umanistica venivano messi al rogo (p.es. nel 1445 a Cuneo, ma anche nel 1560-61 in Calabria, allorché i gesuiti li mandavano a morire anche se pentiti).

Non c’è d’altra parte da stupirsi. Il papato ricorreva a metodi di oppressione tanto più terribili, quanto più si rendeva conto che il potere politico gli stava sfuggendo di mano. Ecco perché l’Inquisizione continuò, ancor più virulenta, finito il Medioevo, durante la Controriforma.

Mentre nella Spagna tardo-feudale, a partire dal 1478, si usò l’Inquisizione contro gli ebrei e gli islamici convertiti al cristianesimo, semplicemente perché di loro non ci si fidava, e si preferiva cacciarli dalla Spagna unificata per privarli di tutti i loro beni; nel resto dell’Europa invece il nemico da abbattere era il “protestante”, luterano o calvinista che fosse.

L’Inquisizione moderna se la prendeva contro ogni idea diversa da quella che doveva apparire “ufficiale”. Quella “romana” fu istituita nel 1542 da papa Paolo III, per inaugurare la Controriforma. Agli inquisitori si diede piena licenza di torturare e giustiziare, mirando a colpire non solo con gli eretici, ma anche i bestemmiatori in senso lato, gli omosessuali, i simoniaci, i celebranti senza ordinazione, chi violava i giorni festivi, i giudaizzanti, ecc. Nel 1556 ad Ancona furono condannati a morte 25 ebrei, previo il rogo di tutti i loro testi sacri.

Nella monumentale Storia della chiesa, curata da H. Jedin per i tipi della Jaca Book, appare abbastanza ridicolo che, di fronte a eccidi del genere, si dica che “nell’insieme tali provvedimenti repressivi erano ben superati dal positivo lavoro costruttivo della pubblicazione del catechismo, del breviario e del messale”.

È rimasto alla storia il Te Deum che papa Gregorio XIII fece celebrare a titolo di ringraziamento per l’orrenda strage di migliaia di ugonotti (tra 5.000 e 30.000) compiuta dai cattolici a Parigi nella notte di San Bartolomeo (1572).

Difficile sostenere la legittimità di comportamenti del genere e poi continuare a non negare l’assurdità di un dogma come quello dell’infallibilità pontificia. Probabilmente l’unico papa davvero “infallibile” è stato Celestino V, che si dimise dopo pochi mesi, prima ancora di compiere qualcosa di cui, in quanto benedettino eremitico, si sarebbe amaramente pentito.

Da notare, inoltre, che se le torture e le esecuzioni capitali dovevano sottostare in Europa a procedure formalmente “corrette”, nei paesi colonizzati tutte le remore venivano meno. Se aggiungiamo alle vittime europee quelle latinoamericane e di altre colonie, il numero diventa incalcolabile.

L’Inquisizione ha continuato a fare molta paura ancora nel Seicento e nel Settecento. La temettero o la subirono nomi famosi: da Giordano Bruno, a Galilei, a Cartesio, sino ai massoni (si pensi p.es. alla vicenda di Tommaso Crudeli). Il libro di Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, fu messo all’Indice, come tantissimi altri.

L’Inquisizione ebbe termine non grazie al senso del diritto dei cattolici, ma alle idee dell’Illuminismo, della rivoluzione francese e dell’espansione napoleonica in Europa. Si iniziò praticamente dalla metà del Settecento, anche se l’intolleranza della chiesa romana continuò imperterrita.

Nel 1832 papa Gregorio XVI condannava recisamente ogni affermazione della libertà di coscienza (Mirari vos); cosa che fu ribadita nel 1864 da papa Pio IX (Quanta cura), che farà approvare il dogma dell’infallibilità per difendere lo Stato della chiesa dalle minacce dei Savoia.

Nel 1910 papa Pio X condannò i cattolici progressisti francesi (anche in Italia il modernismo fu pesantemente represso); e il suo successore, Pio XI, pretese da Mussolini, per risolvere la “questione romana”, che lo Stato dichiarasse il cattolicesimo a “fondamento e coronamento” della propria istruzione scolastica. Cosa che è stata eliminata solo con la revisione concordataria del 1984, anche se permane intonso l’art. 7 nella Costituzione.

Ci vorrà il Concilio Vaticano II per ammorbidire le posizioni integralistiche della chiesa, che però torneranno in auge coi due pontificati nettamente anti-comunisti di Wojtyla e Ratzinger, i principali affossatori anche della teologia della liberazione.

“Noi” e “Loro”: riusciremo mai a convivere pacificamente?

Oggi siamo soliti stupirci alquanto che ancora possano esistere confessioni religiose così fanatiche da provocare stragi, terrore e guerre a non finire.

Noi occidentali siamo però abituati da tempo a credere che dietro motivazioni religiose vi sono sempre motivazioni economiche. Gli stessi dell’Isis continuamente ci fanno capire che dietro le loro stragi in nome di Allah e del Corano vi è l’obiettivo di colpire gli occidentali, che loro equiparano agli “imperialisti”.

Essere islamico “moderato” sostanzialmente per loro significa stare dalla parte degli occidentali. Non si rendono conto che quanto più si comportano in maniera così estremistica e intollerante, tanto più, indirettamente, fanno un favore alle idee laicistiche.

Da un lato infatti il mondo laico si convince sempre più che la religione, vissuta in una certa maniera, può anche diventare molto pericolosa; dall’altro si va formando, tra gli stessi ambienti islamici più consapevoli, l’idea che sia giunta l’ora di svecchiarsi. Non si può continuare a essere “feudali” in un modo dominato dal globalismo del capitale. Se vi sono contraddizioni sociali da risolvere, non sarà certo col fanatismo religioso (islamico o ebraico o di altra religione) che lo si potrà fare.

È anche vero che questo fanatismo trova alimento proprio in quelle contraddizioni. Quanto più infatti il globalismo riesce a diffondersi, tanto più le aree geografiche caratterizzate da ampie sacche di povertà (materiale e culturale), pensano di trovare nel passato fondamentalismo islamico una valvola di sfogo. Essere islamici non vuol dire soltanto credere in un dio o in un testo sacro, ma anche essere anti-occidentali, e finché gli occidentali vogliono dominare il pianeta, vi sarà sempre qualche fanatico integralista disposto a tutto.

Sotto questo aspetto gli ebrei sionisti di Israele sono stati più furbi: anche loro vogliono essere fanatici e intolleranti, ma hanno preferito mettersi dalla parte degli occidentali, dicendo a più riprese che i loro nemici sono i palestinesi terroristi che non riconoscono il loro Stato. E la gran parte di noi non ha molto da obiettare né al loro fanatismo ideologico né al fatto che quando vogliono dare una “lezione” ai palestinesi, usino mezzi assolutamente sproporzionati e inumani. L’importante è che stiano dalla nostra parte.

Purtroppo però un atteggiamento del genere, da parte delle religioni integralistiche, fa male anche al laicismo. Infatti quando i laici vedono i credenti compiere atti così sconsiderati (p.es. sterminare dei tranquilli bagnanti in una spiaggia tunisina o dei devoti sciiti in una moschea yemenita), sono indotti a pensare che il loro laicismo sia vero in sé e per sé, a prescindere dai concreti comportamenti pratici. E, si sa, quando si estremizzano i comportamenti, si finisce col compiere cose insensate proprio in nome della “ragione” (quanti bombardamenti abbiamo già fatto in nome dei “diritti umani”? Afghanistan, Irak, Serbia, Libia…).

Quindi se fino adesso non abbiamo scatenato una guerra in piena regola, con l’uso di armi di sterminio (al fosforo, all’uranio impoverito…) contro l’Isis, non è detto che i prossimi mesi non ci venga voglia di farlo. In fondo i bagnanti nel golfo di Hammamet erano dell’Europa occidentale, come i turisti al museo tunisino del Bardo, come i redattori della rivista parigina Charlie Hebdo, come gli oltre 5000 morti delle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, che ha dato il via a una guerra intermittente, con alti e bassi, tra “loro” e “noi”.

Stiamo cominciando a capire che ormai il conflitto non è più solo tra “islamici” ed “ebrei”, né all’interno del mondo musulmano (p.es. tra sciiti e sunniti), ma anche tra “loro” e “noi”. Questo schematismo geopolitico può scatenare reazioni imprevedibili, che faranno male non solo a “loro” ma anche a “noi”, soprattutto ai concetti di “democrazia” e di “pluralismo”.

Invece di prendere le cose sotto gamba, invece di metterci in condizioni tali per cui, ad un certo punto, l’ultima parola l’avranno i militari, gli affaristi e i loro politici ultraradicali, dovremmo, sin da adesso, mobilitare tutto l’armamentario diplomatico. Dovremmo formulare dichiarazioni pubbliche da parte di organismi internazionali a favore della convivenza pacifica tra etnie, culture, religioni diverse. Dovremmo organizzare conferenze internazionali per affrontare i problemi del Medio oriente, la fame in Africa, il sottosviluppo nel Terzo mondo. L’occidente però sembra essere preso da tutt’altre faccende, e non si può dire che Russia, Cina, India, America latina o Paesi arabi siano davvero interessati a svolgere un ruolo significativo per i valori umani fondamentali.

Il rischio è quello di finire in una guerra devastante senza davvero volerla. Qualche Stato forse voleva la prima guerra mondiale? O la seconda? Nessuno in particolare. Anche gli Stati più “estremisti” al massimo si sarebbero accontentati di colonie da sfruttare. Invece vi ci siamo infilati tutti in men che non si dica. In Europa si aveva l’impressione che solo con una gigantesca guerra si sarebbero potuti risolvere i problemi interni.

Oggi chi spinge a una soluzione del genere sembrano essere gli Stati Uniti, che non hanno avuto scrupoli a finanziare e armare prima i talebani contro i russi, poi gli islamisti del califfato contro la Siria, infine i neonazisti contro i filorussi nel Donbass. Salvo poi accorgersi che tutti questi “aiuti” potevano anche sfuggire di mano.

Ci serve una crociata

Mille anni fa la situazione sociale, economica, etica e politica era, in Europa occidentale, sull’orlo della catastrofe. La corruzione imperava ovunque. Dopo aver acquisito l’ereditarietà dei feudi maggiori, nell’877, ogni nobile si comportava, nei propri possedimenti, come un autentico despota, sapendo benissimo che nessuno avrebbe potuto impedirglielo, neppure il sovrano.

A Roma la carica di pontefice era appannaggio delle famiglie aristocratiche più influenti. Nepotismo e simonia nella chiesa non erano l’eccezione ma la regola, al punto che tra le fila del clero benedettino – uno dei maggiori proprietari terrieri – parti di una riforma generale che trovò soltanto nel fanatismo dogmatico e teocratico lo strumento migliore per affrontare l’immoralità dominante.

Lo stesso papato, insieme ai Franchi, aveva completamente distrutto il valore dell’istituzione imperiale del basileus bizantino, tanto che nel 1054 decise di separarsi definitivamente dalla chiesa ortodossa, che dell’impero d’oriente costituiva la rappresentazione più significativa.

La formazione delle città italiane stava avvenendo contro la feudalità rurale, e si stava sviluppando contro qualunque prerogativa imperiale. La borghesia era disposta a scendere a patti col papato in funzione anti-imperiale, ma non amava ingerenze di alcun tipo nella propria attività affaristica.

Avversa alla grande nobiltà era pure quella piccola, che pretese l’ereditarietà dei feudi minori nel 1037 e che appoggiò lo sviluppo dell’urbanizzazione.

La progressiva abolizione del servaggio nelle campagne comportava la formazione del primo proletariato cittadino, che però era già così numeroso da non poter essere assorbito in toto dalle nascenti manifatture.

Le tensioni erano molto forti: i Comuni più grandi tendevano a fagocitare quelli più piccoli e a ridurre i contadi rurali in aree coloniali prive di autonomia economica.

Bande di pirati normanni (a nord), ungari (a est) e saraceni (a sud) infestavano buona parte dell’Europa, e, di questi, sicuramente i primi erano i più organizzati e i più feroci, tant’è che in pochissimo tempo riuscirono a conquistare la Normandia, l’Inghilterra e l’Italia meridionale, e poco mancò, a est, che arrivassero ad annettersi la Russia e Bisanzio.

Intanto dalla Persia erano giunti i Turchi Selgiuchidi, i quali, dopo aver occupato il Medio oriente, stavano minacciando, in Asia minore, quel che era rimasto dell’impero bizantino.

Quando venne in occidente la richiesta, da parte del basileus, di un aiuto militare, nessuno vi prestò ascolto, sia perché i bizantini e gli ortodossi erano avvertiti come rivali nella fede religiosa (sin dai tempi del Filioque introdotto nel Credo) e nel potere politico (sin dai tempi dell’incoronazione illegale di Carlo Magno), sia perché l’occidente latino non aveva possedimenti da difendere in Palestina o nell’Africa settentrionale, anche se cominciava a preoccuparsi della presenza dei Mori in Spagna, in Sicilia e in altre località ove erano approdati come pirati.

Lo spirito di crociata nacque così, come tentativo di risolvere militarmente una crisi molto grave, che si trascinava da almeno due secoli. Bisognava darsi un’ottima motivazione – è questa la offrirono i Turchi intolleranti e fiscalmente esosi -, cui se ne sarebbe subito aggiunta un’altra: la possibilità di conquistare nuove terre in Medio oriente, che anche per colpa degli ebrei deicidi – si diceva – erano da sempre tormentate (l’antisemitismo nacque proprio in occasione della prima crociata).

La soluzione dei problemi interni venne affidata alla politica estera. Che è, in fondo, quello che stanno facendo oggi gli americani, che dopo il crollo delle torri di Manhattan, si sono inventati un nemico internazionale, chiamato “terrorista islamico”, che ha autorizzato loro a spiare il mondo intero per motivi di sicurezza e a dichiarare guerra a qualunque paese (o a minacciare di farlo) che, anche solo intenzionalmente, voglia munirsi di armi di sterminio di massa.

Gli Usa pensano di risolvere così il disastro della loro economia interna, indebitata fino al collo e corrotta quanto mai: stanno pressando tutti i paesi avanzati a muover guerra contro questo fantomatico “nemico mondiale” (che fino a ieri pareva essere il “socialismo reale”), e a farlo, beninteso, non in autonomia, ma seguendo le loro direttive strategiche.

Per convincersi a mettersi in fila dietro questi nuovi feudatari diretti in “oriente”, occorre soltanto che la situazione peggiori, che si acuiscano le contraddizioni e che emergano pseudo motivazioni ideali molto sentite. I più forti militarmente son loro: su questo non si può avere dubbi. E loro ci dicono d’essere anche i più democratici di tutti: per questo sono così odiati.

Per tenere in piedi l’ormai nauseabondo Emanuela Orlandi Show nuove calunnie e insinuazioni su don Piero Vergari. La grande balla sull’esorcista della Santa Sede don Gabriele Amorth “rivelatore” della morte “orgiastica” di Emanuela.

PREMESSA

Come forse avrete notato se l’argomento non ha suscitato la vostra repulsione, la scomparsa di Emaneuela Orlandi, avvenuta nell’ormai lontano 22 giugno 1983, è trattato in modo sempre più cialtronesco e in spegio alla più elementare decenza giornalistica. Dopo avere seminato false pista a piene mani, a partire da quella dei terroristi turchi che volevano liberare Alì Agca, l’attentatore di papa Wojtyla, si è passati a 7 anni di presa in giro con la pista della banda della Magliana e del defunto Enrico De Pedis, promosso post mortem a grande capo della banda dalla malafede e scarsa professionalità di troppi giornalisti assecondati da politici tanto “buonisti” quanto incapaci e vanesii. Per 7 anni il programma televisivo di Raitre “Chi l’ha visto?” e annessi e connessi hanno suonato la grancassa che aprendo la bara di De Pedis si sarebbe trovata la verità del caso Orlandi. La bara è stata infine aperta e l’intero sotterraneo della basilica di S. Apollinare che la ospitava è stato trivellato, con un atto inqualificabile della magistratura, ma ovviamente il bandolo della maleodorante matassa non s’è trovato. Da allora i mass media si sono scatenati contro l’ex rettore della basilica, don Piero Vergari, che con altre quattro persone ha una comunicazione giudiziaria come semplice atto dovuto per poter procedere ad alcuni controlli sul caso Orlandi. E’ evidente il tentativo di far restare in piedi almeno i calcinacci della ossessiva pista sballata caratterizzata dal nome di De Pedis, inventando man mano ritrovamenti di ossa umane sospette, crani, mandibole e perfino due scheletri di donna nei sotterranei di S. Apollinare. Ora c’è la follia della terra trovata scavando nell’ex cimitero sotterraneo della chiesa, come se scavando nel sottosuolo anziché terra ci si aspettasse di trovare farina o noccioline.

Pur di dare addosso a don Vergari accade che nel gruppo fondato su Facebook da Pietro Orlandi, per raccogliere adesioni nel vano tentativo di convincere con una petizione genuflessa papa Ratzinger a rivelare finalmente la verità sulla fine di sua sorella, si arrivi a dipingere don Piero come un omosessuale che corrompeva preferibilmente giovani africani. Il giornalista Fabrizio Peronaci, destinatario della mia lettera aperta inviatagli mesi or sono come puntata di questo blog, alla quale ovviamente non ha mai risposto anche se con comuni conoscenti minacciava sfracelli a mio danno, è arrivato a fare insinuazioni delle quali infine deve essersi vergognato lui stesso, finalmente. In un articolo per il Corriere della Sera del 5 settembre l’usuale recarsi in Vaticano di don Piero per andare in farmacia, al bancomat e negli archivi chiamati Archivio Segreto Vaticano è stata trasformata in cosa considerata dentro il Vaticano un probabile rintanarsi nella Stato pontificio in vista di “sviluppi delle indagini”, cioè di un eventuale mandato di cattura. Colmo del ridicolo e dell’assurdità, Peronaci ha voluto far notare che gli archivi sono “gli stessi in cui lavorò per qualche tempo la figlia di un funzionario dei servizi segreti indagato a fine anni 80“. Come se questo particolare insignificante possa essere la prova di manovre di don Piero con i servizi o addirittura una sua appartenenza ad essi. Come dire che poiché il Vaticano è frequentato da un certo papa Ratzinger allora questi e don Piero probabilmente sono ciccia e pappa…

Di averla fatta fuori dal vaso questa volta più del solito se ne deve essere accorto lo stesso Peronaci o qualche caposervizio del Corriere. Infatti in seguito su corriere.it l’odiosa allusione ai servizi segreti e alla latitanza è stata tolta, E’ però rimasta sull’edizione cartacea. E che sull’edizione cartacea quelle affermazioni ci fossero lo dimostra anche un zelante ed esagitato membro del gruppo Facebook di Pietro Orlandi, tale Mauro Valentini, che ha avuto la bella idea di pubblicare per intero le insinuazioni di Peronaci e di dichiararsi allibito per la mancanza di reazioni forti contro don Piero, che descrive per giunta come un ghiottone di ragazzini preferibilmente africani.

NOVITA’ ODIERNE

Tutto ciò premesso tanto per darvi la misura di dove siamo arrivati, vale a dire al giornalismo più putrefatto dei cadaveri di cui parla, ho appurato che il “grande scoop” dell’esorcista don Gabriele Amorth, che oltre tre mesi fa parlava di Emanuela morta a seguito di orge vaticane, è solo una balla colossale. Amorth NON ha mai fatto quell’affermazione. Balla colossale, ma rilanciata da tutti i mass media e bevuta avidamente dall’intera opinione pubblica che ha ancora il fegato di seguire questa interminabile telenovela. Per appurarlo non ho dovuto fare altro che telefonare a don Amorth e, come lui mi ha fatto chiedere, inviargli le mie domande per lettera, alle quali ha risposto. Domanda inevitabile: come è possibile che per oltre tre mesi filati a NESSUN giornalista sia venuto in mente di contattare don Amorth e chiedergli conferme? Io non sono certo un genio del giornalismo e credo neppure l’unico che usa verificare le notizie per evitare di scrivere cazzate, anche se a volte può capitare a tutti, me per primo, motivo per cui è particolarmente inspiegabile questa inazione di TUTTI che è diventata ignavia di tutti. Certo, mi si può rimproverare di essermi mosso solo dopo un paio di mesi, ma almeno mi sono mosso! E poi chiunque è in grado di capire che dato il clamore, suscitato certo non per caso dalla bufala della morte orgiastica della Orlandi, era meglio aspettare che la temperatura scendesse un po’ onde evitare di essere mandato al diavolo. Anche se un esorcista come don Amorth il diavolo lo combatte anziché spedirgli i rompiscatole come me. Continua a leggere

Il colonialismo non è affatto morto: lo dimostrano la guerra alla Libia, simile alla tragica guerra di secessione del Biafra, e il veto Usa all’Onu contro la nascita dello Stato palestinese (decisa a suo tempo dalla stessa Onu!). Ovvero: dal miserabile fallimento del “Nuovo Medio Oriente” di Bush e del “Nuovo rapporto con l’Islam” di Obama alla “Nuova Libia” di Levy-Sarkozy

Il colonialismo europeo pareva morto. Finita in tragedia con milioni di morti l’occupazione del Vietnam e fallito nel sangue il tentativo della Francia di indorare la pillola nordafricana dichiarando l’Algeria “territorio metropololitano francese”, dichiarando cioè che i due Paesi su sponde opposte del Mediterraneo erano in realtà un Paese unico. Ora invece si scopre che il colonialismo europeo, capitanato proprio dalla Francia, non è affatto morto. L’intervento militare in Libia, stravolgendo ancora una volta una risoluzione Onu, è infatti sempre più chiaramente e scopertamente un’iniziativa francese, e inglese, per poter continuare ad avere dei protettorati e delle colonie petrolifere in Nord Africa. La Francia ha già le mani sporche di sangue di un paio di milioni di nigeriani vittime del suo avere finanziato, armato e appoggiato la secessione del Biafra dalla Nigeria perché nel Biafra c’era il grosso del petrolio nigeriano. Prima di quella tragedia la Nigeria era un Paese in via di forte sviluppo, poi invece si è ridotto all’emigrazione di nigeriane per fare le prostitute in Europa, solo a Torino ce una ventina di anni fa ce n’erano ben 7.000. Ora Sarkozy sta facendo il bis con la Libia.

Non esiste nessuna “rivoluzione democratica” e nessuna “primavera libica”, esistono invece la volontà e l’intervento militare franco-inglese per buttar giù Gheddafi e sostituirlo con un governo più o meno come il suo, ma prono alla volontà di Parigi e Londra. Alla stessa stregua con la quale gli Usa hanno invaso l’Iraq, per mettere in piedi una caricatura di democrazia tenendosi però ben stretti gli accessi, i giacimenti e i privilegi petroliferi. Speriamo che i cinesi o gli indiani non prendano esempio da noi per invadere la Francia o l’Inghilterra o l’Italia per imporre governi e regimi a loro graditi. Continua a leggere

Obama a Londra ha detto che l’Occidente ha i valori di fondo che legittimano ancora la sua guida del mondo, ma l’Occidente senza tutto ciò che ha preso dall’Oriente sarebbe ben poca cosa

Passata la tempesta elettorale, riprendiamo a parlare di argomenti purtroppo più importanti.
Nei giorni scorsi a Londra il presidente Usa Obama ha tenuto nel parlamento inglese un discorso da uomo d’Occidente molto orgoglioso di esserlo. Non ha parlato di superiortà della civiltà occidentale, ma ha detto qualcosa di simile, qualcosa che una tale superiorià la sottende implicitamente. Obama ha infatti ribadito solennemente, nella sede dove è nato l’Habeas corpus che sta alla base di tutte le nostre libertà nei confronti del potere, che l’Occidente ha tuttora i valori fondamentali che lo autorizzano a voler guidare il mondo. Obama però non ha detto, forse perché lo ignora come quasi tutti eccetto gli studiosi, che l’Occidente senza tutto ciò che ha ricevuto per secoli e secoli dall’Oriente non sarebbe quello che è, non potrebbe cioè avere i “valori fondamentali” che ha. Fermo restando che ogni Paese ha i suoi valori, e che è assurdo pretendere che i propri siano superiori a quelli degli altri.
Nessuno, tanto meno Obama, ama ricordare il contributo decisivo al sapere scientifico, al tenore di vita e alla civiltà europea, e quindi occidentale in genere, fornito dalla civiltà islamica, dalla “Via della Seta” e dalla “Via delle Spezie”. I numeri che usiamo in Occidente non a caso sono i “numeri arabi”, nati in India e trasmessici dal mondo islamico, per non parlare dell’algebra, dell’astronomia, della cartografia, della medicina, della chimica, ecc. Dividiamo la settimana in sette giorni, di cui uno festivo, le note musicali in sette note, il giorno in 24 ore, le ore in 60 minuti, l’orizzonte in 360 gradi, ecc., ma sono tutte cose nate in Mesopotamia oltre 4.000 anni fa! E sono centinaia le parole italiane in vari campi che derivano dall’arabo e dall’iranico, a partire dalla diffusissima e significativa parola “paradiso”, fondamentale nella religione.

E a proposito di religione, non si usa dire che i “valori” dell’Occidente derivano dal cristianesimo? Anzi, da un po’ di tempo la Chiesa per nascondere le sue colpe verso gli ebrei ama parlare di radici “giudaico-cristiane”. E da dove vengono il cristianesimo e il giudaismo se non dalla Giudea, cioè dall’Oriente? Con il cristianesimo “Roma s’è fatta Oriente”. Il monoteismo e i principi del cristianesimo, a partire dall’ama il prossimo tuo come te stesso,  sono prodotti orientali poco conciliabili con le radici “greco romane”, delle quali pure ci vantiamo. Prodotti orientali che, fatti propri da Roma, nell’affermarsi in Europa – purtoppo, esattamente come nel resto del mondo, più con le armi che con il vangelo – hanno spazzato via il preesistente politeismo pagano e il suo sistema di valori. Che era il sistema di valori tipico proprio del mondo greco e romano, ma anche di quello degli altri popoli del Vecchio Continente, compresi i barbari e i germani che lo hanno poi invaso, sistema di valori per nulla centrato sull’eguaglianza, sulla solidarietà e sull’amore per il prossimo. Forse non è strano che per motivi di bottega il papa e la Chiesa non se ne rendano conto o facciano finta di non saperlo, ma è strano che neppure Obama si renda conto di tutto ciò. E se fosse vero quello che hanno provato a sostenere i suoi nemici, e cioè che lui in realtà è un musulmano, e comunque musulmani erano i suoi avi, sarebbe ancor più strano che non si rendesse conto che anche la religione fondata da Maometto è un prodotto dell’Oriente, non è certo “made in Europe”. Né più e né meno come il cristianesimo e il giudaismo noto anche come ebraismo. Continua a leggere

Per la Chiesa ci sono copti e copti: protesta, giustamente, per la strage dei 21 ad Alessandria d’Egitto, ma continua a tacere sui 1.600 monaci copti etiopi massacrati dagli italiani. Le (inesistenti) “offese agli ebrei” dell’ex Nar romano Francesco Bianco, ultimo caso delle sempre più sbracate bufale sul “dilagare dell’antisemitismo”

1) – Il Vaticano e la Chiesa italiana continuano a mantenere viva l’attenzione e la condanna per la strage di 21 cristiani copti a Capodanno ad Alessandria d’Egitto. Il cardinale Bagnasco nelle ultime ore ha pubblicamente invocato l’intervento della Comunità Europea a protezione dei copti e dei cristiani in genere nei Paesi dove non sono ben visti. Iniziativa condivisibile. Le stragi di fedeli, per giunta in una chiesa mentre pregano, sono infatti una cosa particolarmente orribile, quale che sia la fede delle vittime. Però in questo caso l’intervento della Chiesa italiana e del Vaticano sorprendono. Il problema non è solo il loro silenzio nei confronti delle vittime musulmane della guerra angloamericana in Iraq, silenzio denunciato nei giorni scorsi dalla maggiore autorità religiosa musulmana d’Egitto, o nei confronti dei bombardamenti “per errore” della Nato in Afganistan che fanno stragi di civili innocenti, bambini compresi, anche alle feste di matrimonio. A essere pignoli ci sarebbe da notare che papa Wojtyla dopo avere inutilmente scongiurato l’intervento in Iraq, patrocinando di fatto il movimento pacifista Arcobaleno, si è poi affrettato a invocare “Dio benedica l’America!” non appena il mentitore guerrafondaio George W. Bush andò a fargli visita in Vaticano. Ma tralasciamo.

Quello che non convince è invece il fatto che il Vaticano e la Chiesa italiana PRIMA di protestare, giustamente, per la strage dei copti d’Alessandria dovrebbero pubblicamente ammettere d’avere sbagliato e chiedere perdono per il silenzio tombale con il quale nascosero la strage di almeno 1.600 monaci copti per mano italiana nel 1937 in Abissinia, oggi Etiopia ed Eritrea. Pur di non dispiacere al Cavaliere di turno, l'”uomo della Provvidenza” Benito Mussolini e ai suoi fascisti, che avevano invaso l’Abissinia, il Vaticano fece spallucce per la rappresaglia al fallito attentato al maresciallo Graziani, rappresaglia che sterminò dai 4.000 ai 20.000 civili abissini, e tacque totalmente e vergognosamente per la strage di tutto il clero copto della capitale religiosa di Debre Libanos: almeno 1.600 tra monaci, giovani seminaristi e ragazzini chierici. In totale, l’equivalente di 20-50 volte la strage delle Fosse Ardeatine perpetrata a Roma dai nazisti tedeschi. Continua a leggere

Manifesto per la fondazione del partito Democrazia Laica. Per la difesa della laicità della Repubblica italiana (quindi anche della libertà di religione) e contro la guerra da “scontro di civiltà”

Il laicismo unisce, i clericalismi invece dividono. E spingono chiaramente verso una nuova disastrosa guerra chiamata “scontro di civiltà”. Se qualcuno vuole partecipare con me all’avventura della creazione del partito Democrazia Laica si faccia avanti. Questo è il manifesto che io propongo. Si accettano ovviamente suggerimenti e consigli, specie per il programma politico che io ho solo abbozzato in pochi punti.

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L’Italia è stata unificata e resa più civile, più moderna e più europea dalle personalità, dai gruppi, dalle associazioni e dai partiti laici e antitotalitari, cioè da un insieme che oggi è purtroppo molto indebolito e in via di estinzione come realtà organizzata e dotata di strutture politiche. Da qualche tempo è invece cresciuto l’interventismo della gerarchia vaticana nella vita politica della Repubblica Italiana, fino a superare abbondantemente in vari campi i limiti del lecito; interventismo che si è mobilitato non per la conquista di nuovi diritti dei cittadini italiani, quanto invece per impedirli. Di recente si è arrivati a sostenere che le leggi della Repubblica devono essere in sintonia con il credo man mano elaborato in Vaticano.
Questo comportamento, da religione di Stato, spinge da una parte all’ossequio filoclericale e dall’altra all’anticlericalismo, eccessi da evitare entrambi, ma spinge anche in direzione contraria al diritto di libertà di culto, inteso come diritto alla libertà per ogni culto, compreso il culto del non credere. Il Vaticano ha tentato a lungo d’imporre alla Comunità Europea il cappello delle “radici cristiane” nel progetto di Costituzione europea. Il tentativo finora è andato a vuoto e nel frattempo la Spagna, ex sagrestia d’Europa, si è molto laicizzata, diventando molto più moderna ed europea. Per bilanciare tali perdite il Vaticano ha aumentato la pressione sulla Repubblica italiana, con il chiaro scopo di farne il proprio “zoccolo duro” per non perdere anche l’influenza, i privilegi e il potere che da secoli esercita sul territorio italiano.

La libertà di scelta religiosa e di scelta atea o agnostica è un diritto inalienabile, che parafrasando una nota frase di Camillo Benso di Cavour potremmo riassumere con l’espressione “Libere Chiese in libero Stato”, aggiornandola ed ampliandola in “Libere Chiese in libera Europa”. Il crescendo di invadenza vaticana va però in direzione opposta a tale diritto e a parte dei diritti universali dell’uomo, e legittima per reazione un’analoga invadenza da parte di altre religioni, aumentando così il pericolo del ripetersi di esiti drammatici già vissuti in passato, e contribuisce in modo preoccupante al deterioramento della scuola e della sua centralità nella formazione dei cittadini e del futuro del Paese. Ecco perché l’invadenza del Vaticano va contrastata, con urgenza e fermezza, ed ecco perché quella delle altre confessioni va prevenuta con altrettanta urgenza e fermezza prima che sia troppo tardi. Si può essere cristiani e cattolici senza inginocchiarci anche fuori dalle chiese, così come si può essere atei o professare altre religioni senza per questo tenere sermoni o montare in cattedra fuori dai propri templi. Continua a leggere

Siamo giornalisti o Minzo Scondinzolini? Uomini o caporali berluschini piegati in preghiera verso Arcore più delle 5 volte al giorno verso La Mecca dei musulmani? La svolta contro l’Iran di Papino il Breve costerà all’Eni, e all’Italia, la perdita degli impianti di Darkhuin e quindi la proprietà di 100 mila barili di petrolio al giorno più una penale e un danno globale di una marea di miliardi di euro. Una stangata di cui approfitterà la Cina, oltre al governo Netanyahu (accusato anche di assassinio in Oman). Intanto il papalinato incassa dai nostri capi di Stato e di governo il silenzio sul silenzio protettore della pedofilia del clero e altri quattrini per la scuola cattolica

Non posso dire, per educazione e rispetto del codice civile e penale, che il direttore del Tguno Augusto Minzolini mi fa augustamente schifo, percò posso dire che il suo giornalismo è ormai davvero esecrabile, servile, se non proprio schifoso. Anzi, è ridicolo. Continuare a battere il chiodo della “giustizia ad orologeria” affermando che le inchiesta giudiziarie arrivano sempre “guarda caso prima delle elezioni” è un argomento da manus habeas o da disonesti in mala fede o da disinformati, tutte cose gravi per un giornalista che per giunta dirige un telegiornale di una tv pubblica anziché del rione Scassanapoli o Spaccamilano. Di elezioni in Italia ce ne sono a getto continuo, tra elezioni per il parlamento europeo, elezioni politiche, cioè per il parlamento italiano, elezioni regionali, cioè per il parlamento regionale, elezioni provinciali, elezioni regionali…. più non di rado qualche referendum. Stando così le cose, egregi Minzolini dello Strapaese, quando lor signori i magistrati potrebbero fare le inchieste ed emettere gli avvisi di reato e gli eventuali mandati di cattura senza venire accusati di “fare politica con l’uso della giustizia ad orologeria”?
Queste cialtronerie accuse minzolinesche sono a ben vedere un boomerang, che dobbiamo far tornare sulla faccia di bronzo, se non peggio, di chi l’ha lanciato. E infatti: di chi è la responsabilità se nello Strapaese ci sono elezioni a getto continuo? Dei magistrati? O piuttosto di una classe politica sempre più gelatinosa, sfaldata, sfaldante, scollata dall’interesse generale, vale a dire berluscona? Il rincorrersi di elezioni anche regionali è responsabilità dei magistrati o dei politici di stampo leghista, localista, “territorialista” cioè affarista?
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