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Si può davvero scegliere tra Galilei e Bellarmino?

La diatriba tra lo scienziato Galilei e il cardinale Bellarmino era sin dall’inizio impostata male. Basteranno alcune considerazioni per convincersene.

Che la Bibbia non potesse dir nulla sulla verità razionale degli esperimenti scientifici, laboratoriali, di Galilei, appare oggi pacifico. Solo una concezione integralistica della fede religiosa, che fa della teologia un’imposizione politico-istituzionale, cui un’intera società deve attenersi, poteva sostenere il primato “scientifico” della Bibbia su discipline come la matematica, la fisica e l’astronomia.

Una diatriba del genere non avrebbe mai potuto esserci là dove la Chiesa non pretende di avere un ruolo politico. Senza un tale ruolo, infatti, non si ha neppure la pretesa di egemonizzare la cultura e la scienza. Sotto questo aspetto Galilei avrebbe potuto avere seri problemi anche se avesse avuto a che fare non con la Chiesa romana, profondamente controriformistica, ma semplicemente con uno Stato confessionale (cattolico o protestante che fosse), ivi incluso quello ideologico e ateistico del regime staliniano.

Idee scientifiche così innovative come le sue e, per molti aspetti, chiaramente favorevoli a una visione laica della vita, potevano trovare, a quel tempo, ampi consensi solo se la borghesia si poneva il compito di difenderle. Cosa niente affatto scontata. Copernico, ad es., diede alle stampe le sue analisi rivoluzionarie solo poco prima di morire. E nessun testo degli scienziati del XVII e XVIII secolo mette in dubbio l’esistenza di dio. Tutti hanno paura di spiacevoli conseguenze per la loro carriera e persino per la loro incolumità, siano essi cattolici o protestanti.

È noto che Lutero, Melantone e Calvino giudicarono assai negativamente le idee di Copernico: non accettarono neppure la riforma gregoriana del calendario (che tra l’altro si basava proprio sui suoi calcoli matematici). Se gli scienziati dell’Europa protestante ebbero maggiore libertà d’azione, fu solo perché qui la borghesia era notevolmente più sviluppata, come lo era stata quella italiana prima del Concilio di Trento. Questo per dire che se anche la Chiesa romana si fosse astenuta dal criticare le idee scientifiche di Galilei e Copernico, rinunciando ad avvalersi della propria autorità politica, non avrebbe comunque potuto esimersi dal criticare le conseguenze laicistiche di quelle teorie.

Tuttavia è proprio su questo punto, relativo alla critica del laicismo implicito in quelle teorie scientifiche, che l’azione della Chiesa romana si è rivelata del tutto inadeguata. Cosa, d’altra parte, naturale quando si vuole sostenere una visione altamente ideologica della vita, la quale, peraltro, non permette neppure di capire sino in fondo le implicazioni di teorie opposte a quelle dominanti.

Da un lato infatti la Chiesa era tutta preoccupata di dimostrare che la Bibbia non poteva essere letta, là dove si voleva, avvalendosi di allegorie o metafore, poiché così si sarebbe potuta facilmente sostenere una qualunque interpretazione. Dall’altro però non riusciva a capire che la concezione della natura che aveva Galilei era pericolosa non tanto perché vicina all’ateismo, quanto perché profondamente “borghese”, cioè connessa a una concezione della vita e dei rapporti con la natura tutt’altro che democratica.

Galilei amava fare scienza secondo un preciso scopo, ch’era quello di tutti gli scienziati dell’epoca: dominare la natura. Secondo lui la scienza doveva essere posta al servizio delle esigenze di dominio di una classe sociale particolare. La Chiesa romana non lo contesta mai su questo aspetto, né vede che quelle teorie possono diventare pericolose per l’integrità della natura, per il rispetto dell’ambiente. Lo contesta semplicemente per il fatto ch’egli vuole sostenere delle idee contrarie a quelle dominanti.

In altre parole la Chiesa, come istituzione avente un determinato potere politico, teme che se la società si convince che quelle teorie scientifiche, così diverse da quelle ufficiali della teologia, risultano essere più credibili, allora è il suo stesso potere istituzionale che rischia d’essere minacciato. Bellarmino critica ideologicamente Galilei perché in realtà si sente rappresentante di una Chiesa preposta a gestire un potere politico. Più volte infatti aveva sostenuto che l’Inquisizione non avrebbe avuto nulla da eccepire se gli scienziati si fossero limitati a dire che le loro teorie erano semplici ipotesi interpretative, prive di qualunque attendibilità: cosa che sul piano fisico-matematico era quanto meno una richiesta irricevibile.

Su questi temi si potrebbero scrivere interi trattati, sia perché quando si sostiene (e gli scienziati lo facevano) che tra fede e scienza non vi è contraddizione, in quanto sono separati i loro ambiti e diversi i loro obiettivi, si sta in realtà sostenendo una posizione ambigua, di compromesso, che è poi chiaramente falsa, poiché uno sviluppo della scienza è sempre incompatibile con una posizione religiosa (almeno con una teologia tradizionale, chiaramente definita). Ma anche perché lo sviluppo “borghese” della scienza è straordinariamente somigliante a quello della religione cattolica e protestante (la prima sul piano politico-istituzionale, la seconda su quello socio-economico); nel senso che sia la teologia che la scienza hanno sempre avuto la concezione dell’uomo come “dominatore” della realtà, libero di usare gli strumenti più opportuni (quindi anche quelli più arbitrari) per affermarsi.

In Bacone (al servizio dei Tudor, una dinastia particolarmente sostenuta dalla borghesia inglese) è evidentissima l’equazione di scienza e potere. Né l’una né l’altro, nella sua filosofia, possono essere dati dai sillogismi della logica aristotelica o dalle magie e astrologie dell’Umanesimo del Quattrocento, ma solo dalla matematica e dalle scienze naturali con cui si scoprono le leggi della materia.

Ecco, sotto questo aspetto la differenza tra teologia cristiana (cattolica o protestante) e scienza borghese verteva soltanto sui mezzi o sugli strumenti da usare. Gli scienziati del Seicento portano alle più logiche conseguenze le filosofie laico-umanistiche sviluppatesi nei secoli precedenti, le quali, a loro volta, non avevano fatto altro che laicizzare ulteriormente le posizioni dell’ultima Scolastica, soprattutto di quella francescana presente in Inghilterra, chiaramente favorevole al sensismo e all’empirismo.

Questo sviluppo “borghese” della scienza è potuto avvenire in Europa occidentale proprio perché qui era maturata una teologia che di “umano” aveva assai poco: sia perché non conosceva in alcun modo il senso della “democrazia” (che si ritrova a quel tempo nello spirito conciliare della chiesa ortodossa), sia perché il rispetto della natura non era intrinseco alla teologia cattolica ma semplicemente relativo al fatto che ancora non si era compiuta la rivoluzione industriale.

A partire da Copernico (che peraltro era un ecclesiastico!) la scienza borghese non si poneva affatto (nonostante si pensasse il contrario) come un’alternativa alla teologia fondamentalista della Chiesa romana, ma si poneva come la sua immagine speculare, privata semplicemente di quegli orpelli mistici che il tempo aveva reso obsoleti. Tant’è che gli stessi scienziati erano così affascinati dalle loro scoperte che non tardarono a fare della nuova scienza una nuova “religione”. Il fatto stesso di voler tradurre tutta la realtà in rapporti matematici, lo dimostra; e anche il fatto di voler trascurare la qualità delle cose a tutto vantaggio della quantità.

Tutti, nessuno escluso, sono convinti che la nuova scienza debba servire per “dominare” la natura; e, pur di realizzare questo obiettivo, compiono cose che oggi giudichiamo eticamente discutibili, come ad es. il fatto di riprodurre in laboratorio condizioni ambientali private di tutte quelle imperfezioni, eccezioni, incongruenze… che nella realtà quotidiana sono del tutto naturali e che generalmente si accettano come facenti parte di una vita normale, in cui le contraddizioni vengono giudicate inevitabili.

La scienza da laboratorio, quella tipica di Galilei, pretendeva (e lo pretende ancora oggi) d’essere “pura”, aliena da condizionamenti socio-ambientali. Invece di chiedersi come superare “scientificamente” le contraddizioni sociali, la scienza borghese si poneva al servizio di quella classe che, in mezzo a quelle contraddizioni, ambiva soltanto a cercare un’affermazione personale, esclusiva, ch’era sì ostile ai poteri dominanti, ma soltanto per ottenere un proprio spazio nell’ambito di quegli stessi poteri. Per questa scienza non contava più chiedersi il “perché” delle cose ma solo il “come”. L’essenza stessa dei fenomeni veniva ridotta a un’operazione di calcolo. Si voleva far credere che un approccio alla realtà di tipo matematico potesse essere esente da valutazioni ideologiche, e quindi condivisibile da chiunque.

Questa scienza fisica e astronomica rappresenta le premesse culturali di quella scienza che di lì a poco sarebbe stata l’economia politica classica. Si vuol fare della scienza un qualcosa di asettico, di neutrale, indipendente da ogni valutazione etica (che quella volta coincideva con la religione); e, così facendo, si pongono le basi per una qualsivoglia scoperta o invenzione, privando la scienza di un criterio che possa stabilire quando una ricerca è “sensata” (cioè a misura d’uomo) oppure no.

La scienza borghese è tutto meno che scientifica, proprio in quanto rifiuta di confrontarsi con l’etica. Infatti solo a posteriori, dopo che sono avvenuti immani disastri, la borghesia si chiede come porvi rimedio. Un criterio per stabilire i limiti della ricerca viene rifiutato categoricamente, come se la scienza fosse un dio da adorare in maniera indiscutibile. Infatti quando avvengono i disastri (che oggi sono sempre più di carattere internazionale), non si mette mai in discussione la scienza in sé, ma solo il metodo con cui la si è applicata. Si pensa cioè di poter risolvere i suoi difetti semplicemente rendendo gli uomini migliori, più umani, e non si pone mai all’ordine del giorno il problema di come rivedere i criteri con cui si fa “scienza”.

E così, come sempre accade, gli uomini, eticamente migliorati per necessità oggettive, determinate dalle varie devastazioni, si trovano nuovamente a gestire dei criteri e dei mezzi tecnologici per i quali la loro eticità continua a rivelarsi del tutto insufficiente. Tant’è che dopo un certo periodo di tempo avvengono nuovi disastri, nuove apocalissi, in una spirale senza fine. Guarite le ferite, si torna a combattere una battaglia persa in partenza. Andando avanti di questo passo si rischia soltanto di porre delle condizioni sempre più autodistruttive, per le quali sarà impossibile trovare dei rimedi efficaci alle nostre assurde pretese di dominio.

La chiesa e lo sviluppo del pensiero scientifico

La scienza moderna, nata nel XVII secolo, non va contestata perché contraria alla religione, ma perché contraria all’etica. Qualcuno potrà dire che, a quel tempo, religione e morale coincidevano, in quanto era la chiesa a dire come ci si doveva comportare in ogni situazione della vita, e quindi anche in campo scientifico. E tuttavia l’etica della chiesa, essendo appunto “religiosa”, non poteva essere laica, cioè aperta a soluzioni non dogmatiche.

Anche questa però può essere un’affermazione molto discutibile, in quanto l’etica religiosa della chiesa romana conteneva molti aspetti di laicità, sin dalla riscoperta accademica dell’aristotelismo, che si poneva in antitesi alla tradizione platonico-agostiniana. Possiamo addirittura dire che il progresso verso il pensiero scientifico fu proprio una conseguenza, indiretta o involontaria, di quella distinzione che gli Scolastici cominciarono a fare tra funzioni della fede e funzioni della ragione. A forza di distinguere le due facoltà umane si arrivò, ad un certo punto, a dire con la ragione cose molto diverse da quelle che per tradizione o secondo autorità si dicevano con la fede.

E la rottura fu inevitabile, non solo con Galilei, messo agli arresti domiciliari e obbligato all’abiura, ma anche con Machiavelli, le cui opere vennero messe tutte all’Indice, o Giordano Bruno, messo sul rogo, o Campanella, che passò 27 anni in carcere, e tanti altri. La reazione della chiesa fu durissima, poiché, essendo un soggetto eminentemente politico, temeva di perdere il proprio potere temporale. Di conseguenza, invece di considerare l’evoluzione del pensiero scientifico come necessariamente separato o distinto dalla riflessione teologica, lo interpretò come una minaccia alla propria stabilità.

Sbagliò in questo comportamento? Se si accetta l’idea che una chiesa debba fare politica, certamente no. Ma la cosa sarebbe da discutere anche solo dal punto di vista etico. Infatti è sotto gli occhi di tutti che la scienza cosiddetta “sperimentale” o “induttiva”, nata con Bacone e Galilei, ha prodotto, a distanza di quattro secoli, immani disastri ambientali. E continua a farlo imperterrita, nonostante gli allarmi degli ecologisti.

Ovviamente le autorità ecclesiastiche non si opponevano ai princìpi della scienza sulla base di una salvaguardia della natura. E tuttavia ci si può chiedere se una difesa dei valori squisitamente religiosi avrebbe potuto in qualche modo favorire un maggior rispetto dell’ambiente.

Qui però bisognerebbe aprire una parentesi, ponendo in discussione il concetto stesso di “valori religiosi”, poiché, guardando quelli professati dal papato, vien da pensare che fossero più che altro dei valori politici rivestiti da un’ideologia di tipo religioso. Anzi, ci si può addirittura chiedere se non fosse stata proprio questa fondamentale incoerenza a favorire, nella classe borghese, l’esigenza di uno sviluppo del pensiero scientifico del tutto autonomo dalla fede, il quale, dando più peso alla ragione, voleva porsi in maniera più coerente. In tal senso dovremmo dire che, condannando la scienza, la chiesa romana, in realtà, stava condannando se stessa, o comunque stava condannando un prodotto inevitabile di un proprio comportamento che di “religioso” aveva assai poco.

Problematiche del genere non si ponevano neppure nel Seicento. Tuttavia era forte la consapevolezza negli scienziati di voler “dominare” la natura, cioè di voler conoscere le sue leggi per meglio permettere alla borghesia di sfruttarla. Le scoperte scientifiche venivano incontro alle esigenze di una classe emergente, quella appunto borghese, che, a partire dalla nascita dei Comuni, aveva cominciato a farsi strada in Europa occidentale, e che, a partire dalla scoperta dell’America, aveva cominciato a dominare dei territori extraeuropei, e che, a partire dalla formazione delle monarchie assolutistiche, aveva cominciato a ridimensionare i poteri dell’aristocrazia, laica ed ecclesiastica.

Le suddette problematiche, quindi, non si ponevano non tanto o non solo perché non si aveva alcuna consapevolezza ambientale, quanto perché i poteri che si contrapponevano erano entrambi autoritari: quello ecclesiastico perché di tipo feudale, quello borghese perché di tipo capitalistico. La chiesa subordinava la natura a una concezione religiosa favorevole alla teocrazia; la borghesia subordinava la natura alle esigenze del profitto economico.

Quindi tra chiesa romana e scienziati la contrapposizione era molto relativa, in quanto, in definitiva, essi rappresentavano le due facce di una stessa medaglia. Nessuno dei due contendenti stava difendendo un’etica davvero democratica e umanistica, e tanto meno un’etica ambientalistica.

È vero che la chiesa non parlava di “dominare” la natura (nel Genesi l’Eden andava “custodito”), ma è anche vero che non le riconosceva alcuna autonomia: la natura veniva considerata un semplice strumento che dio metteva a disposizione dell’uomo e che, in ultima istanza avrebbe sempre potuto riprendersi (p.es. nei confronti dell’idea di “fine del mondo” era implicito che dio si sarebbe servito di imponenti fenomeni naturali).

Tra dio, natura e uomo vi era lo stesso rapporto che il mondo feudale esprimeva tra sovrano, terra (o feudo) e vassallo. Il feudo non veniva dato in “proprietà” (anche se, a partire dall’877, per i grandi vassalli, cominciò a esserlo), ma solo in “usufrutto”, e in teoria poteva essere revocato in qualunque momento. Il fatto che i vassalli insistessero per averlo in proprietà (e nel 1037 vi riuscirono tutti), sta proprio a indicare che nel feudalesimo dell’Europa occidentale le esigenze di tipo individualistico sono sempre state molto forti.

Questo per dire che se in epoca feudale la chiesa si trovò a essere meno invasiva nei confronti della natura, fu solo perché disponeva di mezzi tecnologici di molto inferiori a quelli che si diede la classe borghese. Da un lato quindi la chiesa romana considerava la natura uno strumento nelle mani di dio (al pari del tempo (1)); dall’altro però non si sarebbe fatta scrupolo di sottomettere la natura alle esigenze umane di dominio, o comunque non sarebbe stata capace di trovare nella propria ideologia valide motivazioni per impedirlo (né le trova oggi: basta vedere come inquina l’ambiente con le onde elettromagnetiche di Radio Vaticana).

Quando la chiesa si opponeva allo sviluppo scientifico, non era tanto per tutelare le esigenze riproduttive della natura, quanto piuttosto perché in quello sviluppo scorgeva degli aspetti che mettevano in discussione le fondamenta del proprio potere politico. Se la propria autorità politica si basa anche sul fatto che tutti devono credere nel geocentrismo, è evidente che se qualcuno parla di eliocentrismo, fosse anche un esponente del clero in tutta la sua buona fede (come lo fu p.es. Copernico), non è possibile non sospettarlo di “eresia”.

Al papato ci sono voluti 400 anni prima di ammettere che nei confronti di Galilei ci si era sbagliati. Tuttavia Wojtyla, facendolo, non si era reso conto che contro quella scienza antiecologica è invece venuto il momento di dire qualcosa che sia davvero umanistico e naturalistico. Paradossalmente quindi la chiesa romana nei confronti di Galilei ha sbagliato due volte.

Nota

(1) Il tempo era considerato uno strumento nelle mani di dio, al punto che si vietava il prestito a interesse, anche se poi, con la nascita dei comuni, la teologia scolastica cominciò a tollerarlo a condizione che l’interesse non fosse eccessivo. Dopodiché la chiesa fu costretta a inventarsi i monti di pietà per venire incontro alle esigenze di quei cristiani che non erano in grado di pagare eccessivi interessi. La storia dell’usura, sotto questo aspetto, sembra anticipare quello che sarebbe avvenuto nell’evoluzione del pensiero scientifico.

Samarcanda. E non solo….

La prima cosa che colpisce arrivando in Uzbekistan, Paese musulmano ma repubblica laica, è che le donne non portano il velo. E hanno gli stessi diritti degli uomini. Pensandoci bene, non lo portano in nessun Paese musulmano dell’ex Unione Sovietica, mentre lo portano invece in tutti i Paesi islamici che hanno patito la colonizzazione europea. Nei Paesi musulmani dell’ex Unione Sovietica il fondamentalismo non attecchisce, tanto meno le sue  diramazioni eversivo terroristiche,, e se fa capolino viene combattuto rapidamente, senza se e senza ma, come è avvenuto proprio in Uzbekistan. Tutto ciò è l’ennesima prova che a spingere i musulmani verso un’interpretazione restrittiva, e a volte fanatica, della loro religione è solo la reazione al violento dominio subìto sotto il tallone europeo e quindi cristiano. Una reazione rinfocolata dalle troppe umiliazioni inflitte ancora oggi dall’Occidente neocolonialista, Stati Uniti in testa, che spinge scientemente quei Paesi verso il fanatismo religioso per poter meglio mobilitare le proprie opinioni pubbliche a favore del duro confronto col mondo islamico. Confronto che rischia di diventare scontro: “scontro di civiltà”, anche se a ben vedere lo vogliono le reciproche inciviltà…

La repubblica uzbeka è tanto laica da avere affittato agli Usa una grande base militare con annesso aeroporto dal quale partivano gli aerei per andare a bombardare il confinante Afganistan, musulmano anch’esso ma assai più retrivo. Poi però la repubblica uzbeka gli americani li ha sfrattati, forse percheé ha capito la reale strategia degli Usa: il solito vecchio “divide et impera” applicato all’Asia centrale. Uno sfratto che è un lusso reso possibile dal  fatto che l’Uzbekistan è talmente ricco di gas, avviato anche in Europa via Russia, da non avere bisogno di entrate straordinarie che alla lunga creano più problemi di quanti ne risolvano. Continua a leggere

Obama a Londra ha detto che l’Occidente ha i valori di fondo che legittimano ancora la sua guida del mondo, ma l’Occidente senza tutto ciò che ha preso dall’Oriente sarebbe ben poca cosa

Passata la tempesta elettorale, riprendiamo a parlare di argomenti purtroppo più importanti.
Nei giorni scorsi a Londra il presidente Usa Obama ha tenuto nel parlamento inglese un discorso da uomo d’Occidente molto orgoglioso di esserlo. Non ha parlato di superiortà della civiltà occidentale, ma ha detto qualcosa di simile, qualcosa che una tale superiorià la sottende implicitamente. Obama ha infatti ribadito solennemente, nella sede dove è nato l’Habeas corpus che sta alla base di tutte le nostre libertà nei confronti del potere, che l’Occidente ha tuttora i valori fondamentali che lo autorizzano a voler guidare il mondo. Obama però non ha detto, forse perché lo ignora come quasi tutti eccetto gli studiosi, che l’Occidente senza tutto ciò che ha ricevuto per secoli e secoli dall’Oriente non sarebbe quello che è, non potrebbe cioè avere i “valori fondamentali” che ha. Fermo restando che ogni Paese ha i suoi valori, e che è assurdo pretendere che i propri siano superiori a quelli degli altri.
Nessuno, tanto meno Obama, ama ricordare il contributo decisivo al sapere scientifico, al tenore di vita e alla civiltà europea, e quindi occidentale in genere, fornito dalla civiltà islamica, dalla “Via della Seta” e dalla “Via delle Spezie”. I numeri che usiamo in Occidente non a caso sono i “numeri arabi”, nati in India e trasmessici dal mondo islamico, per non parlare dell’algebra, dell’astronomia, della cartografia, della medicina, della chimica, ecc. Dividiamo la settimana in sette giorni, di cui uno festivo, le note musicali in sette note, il giorno in 24 ore, le ore in 60 minuti, l’orizzonte in 360 gradi, ecc., ma sono tutte cose nate in Mesopotamia oltre 4.000 anni fa! E sono centinaia le parole italiane in vari campi che derivano dall’arabo e dall’iranico, a partire dalla diffusissima e significativa parola “paradiso”, fondamentale nella religione.

E a proposito di religione, non si usa dire che i “valori” dell’Occidente derivano dal cristianesimo? Anzi, da un po’ di tempo la Chiesa per nascondere le sue colpe verso gli ebrei ama parlare di radici “giudaico-cristiane”. E da dove vengono il cristianesimo e il giudaismo se non dalla Giudea, cioè dall’Oriente? Con il cristianesimo “Roma s’è fatta Oriente”. Il monoteismo e i principi del cristianesimo, a partire dall’ama il prossimo tuo come te stesso,  sono prodotti orientali poco conciliabili con le radici “greco romane”, delle quali pure ci vantiamo. Prodotti orientali che, fatti propri da Roma, nell’affermarsi in Europa – purtoppo, esattamente come nel resto del mondo, più con le armi che con il vangelo – hanno spazzato via il preesistente politeismo pagano e il suo sistema di valori. Che era il sistema di valori tipico proprio del mondo greco e romano, ma anche di quello degli altri popoli del Vecchio Continente, compresi i barbari e i germani che lo hanno poi invaso, sistema di valori per nulla centrato sull’eguaglianza, sulla solidarietà e sull’amore per il prossimo. Forse non è strano che per motivi di bottega il papa e la Chiesa non se ne rendano conto o facciano finta di non saperlo, ma è strano che neppure Obama si renda conto di tutto ciò. E se fosse vero quello che hanno provato a sostenere i suoi nemici, e cioè che lui in realtà è un musulmano, e comunque musulmani erano i suoi avi, sarebbe ancor più strano che non si rendesse conto che anche la religione fondata da Maometto è un prodotto dell’Oriente, non è certo “made in Europe”. Né più e né meno come il cristianesimo e il giudaismo noto anche come ebraismo. Continua a leggere

Berlusconi e Travaglio uniti: contro i palestinesi. Papino il Breve seppellisce Obama del Cairo e medita di comprarsi l’Eni spendendo però il meno possibile. Ecco perché gli serve danneggiarla con il demenziale ordine di abbandonare l’Iran, il nostro maggiore fornitore di petrolio: per far calare il prezzo dell’oro nero in Borsa. E se in Italia ci scappasse l’attentato sarebbe l’occasione buona per passare dalle leggi ad personam alle leggi speciali. E’ il Partito dell’Amore, bellezza!

In Israele il nostro capo del governo Silvio Berlusconi ha dato il meglio di sé, cioè a dire il peggio in assoluto. Sulla spinta verso il cielo dei suoi fenomenali tacchi non ha saputo resistere alla tentazione di sentirsi più vicino al Dio della bibbia aggiungendo di getto al testo del discorso scritto l’infelice e indecente frase “La reazione di Israele a Gaza è stata giusta”. Oltre che l’ONU, una bella fetta della stessa popolazione israeliana, compreso un bel gruppo di militari che a Gaza c’erano, tutti sanno che la reazione contro Gaza non è stata affatto “giusta”. Ho dimostrato in una precedente puntata del blog che massacrare in due settimane 1.400 persone su un totale di 1.400.000 abitanti equivale a massacrare l’1 per mille dell’intera popolazione. In appena due settimane! E ho dimostrato che neppure l’intera campagna angloamericana di bombardamenti incendiari sulle città tedesche è arrivata a tanto, e in un periodo 50 volte più lungo. Con la sua bella improvvisata il Chiavalier Papino il Breve ha sotterrato Obama e il suo discorso de Il Cairo, peraltro cadavere già sotterrato da Netanyahu. Diciamo che Berlusconi ne ha sigillato la tomba.
Non vorrei essere nei panni di Marco Travaglio, o del Paolo Guzzanti riciclato nè di altri maestrini “di sinistra”, antiberlusconisti a tutto volume, ma per quanto riguarda Gaza berlusconissimi e filo mattanza anche loro. Travaglio col suo solito tono professorin-ieratico ha subito messo in chiaro nel suo blog, non appena i carri armati e i bombardamenti si sono messi in moto, che quella di Israele non era una guerra offensiva, ma una giusta operazione difensiva. Capisco che oggi è ormai impossibile non dico fare carriera ma anche solo non essere soffocati se non ci si inchina verso chi ha in mano gli assi, però certi eccessi andrebbero evitati. Guzzanti nel suo blog modestamente intitolato “Rivoluzione italiana” ha addirittura augurato a Israele  “buona guerra” contro Gaza, festeggiandola o supportandola con pacifiste del calibro di Fiamma Nierenstein, la vera vincitrice di questa fase politica.
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