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La filosofia borghese tra paganesimo e cristianesimo

In Grecia, o meglio, nelle colonie ioniche, nella Magna Grecia e in Sicilia, la filosofia è nata, in un certo senso, come la teologia scolastica, cioè cercando di esprimere gli interessi di una classe sociale emergente: la borghesia. Una classe che 500 anni prima di Cristo e poi, di nuovo, 1000 anni dopo Cristo, ambiva a porsi in antagonismo a quella aristocratica. Era una contrapposizione tra monopolio della terra e traffici marittimi. Era un’accanita lotta fra tradizione, sapientemente manipolata a favore dei ceti agrari, militari e schiavili, e innovazione culturale, etica e politica che nasceva in ceti mercantili, artigianali e professionistici favorevoli, virtualmente, alla democrazia e all’uguaglianza dei cittadini.

Era un’illusione contro un’altra illusione. Si distrusse una tradizione mistificata con una innovazione non meno mistificata. Fu soltanto il tentativo di far emergere una classe sociale senza scrupoli, ridimensionando le pretese di un altro ceto che, a causa delle proprie interne contraddizioni, non aveva da dire più nulla di positivo alla società nel suo insieme. L’eroismo degli antichi guerrieri nobili (così evidente nell’Iliade) era diventato una caricatura, il pretesto per affermare privilegi ingiustificati.

La filosofia, la logica, la scienza… sono sostanzialmente nate contro il mito, che era l’ideologia dominante dell’aristocrazia: un mito che si poteva soltanto accettare così com’era, senza discutere. E in questa contrapposizione non s’è recuperato ciò che quel mito aveva mistificato, ma s’è buttata via l’acqua sporca col bambino dentro. Si è giustamente voluti passare dalla religione all’agnosticismo e persino all’ateismo, ma per fare gli interessi esclusivi di una classe dedita ai traffici mercantili. Cioè non si è recuperato lo stile di vita pre-schiavistico, la dimensione dell’uguaglianza sociale e sessuale. Si è soltanto affermato culturalmente l’ateismo, senza sapere ch’esso già esisteva nelle società pre-schiavili. E, proprio per questa ragione, lo si è affermato, inevitabilmente, in maniera ambigua, mescolandolo ad affermazioni dal sapore mistico o metafisico.

L’ateismo borghese è sempre incoerente, non importa se di 500 anni prima di Cristo o di 1000 anni dopo. Si è pensato di fare una rivoluzione del pensiero, ma nella realtà non s’è fatto altro che estendere la corruzione del ceto aristocratico a tutta la società borghese. Due cose infatti non sono mai state poste in discussione: l’esistenza della schiavitù e la discriminazione della donna. Queste due contraddizioni ne hanno inevitabilmente alimentate altre due: il razzismo culturale nei confronti delle popolazioni “diverse” e il primato delle esigenze produttive dell’uomo su quelle riproduttive della natura.

Tutte queste anomalie, a loro volta, dipendevano da un’altra ancora, la più importante di tutte: l’individualismo esistenziale, cioè la concezione che l’individuo, per potersi realizzare, deve perseguire degli obiettivi di tipo personale, basati sulla logica dell’interesse. L’appartenenza a ceti o classi (alla polis o al Comune) è sempre stata vista in maniera strumentale all’obiettivo che ci si prefiggeva.

La differenza tra i ceti mercantili di 500 anni prima di Cristo e quelli di 1000 anni dopo Cristo non sta soltanto nella diversa estensione geografica del dominio economico e politico, ma anche e soprattutto nel fatto che la cultura degli uni era pagana, mentre quella degli altri era cristiana. Questa differenza ha comportato una diversità di una certa importanza, poiché, sulla base di essa, nascerà l’odierno capitalismo: la borghesia comunale non sfruttava più uno schiavo vero e proprio, ma un operaio giuridicamente libero.

Ecco perché dobbiamo dire che la borghesia cristiana ha creato una cultura molto più sofisticata di quella della borghesia pagana, una cultura che, a tutt’oggi, nonostante lo smascheramento compiuto dal socialismo, domina incontrastata a livello mondiale.

L’origine delle cose

Quanto meno si è capaci di stabilire l’origine delle cose, tanto più se ne avverte l’infinità. Se per l’uomo fosse essenziale ricordarsi il momento della propria nascita (individuale o come specie), ne conserverebbe una memoria chiara e distinta. Questo dimostra che per la nostra coscienza è del tutto irrilevante sapere l’origine delle cose e persino, se vogliamo, la loro fine: ciò che più importa è la consapevolezza di appartenere a un processo in perenne movimento. Essere e Nulla coincidono nel Divenire. Quello che conta è la trasformazione da una condizione a un’altra, l’autotrasformazione delle cose verso livelli superiori di consapevolezza.

Siamo tutti parte di un processo storico dove le cognizioni scientifiche più evolute sono destinate a diventare quelle interiori della coscienza, che è l’unica a poter garantire l’assoluta dialetticità dei processi, cioè il loro continuo automovimento. Siamo parte di un’eternità, che lo si voglia o no. E non riusciamo a dare una definizione univoca di nulla, poiché ogni affermazione è una negazione.

Tuttavia, a livello di considerazione storica, è utile, anzi necessario, sapere l’origine dei fenomeni. Il motivo sta nel fatto che, generalmente, le cause che determinano i processi storici sono quelle stesse che spezzano la continuità del rapporto naturale con le cose. Le scelte operate dagli uomini, nel corso della loro evoluzione storica, hanno sempre scardinato il rapporto equilibrato che avevano con la natura e con loro stessi.

Noi dobbiamo conoscere le cause dei fenomeni per trovare il modo di risolvere i problemi che quei fenomeni hanno generato. La storia per noi è una lunga sequenza di conflitti insopportabili e di tentativi per riuscire a risolverli. E’ sulla ricerca di questi tentativi che si può misurare l’efficacia delle soluzioni proposte.

Con Marx ed Engels abbiamo capito che non ci può essere soluzione di problemi se non si trasforma la base materiale della vita produttiva. Con Lenin abbiamo capito che è impossibile trasformare questa base senza una preventiva rivoluzione politica. Oggi abbiamo capito che se nel fare la rivoluzione politica non si rispetta la libertà di coscienza, la differenza di genere e l’esigenza riproduttiva della natura, qualunque soluzione trovata sarà inevitabilmente illusoria.