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Il senso gay di festeggiare il Gay Pride

Domani a Napoli, le persone lgbtq (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer ndr.), ci auguriamo a migliaia, sfileranno per le strade cittadine con il loro carico di colori, musica e slogan per chiedere alla politica un impegno concreto sui diritti civili negati fino ad oggi, e per una lotta seria contro ogni discriminazione e ogni violenza omofoba. Si celebra il Gay Pride, nato 31 anni fa, dopo una battaglia durata una notte, allo Stonewall Inn, il locale di Christopher Street, nel Greenwich Village, tra polizia e omosessuali e transessuali.

Stanchi di quotidiane perquisizioni, vessazioni e violenze da parte dei poliziotti, gli avventori del locale gay, aiutati dagli abitanti, decisero di mettere la parola fine, e quando quella sera del 27 giugno 1969, i poliziotti irruppero nel locale, cominciarono a volare bottiglie, scarpe tacco 15, e fecero barricate per impedire ai rinforzi di raggiungere il locale.

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Il capitalismo dal feudalesimo ad oggi

Intorno al Mille il capitalismo non nacque solo come reazione al feudalesimo in generale, altrimenti dovremmo chiederci il motivo per cui non sia nato anche in Europa orientale, dove il servaggio era pur sempre presente.

Il capitalismo è stato anche la conseguenza, più o meno inevitabile, di un certo tipo di feudalesimo: quello appunto dell’Europa occidentale, sviluppatosi sotto l’influenza del cattolicesimo latino. E’ stato, in un certo senso, una risposta sociale individualistica a un’affermazione politica individualistica.

Se vogliamo il capitalismo, ai suoi albori, cioè nella fase meramente mercantile e manifatturiera, non è neppure stato un’esplicita reazione al feudalesimo corrotto dei Franchi, dei Sassoni e soprattutto della chiesa romana.

Sarebbe meglio dire che, almeno nella sua fase iniziale, il capitalismo ha potuto convivere in maniera relativamente tranquilla col feudalesimo occidentale, proprio perché qui il livello di eticità dei poteri forti era piuttosto basso.

Essendo i vertici governativi (sovrani laici ed ecclesiastici) molto corrotti (i Franchi, che permisero al papato di diventare una potenza politica, avevano preso il potere con vari colpi di stato e cattolicizzarono con la forza i Sassoni), inevitabilmente col tempo lo era diventata anche la società (specie quella delle realtà urbane), e quanto più questa si corrompeva, tanto meno i vertici erano in grado di controllarla, salvo usare, di tanto in tanto, durissime contromisure (inquisizioni, scomuniche, crociate ecc.), le quali però incontravano resistenze ancora più forti, e non necessariamente in positivo, ma anche solo in negativo, come quando, p.es., dopo tutte le inaudite repressioni a carico dei movimenti ereticali medievali, scoppiò improvvisamente la riforma luterana, che certo non faceva della povertà evangelica uno stile di vita.

Il capitalismo euroccidentale ha incontrato un’opposizione esplicita da parte del feudalesimo soltanto quando ha preteso una rilevanza politica. Infatti, finché si è mantenuto entro i limiti dell’opposizione economica, è stato relativamente tollerato, nel senso che ci sono stati periodi di maggiore e minore acquiescenza, a seconda delle particolari situazioni.

Il primo vero scontro politico tra feudalesimo e capitalismo è avvenuto con la riforma protestante; il secondo con la rivoluzione francese (anticipata da quella americana, che però più che uno scontro tra feudalesimo e capitalismo, fu uno scontro nell’ambito del capitalismo, tra madrepatria e colonia, in quanto in quest’ultima il feudalesimo era praticamente inesistente. Gli inglesi giunti nel Nordamerica, ma anche i francesi, gli olandesi ecc., avevano sin dall’inizio l’intenzione di comportarsi come capitalisti, e hanno potuto farlo molto agevolmente proprio perché non incontrarono opposizioni di sorta, salvo quella indigena, che però non ebbe mai una direzione centralizzata per opporsi efficacemente: l’unica fu quella di Sitting Bull).

Si può in sostanza dire che il feudalesimo ha avuto il suo picco trionfale col Congresso di Vienna del 1815, cui subito dopo fecero seguito vari moti popolari che portarono alle rivoluzioni del 1848-49, sino alle ultime del 1860-61 e 1870-71.

La borghesia riuscì finalmente a rovesciare dal trono l’aristocrazia politica e a gestire il potere in proprio, senza peraltro riconoscere alcun vero diritto agli operai e soprattutto ai contadini che l’avevano aiutata in questa impresa. Ecco perché si parla, in riferimento all’Ottocento, di rivoluzioni tradite.

La borghesia non volle spartire il potere con nessuno, anzi, una volta acquisito definitivamente quello di tipo politico-nazionale, scatenò una fase colonialistica su scala mondiale (imperialismo), riducendo a un nulla il primato storico degli imperi coloniali di quelle nazioni che non erano mai diventate capitalistiche in senso industriale (Spagna e Portogallo) e che pensavano di poter campare di rendita in eterno.

Olanda, Francia e Inghilterra dominarono il mondo, proprio perché la borghesia, una volta andata al potere, non ebbe ripensamenti di sorta, voleva arricchirsi a tutti i costi, usando qualunque mezzo.

Al loro posto avrebbero dovuto esserci l’Italia e la Germania, che con l’Umanesimo, la prima, e la riforma protestante, la seconda, erano riuscite ad anticipare tutti. Ma la borghesia di questi due paesi fu pavida e, per timore di non farcela, cercò i compromessi coi poteri forti del feudalesimo: la chiesa in Italia, i latifondisti in Germania.

Ecco perché furono proprio questi due paesi a scatenare le due guerre mondiali o comunque a mettere gli altri paesi in condizioni di doverlo fare. Avevano bisogno di recuperare il tempo perduto, di rimettere in discussione la spartizione della torta coloniale. Avevano soprattutto bisogno di eliminare gli ultimi residui europei di imperi feudali: russo, turco e austro-ungarico. Cosa che se riuscirono a fare con gli ultimi due, nulla poterono col primo, dove l’inaspettata rivoluzione bolscevica, con un colpo solo, aveva posto fine tanto all’autocrazia zarista quanto al neonato capitalismo.

Gli operai e i contadini al potere preoccuparono così tanto le nazioni borghesi che, ad un certo punto, alle loro rivalità interimperialistiche prevalsero le intese anticomuniste. Si volle sì condannare il nazifascismo, ma solo rispetto alla democrazia parlamentare borghese.

Oggi la dialettica storica ci porta a questa situazione paradossale: proprio mentre il capitalismo occidentale è riuscito a imporsi a livello mondiale, riuscendo persino a dimostrare che il socialismo di stato non era in grado di reggere il confronto, le leve del potere economico sembrano trasferirsi alle potenze asiatiche (Cina e India), le quali, nel prossimo futuro, inevitabilmente, si sentiranno impegnate a togliere all’area occidentale (statunitense, europea e nipponica) anche le leve del potere politico.

La Russia sta cercando di recuperare i ritardi del proprio sviluppo capitalistico, sfruttando le enormi riserve della Siberia, ma non ha i numeri demografici sufficienti per farlo e non ha neppure (se non nelle grandi città, ma questo, al momento, vale anche per Cina e India) la mentalità giusta per compiere un’autentica rivoluzione borghese. Perché la mentalità cambi occorre acquisire l’ideologia dei diritti umani teorici, delle libertà giuridiche formali: è proprio questa ideologia che permette di mascherare le forme economiche dello sfruttamento.

Due incognite, al momento, restano il Sudamerica e l’Africa, che non riescono a liberarsi del neocolonialismo economico che le lega agli interessi del polo occidentale (anzi, in questo momento, stanno subendo anche la penetrazione delle merci e dei capitali cinesi). In ognuno di questi due centri del Terzo Mondo le nazioni, prese singolarmente, sono troppo deboli per potersi opporre con successo all’imperialismo del capitale.

Manifesto per la fondazione del partito Democrazia Laica. Per la difesa della laicità della Repubblica italiana (quindi anche della libertà di religione) e contro la guerra da “scontro di civiltà”

Il laicismo unisce, i clericalismi invece dividono. E spingono chiaramente verso una nuova disastrosa guerra chiamata “scontro di civiltà”. Se qualcuno vuole partecipare con me all’avventura della creazione del partito Democrazia Laica si faccia avanti. Questo è il manifesto che io propongo. Si accettano ovviamente suggerimenti e consigli, specie per il programma politico che io ho solo abbozzato in pochi punti.

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L’Italia è stata unificata e resa più civile, più moderna e più europea dalle personalità, dai gruppi, dalle associazioni e dai partiti laici e antitotalitari, cioè da un insieme che oggi è purtroppo molto indebolito e in via di estinzione come realtà organizzata e dotata di strutture politiche. Da qualche tempo è invece cresciuto l’interventismo della gerarchia vaticana nella vita politica della Repubblica Italiana, fino a superare abbondantemente in vari campi i limiti del lecito; interventismo che si è mobilitato non per la conquista di nuovi diritti dei cittadini italiani, quanto invece per impedirli. Di recente si è arrivati a sostenere che le leggi della Repubblica devono essere in sintonia con il credo man mano elaborato in Vaticano.
Questo comportamento, da religione di Stato, spinge da una parte all’ossequio filoclericale e dall’altra all’anticlericalismo, eccessi da evitare entrambi, ma spinge anche in direzione contraria al diritto di libertà di culto, inteso come diritto alla libertà per ogni culto, compreso il culto del non credere. Il Vaticano ha tentato a lungo d’imporre alla Comunità Europea il cappello delle “radici cristiane” nel progetto di Costituzione europea. Il tentativo finora è andato a vuoto e nel frattempo la Spagna, ex sagrestia d’Europa, si è molto laicizzata, diventando molto più moderna ed europea. Per bilanciare tali perdite il Vaticano ha aumentato la pressione sulla Repubblica italiana, con il chiaro scopo di farne il proprio “zoccolo duro” per non perdere anche l’influenza, i privilegi e il potere che da secoli esercita sul territorio italiano.

La libertà di scelta religiosa e di scelta atea o agnostica è un diritto inalienabile, che parafrasando una nota frase di Camillo Benso di Cavour potremmo riassumere con l’espressione “Libere Chiese in libero Stato”, aggiornandola ed ampliandola in “Libere Chiese in libera Europa”. Il crescendo di invadenza vaticana va però in direzione opposta a tale diritto e a parte dei diritti universali dell’uomo, e legittima per reazione un’analoga invadenza da parte di altre religioni, aumentando così il pericolo del ripetersi di esiti drammatici già vissuti in passato, e contribuisce in modo preoccupante al deterioramento della scuola e della sua centralità nella formazione dei cittadini e del futuro del Paese. Ecco perché l’invadenza del Vaticano va contrastata, con urgenza e fermezza, ed ecco perché quella delle altre confessioni va prevenuta con altrettanta urgenza e fermezza prima che sia troppo tardi. Si può essere cristiani e cattolici senza inginocchiarci anche fuori dalle chiese, così come si può essere atei o professare altre religioni senza per questo tenere sermoni o montare in cattedra fuori dai propri templi. Continua a leggere

Iran: Berlusconi semina, Ahmadinejad raccoglie. Caro Ratzinger, ma lei l’ordine che ha inviato nel 2001 a tutti i vescovi del mondo di tacere alle autorità civili qualunque caso di pedofilia del clero lo ha ritirato sì o no? A giudicare dal nuovo scandalo e annesso silenzio della curia di Bologna, si direbbe proprio di no. Dalla Milano da bere alla Lombardia, e non solo, da spolpare: il nostro capo del governo spiega che i peggiori sono per lui “i migliori”

A Teheran stanno facendo il gioco di Silvio Berlusconi e dei suoi manovratori. Così è più facile ricominciare il tiro al piccione contro l’Iran, con l'”informazione” giornalistica che ci dà fulmineamente conto non solo di ciò che accade, ma anche di ciò che si vorrebbe accadesse ma non è ancora accaduto. Una domanda: come mai invece della Palestina non si ha MAI una altrettanto fulminea informazione? Per l’Iran diamo retta anche a twitter e affini, senza uno straccio di verifica, in Palestina invece diamo retta solo al portavoce del governo israeliano. Vi accadono soprusi a volte degni dell’Iran, ma NON se ne parla. Ahmadinejad gioca chiaramente la carta dell’esasperazione della tensione politica internazionale, in modo da poter dare meglio un giro di vite interno, e arriva a dichiarazioni provocatorie anche demenziali, però ha dichiarato chiaro e tondo in piazza che l’arricchimento dell’uranio per la famosa bomba atomica non interessa l’Iran. Concetti del resto già detti più volte, ma in quei casi ha fatto cilecca non solo twitter…

La rinuncia alle atomiche da parte di Ahmadinejad  sa di volpe che non arriva all’uva e dice che è acerba, visto che a parte le chiacchiere soprattutto made in Usa e Israele – remake delle balle sulla “bomba” irachena – l’Iran non ha nessuna possibilità di arrivare a costruirla. Però il gioco al massacro, per ora a parole in attesa di poterlo trasformare in carne e sangue dei vinti, continuiamo a giocarlo. Il capo del governo o il capo dello Stato iraniano gridano che in Israele “collasserà” il sionismo – solo il sionismo, si badi bene, non Israele – ma i giornali traducono che ha gridato “Israele sarà “schiacciato”. Israele, non il sionismo. Che è chiaramente cosa diversa da Israele, così come un qualunque regime politico di uno Stato è cosa diversa dallo Stato con quel regime. Gli Usa e Israele e l’Europa vogliono far crollare il regime teocratico dell’Iran, ma questo NON significa che vogliano schiacciare l’Iran. O no? Di ritorno dal mio viaggio in Iran scrissi che il regime teocratico era condannato a crollare, perché la società civile è molto più avanti del regime, e nessuno s’è sognato di accusarmi di volere che l’Iran venisse “schiacciato”. O no? Sono molti i Paesi che sperano che in Italia crolli il “regime berlusconiano”, cosa sperata da un buon terzo degli stessi italiani, ma a nessun furfante verrebbe in mente di dire che tutti costoro vogliono che a crollare o ad essere “schiacciata” sia l’Italia. O no? Continua a leggere

La nostra solidarietà a Berlusconi colpito in faccia da uno squilibrato. Ciò non toglie però che deve smetterla di mentire e che deve dimettersi. Ecco perché, e senza bisogno né di Spatuzza né dei Graviano

Come spiegavo a una nostra forumista nel mio ultimo commento della puntata precedente, gli squilibrati esistono in tutto il mondo, ma ciò non toglie che colpire per giunta in pubblico un capo di governo, spaccandogli un labbro e rompendogli un dente, come è successo a Berlusconi, è cosa grave e inammissibile. Per fortuna non ci sono state conseguenze drammatiche o tragiche, e per fortuna il gesto è frutto di uno squilibrato anziché dell’idiozia di un gruppetto “politico”, eventualità che avrebbe precipitato il Paese nel baratro: è chiaro infatti da troppi sintomi che nelle file del partito berluscon-bossiano non aspettano altro che poter “regolare i conti”. Immagino però che gli untori di professione soffieranno sul fuoco comunque sulle prime pagine dei giornali, e del resto Berlusconi paga bene i suoi mazzieri mediatici.

E che i suoi mazzieri si metteranno alacremente all’opara è già chiaro fin dalle prime parole attribuite a Berlusconi al pronto soccorso. Leggo infatti sul sito di un quotidiano:
“Comunque Berlusconi, riferisce chi gli ha fatto visita, si è detto “amareggiato” per “questa campagna di odio nei miei confronti. Questo è il frutto – ha spiegato – di chi ha voluto seminare zizzania. Quasi me l’aspettavo…”. Berlusconi a tutti ha ripetuto di essere stato nei giorni scorsi nel mirino di una campagna di veleni. “Tutti dovrebbero capire che non è possibile oltraggiare un presidente del Consiglio, questa è la difesa delle istituzioni”. Al di là dell’amarezza, il Cavaliere ha sottolineato di non voler minimamente farsi impressionare dall’episodio. “Sono ancora qui e non mi fermeranno””.
Per parlare così ci vuole una bella dose di irresponsabilità e di faccia di bronzo. Se c’è qualcuno che conduce una campagna di odio è proprio lui, Berlusconi Silvio, che da mesi – anomalia unica nell’intero Occidente democratico –  accusa in continuazione i magistrati – fino alla Corte Costituzionale! – e ormai anche il presidente della Repubblica.
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La concezione storiografica dell’Europa (II)

lla luce di tutto questo qual è dunque l’Europa che dobbiamo costruire per realizzare una civiltà democratica?

  1. Anzitutto un’Europa in cui i processi di separazione laica tra Stato e Chiesa procedano più spediti, anche negli stessi paesi cattolici, oggi peraltro soggetti, come i paesi protestanti, a imponenti flussi migratori che impongono culture pluraliste.
    La separazione di Chiesa e Stato infatti non è più soltanto una rivendicazione della coscienza laica, ma anche una necessità istituzionale del pluriconfessionalismo della società. Chiese privilegiate, chiese di stato, concordati, intese esclusive: tutto ciò non ha più ragione di esistere.
  2. Nel processo di progressiva laicizzazione della società e di separazione istituzionale di Chiesa e Stato, l’Europa, dell’est e dell’ovest, non solo può trovarsi unita, ma non ha neppure alcuna difficoltà a considerare gli Usa un partner storico.
    Risultano infatti più ostici i rapporti culturali con quei paesi che fanno di determinate ideologie religiose un punto di riferimento istituzionale (molti paesi islamici), anche se certamente i rapporti economici con questi paesi possono essere più facili di quelli con gli Usa, abituati a dominare la scena mondiale sin dall’ultima guerra.
    Anche i rapporti con la Cina dovrebbero essere relativamente facili, visto che questo paese ha sempre affermato il regime di separazione tra Chiesa e Stato. Tuttavia il governo cinese deve permettere alle religioni di svilupparsi socialmente senza problemi, nel rispetto della democrazia.
  3. Un altro aspetto da considerare è che sul piano economico l’Europa occidentale, avendo subito due disastrose guerre mondiali, a causa del capitalismo senza regole, tende a privilegiare il Welfare State all’individualismo statunitense, caratterizzato da un marcato darwinismo sociale.
    Per noi europei qualunque tentativo di smantellare lo Stato sociale costituisce una sorta di passo indietro. Su questo non possiamo seguire gli Usa, anche perché non disponiamo delle stesse risorse strategiche, delle stesse risorse militari ed economiche con cui imporci a livello mondiale. E sicuramente il Giappone, in questo, è più vicino all’Europa.
  4. L’Europa deve procedere verso forme sempre più spinte di socializzazione della produzione, che non ripetano gli errori del socialismo di stato dei paesi est-europei, ma che sappiano comunque sottrarre la gestione del territorio all’iniziativa di imprenditori privati, incapaci di garantire un futuro all’Europa (vedi i recenti processi di delocalizzazione, di smantellamento di quei settori che pur avendo un fatturato in attivo non erano in grado di garantire determinati livelli di plusvalore, ma vedi anche i grandi e sempre più diffusi fenomeni di corruzione imprenditoriale, che destabilizzano enormemente le capacità di risparmio e di investimento dei piccoli consumatori).
  5. Nella progressiva affermazione del socialismo democratico occorre che le funzioni di “welfare” dello Stato vengano sempre più gestite dagli enti locali territoriali, dotati di autonomia impositiva e destinati a sostituirsi alle istituzioni centralizzate dello Stato, oggi particolarmente inefficaci a gestire la crescente complessità del territorio.
  6. La consapevolezza di un mondo unico, indivisibile e interdipendente può trarre particolare giovamento da un uso della tecnologia conforme a leggi di natura. L’interconnessione dei paesi non va vista solo in chiave economico-produttiva, ma anche in senso ecologico, nella convinzione che un effetto nocivo in qualunque parte della Terra ai danni della natura, si ripercuote inevitabilmente su tutto il pianeta. Va ripensato in tal senso il modello di sviluppo che caratterizza in questo momento le civiltà basate sul profitto privato; in particolare va ripensato il bisogno di affidarsi al nucleare per ottenere energia.
  7. L’Europa deve superare il concetto di “Stato nazionale”, deve abbattere le barriere, insieme politiche e culturali, oltre che geografiche, che non le permettono di costruire una “casa comune”, che non permettono cioè al cittadino di sentirsi ovunque a casa propria.
    E’ definitivamente tramontato il periodo in cui una nazione europea si sentiva in diritto-dovere di affermare la propria “identità” a scapito di altre nazioni. Ieri le nazioni hanno eliminato gli imperi, oggi il processo paneuropeo deve superare il concetto stesso di “nazione”. E’ assurdo pensare che un’Europa unita possa essere il frutto di un’intesa delle nazioni più forti. E’ il concetto stesso di “forza” che va bandito dalla cultura europea.
    Le stesse forze armate dovrebbero essere ristrutturate secondo il principio della “ragione sufficiente”, cioè in modo che rimanga una quantità di forze sufficienti alla difesa ma insufficienti per un attacco, anche perché si deve sviluppare il concetto della “sicurezza collettiva”, universale, che non può basarsi su una superiorità militare né, tanto meno, su una deterrenza nucleare.
  8. L’Europa può riscattarsi agli occhi del Terzo Mondo rinunciando a qualunque relazione internazionale basata sullo scambio economico ineguale. Vanno cioè rivisti tutti i rapporti basati sul colonialismo, sul neocolonialismo, sull’imperialismo economico che hanno caratterizzato i rapporti tra Europa occidentale e resto del mondo negli ultimi due secoli.
  9. Non è più possibile che in nome dello stereotipo dell'”eurocentrismo”, l’Europa si consideri un modello politico, culturale, economico oggetto di esportazione. Non è più possibile che questo modello si basi su un primato della civiltà occidentale, borghese o capitalistica. Ne è possibile che l’Europa si debba sentire vincolata agli Stati Uniti nell’affermazione su scala mondiale di questo modello.
  10. L’Europa non può rimuovere astrattamente da se stessa le ideologie nate al proprio interno, come se non fossero mai esistite. Deve piuttosto assumerle tutte democratizzandole progressivamente. Deve cioè trovare in ogni ideologia o cultura le cause storico-sociali che l’hanno generata, verificando se tali cause esistono ancora o sono state superate. Bisogna che non vi siano pregiudiziali di sorta nei dibattiti pubblici.
  11. Il processo di pace inaugurato ad Helsinki è incompatibile con la presenza sul territorio europeo di armi di sterminio di massa. In particolare, un continente che pretenda di concepirsi in maniera autonoma sul piano politico e istituzionale non può tollerare al proprio interno la presenza di basi militari (extraterritoriali) gestite dagli statunitensi.
  12. E’ inimmaginabile pensare al concetto di Europa ignorando i paesi che nel passato hanno intessuto rapporti di collaborazione o di scambio o anche di confronto con noi, pur avendo essi abbracciato teorie socialiste, o solo perché, dopo avervi rinunciato, perché giudicate errate, non si sono convertiti in toto alle idee del capitalismo avanzato.
    In particolare è impensabile realizzare il concetto di Europa senza l’apporto della Russia. Le relazioni della Russia con l’occidente europeo risalgono a mille anni fa. Le aspirazioni a escludere la Russia dai confini europei o a inglobarla come una “provincia” da sfruttare, non hanno alcun senso.
  13. L’Europa deve favorire democraticamente lo sviluppo di valori umani universali, presenti in tutte le culture del mondo. Non ci possono essere imposizioni di sorta, forzature di alcun genere nella valorizzazione dell’unità nella diversità.
    In particolare l’Europa deve fare in modo che le istituzioni rappresentative dei valori e degli interessi internazionali vengano gestite in maniera democratica da tutte le nazioni del mondo. Non ha più senso, p.es., che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu sia diretto dalle cinque nazioni che hanno vinto la II guerra mondiale. Non può esserci rispetto per le norme di un diritto internazionale quando esistono cinque paesi che si sentono autorizzati a prendere decisioni per tutti gli altri.

La concezione storiografica dell’Europa (I)

Gli storici occidentali di tendenza borghese hanno sempre identificato l’Europa con l’Occidente, ovvero i valori della democrazia occidentale con quelli europei dei paesi più avanzati (capitalistici) e con quelli statunitensi, considerati, quest’ultimi, come una conseguenza (radicale) dei valori storico-politici dell’Europa.

In questa visione semplificata delle cose s’è fatto in modo di non porre differenze di principio tra paesi di religione protestante e paesi di religione cattolica. Considerando che sul piano economico è prevalso il capitalismo, s’è dato per scontato che i valori dominanti dovessero essere quelli protestanti, cui i paesi cattolici si sono dovuti adeguare, seppure obtorto collo.

Tuttavia noi sappiamo che i paesi latini, di religione cattolica, tendono a rivendicare una certa diversità di principio dai valori borghesi di matrice protestante. Questo è ben visibile nelle posizioni terzoforziste (tra capitalismo e socialismo) che la chiesa romana si vanta di avere, sponsorizzate da vari partiti politici, soprattutto in Italia, ma anche in Polonia, in Spagna, in taluni ambienti conservatori della Germania, della Francia, del Belgio, dei Paesi Baltici ecc.

Quanto agli Stati Uniti, pur essendo essi una creazione dell’Europa protestante, va detto che i loro valori sono molto più individualistici di quelli dei paesi protestanti europei.

Gli Usa sono nati come paese protestante, ma ben presto, in seguito ai flussi migratori, sono diventati un paese pluriconfessionale, in cui la separazione di Chiesa e Stato s’è imposta quasi automaticamente. Cosa che invece nei paesi europei, soprattutto in quelli cattolici (se si esclude la Francia), ha sempre incontrato forti resistenze. Da noi la semplice accettazione di una religione diversa da quella cattolico-romana ha spesso comportato una serie interminabile di guerre molto sanguinose.

Dobbiamo quindi dire che al momento i valori dominanti a livello mondiale sono quelli del capitalismo statunitense, cui l’Europa occidentale è costretta ad adeguarsi (in maniera progressiva), non senza resistenze dovute alle diverse tradizioni storico-culturali.

Lo stesso si potrebbe dire dell’altra grande potenza occidentale: il Giappone, che ha accettato i valori occidentali del capitalismo americano, pur provenendo da tradizioni diversissime, influenzate dallo shintoismo di matrice feudale.

Gli storici europei borghesi, quando parlano di Europa, non fanno mai differenza tra paesi di religione cattolica o protestante e paesi di religione ortodossa. Essi danno per scontato che i valori dominanti in Europa siano quelli protestanti, cui cercano di contrapporsi, di tanto in tanto (vanamente, in verità), quelli di tradizione cattolica, di matrice feudale, che mentre sul piano politico sono legati all’affermazione monarchica del papato e gerarchica della chiesa, sul piano sociale invece sono legati al solidarismo della carità, al primato della famiglia sulla società ecc. Questi valori cattolici sono molto più forti in Europa che non negli Stati Uniti, e le gerarchie continuano a imporli alle popolazioni sudamericane e africane delle ex-colonie europee.

La storiografia europea non tiene mai in considerazione che nell’ambito dei valori cristiani esiste quella che può essere considerata la migliore tradizione cristiana, rimasta nel tempo la più immutata, appunto quella ortodossa. Perché questo misconoscimento? Semplicemente perché la tradizione ortodossa è stata definitivamente liquidata in Europa occidentale sin dal tempo delle crociate medievali (in campo artistico con la rivoluzione di Giotto) e sanzionata con la caduta di Costantinopoli nel 1453.

In Europa occidentale si fa coincidere cristianesimo con cattolicesimo-romano, anche se dopo la nascita del capitalismo si ritiene che la migliore religione cristiana sia quella protestantica, la più adatta allo spirito borghese.

Il protestantesimo, pur sviluppatosi come “religione”, oggi viene vissuto dalla borghesia in maniera del tutto laicizzata, come filosofia di vita, essendo stato per così dire “interiorizzato”, scomparendo tendenzialmente come religione specifica. Storicamente è stata la filosofia (soprattutto quella tedesca) a operare tale trasformazione culturale.

Il protestantesimo, diviso nelle sue tante sette, è rimasto come religione specifica per le persone che nell’ambito della società borghese appaiono come deboli, emarginate, oppure è rimasto come aspetto devozionale puramente formale o facoltativo (p.es. i presidenti degli Usa si affidano al loro dio protestante quando devono intraprendere delle guerre o quando devono giurare sulla Costituzione).

Viceversa l’ortodossia è stata vissuta dai paesi che la professano come religione “nazionale”, almeno finché con l’avvento del socialismo di stato non si è imposta la netta separazione di Stato e Chiesa. L’ortodossia è rimasta come “religione” di una società che nelle sue istanze istituzionali era atea (questo in tutti i paesi dell’ex-Comecon, poiché il principio della separazione valeva anche là dove era il cattolicesimo ad essere la religione “nazionale”, come p.es. in Polonia o in Ungheria).

Prima del crollo del “socialismo reale”, gli storici borghesi, quando trattavano dell’Europa, tendevano a escludere sia i paesi di religione ortodossa, sia quelli di ideologia socialista. La Grecia ortodossa, p. es., pur non essendo mai stata socialista, è sempre stata considerata un’anomalia nel quadro dell’Europa cattolica e protestante, e questo nonostante sia partita da qui la cultura europea schiavista, la filosofia pagana, la democrazia politica, l’arte e l’architettura più evolute ecc. Questo per dire che la chiesa romana è in grado di influenzare con la propria ideologia la visione della realtà degli storici occidentali.

Dopo il crollo del muro di Berlino si è tornati a parlare di un’Europa dall’Atlantico agli Urali, ma solo nel senso che si vuole sia il superamento della tradizione ortodossa che l’accettazione incondizionata del capitalismo. Tacitamente l’ingresso in Europa ha la precondizione della rinuncia, da parte dell’est-europeo, delle proprie tradizioni opposte a quelle religiose ed economiche da noi dominanti.

Ovviamente le questioni religiose risultano di molto inferiori, come importanza strategica, a quelle economiche del libero mercato. Tuttavia è evidente che la chiesa romana (essendo un’istituzione politica per eccellenza) non può lasciar perdere l’occasione di sfruttare i processi integrativi europei per compiere opera di proselitismo là dove fino a ieri le era quasi interdetto dal socialismo di stato (come ancora oggi p. es. in Cina). Esattamente come ieri sfruttava i processi colonialistici per imporsi nel Terzo Mondo.