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Contro la delocalizzazione delle imprese

Da tempo il proletariato intellettuale e manuale dei paesi occidentali contribuisce, seppur in misura assai minore rispetto alla propria borghesia imprenditrice, allo sfruttamento del proletariato del Terzo mondo (che noi chiamiamo, eufemisticamente, “paesi in via di sviluppo” o “emergenti”), per cui è letteralmente impossibile che una qualunque rivendicazione il nostro proletariato ponga nei confronti della propria borghesia, coincida con gli interessi del proletariato terzomondiale.

L’unica rivendicazione davvero utile, in tal senso, potrebbe esser quella di far finire il rapporto di dipendenza “coloniale” che lega il Terzo mondo all’occidente (se non piace il termine “coloniale”, che andò per la maggiore dalla conquista dell’America alla seconda guerra mondiale, poi sostituito, nell’ambito della sinistra, con quello di “neocoloniale”, ad indicare che una indipendenza politica non coincide con quella economica, si può sempre usare quello di “para-coloniale” o “semi-coloniale” o “post-coloniale”, tanto la sostanza della “dipendenza” non cambia di molto).

Senonché è proprio lo sfruttamento congiunto del Terzo mondo (borghesia + proletariato occidentale), che impedisce a quest’ultimo di lottare sino in fondo contro la propria borghesia (di qui l’opportunismo che blocca ogni tentativo di fuoriuscire da questo sistema di rapporti iniqui). Anzi oggi il proletariato occidentale vede come un proprio nemico di classe lo stesso proletariato terzomondiale, in quanto il basso costo del lavoro di quest’ultimo risulta molto appetibile per le borghesie occidentali, le quali non hanno scrupoli nel delocalizzare le loro imprese.

L’unico modo di porre fine alla dipendenza economica del Sud nei confronti del Nord sarebbe quello di abbattere il capitalismo, ma di fronte a un nemico che si pone su scala internazionale, occorrerebbe un’organizzazione alternativa che si ponesse sullo stesso piano, come il socialismo aveva già pensato di fare sin dai suoi esordi.

Qualunque tentativo di abbattimento “nazionale” del capitalismo rischia di fallire, proprio perché una determinata borghesia potrebbe servirsi del proprio proletariato contro il proletariato di un’altra nazione. Cosa che si è già verificata nel corso delle due ultime guerre mondiali, ma anche nei periodi in cui si sono formati il colonialismo e l’imperialismo, e persino oggi nelle cosiddette “guerre regionali” che il capitalismo avanzato conduce in varie parti del pianeta. Molto raramente a combattere vanno i figli della borghesia, se non nei ranghi ufficiali più elevati.

Per uscire da questa situazione di stallo, in cui qualunque cosa “anti-borghese” si faccia in un territorio, rischia di avere conseguenze “anti-proletarie” in un altro, a causa del cosiddetto “globalismo”, occorre che la consapevolezza “proletaria” sia internazionale. Cioè occorre abituarsi all’idea di sostenere qualunque rivendicazione proletaria ovunque essa si manifesti.

Le borghesie si aiutano a livello mondiale quando devono combattere un nemico comune, benché siano in perenne competizione tra loro. Non si capisce perché un atteggiamento di analoga collaborazione non debba averlo il proletariato, il quale anzi, proprio a causa della sua intrinseca debolezza (rispetto a chi detiene la proprietà dei mezzi produttivi e dei mezzi per difenderla) ne avrebbe un motivo in più.

Bisogna inoltre aver chiaro che contro la dipendenza dai mercati borghesi vi è soltanto un’alternativa: l’autoconsumo. Il che non significa che ogni comunità debba restare isolata dalle altre, ma semplicemente che il valore di scambio non può prevalere su quello d’uso. Là dove c’è scambio senza autoconsumo, c’è dipendenza delle economie deboli nei confronti di quelle forti. Là dove invece c’è autoconsumo, si possono tranquillamente scambiare le eccedenze, conservando la propria autonomia.

Chi rivendica l’autoconsumo va difeso in ogni caso, anche se ciò comporterà una crisi delle economie dei paesi capitalisti e quindi un abbassamento del nostro tenore di vita. Il proletariato occidentale deve abituarsi all’idea che là dove si rivendicherà l’autoconsumo, si porranno le nuove basi di un sistema sociale in cui la classe proletaria non avrà più ragione d’esistere.

Il proletariato occidentale (quello di tutti i paesi cosiddetti “avanzati”, che geograficamente non sono solo in occidente) deve convincersi che non potrà, anzi non dovrà più partecipare allo sfruttamento borghese del proletariato terzomondiale, sia nel caso in cui accetti l’autoconsumo di quest’ultimo, sia nel caso in cui sia costretto ad accettare che la propria borghesia delocalizzi le proprie imprese.

Al momento le borghesie imprenditrici dei paesi capitalisti più avanzati, per far fronte alla continua caduta dei loro saggi di profitto, si stanno orientando verso la delocalizzazione delle loro imprese, operando licenziamenti di massa nelle aree occidentali (il cui costo viene scaricato sullo Stato sociale).

Poiché una situazione del genere raggiungerà presto un limite insopportabile, dalle conseguenze imprevedibili, sarebbe bene approfittare dell’occasione per dire agli imprenditori che se delocalizzano si punterà decisamente all’occupazione delle terre, senza alcun indennizzo ai proprietari, al fine di realizzare l’autoconsumo.

Lo stesso proletariato provvederà anche a gestire quelle imprese i cui prodotti risultano indispensabili alla comunità locale basata sull’autoconsumo. Il proletariato occidentale non può morire di fame solo perché la propria borghesia ha deciso di sfruttare soprattutto il proletariato terzomondiale, il cui lavoro ha costi incredibilmente bassi anche per le condizioni disumane in cui viene svolto.