Articoli

FELICE NATALE A TUTTI!!!

E’ Natale. Festa che esiste da almeno 5.000 anni, come dimostra tra molto altro anche il libro “Il Natale ha 5.000 anni”. Esiste cioè da quando gli esseri umani si sono accorti non solo che il sole morente al tramonto risorge all’alba successiva, ma anche che dopo il solstizio d’inverno – che nel nostro emisfero accade il 21 dicembre – il sole dopo tre giorni riprende nel suo precorso quotidiano ad alzarsi rispetto la linea dell’orizzonte. Come si suol dire, le notti riprendono ad accorciarsi e i dì ad allungarsi. In quei tre giorni la traiettoria del sole pareva fissata sempre al livello più basso rispetto l’orizzonte, perché quei nostri progenitori non disponevano certo di telescopi o altri attrezzi di precisione. Poiché le osservazioni le facevano ad occhio nudo o con attrezzi rudimentali, in quei tre giorni il sole a loro pareva sconfitto: ovvero, “morto”. Poi l’occhio ne percepiva la nuova ciclica ascesa nel cielo…. E poiché 21 più 3 fa 24, ecco che alla mezzanotte del 24 inizia il Natale, che si festeggia quindi il 25.

Sono decine, se non centinaia, i “Natali” del mondo antico, tutti centrati sul 25 dicembre o nelle immediate vicinanze, a seconda dell’abilità e della precisione degli osservatori “astronomi” antichi. Nell’antica Roma si festeggiava il “dies natalis Solis invictis”, cioè il “giorno del natale del Sole invitto”, dove il sole era un Dio, che la religione mitraica, nata in Medio Oriente, associava al Dio Mitra. E nei giorni delle nostre feste natalizie c’erano le feste dette saturnali, nome che deriva dal Dio
Insomma, nulla di nuovo sotto il Sole invitto, cioè post solstizio. Il cristianesimo – una volta diventato religione di Stato, grazie a Costantino che lo ha sdoganato e a Teodosio che ha cominciato la messa al bando delle altre religioni – non ha fatto altro che impossessarsi dei riti e delle usanze preesistenti. Del mitraismo ha copiato tutto, compreso il termine “missa” della messa (“ite, missa est”), il rito della comunione, la figura del papa e perfino del suo copricapo, che non a caso ancora oggi si chiama appunto mitria. A un certo punto il prefetto di Roma ha confiscato ai legittimi proprietari e regalato al vescovo di Roma – tra molti altri templi e annessi tesori – anche il tempio mitraico che sorgeva sul colle Vaticano, che si chiama così perché i sacerdoti mitraici andavano a “vaticinare” il futuro osservando il volo degli uccelli. I vati osservavano il cielo, poi con la bacchetta chiamata se non ricordo male sistro delimitavano un “tempulum”, cioè una porzione di cielo, e vaticinavano il futuro da come si svolgeva il volo degli uccelli in quel “tempulum”, che non a caso ha poi dato il nome alla parola “tempio” così come del resto anche a “tempo”. Continua a leggere

In ricordo di don Andrea Gallo, amico mio e di tutti i semplici.

“Hai visto che il titolo che ho proposto io era purtroppo più indovinato del tuo? Io ho detto che il titolo del libro doveva essere “Non uccidete il futuro dei giovani”, tu preferivi “Non rubiamo il futuro ai giovani”. Vedi che il loro futuro glielo hanno non solo rubato, ma anche ucciso?”. A parlare è don Andrea Gallo, il prete da marciapiedi, come amava definirsi lui, e il libro al quale si riferisce è, appunto, “Non uccidete il futuro dei giovani”, scritto assieme nell’estate del 2011. Dopo la pubblicazione, avvenuta a ottobre, ci siamo visti più d’una volta, nella sua comunità a Genova, a Milano e a Roma a dibattiti sul libro, a Torino alla Fiera del Libro. Ci siamo anche sentiti un po’ per telefono e con qualche mail, sempre più rara perché mi diceva “non sto tanto bene”, e mi faceva arrivare qualche messaggio tramite amici. Mettendo assieme le cose dette, se ne ricava quella che può essere definita la sua ultima intervista.

Domanda – Andrea, ce la farà questo governo a raddrizzare la barca?
Risposta – Ma che dici! Per riparare ai danni, specie a quelli arrecati al futuro dei giovani, ci vorranno due o tre generazioni, cioè dai 40 ai 60 anni. Altro che un governo!

D – E cosa possono fare nel frattempo i giovani?
R – Agitarsi! Indignarsi! Ribellarsi! Ecco cosa possono e devono fare nel frattempo. Senza mai mollare. Vedi cosa è successo con la primavera araba? L’hanno trasformata in autunno, se non già in inverno.

D – Sì, ma in Italia ci sono oltre due milioni di giovani che non studiano e non solo non lavorano, ma il lavoro neppure lo cercano. Rassegnati, più che indignati e ribellati?
R – Guarda, la fase di stanca c’è sempre, ma prima o poi passa. Certo, la nostra generazione ha colpe enormi rispetto questa massa di giovani portati a starsene fermi. Le mamme sono troppo protettive. E i padri sono spariti. Che fine hanno fatto i padri? Sai quante donne mi dicono “Caro don Gallo, il problema è che sono spariti gli uomini, non solo i padri. Di fare sul serio e magari anche mettere su famiglia e far figli non ci pensano proprio, neppure da lontano. Almeno fino ai 30 anni. E noi donne quando diventiamo madri?”. Eh, sì, lo so, è dura. Troppa televisione, troppa moda, troppa pubblicità, troppi modelli e stili di vita sballati. Mica possono fare tutti le modelle e i calciatori.
Il mondo è malato, non solo l’Italia è malata, ma il mondo intero. E lo possono guarire solo i giovani. Noi vecchi abbiamo fallito. Abbiamo fatto la resistenza e dato la democrazia e il benessere all’Italia, poi però ci siamo lasciati fregare. Guarda i comunisti…. per non parlare dei piddini di D’Alema, Veltroni, Bersani.

D – E di Matteo Renzi?
R- Beh, ma lui almeno parla un linguaggio più vicino a quello dei giovani, meno burocratese, meno politichese, meno blateratore. Quando in tv nel confronto tra lui e Bersani ho sentito quest’ultimo dire che “è meglio un passero in mano che un tacchino sul tetto” mi sono cascate diciamo le orecchie a terra! Ma come si fa?! Un passero in mano?! E un tacchino sul tetto?! Ma non poteva dire “Meglio un uovo oggi che una gallina domani”? Continua a leggere

Come ancora oggi si falsa la Storia: la mostra a Milano su Costantino ne tace totalmente le responsabilità nella nascita del disprezzo cristiano verso gli ebrei

Riporto da italialaica.it il post del 17 novembre di Elio Rindone  intitolato “Costantino: a Milano una mostra che mistifica”.

++++++++

La manipolazione della storia non implica la necessità di dire il falso, perché basta evidenziare un dato e tacerne un altro.

È quanto accade, mi pare, con l’operazione in corso a Milano con la Mostra che celebra il diciassettesimo centenario della emanazione nel 313 d.C. dell’Editto di Milano da parte dell’imperatore romano d’Occidente Costantino e del suo omologo d’Oriente, Licinio.

La mostra, ideata dal Museo Diocesano di Milano, realizzata con la collaborazione dell’Arcidiocesi e dell’Università degli Studi della stessa città, intende esaltare l’imperatore Costantino quale iniziatore di un periodo di libertà religiosa per il rescritto del 313, di cui si riporta l’affermazione centrale: “Noi, dunque Costantino Augusto e Licinio Augusto abbiamo risolto di accordare ai Cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che ciascuno crede, affinché la divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, a noi e a tutti i nostri sudditi dia pace e prosperità”.

Leggendo queste parole, molti saranno d’accordo con quanto dice Paolo Biscottini, curatore della mostra e direttore del Museo diocesano: “Ogni individuo non può fare a meno del senso religioso e l’editto di Milano segna l’inizio di una cultura occidentale fondata su una tolleranza intesa come rispetto del senso religioso”. Tesi ribadita in un’intervista alla Radio Vaticana dall’altra curatrice, Gemma Sena Chiesa: “l’Editto di Costantino è per noi un testo fondamentale, perché proclama la libertà del cristianesimo e la libertà di tutte le religioni. Una testimonianza, quindi, estremamente moderna, di un sentimento moderno che oggi noi riteniamo fondamentale: la disponibilità all’incontro con gli altri, con il ‘diverso’, e la tolleranza verso tutti. In mostra abbiamo riportato proprio il pezzo dell’Editto di Costantino che, con parole solenni ed importanti, dà a tutti la libertà di professare liberamente quello in cui credono”.

Peccato, però, che Costantino non si sia limitato ad emanare questo celebre editto ma abbia anche detto e fatto altro, che è necessario ricordare per una valutazione complessiva della sua figura. Continua a leggere

Storia del cristianesimo primitivo

Con la svolta costantiniana nasce il cesaropapismo, cioè la divinizzazione dell’imperatore in nome del cristianesimo, con la conseguente cristianizzazione integrale dello Stato e la politicizzazione della chiesa.
Era inevitabile questo processo? La storiografia cattolica dice di sì, in quanto nella tarda antichità religione e Stato non conoscevano che un’integrazione reciproca, un legame indissolubile. Semmai Costantino sbagliò – ma questo lo dice solo la storiografia cattolica, non quella ortodossa – quando volle affermare il dominio assoluto dell’imperium sul sacerdotium.
In realtà il processo non era inevitabile, e per due ragioni: una, in riferimento allo Stato, riguarda l’Edittodi tolleranza di Milano e, prima ancora, quello di Sardica emanato da Galerio, i quali avevano posto le basi giuridiche per il superamento della religione di stato; l’altra, in riferimento alla chiesa, riguarda la celebre frase evangelica di Mc 12,17, secondo cui Dio e Cesare sono due realtà separate.
La Lettera a Diogneto spiegava molto bene come un cristiano potesse comportarsi contemporaneamente come cittadino nell’ambito dello Stato e come credente nell’ambito della chiesa. In questa direzione, d’altra parte, andava interpretata l’affermazione di Gv 18,36 secondo cui il regno di Cristo non è di «questo mondo».
Dunque la possibilità di costruire uno Stato laico e una chiesa libera c’era, ma la storia, a causa delle debolezze degli uomini, procedette diversamente. La chiesa cristiana non sbagliò quando combatté con tutte le sue forze l’integralismo pagano dello Stato romano; sbagliò quando volle sostituire quell’integralismo con il proprio, eliminando d’autorità ogni voce dissidente.
L’ideologia politica del cesaropapismo, seppur modificata, col passar dei tempi, dalle teorie del costituzionalismo, del giusnaturalismo, del contrattualismo, della sovranità popolare, della democrazia rappresentativa, dello Stato laico ecc., è rimasta sostanzialmente immutata in quell’area geo-politica caratterizzata dalla religione cristiana, sia essa nella confessione ortodossa, cattolica o protestante (e lo stesso si può dire dell’area ebraico- islamica). Sono soltanto cambiate le forme.
L’impero zarista infatti ereditò, in maniera ancora più accentuata, il cesaropapismo bizantino, che i bizantini hanno sempre definito col termine di «sinfonia» o di «sacra diarchia». Dal canto loro, gli Stati cattolici e protestanti moderni, tra concordati, intese o taciti compromessi, non hanno mai smesso di servirsi della religione per fini di potere.
Gli unici momenti in cui tale ideologia politica ha subìto degli scossoni non indifferenti sono stati quelli delle due rivoluzioni più importanti: francese e russa, allorché l’idea di una separazione dello Stato dalla chiesa cominciò a incontrare un’effettiva applicazione.
Oggi tuttavia anche il sistema del cosiddetto «socialismo reale» si è dissolto. In campo «religioso» il governo della perestrojka, per la prima volta, ammise che la contrapposizione ideologica di Stato e chiesa, usata in maniera politica, era stata uno sbaglio clamoroso. Nessuno aveva il diritto di imporre alla società un’ideologia opposta a quella religiosa. Abolendo l’ateismo di Stato (mascherato da una laicità fittizia), i paesi socialisti non introdussero ovviamente il cesaropapismo: semplicemente costatarono che se la chiesa può essere tenuta separata dallo Stato, essa non può essere tenuta separata anche dalla società. È dunque nella società che devono democraticamente confrontarsi laicità e religione, lasciando che sia la storia a decidere l’esito finale.
Quanto alla storiografia cattolica, qui è bene precisare che la sua critica del cesaropapismo non è mai stata disinteressata, in quanto a quella ideologia politica essa ha sempre contrapposto il «papocesarismo», cioè la monarchia pontificia e l’uso strumentale dei poteri dello Stato. Ambrogio di Milano, nei suoi rapporti soprattutto con l’imperatore Teodosio, darà un contributo decisivo a questa dottrina.
Se si esamina, senza pregiudizi di sorta, la storia dell’impero bizantino, ci si accorgerà facilmente che il cesaropapismo è riuscito a imporsi solo in maniera politica, non ideologica. Molti imperatori cercarono di piegare la chiesa ortodossa alla loro propria ideologia, ma non vi riuscirono (due grandi oppositori alle pretese ierocratiche degli imperatori furono Crisostomo e Massimo Confessore). La chiesa ortodossa è rimasta sostanzialmente fedele all’ideologia del cristianesimo primitivo.
Viceversa, se si esamina la storia della chiesa cattolica medievale, si noterà, con altrettanta facilità, che essa non solo ha cercato continuamente di subordinare a sé ogni potere statale, ma ha anche modificato gli elementi sostanziali dell’ideologia cristiana primitiva per potersi opporre più efficacemente sia contro lo Stato sia contro la stessa chiesa ortodossa (si pensi, ad es., al Filioque, ai dogmi sul primato del papa, sulla sua infallibilità, su Maria ecc.).
La chiesa cattolico-romana riuscì a creare nel Medioevo una situazione così gravosa e insopportabile che la riforma protestante, pur con tutti i suoi limiti, costituì sicuramente un momento di grande emancipazione.
Resta tuttavia il fatto che una religione così politicamente rassegnata come il cristianesimo primitivo riuscì ad avere un successo incredibile dopo ben trecento anni di persecuzioni. Tra tutte le spiegazioni che han dato gli storici, forse queste tre meritano più delle altre:
– il cristianesimo non era politicamente rassegnato quando si trattava di non riconoscere la divinità all’imperatore: i martiri davano l’impressione, pur non difendendosi militarmente, di avere una fede capace di contestazione politica;
– il cristianesimo aveva degli aspetti comunitari di assistenza sociale tra i propri seguaci e tra questi e gli elementi bisognosi della collettività in generale, che sicuramente facilitavano le conversioni esplicite o comunque le adesioni implicite, i consensi indiretti. In tal senso è indubbio che il cristianesimo non si ponesse affatto né come setta filosofica né come religione per pochi iniziati;
– il cristianesimo, non avendo una patria (un territorio geografico) da difendere, non si legava a usi e costumi che potessero distinguerlo nettamente da altre ideologie o religioni. I pochi riti che praticavano erano alla portata di tutti, facili da ricevere, da imparare e da amministrare. I cristiani non hanno mai avuto particolari regole dietetiche, rigide osservanze da rispettare…: è stato anche questo che ha permesso loro di universalizzarsi molto facilmente.

http://www.lulu.com/content/libro-a-copertina-morbida/cristianesimo-primitivo/9799846

La principale contraddizione dell’impero romano d’occidente

Lo svolgimento dell’impero romano d’occidente, sino a quando Costantino non deciderà di trasferire la capitale a Bisanzio, non è per così dire una semplice lotta tra le prerogative aristocratiche del Senato e quelle militari degli imperatori, poiché nessun imperatore avrebbe potuto sussistere senza l’appoggio politico del Senato, anche se il Senato si opponeva sempre a quei provvedimenti imperiali che intaccavano le sue prerogative, e che in genere venivano presi proprio perché la situazione economica della società e finanziaria dello Stato era sempre ai limiti del collasso, proprio a causa dell’atteggiamento irresponsabile (schiavistico e monopolistico) dei senatori.

Nella fase imperiale il Senato non vuole rinunciare ai privilegi acquisiti così faticosamente in età repubblicana, dopo secoli di guerre puniche, di guerre di conquista e di guerre civili. Solo che questo atteggiamento provoca tensioni a non finire, che rischiano di destabilizzare l’impero. Almeno sino ad Ottaviano l’Italia è flagellata da continue guerre interne, più devastanti di quelle esterne. E’ sufficiente fare un esempio per rendersene conto: per abbattere i congiurati di Cesare (Bruto e Cassio), nella battaglia di Filippi si scontrarono 200 mila militari e di nuovo, altri 200 mila quando Ottaviano volle far fuori Antonio, ad Azio (1).

Antonio passava per traditore perché voleva trasferire la capitale dell’impero ad Alessandria d’Egitto, dopo aver sposato Cleopatra, ma forse aveva capito, prima di Ottaviano, che democratizzare il Senato sarebbe stato impossibile, anche dopo averne massacrato un terzo degli appartenenti, con in effetti lui e Ottaviano fecero, riducendolo da 900 a 600 membri, e sperando, illusoriamente, che almeno quest’ultimi fossero “fidati”.

Agli occhi della plebe e dei militari gli imperatori passavano per “salvatori della patria”, proprio perché il Senato appariva come il luogo per eccellenza dell’arbitrio e della corruzione. Ma se i militari ebbero modo di sfruttare questa convinzione, ottenendo, a loro volta, privilegi a non finire, la plebe rimase oppressa come prima, al punto che finì col favorire la penetrazione dei barbari nei confini dell’impero, e a trasformarsi progressivamente da “pagana” a “cristiana”.

La democrazia degli imperatori fu, nei confronti delle masse proletarie, solo propagandistica, in quanto il contrasto col Senato in ultima istanza restò apparente. Gli imperatori non si servirono mai delle sommosse popolari per dirigerle contro gli aristocratici terrieri, anzi, le repressero tutte molto duramente; persino i cristiani, che certamente rivoluzionari non erano, furono costantemente usati come capro espiatorio delle contraddizioni sociali, almeno sino alla svolta costantiniana. E questo inevitabilmente indebolì l’impero nei confronti della pressione esterna dei germanici.

Quando proprio non ne potevano più dei condizionamenti del Senato, gli imperatori, sotto pretesti di tipo militare, trasferivano le loro sedi operative in zone strategicamente rilevanti (più vicine ai confini). L’unica cosa significativa che gli imperatori riuscirono a ottenere contro il Senato, al fine di ridimensionarne i poteri, fu quella di estendere il diritto di cittadinanza a tutti gli abitanti delle province, cioè a fare della borghesia di queste colonie un puntello del loro potere militare.

Tuttavia l’idea di gestire l’impero in maniera assolutamente centralizzata, accentuandone gli aspetti fiscali e burocratici, che continuò anche dopo Diocleziano, il cui assolutismo monarchico poté essere imitato con successo da Costantino proprio grazie ai cristiani, fu un disastro assoluto per le sorti dell’impero, i cui abitanti, ridotti allo stremo, cominciarono a vedere i “barbari” come i propri liberatori.

Questa smania di centralizzare vasti territori geografici tornerà in auge, nell’Europa occidentale, al tempo del feudalesimo carolingio, con la benedizione della chiesa romana, che se ne servì per sbarazzarsi, in Italia, sia dei longobardi ariani che dei bizantini ortodossi, riuscendo a costituire un proprio Stato politico che durerà circa mille anni, e che anzi, seppur ridotto al minimo, permane ancora oggi.

In pratica le ambizioni del vecchio Senato pagano erano state ereditate dal nuovo “Senato” cristiano, anzi “cattolico-romano”, influenzando i destini di tutta l’Europa occidentale e, se vogliamo, del mondo intero, poiché sarà proprio sulla base dell’arroganza politica del clero cattolico che nascerà, come reazione, la prassi borghese, che seppe sostituire al primato della forza fisica quella della forza economica, al primato della terra quello del capitale, sfruttando proprio le ambiguità della religione cristiana, che predica l’umanesimo teorico e permette il peggior antiumanesimo pratico.

(1) Da sottolineare che quello fu il momento di maggior debolezza dell’impero e fu davvero un peccato  che in Palestina non si riuscì a compiere l’insurrezione del movimento nazareno.