Il principe in televisione
Una qualunque rivoluzione oggi si fa attraverso la televisione. Un qualunque successo elettorale deve necessariamente passare per questo mezzo di diffusione di massa, estremamente facile da utilizzare. Chi usa solo il web si condanna a rivolgersi soltanto alla parte più acculturata delle masse.
Quando si usa la televisione, sarebbe bene averne una in proprio, da poter utilizzare in qualunque maniera e in qualunque momento, ma è sufficiente avere i mezzi con cui acquistare gli spazi necessari in cui essere presenti. Questi mezzi possono essere chiaramente economici, là dove le reti televisive sono solo private, oppure, se pubbliche, possono essere politici (imposti alla tv dal Parlamento, ovvero concordati tra politici e giornalisti).
Bisogna inoltre conoscere perfettamente tutte le tecniche persuasive che si possono utilizzare con questo mezzo. Ottima memoria: in televisione è meglio non leggere, ma guardare verso la telecamera, dando l’impressione di cercare un rapporto diretto col telespettatore. Indicativamente è meglio evitare la lettura del cosiddetto “gobbo”, a meno che non lo si sappia fare in maniera eccellente, cioè fingendo di poterne fare a meno. La tv comunque ha tempi così stringenti ed esigenze tecniche e comunicative così rigorose che è difficile pensare a un politico senza un suggeritore esterno.
Le parole da usare non devono essere difficili da capire, perché l’utente non ha la possibilità di chiedere chiarimenti. Non necessariamente si ottiene consenso perché si dicono cose vere. Spesso è sufficiente dire cose che appaiono soltanto formalmente convincenti. L’utente televisivo, a riguardo, non è una persona particolarmente esigente nel verificare la fondatezza delle affermazioni che ascolta; anzi, non è neppure detto che l’incoerenza tra quanto il politico dice è quanto fa sia di per sé sufficiente a determinare il suo destino: molto dipende da come egli si sa giustificare.
L’atteggiamento di chi parla deve essere sereno, controllato, tranquillo: non deve trasmettere ansia, ma sicurezza. Anche quando si chiedono enormi sacrifici, si deve infondere la convinzione che in virtù di essi, in tempi ragionevoli, si potranno risolvere determinati problemi.
Poiché si vive in un sistema formalmente democratico, chi vuol convincere le masse deve sottoporsi a confronti diretti con gli avversari o almeno coi giornalisti, che rappresentano la pubblica opinione. Non è tanto importante avere subito una risposta pronta ad ogni domanda (ciò infatti potrebbe far pensare a qualcosa di artificioso), quanto piuttosto che non ci si vuole sottrarre ad alcuna domanda, anche a costo di non avere, in quel momento, una risposta esauriente da dare.
In televisione il fatto di apparire deboli, in talune circostanze, può essere usato a proprio vantaggio. Dopo sessant’anni di tv l’utente s’accorge quando qualcuno sta recitando una parte, non tanto perché sa che quello che ascolta è falso, quanto perché sa distinguere le frasi di circostanza (tipiche p. es. dei portavoce dei politici) da quelle emotivamente sentite, che trasmettono empatia.
Anche quando il telespettatore fa finta di non accorgersi che il politico sta recitando, ha comunque bisogno d’essere aiutato in questa finzione, e il modo migliore, per un politico, è quello d’introdurre nel suo comportamento o nei suoi discorsi elementi di spontaneità e naturalezza, che possono andare da un sorriso al vedere un proprio imitatore a una battuta ironica o spiritosa. Un politico troppo serio stanca prima, anche se è onesto ed efficiente.
Poiché inoltre si rischia che una continua presenza in televisione appaia eccessiva, fastidiosa, persino noiosa, è bene non censurare gli aspetti ameni della propria personalità, le vicende buffe, ridicole che sono casualmente capitate nell’esercizio del proprio potere: questo serve a umanizzare il politico, ad attenuare quella inevitabile tensione o fastidio che sorge quando in tv si parla troppo di politica o di argomenti impegnativi o quando il politico è troppo presente. Anzi, di tanto in tanto, egli dovrebbe assentarsi del tutto.
In televisione, generalmente, andrebbe evitato tutto ciò che pone l’utente in condizioni di fruitore meramente passivo di ciò che vede e ascolta, proprio perché è il mezzo comunicativo in sé che già lo mette in questa situazione. La tv non è il web.
Quando un politico o un giornalista sostiene verità che per lui sono indiscutibili, produce questo effetto di passività. Non dobbiamo dimenticare che la tv ha sostituito le adunate oceaniche e assolutamente esaltanti organizzate dalle dittature nazi-fasciste. Oggi la democrazia non ha bisogno di figure così incredibilmente carismatiche, anche se nessun politico può pensare di ottenere un consenso di massa servendosi unicamente del mezzo televisivo o della rete: agli elettori bisogna dare periodicamente la soddisfazione di un contatto diretto.
In particolare la passività si trasforma in assoluto fastidio quando il giornalista non è capace d’impedire ai politici di parlarsi addosso, cioè senza ascoltarsi. Tale incapacità è spesso dovuta al fatto che nella televisione di stato i giornalisti sono tenuti sotto controllo della politica dei partiti, per cui sono facilmente ricattabili.
E’ comunque fuori discussione che se un politico, quando parla, tende a imporsi sul proprio interlocutore, o quando tra due rivali la comunicazione diventa un soliloquio, un dialogo tra sordi, o quando, peggio ancora, si finisce con l’insultarsi o con lo scendere sul personale, nel battibecco da bar o da osteria, e il giornalista non sa svolgere il suo ruolo di moderatore, sia perché non ne ha le capacità, sia perché tende a parteggiare per uno dei due contendenti, il risultato finale, spesso anche solo di una di queste cose, sarà il passaggio ad altro canale televisivo, e in tal caso l’utente non smetterà mai di ringraziare quel genio dell’elettronica che gli ha messo in mano uno strumento abbastanza efficace per prendere una decisione: il telecomando, il cui tasto fondamentale, quando lo zapping ci induce a credere che la democrazia televisiva sia una gigantesca truffa, è a tutti noi ben noto.