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BIGLIETTO VERDE E PERICOLI PER LA VOLATILITA’ MONETARIA INTERNAZIONALE

Ruolo del dollaro e volatilità monetaria internazionale

Paolo Raimondi* Mario Lettieri** 

Il 2015 potrebbe segnare l’inizio di profondi rivolgimenti monetari con effetti economici planetari. I segnali in tale direzione non sono stati pochi. Soprattutto nelle economie emergenti, dove flussi repentini di capitali in entrata ed poi in uscita, si sono verificate pesanti svalutazioni. E’ stato l’effetto della grande liquidità creata dalla Federal Reserve negli Stati Uniti. Adesso nel ciclone potrebbero entrarci direttamente il dollaro e l’euro.

Anche gli economisti della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea hanno cercato di dare una spiegazione al fatto che, mentre l’economia americana rappresenta meno di un quarto del Pil mondiale, le riserve mondiali in dollari sono ancora più del 60% del totale. Questo livello si è mantenuto negli anni, nonostante che dal 1978 la quota del Pil americano sul totale mondiale si sia ridotta del 6% e nonostante che il dollaro sia diminuito in media del 24% rispetto alle maggiori valute.

Ciò, secondo gli analisti della Bri, dipenderebbe dalla dimensione non dell’economia statunitense bensì della “zona del dollaro”.

Quest’area rappresenterebbe ancora oltre la metà dell’economia mondiale. In essa rientra, ad esempio, tutta quella parte di economia e di commercio dei vari Paesi del mondo che viene contrattata in dollari. Per cui componenti significative delle riserve di molti Paesi sono tenute in dollari in quanto gli interventi nei mercati dei cambi vengono gestiti in dollari, cioè nella divisa con la quale si negozia maggiormente la moneta nazionale.

Confrontando l’attuale situazione anche con le tendenze storiche riguardanti il ruolo di moneta di riserva della sterlina tra le due passate guerre mondiali, la Bri conclude che le quote delle varie valute nei panieri delle riserve monetarie potrebbero in futuro modificarsi molto rapidamente.

Una delle principali ragioni di tale cambiamento potrebbe essere la decisione della Cina di negoziare una parte crescente del suo commercio in renminbi o in monete di altre nazioni. Se il renminbi evidenziasse un movimento sostanzialmente indipendente rispetto alle principali valute e se le monete dei Paesi vicini e dei partner commerciali della Cina condividessero un tale movimento, si potrebbe determinare una “zona del remninbi” simile a quella del dollaro. In tal caso, i gestori delle riserve ufficiali potrebbero scegliere di detenere una quota considerevole di renminbi, forse non troppo diversa dal peso delle rispettive monete all’interno della citata zona.

Dopo le sanzioni, anche la Russia sta pensando di rendersi, per quanto possibile, sempre meno dipendente dal dollaro e dalle riserve in dollari. Prima dell’inizio della crisi ucraina ne deteneva circa 90 miliardi. Il comportamento dell’Europa purtroppo non aiuta, per il momento, all’individuazione dell’euro come principale moneta di riserva alternativa da parte della Banca Centrale russa.

Anche la recente decisione della Banca Nazionale Svizzera di sganciarsi dal cambio fisso con l’euro e di lasciare fluttuare liberamente il franco sta creando dei terremoti all’interno del sistema monetario internazionale. In poche ore il franco si è rivalutato di circa il 20% nei confronti dell’euro e del 17% rispetto al dollaro.

La decisione della Bns è avvenuta il 15 gennaio scorso, esattamente il giorno dopo il parere espresso da un rappresentante del consiglio degli avvocati della Corte di Giustizia dell’Ue secondo cui le cosiddette operazioni monetarie sui titoli (omt) annunciate da Draghi nel 2012 non violerebbero le leggi europee. In altre parole ci si aspetta che il quantitative easing della Bce dovrebbe essere sbloccato. Ciò comporterà l’acquisto da parte della Bce di titoli europei e l’allargamento dei suo bilancio. Di conseguenza una maggiore circolazione di euro avrebbe portato ad una fortissima pressione per una rivalutazione del franco rispetto alla moneta europea.

Come è noto, dopo la decisione svizzera del 6 novembre 2011 di fissare il cambio a 1,20 franchi per 1 euro, la Bns ha dovuto costantemente comprare euro nel tentativo di mantenerne tale livello senza rivalutare. Così nel tempo ha accumulato 220-240 miliardi di euro di riserve. Con il QE di Draghi la Bns avrebbe dovuto accrescere e di molto gli acquisti di euro. Ha invece deciso di gettare la spugna prima anche se ciò ha fatto perdere decine e decine di miliardi sul valore delle sue riserve in euro e anche in dollari. A seguito della rivalutazione della sua moneta la Svizzera teme anche di perdere una grossa fetta delle sue esportazioni con effetti recessivi sulla sua economia. Adesso altre monete, a cominciare dalla corona danese, sono sotto simili enormi pressioni.

A questo punto le continue sortite della stampa ufficiale tedesca, anche se smentite in verità in modo poco convincente, secondo cui Berlino avrebbe cambiato opinione circa la volontà di tenere la Grecia nell’euro, non giovano alla stabilità della moneta europea e di quella dell’intero sistema monetario internazionale.

Tenuto conto della crescente e preoccupante instabilità geopolitica, la volatilità monetaria rischierebbe di portare il mondo verso una crisi inimmaginabile, di sicuro molto rischiosa per l’economia e per gli equilibri politici. Per questa ragione ancora una volta noi riteniamo urgente che i Paesi del G20 inizino a lavorare per la costruzione di un nuovo sistema monetario internazionale multipolare basato su un paniere di monete importanti.

* Economista **già Deputato e Sottosegretario all’Economia

FINE DELL’EGEMONIA DEL DOLLARO E RUOLO DELL’ORO

L’alternativa al sistema del dollaro. Il ruolo dell’oro

Mario Lettieri* Paolo Raimondi** 

I maldestri tentativi da parte americana di salvare a tutti i costi il ruolo egemone del dollaro stanno spingendo molti Paesi a lavorare più alacremente per costruire un’alternativa monetaria multipolare. Oggettivamente il dollaro, come unica valuta degli scambi e delle riserve internazionali, ha concluso il suo ciclo storico. Bisogna prenderne atto.

Le destabilizzazioni finanziarie e le svalutazioni monetarie nei Paesi emergenti, provocate dalle politiche di liquidità “yo-yo” della Federal Reserve, hanno indotto alcuni governi a denunciare una “guerra monetaria” in corso. Le “cadute pilotate” dei prezzi del petrolio e dell’oro mirano a mettere in difficoltà soprattutto i Brics, la Russia e l’Iran. Contemporaneamente i prezzi di alcune materie prime vengono manipolati al rialzo con l’effetto di “gambizzare” le politiche industriali e di sviluppo dei Paesi emergenti e anche dell’Unione europea.    

Anche se non lo volessero, da tempo molti Paesi sono quindi stati costretti a immaginare e a proporre un nuovo sistema monetario. Alcune recenti decisioni lo confermano.

Infatti la creazione a Fortaleza della Banca di Sviluppo dei Brics ha in sé le potenzialità per diventare un organismo monetario internazionale alternativo al Fmi e alla Banca Mondiale del defunto sistema di Bretton Woods.

La stessa Cina fa grandi accordi con il Brasile, con la Russia, con il Giappone, con la Corea del Sud regolati in yuan o in altre monete nazionali.

Sono contratti nella forma di swap monetari che permettono di saldare gli scambi nelle valute stabilite. Recentemente li avrebbe proposti anche all’Ue. Una parte del grande accordo di forniture di gas tra la Russia e la Cina per l’equivalente di 400 miliardi di dollari del resto verrà regolata in rubli o in yuan.

Si ricordi inoltre che lo scorso aprile il governo di Mosca ha annunciato che una parte dei contratti internazionali stipulati dalle grandi corporation russe dovrà avvenire in rubli. Al recente summit dell’Asia-Pacific Economic Cooperation (APEC) di Pechino, il presidente Putin ha affermato che”faremo un uso sempre maggiore di accordi e compensazioni in monete nazionali nel nostro commercio con la Cina. Siamo pronti a fare i primi accordi in rubli e in yuan, anche nel settore dell’energia”. Una Commissione intergovernativa russo-cinese è già al lavoro per studiare simili opzioni. La stessa Banca Centrale russa ha annunciato la volontà di creare con i partner dei Brics un “sistema di swap multilaterali”.

Naturalmente i riverberi politici non mancano. Infatti la conferenza per la sicurezza del Shanghai Cooperation Organization (SCO), che già coinvolge Cina, Russia, Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, vedrà a breve la partecipazione anche di India, Pakistan, Iran, Afghanistan e Mongolia. Anche la Turchia, che è un membro della Nato, sembra volervi aderire. Formerebbero così un blocco che in campo energetico controllerebbe il 20% delle riserve mondiali di petrolio ed il 50% di quelle di gas.

In tale contesto, come prevedibile, anche il ruolo dell’oro è ritornato al centro delle discussioni . Con la volatilità del suo prezzo registratasi nei mesi recenti si mira a renderlo instabile e quindi poco utilizzabile in eventuali accordi monetari internazionali. Però si ha notizia che a Mosca sarebbe in discussione proprio l’aggancio del rublo all’oro. E’ facilmente intuibile che l’attuale svalutazione del 30% della moneta russa sia frutto di speculazioni e manipolazioni internazionali. Di sicuro non riflette la reale capacità economica e l’immensa ricchezza della Russia. Agganciare il valore della valuta alle riserve auree avrebbe un effetto stabilizzante sui cambi della moneta.

Come è noto, a parte il debito sovrano al 15% del Pil, la Russia vanta riserve auree pari al 27% della quantità di rubli in circolazione. Gli Usa invece hanno un debito pubblico al 105% del Pil, mentre le loro riserve auree coprono appena il 2,3% dell’offerta monetaria.

Non si comprende il perché esperti occidentali tentano a minimizzare un possibile ruolo futuro dell’oro nel sistema monetario. Si ignora che da tempo tutti i governi europei importanti, a cominciare dalla Germania, dall’Olanda, dalla Gran Bretagna, dalla Svizzera stanno effettuando forti campagne pubbliche per riportare a casa il loro oro, attualmente detenuto nei caveau di Fort Knox negli Usa.

Su questo terreno assai movimentato e complesso riteniamo che il ruolo dell’Unione europea possa diventare più centrale e più incisivo. Una politica dell’Europa, veramente indipendente, potrebbe agevolare una soluzione non conflittuale verso un nuovo sistema politico e monetario internazionale. Una nuova architettura monetaria, come anche noi da tempo sosteniamo, dovrebbe portare alla costituzione di un paniere di monete dove ovviamente dovrebbe esserci anche il dollaro insieme all’euro e ad altre importanti monete.

Occorre prendere atto che con la caduta del Muro di Berlino il mondo necessita di un assetto multipolare, anche monetario.

*Sottosegretario all’Economia del governo Prodi **Economista

COGLIERE AL VOLO COME LA GERMANIA L’OPPORTUNITA’ DI PARTECIPARE AL GRANDE SVILUPPO INFRASTRUTTURALE DEL KAZAKHSTAN. CHE NEL 2017 OSPITERA’ L’EXPO’ SUL TEMA “ENERGIA DEL FUTURO”

Sviluppo infrastrutturale del Kazakhstan: grande opportunità per il “Sistema Italia”

Mario Lettieri* Paolo Raimondi** 

L’Italia dopo l’Expo 2015 di Milano passerà il “testimone” al Kazakhstan che nel 2017 ad Astana organizzerà l’Expo internazionale specializzato dedicato all’“Energia del futuro”. Questo fatto potrebbe diventare un’occasione privilegiata di dialogo con il governo kazako. Occorre che l’Italia, in quanto “sistema Paese”, coinvolga attivamente, secondo noi già da ora, le autorità di Astana con cui preparare insieme i progetti per il futuro.

Potrebbe essere per il nostro Paese l’occasione per allargare gli sbocchi e l’export, in particolare nei settori delle tecnologie, dell’agro-industriale e del nostro più qualificato made in Italy. Del resto, come è noto, il Kazakhstan è già un partner amico. Ora può diventare un alleato strategico.

Il Kazakhstan con una popolazione di 17 milioni di abitanti e un territorio vastissimo di circa 2 milioni e 700 mila kilometri quadrati è il cuore dell’Eurasia, ricco di materie prime, a cominciare dal petrolio e dal gas. Continua a leggere

A che punto sono i progetti che unirebbero Europa e Asia rilanciandone alla grande lo sviluppo

Il summit dell’Asia-Europe Meeting (ASEM) di Milano, cioè la conferenza dei capi di Stato e di governo dell’Asia e dell’Europa, è passata. Il premier Renzi ha fatto una veloce comparsa, ha detto delle belle parole, ma nicchia: lui preferisce l’accordo con gli Usa, che in pratica abolisce le dogane tra Usa ed Europa. Accordo sul quale punta molto Obama. ma che conviene molto di più agli Usa che all’Europa. Per esempio, tale accordo demolirebbe tutte quelle regole e garanzie che nel delicato settore alimentare ci mettono al riparo da quella lunga serie di porcherie, è l’unico termine adatto, che caratterizzano i cibi statunitensi.  Se tale unione doganale si dovesse fare mangeremmo anche noi il trash food, cioè il cibo spazzatura, molto spesso geneticamente modificato. che è ormai padrone della cucina a stelle e a strisce e che causa non pochi disastri nella salute, diffusione dei tumori compresa.

Intanto la crisi dei rapporti della Comunità Europea con la Russia e le relative sanzioni decise dalla Comunità Europea a causa del contenzioso russo con l’Ucraina per la Crimea hanno provocato per noi italiani un aumento, giustificato o no,  della bolletta del gas e dell’elettricità.  Alla lunga, rischia anche di compromettere la partecipazione italiana ed europea, e i relativi notevoli vantaggi, al gigantesco progetto di sviluppo russo chiamato, che in russo significa appunto sviluppo e del quale abbiamo già scritto. Poiché i mentori italiani del progetto Razvitie sono  l’ex sottosegretario all’Economia del governo Prodi, Mario Lettieri, e l’economista Paolo Raimondi, entrambi collaboratori del nostro blog, li abbiamo intervistati.

- Ci sono novità riguardo il progetto Razvitie?

R: Gli sviluppi più importanti riguardano i contatti con la Cina, attività anche a seguito alle decisione dei Paesi dell’Unione Europea di seguire la linea americana di sanzioni contro la Russia. Vladimir Yakunin, presidente delle Ferrovie Russe, è andato due volte in Cina: a Shanghai in luglio e a Lanzhou in settembre, dove ha presentato il Progetto Razvitie nel contesto delle discussioni relative alla realizzazione delle Vie della Seta che dovrebbero collegare la Cina con l’Europa. Infine alla conferenza annuale del World Public Forum Dialogue of Civilizations di Rodi a fine ottobre Yakunin ha riproposto il piano strategico del Razvitie e nella sessione dedicata alle grandi infrastrutture, a cui abbiamo partecipato, il Prof. Li Xin  Direttore del  Center for Russian and Central Asian Studies del Shanghai Institute for International Studies, ha proposto un collegamento infrastrutturale tra il corridoio del Razvitie e quello delle Vie della Seta.

- I russi hanno già individuato dove far nascere le almeno 20 nuove grandi città previste dal piano Razvitie?

R: Gli studi dovrebbero essere avanzati ma non vi sono ancora decisioni ufficiali. Per esempio, noi siamo stati qualche tempo fa coinvolti in discussioni su progetti concreti relativi alla costruzione nella regione di Kazan di una nuova città dedicata alle nuove tecnologie e all’informatica che dovrà avere almeno 200.000 abitanti.

- Verranno create anche nuove Università e centri di ricerche? Dove e riguardanti quali ricerche?

R: Certamente. Il Razvitie infatti non è un semplice corridoio di transito di merci e di persone ma è una “cintura” di sviluppo che coinvolgerà direttamente un territorio largo almeno 2-300 km, dove dovranno sorgere delle nuove città, dei nuovi insediamenti urbani e agroindustriali con università e centri di ricerca mirati alle specifiche linee di sviluppo delle regioni interessate. In alcuni casi si tratterà di vere proprie città della scienza e delle tecnica. Continua a leggere

Asia-Europe Meeting (ASEM) di Milano: OCCASIONE UNICA E GRANDIOSA PER L’EUROPA! ANCHE PER RITROVARE SE STESSA

ASEM di Milano: occasione unica per l’Europa

Mario Lettieri* Paolo Raimondi**

Il summit dell’Asia-Europe Meeting (ASEM) di Milano è differente da tutti gli altri numerosi incontri internazionali, a cominciare dal G20. Gli Stati Uniti saranno assenti. Si tratta infatti della conferenza dei capi di stato e di governo dell’Asia e dell’Europa.

Noi auspichiamo che questo evento sia consapevolmente trasformato dall’Unione europea e dai singoli Paesi dell’Europa in una occasione per avviare seriamente una cooperazione economica e strategica con l’intero continente euro-asiatico.

E’ stato un anno di conflitti e di destabilizzazioni, purtroppo non ancora risolti, nel continente europeo, nel Mediterraneo e nel vicino Medio Oriente. I paesi euro-asiatici però si presentano a Milano con una visione alternativa e strategica di sviluppo pacifico multipolare, con proposte concrete di riforma del sistema monetario internazionale e con programmi di ampio respiro nel settore delle infrastrutture e per la modernizzazione dei loro vastissimi territori. Continua a leggere

Una lettura olistica della storia

Una lettura olistica della storia permette di assegnare a ogni avvenimento delle coordinate specifiche, che gli sono proprie e che non si ripetono mai in maniera identica, proprio perché la storia è soggetta a un movimento perenne, pur avendo a che fare con una medesima tipologia umana: essa ha la forma geometrica della spirale.

In tal senso lo schiavismo allestito dagli europei nelle loro colonie era sostanzialmente diverso da quello antico, e per almeno tre ragioni:

  1. gli schiavi greco-romani non lavoravano per un’esportazione di tipo capitalistico, in cui quello che conta è accumulare capitali. L’obiettivo era quello di far vivere nel lusso lo schiavista e i suoi parenti, che in genere sperperavano i loro capitali o ambivano ad avere cariche prestigiose e assai raramente si preoccupavano di migliorare le tecniche produttive. Viceversa sotto il capitalismo l’obiettivo finale della produzione non dipende neppure dalla volontà del singolo imprenditore;
  2. là dove è presente un rapporto di lavoro di tipo contrattuale, lo schiavismo viene considerato economicamente superato e politicamente viene combattuto (si veda p.es. la guerra civile tra nordisti e sudisti: gli americani poi si presenteranno in tutta l’America latina come “liberatori dallo schiavismo ispano-lusitano”);
  3. là dove è radicato il cristianesimo, il rapporto schiavistico è malvisto se lo stesso schiavo è un cristiano: di qui la sua trasformazione in servaggio, dove il lavoratore ha una parte di diritti. In America latina, dopo l’arrivo degli europei, si passò abbastanza facilmente, grazie agli statunitensi, dallo schiavismo rurale (impiantato da un cristianesimo para-feudale, col pretesto che gli indigeni non erano cristiani e che dall’Europa si faceva fatica a controllare l’operato di questi neo-schiavisti) al capitalismo vero e proprio, saltando la fase del feudalesimo. Infatti lo schiavismo delle colonie era già finalizzato a una produzione capitalistica (l’esportazione di materie prime: cotone, cacao, caffè, spezie, tabacco ecc.) verso i paesi capitalistici europei e verso gli stessi Usa. Quest’ultimi cioè non ebbero bisogno di dimostrare che l’operaio salariato era più libero del servo della gleba, ma che lo era molto di più nei confronti dello schiavo rurale creato dagli europei nelle colonie. E vi riuscirono molto facilmente proprio perché nella cultura urbanizzata si percepiva come intollerante (anche perché poco produttivo), quel tipo di rapporto di lavoro.

D’altro canto senza cristianesimo il capitalismo sarebbe impensabile. Il capitalismo non è altro che cristianesimo laicizzato, prima nella forma cattolica (1000-1500), poi in quella protestantica (1500-2000), e quest’ultima nelle colonie non ha ovviamente dovuto ripercorrere le stesse tappe emancipative dell’Europa occidentale, così come non fece la Russia, quando passò dal feudalesimo al socialismo di stato.

Il capitalismo calvinista è tuttora dominante nel mondo, benché in Cina si stia sviluppando una forma di capitalismo che non proviene direttamente dal calvinismo, ma da tradizioni culturali autoctone, che hanno assemblato lo stalinismo agrario chiamato maoismo, l’antico modo di produzione asiatico e le varie religioni che impongono il rispetto delle autorità. In un qualunque paese asiatico il capitalismo non deve comunque essere tenuto sotto il controllo di un’istanza politica superiore. Qui il concetto di “persona” è molto debole, ma in compenso è molto forte quello di Stato, che in genere è proprietario di tutta la terra. Questo tipo di capitalismo non è esportabile finché i governi dittatoriali non comprenderanno l’importanza della finzione giuridica che garantisce la libertà formale e quindi l’importanza della democrazia borghese come sistema politico. La Cina in futuro potrà davvero superare gli Usa solo quando l’uso della forza dello Stato sarà accompagnato da un uso spregiudicato del diritto e dei valori umani, che non potrà certo essere inferiore a quello delle attuali forze occidentali.

Ecco perché, se vogliamo davvero parlare di schiavismo in epoca moderna e contemporanea, dobbiamo intenderlo in maniera traslata, come “schiavitù salariata”, in cui la libertà formale giuridica è parte strutturale, organica a un rapporto di lavoro iniquo (cosa che nello schiavismo classico era impensabile, proprio perché non si aveva in alcun modo il concetto di “persona”, avente diritti inalienabili di natura).

Le festività sono passate, i problemi invece sono rimasti. Comprese le porcate contro la Siria

Federal Reserve: la crisi dei cent’anni

Mario Lettieri* Paolo Raimondi**

Allla vigilia di questo Natale la Federal Reserve ha compito cento anni! Ha “navigato” attraverso due guerre mondiali e nella Grande Depressione del ’29. Arriva però al suo centenario in condizioni disastrate e con una profonda crisi di identità. Per la prima volta nella storia ha completamente stravolto la sua missione: da controllore dell’inflazione e attore nella politica contro la disoccupazione è diventata la fucina di liquidità illimitata con un bilancio distorto fuori misura, pari a circa un quarto del Pil americano. Prima del 2007 non solo ha ignorato tutte le avvisaglie del crollo finanziario incombente ma, quel che è più grave, ha assecondato, se non favorito, i comportamenti più speculativi e rischiosi. Poi ha salvato dal fallimento tutte le grandi banche, lasciando di fatto che continuassero ad operare come prima. La liquidità immessa sta drogando l’economia creando visioni psichedeliche quanto irreali dell’economia prospettando una rosea fine della crisi economica e bancaria. Continua a leggere

Qualche lettura e rimembranza per una buona pausa dal blablablà generalizzato, camuffato perfino da politica

UNA BOCCATA D’OSSIGENO CON L’ULTIMA NEWSLETTER

DI HOMOLAICUS DEL MIO AMICO ENRICO GALAVOTTI.

1) Rispondere agli USA con l’Eurasia 2) Fan di Israele, tattiche e tecniche: per chi non sa o fa il finto tonto

Le accuse all’Europa di deflazione. La sfida dello sviluppo eurasiatico.

Mario Lettieri* Paolo Raimondi**

L’ultimo Rapporto semestrale del Tesoro americano sulla situazione economica internazionale addebita tutte le responsabilità della mancata stabilità dell’economia mondiale alla Germania. Il suo surplus commerciale sarebbe la causa di tutti i mali. Più che una esagerazione ci sembra una pura provocazione non solo nei confronti della Germania ma dell’Unione Europea. I malfunzionamenti e gli squilibri nel vecchio continente pur ci sono e spetta a noi affrontarli e risolverli.

In passato nel mirino c’era soprattutto la Cina a cui si addebitava che la mancata rivalutazione dello yuan avrebbe aggravato le difficoltà economiche degli Usa e di conseguenza anche del resto del mondo. Oggi il problema sarebbero le troppe esportazioni tedesche. Nel 2012 il surplus tedesco è stato di 238,5 miliardi di dollari superando di gran lunga i 193,1 miliardi della Cina. E nel primo semestre del 2013 il surplus tedesco è aumentato ancora andando oltre il 7% del Pil. Questi andamenti, secondo il Tesoro americano, e in mancanza di una crescita della domanda interna tedesca, starebbero provocando una situazione di deflazione, con una inflazione più bassa delle aspettative ed una stagnazione nei consumi in tutta Europa. Con conseguenze negative per gli Usa e il resto del mondo. Continua a leggere

Un destino segnato

Di tutte le crociate medievali in Medio oriente solo due risultarono decisive: la prima del 1096, che colse arabi e turchi del tutto impreparati, e la quarta, del 1204, che colse impreparati i bizantini. Delle due, quella che diede i frutti maggiori fu la seconda, che comportò la prima grave caduta di Costantinopoli e che, senza dubbio, favorì il suo crollo definitivo nel 1453, permettendo il formarsi di un gigantesco impero ottomano, comprendente tutta la costa africana, i Balcani e tutto il Medio oriente fino alla penisola arabica, durato sino alla fine della prima guerra mondiale.

Chi fu il responsabile di questo “gesto di madornale insipienza politica… che sconvolse – come dice Steven Runciman in Storia delle crociate – l’intero sistema di difesa della cristianità”? Fu l’occidente latino nel suo complesso, impersonato dal papa teocratico Innocenzo III, desideroso quanto mai di sottomettere la chiesa ortodossa; dal doge veneziano Enrico Dandolo, unicamente preoccupato di far acquisire alla sua Repubblica i maggiori vantaggi economici; da vari signori feudali, che ambivano ad assumere cariche prestigiose, come p.es. quella di re o addirittura di imperatore, smembrando un impero non meno cristiano del loro in occidente. E in mezzo a queste potenti forze clericali, borghesi e feudali stavano gli intrighi degli ambienti di corte della capitale bizantina, inevitabilmente soggetti ad ampie strumentalizzazioni.

La quarta crociata fu infatti l’esempio più eloquente del vero motivo che spinse decine di migliaia di persone a intraprendere delle avventure in cui rischiavano facilmente la vita: quello economico. In Europa occidentale le contraddizioni sociali avevano raggiunto un livello così acuto che ai ceti dominanti parve essere la politica estera l’unico mezzo per poterle risolvere.

Abituati a vivere rapporti sociali fortemente antagonistici, questi ceti dominanti, che coinvolsero, con la propaganda, anche quelli meno abbienti, ritenevano del tutto normale l’uso della violenza più efferata per la difesa della fede religiosa. Ci volle infatti la predicazione francescana prima di capire che con le armi della parola, della pace, del rispetto della diversità si potevano ottenere risultati più significativi.

Con le crociate il colonialismo europeo ebbe la meglio nel Mediterraneo fino al 1453, poi si spostò sull’Atlantico, andando a occupare tutte le coste africane, creando avamposti commerciali in tutta l’Asia e soprattutto invadendo l’intero continente americano. Sono praticamente mille anni che la cultura occidentale, prima europea, poi statunitense, domina tutti i principali mari del mondo, fonte primaria degli scambi commerciali. Il capitalismo ha le sue radici storiche, le sue premesse culturali, le sue basi economiche nel Mille.

Oggi stiamo addirittura assistendo alla nascita di un nuovo protagonista mondiale dell’economia capitalistica, estraneo alla cultura occidentale, ma che la va assimilando molto velocemente, seppur all’interno di proprie caratteristiche: la Cina. Un assaggio di questa nuova gestione asiatica dell’economia borghese l’avevano già dato il Giappone, la Corea del sud, Hong Kong, Singapore, Taiwan, ecc., ma con la Cina si ha a che fare con un gigante senza paragoni, con un colosso che, quando inizierà a muoversi militarmente, non avrà difficoltà ad annettersi tutte le suddette “anticipazioni”.

Bisogna solo dargli il tempo di crescere, cioè il tempo di vedere che alle proprie interne contraddizioni, quando diverranno esplosive, non vi sarà altra soluzione che la guerra. E possiamo facilmente prevedere, sin da adesso, che quando il capitalismo viene gestito da uno Stato autoritario, militarizzato, a partito unico, il destino degli europei e degli americani, così individualisti, egocentrici e volubili, è segnato.

L’economia Usa è malata. Con rischio di collasso

di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Lo “shutdown”, che è scattato all’inizio di ottobre con la chiusura di settori importanti della pubblica amministrazione, è la più evidente dimostrazione della patologica crisi sistemica dell’economia e della finanza degli Stati Uniti. Il governo di Washington è senza soldi in quanto ha utilizzato tutte le disponibilità di bilancio approvate dal Congresso. Per continuare con l’attuale ritmo di spesa previsto dovrebbe “sfondare” il tetto del debito pubblico prestabilito. Come è noto, ogni anno e da tempo si ripete lo sfondamento del limite massimo del debito, un’operazione che richiede però l’approvazione del potere legislativo.

Nel frattempo oltre 800.000 dipendenti federali che lavorano in alcuni settori amministrativi, nella gestione del territorio e dei parchi e perfino nel settore spaziale e dell’intelligence sono da giorni a casa e senza stipendio. Naturalmente la sospensione dal lavoro di centinaia di migliaia di impiegati comporta una perdita di reddito pari a circa 200 milioni di dollari al giorno che inevitabilmente genera una riduzione dei consumi mettendo in crisi anche settori del commercio. Continua a leggere

La Fed stampa dollari. I Brics comprano oro. A quando la resa dei conti? E l’Europa tace.

di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Se bastasse creare dal nulla liquidità per rilanciare l’economia e uscire dalla crisi, saremmo da tempo nel paese di bengodi, soprattutto negli Usa. Ma così non è. Pertanto la recente decisione assunta della Federal Reserve di continuare ad immettere nel sistema nuova liquidità rivela semplicemente che essa non è più in grado di staccare la spina dell’alimentatore di risorse ad un sistema sempre più “drogato”. Certo le borse hanno risposto in modo vivace con l’aumento dei listini, ma non è detto che ciò sia un reale segnale positivo. Infatti la stessa Fed, dopo il meeting del suo Open  Market Committee, ha dovuto ammettere che “se dovesse continuare l’irrigidimento delle condizioni finanziarie (con l’aumento dei tassi di interesse), osservato nei mesi recenti, il processo di miglioramento dell’economia e del mercato del lavoro potrebbe rallentare.”

L’inevitabile conseguenza di tale “filosofia”è che negli Usa si proseguirà con la “politica monetaria accomodante”, immettendo 85 miliardi di dollari al mese per comprare nuovi titoli del Tesoro e derivati asset-backed-security. Anche il governatore Bernanke, il cui mandato sta per scadere, ha ribadito che i “quantitative easing” continueranno fino a che negli Usa il tasso di disoccupazione non scenderà sotto il 6,5%. E questo si spera avvenga entro la fine del 2014, nel frattempo avremmo però circa 1.500 miliardi di nuovi dollari sui mercati internazionali. Continua a leggere

Le banche centrali hanno fallito. Non si può penalizzare il lavoro e le imprese.

Le banche centrali hanno fallito. Non si può penalizzare lavoro e imprese

Mario Lettieri* Paolo Raimondi**

Le recenti stime della Banca dei Regolamenti Internazionali ci dicono che dal 2007 al 2012 il debito aggregato globale, comprendente non solo quello del settore pubblico degli Stati ma anche quello delle famiglie e delle imprese non finanziarie, è cresciuto del 20% in rapporto al Pil, cioè di ben 33  trilioni di dollari! E’ cresciuto di circa il 40% negli Usa, di oltre il 50% in Francia e di circa il 65% nel Regno Unito. In Italia è aumentato del 25%. Pur se nel mezzo di un reale sviluppo economico, anche la Cina ha registrato una crescita di oltre il 50% del proprio debito aggregato in rapporto al Pil che, però, riguarda esclusivamente le famiglie e il settore delle imprese non finanziarie.

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La perfezione dell’imbroglio

Nelle civiltà antagonistiche, dove l’uomo è il lupo dell’uomo, e sicuramente la nostra (di noi occidentali) è una delle più perfette, l’imbroglio non è l’eccezione ma la regola. Se il cosiddetto “socialismo reale” fosse sopravvissuto, avremmo dovuto dire che loro erano più perfetti di noi, in quanto gestivano l’imbroglio sottomettendo l’economia alla politica. Ma in Russia sono stati poco furbi, soprattutto perché troppo autoritari, troppo ideologici. La gente può rassegnarsi a vivere una vita grama, ma non a tenere sempre la bocca chiusa.

Sono stati più astuti i cinesi, che hanno salvaguardato molte cose del vecchio “socialismo reale”, aprendo le porte della società civile (non dello Stato) a dinamiche tipicamente borghesi. In tal modo è come se avessero detto: “politicamente devi continuare a tenere la bocca chiusa, ma economicamente, se ne sei capace, puoi emanciparti notevolmente”.

Quando i cinesi arriveranno a comprendere i meccanismi inerenti alla gestione di un diritto del tutto formale e di una democrazia del tutto fittizia, avranno raggiunto la perfezione dell’imbroglio. Sì, perché, oltre a queste cose, che devono ereditare da noi, loro avranno anche quella capacità autoritaria di farle funzionare che a noi oggi manca del tutto.

La dittatura del capitale dovrà servirsi di elementi che esaltino la democrazia e il socialismo apparenti, e che nella sostanza (quella nascosta) siano caratterizzati da un implacabile autoritarismo, analogo a quello staliniano e maoista, che, quando nacquero, erano avanzatissimi nella gestione dell’imbroglio, pur essendo privi del supporto della borghesia. Entrambi infatti si servirono dei funzionari statali, cioè di una classe sociale apparentemente al di sopra delle parti, fingendo di fare gli interessi, l’uno degli operai, l’altro dei contadini.

Stalinismo e maoismo sono durati molto di più del nazismo e del fascismo non tanto perché la Russia e la Cina non avevano forti tradizioni borghesi o una cultura delle libertà civili e dei diritti umani, quanto perché il nazifascismo era una dittatura priva di una vera idealità politica. Infatti, pur volendo imporre l’idea di Stato a tutta la società, di fatto né Hitler né Mussolini vi sono mai riusciti, in quanto il capitale privato non è mai stato toccato, anzi è stato favorito in tutti i modi, tant’è che proprio sotto di loro nasce il capitalismo monopolistico di stato.

Non solo, ma i partiti totalitari dell’Europa occidentale sono sempre stati caratterizzati da un notevole cesarismo, sicché, alla morte dei loro leader, sarebbe stato impossibile continuare con lo stesso tipo di autoritarismo.

Viceversa sia in Russia che in Cina la dittatura è continuata ben oltre la morte di Stalin e di Mao e, in un certo senso, continua ancora oggi. Con questa differenza, che mentre in Russia il governo ha potuto continuare ad essere autoritario rinunciando anche formalmente alle idee del socialismo, in quanto là ci si può avvalere d’immense risorse energetiche, che danno l’illusione d’una ricchezza illimitata, per cui non si ritiene necessario parlare di “socialismo”; senza poi considerare che la Russia, essendo un paese immenso, è convinta d’essere praticamente non conquistabile da parte di altri paesi (e se certamente non lo è da parte di un paese euroccidentale, non può dire di non esserlo anche da parte di un paese asiatico – Mongolia docet!).

In Cina invece, dove tali risorse sono infinitamente minori, l’autoritarismo ha potuto formalmente continuare in nome degli ideali socialisti, illudendo quell’immenso serbatoio di manodopera a basso costo (nella parte occidentale del paese), sfruttata in maniera molto intensa, che se la situazione dovesse degenerare, si può sempre contare sull’appoggio dello Stato e del partito unico, che han concesso alla società civile d’imborghesirsi in via transitoria, a titolo, per così dire, sperimentale, giusto per evitare un’altra Tien an men.