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Il colpevole e suicida silenzio su cosa fanno i Paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica)

UFA: I BRICS SI ISTITUZIONALIZZANO

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**  

L’Europa, concentrata sui propri problemi e sul suo difficile quanto insostituibile processo di unificazione, purtroppo sta sottovalutando le recenti importanti decisioni assunte dai paesi BRICS, acronimo composto dalle iniziali dei cinque Stati che ne fanno parte: BrasileRussiaIndia,  CinaSudafrica

  Eppure esse sono destinate ad incidere profondamente sugli assetti mondiali.

Dall’8 al 10 luglio si è svolta a Ufa, in Russia, la settima conferenza dei BRICS. Nella stessa sede si sono tenute anche la riunione dell’Unione Economica Euroasiatica e quella della Shanghai Cooperation Organization, che coinvolge tutti i Paesi dell’Asia. I tre incontri hanno oggettivamente assunto una valenza politica di grande rilevanza perché, oltre agli aspetti economici, sono stati trattati anche quelli relativi alla sicurezza.

Oggi il peso geo-economico dell’alleanza tra Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa è accresciuto. Insieme occupano il 30% della terra, hanno il 43% della popolazione mondiale e il 21% del Pil del pianeta. La loro produzione agricola è il 45% del totale, mentre la produzione delle merci e dei servizi rappresenta rispettivamente il 17,3% e il 12,7% del totale.

Il loro Pil aggregato supera i 32 trilioni di dollari e fa registrare un aumento del 60% rispetto al momento della loro costituzione 6 anni fa. Sono dati in continua crescita, nonostante gli inevitabili riverberi della crisi occidentale, delle bolle speculative e delle “politiche monetarie non convenzionali” delle banche centrali.

Nella dichiarazione finale si sottolinea che il summit di Ufa segna l’entrata in vigore della Nuova Banca di Sviluppo dei BRICS (con 100 miliardi di capitale) e del Contingent Reserve Arrangement (Cra), che è un fondo di riserva di 100 miliardi di dollari contro eventuali destabilizzazioni monetarie e delle bilance dei pagamenti negli stati membri.

E’ significativo il fatto che la suddetta Nuova Banca di Sviluppo si impegni a collaborare con le altre istituzioni finanziarie aventi la stessa mission, in particolare con l’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) recentemente promossa dalla Cina, che registra una grande positiva partecipazione anche europea.

”The strategy for BRICS economic partnership” di Ufa prevede l’avanzamento nella cooperazione in tutti i settori fondamentali dell’economia e della società, soprattutto nelle relazioni sud-sud. Comunque la suddetta Banca si impegnerà nella promozione di grandi progetti infrastrutturali e di sviluppo sostenibile anche in altri Paesi emergenti e in via di sviluppo, di cui una cinquantina già avviati.

Sul fronte monetario e finanziario le banche di sviluppo dei singoli Paesi del BRICS daranno luogo ad un “Financial Forum”, per definire nuovi accordi relativi al sistema dei pagamenti, e ad un “meccanismo di cooperazione interbancaria” che preveda tra l’altro l’utilizzo di linee swaps, cioè trasferimenti di liquidità per far fronte anche “all’impatto negativo di politiche monetarie realizzate da Paesi che emettono monete detenute anche nelle riserve”: Cioè gli Usa e l’Ue, quindi il dollaro e l’euro. L’intento è l’utilizzo delle monete nazionali nelle transazioni commerciali, fino al 50% del totale. Evidentemente tale svolta vuole essere una spinta per la costruzione di un paniere di monete rispetto all’attuale dominio del dollaro.

Al centro della crescente cooperazione vi sono non solo i tradizionali settori portanti dell’economia ma anche quelli relativi alla scienza, alla tecnologia e all’innovazione nei campi delle nanotecnologie, della biomedicina e della ricerca spaziale. Da ciò si evince l’errore che spesso nei cosiddetti Paesi avanzati si commette banalizzando i Paesi BRICS e ignorando quanto di nuovo in essi si muove.

E’ indubbio che l’”istituzionalizzazione dei BRICS”, così come è emersa a Ufa, rappresenta una notevole pressione verso le grandi istituzione politiche ed economiche internazionali.

Anzitutto l’ONU che, a settant’anni dalla sua creazione, è chiamato ad assolvere un ruolo decisivo nelle sfide globali garantendo un ordine internazionale più giusto.

Perciò i BRICS sostengono con forza l’iniziativa dell’ONU in merito alla ristrutturazione del debito pubblico dei Paesi più poveri e più esposti, non solo della Grecia, e complessivamente di quello mondiale.

In quest’ottica i BRICS intendono rilanciare il ruolo del G20 come “primo forum internazionale di cooperazione finanziaria ed economica”, soprattutto nella definizione di una nuova architettura finanziaria internazionale che tenga conto dell’economia reale. La presidenza della Cina del G20 l’anno prossimo dovrebbe essere il primo banco di prova. La prima vera occasione per vincere le resistenze, soprattutto americane, verso la riforma della governance del Fondo Monetario Internazionale

Riteniamo che anche per l’Unione europea, anche se fragile e divisa, non sia più tollerabile sottovalutare quanto si muove in quella parte del mondo.

*già sottosegretario all’Economia

**economista

LA CINA SI FA AVANTI ANCHE NELLE ISTITUZIONI MONETARIE INTERNAZIONALI

La Cina vuole un ruolo maggiore nelle istituzioni monetarie

Mario Lettieri* Paolo Raimondi**

Dopo la creazione dell’Asian Infrastructure Investments Bank, in cui partecipano l’Italia ed altri importanti Paesi europei, la Cina e i suoi alleati nel Brics proseguono decisi verso la realizzazione di un nuovo sistema monetario internazionale multipolare.

Recentemente il governo di Pechino ha chiesto che lo yuan sia incorporato nei Diritti Speciali di Prelievo (dsp), che di fatto rappresentano la moneta del Fondo Monetario Internazionale.

Furono creati come “strumenti” di riserva del Fmi dagli Accordi di Bretton Woods nel 1944. I dsp sono definiti sulla base di un paniere di monete: per il 41,9% dal dollaro, per il 37,4% dall’euro, per l’11,3% dalla sterlina e per il 9,4% dallo yen. Finora tale composizione è rimasta inalterata. Ogni richiesta di partecipazione da parte cinese è stata rigettata da Washington perché lo yuan non era molto usato nelle transazioni commerciali internazionali e perché il governo cinese di fatto manteneva un controllo sul movimento dei capitali, rifiutando la rivalutazione dello yuan.

Intanto molte cose sono cambiate. Negli ultimi 5 anni lo yuan si è apprezzato del 10% rispetto al dollaro e senza cadere in balia della speculazione internazionale. Contrariamente a tutte le previsioni, dal 2007 l’import cinese dagli Usa è raddoppiato.

Nel frattempo Pechino sta realizzando una serie di importanti riforme finanziarie, in primis l’introduzione di un sistema di garanzie sui depositi, che potranno permettere al suo sistema bancario di operare internazionalmente senza comprometterne la stabilità. Già oggi i crediti commerciali denominati in yuan rappresentano quasi il 10% del totale mondiale.

Con la crescita delle sue esportazioni, l’internazionalizzazione dello yuan ha rimpiazzato sempre di più il dollaro negli scambi commerciali. La quota del commercio cinese denominata in yuan dovrebbe passare dal 25% attuale al 50% nei prossimi 5 anni. La valuta cinese è già la quinta nelle transazioni globali. Quattro anni fa soltanto 900 banche internazionali operavano in yuan, oggi sono più di 10.000. Si prevede che nel 2020 lo yuan, per una somma pari a 500 miliardi di dollari, farà parte delle riserve monetarie delle differenti banche centrali del mondo.

Entro la fine dell’anno lo “scontro” sulla riforma delle quote del Fmi e sulla partecipazione cinese nei dsp dovrebbe essere conclusa positivamente. Almeno lo speriamo.

Nel frattempo i Brics stanno ratificando l’accordo per la creazione di un fondo di riserva, per un valore di 100 miliardi di dollari, in valute internazionali. La Cina verserà 41 miliardi, il Sud Africa 5 ed il Brasile, la Russia e l’India 18 miliardi ciascuno. Il fondo dovrebbe servire a risolvere eventuali problemi relativi alle bilance dei pagamenti e a sostenere le valute in caso di attacchi speculativi. La Russia, che ha assunto la presidenza del Brics dall’inizio di aprile, è chiaramente molto interessata a questa iniziativa di cui è stata la principale promotrice.

E’ da segnalare che, in questo contesto in movimento, la Banca del Sud America, il Bancosur, è diventata operativa nel sostegno allo sviluppo e all’integrazione infrastrutturale del continente latinoamericano.

Anche sul fronte delle agenzie di rating è sempre più scontro aperto tra i Brics e le “tre sorelle”. L’ultimo assalto infatti è stato portato da Moody’s che ha abbassato il rating della compagnia petrolifera brasiliana Petrobas al livello Ba2, cioè “speculativo”. I brasiliani lo hanno giustamente definito un “furto premeditato”. “Sono più significativi i tre milioni di barili prodotti ogni giorno o le opinioni di anonimi analisti della Moody’s?”.

Perciò anche sul rating i Brics si muovono con determinazione per sottrarsi ad ulteriori ricatti. Sta, infatti, assumendo sempre più importanza l’attività dell’agenzia transnazionale Universal Credit Rating Group (UCRG), formata dall’agenzia di rating cinese Dagong, dalla russa RusRating e dall’agenzia americana indipendente Egan-Jones.

Adesso il pallino passa nel campo europeo. L’Unione europea è in ritardo su molte riforme, sia sul terreno interno che su quello internazionale. Però la recente decisione di alcuni Paesi europei di partecipare all’AIIB ci sembra un segnale importante di indipendenza e di iniziativa.

Settant’anni dopo Bretton Woods è arrivato il momento dell’emancipazione europea. Non si tratta di abbandonare i cugini americani “in mezzo all’Atlantico” ma di aiutarli ad uscire da una difficile situazione che mischia pericolosamente il suo debole unilateralismo, la sua nostalgia per la passata egemonia e la tentazione di un anacronistico rancoroso neoisolazionismo.

L’Europa deve affrontare questo nuovo quadro internazionale e svolgere il positivo ruolo di protagonismo e mediazione al fine di compiere concreti passi sul difficile cammino di un progresso globale, sostenibile e pacifico.

(*già sottosegretario all’Economia

**economista)

LA GRANDE SFIDA DELLE INFRASTRUTTURE GLOBALI

Brisbane: la grande sfida delle infrastrutture globali

Mario Lettieri* Paolo Raimondi **

Abbiamo imparato a non aspettarci dai summit del G20 cambiamenti significativi e di importanza sistemica per l’economia soprattutto per la finanza. Anche da Brisbane in Australia, purtroppo, è arrivato lo stesso messaggio. Si ammette però che “l’economia globale è vulnerabile a futuri choc, resta la fragilità finanziaria e i rischi esistenti sono esacerbati da tensioni geopolitiche”.

Tuttavia dal comunicato finale del meeting di novembre emergono alcuni passaggi interessanti. Continua a leggere

La Fed stampa dollari. I Brics comprano oro. A quando la resa dei conti? E l’Europa tace.

di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Se bastasse creare dal nulla liquidità per rilanciare l’economia e uscire dalla crisi, saremmo da tempo nel paese di bengodi, soprattutto negli Usa. Ma così non è. Pertanto la recente decisione assunta della Federal Reserve di continuare ad immettere nel sistema nuova liquidità rivela semplicemente che essa non è più in grado di staccare la spina dell’alimentatore di risorse ad un sistema sempre più “drogato”. Certo le borse hanno risposto in modo vivace con l’aumento dei listini, ma non è detto che ciò sia un reale segnale positivo. Infatti la stessa Fed, dopo il meeting del suo Open  Market Committee, ha dovuto ammettere che “se dovesse continuare l’irrigidimento delle condizioni finanziarie (con l’aumento dei tassi di interesse), osservato nei mesi recenti, il processo di miglioramento dell’economia e del mercato del lavoro potrebbe rallentare.”

L’inevitabile conseguenza di tale “filosofia”è che negli Usa si proseguirà con la “politica monetaria accomodante”, immettendo 85 miliardi di dollari al mese per comprare nuovi titoli del Tesoro e derivati asset-backed-security. Anche il governatore Bernanke, il cui mandato sta per scadere, ha ribadito che i “quantitative easing” continueranno fino a che negli Usa il tasso di disoccupazione non scenderà sotto il 6,5%. E questo si spera avvenga entro la fine del 2014, nel frattempo avremmo però circa 1.500 miliardi di nuovi dollari sui mercati internazionali. Continua a leggere

Il “caso Siria” ha offuscato il G20 di San Pietroburgo, che ha invece aspetti importanti. Anche per gli investimenti di lungo termine nelle infrastrutture

di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Nonostante i venti di guerra sulla Siria e le pericolose conseguenze militari e geopolitiche, alcune rilevanti e innovative decisioni assunte dal recente Summit del G20 di San Pietroburgo per fortuna non sono state del tutto oscurate. Nel documento finale, infatti, per la prima volta si pone la questione del finanziamento degli investimenti. di lungo termine nelle infrastrutture e nei progetti industriali e di ricerca delle Pmi. Si sottolinea inoltre la necessità di creare un clima favorevole agli investimenti di lungo termine per mobilitare anche i capitali privati.

Un lavoro particolare di preparazione al rilancio delle strategie industriali e di sviluppo nel lungo termine è stato svolto dall’Ocse e dalle varie banche di sviluppo internazionali, tra cui la nostra Cassa Deposti e Prestiti, organizzate nel Long Term Investors Club. Il G20 sollecita, perciò, i vari governi a facilitare gli investitori istituzionali e a promuovere politiche e progetti di investimento e di infrastrutture adeguati, organici e coerenti. Continua a leggere