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La democrazia comunale nel Medioevo

In epoca feudale non tutte le città erano dei Comuni. Per esserlo ci voleva uno Statuto, cioè una volontà politica associativa. Nel Medioevo le città sono sempre esistite, anche se la loro importanza era inferiore a quella delle campagne, ove dominava la figura del nobile proprietario terriero, che sfruttava i suoi tanti servi della gleba.

In un sistema sociale basato prevalentemente su autoconsumo e baratto, la terra aveva molto più valore della moneta, e quindi la città si trovava ad essere subordinata alle esigenze della campagna.

Generalmente nelle città si trovava la sede episcopale, che svolgeva funzioni amministrative, connesse alla gestione dei sacramenti, e culturali, per l’istruzione del clero e della nobiltà e di chiunque potesse permettersi di pagarla.

Per tutto l’alto Medioevo, cioè fino al Mille, le città, con esclusione di quelle marinare, non ebbero neanche lontanamente un ruolo paragonabile a quello che avevano avuto in epoca greco-romana. Questo perché le popolazioni germaniche e slave provenienti da oriente e penetrate nell’impero romano, non erano urbanizzate. Sicché quando, intorno al Mille, iniziarono a formarsi i primi Comuni, si ebbe la trasformazione delle città da qualcosa di meramente amministrativo, gestito dai vescovi, a qualcosa di specificatamente politico, gestito da una nuova classe sociale: la borghesia, che comprendeva i mercanti, gli artigiani e i liberi professionisti.

Da dove provenivano queste categorie sociali, visto che per tutto l’alto Medioevo dominava la figura del contadino, che insieme era artigiano (anche con l’aiuto delle donne, che filavano e tessevano) e commerciante delle proprie eccedenze alimentari, che sul mercato barattava con le eccedenze altrui? La stessa cultura era patrimonio quasi esclusivo del clero, soprattutto di quello regolare, che non la usava per giustificare pratiche di tipo commerciale. Generalmente i contadini erano analfabeti, in quanto si accontentavano della trasmissione orale di conoscenze ancestrali.

Le nuove categorie sociali si formarono in virtù dei contatti che le città marinare tenevano con l’area bizantina, la quale, a sua volta, faceva da ponte tra il mondo asiatico e quello europeo. Poi, quando l’espansione araba, una volta arrivata in Spagna, smise di essere aggressiva, forti divennero i contatti commerciali anche con questa civiltà, almeno fino al periodo delle crociate, quando s’interruppero per colpa degli ottomani e degli europei.

Bisanzio non aveva subìto le devastanti invasioni barbariche, poiché aveva saputo farvi fronte in maniera intelligente. Roma invece, che mal aveva digerito il trasferimento costantiniano della capitale dell’impero sul Bosforo, non ebbe mai la stessa lungimiranza e rinunciò a coordinare le proprie forze con quelle dei cristiani d’oriente.

I commerci col Levante erano proseguiti, senza soluzione di continuità, sin dall’epoca romana, estendendosi anche al mondo slavo. Di questi commerci si favoleggiava enormemente in Europa occidentale, e città come Amalfi, Pisa, Genova, Venezia, ma anche Bari, Brindisi, Palermo e altre ancora sapevano molto bene che l’impero bizantino era economicamente florido. Di tutte queste città Venezia fruiva di un ruolo privilegiato, di cui approfitterà notevolmente in occasione della quarta crociata (1204), tradendo la fiducia del basileus.

Furono gli scambi col mondo bizantino e quindi la possibilità di ottenere oggetti preziosi, introvabili in occidente, di ottima fattura, inizialmente alla portata di pochi privilegiati, che favorì la nascita dei ceti mercantili. Gli artigiani non erano altro che ex-contadini particolarmente abili nel fare qualcosa che poteva essere venduto sul mercato (p.es. sapevano usare bene il tornio o il fuoco). Lo stesso lavoro tessile svolto dalle donne per le esigenze domestiche, poteva essere valorizzato da qualche mercante, che, dopo aver offerto la materia prima, andava a vendere il prodotto finito in un mercato locale, che poi diventerà sempre più europeo.

Quanto ai liberi professionisti (avvocati, notai, medici, architetti, artisti, insegnanti, cambiavalute, banchieri o finanzieri ecc.), è evidente che la loro provenienza implicava una buona dose di cultura (che p.es. non mancava mai agli ebrei). Invece di diventare teologi o chierici o militari mercenari, i nobili di rango inferiore (quelli esclusi dall’asse ereditario, in quanto cadetti) potevano anche scegliere funzioni amministrative o di rappresentanza, di cui la borghesia aveva sempre più bisogno per svolgere i propri affari o per tenere in piedi le sorti degli stessi Comuni.

Tutte queste nuove figure sociali assumono, col tempo, una particolare veste politica, basata su una variegata attività produttiva, commerciale e amministrativa, con cui si riuscirà a trasformare la decadente città alto-medievale in un fiorente Comune di epoca basso-medievale. Infatti quando si parla di “democrazia” in epoca feudale, ci si deve necessariamente riferire a una nuova tipologia di città: i Comuni.

Si può parlare di “Comuni” in riferimento all’area bizantina? No, si può parlare soltanto di città. I Comuni sono il prodotto spontaneo di una serie di figure sociali che si sentono libere proprio in quanto hanno giurato fedeltà a uno Statuto che loro stesse si sono date. Una cosa del genere non l’avrebbero permessa né le autorità bizantine, né quelle islamiche o slave e neppure quelle cinesi o indiane. Infatti il potere politico-istituzionale poteva sì permettere l’attività commerciale (che comunque teneva sempre sotto controllo), ma non poteva permettere che sulla base di un’attività del genere si potesse formare un potere politico autonomo, potenzialmente concorrente. Ecco perché quando si parla di “Comuni” si deve intendere qualcosa di specificatamente italiano.

Questi Comuni si sentivano in rivalità coi poteri feudali della grande aristocrazia terriera e cercavano di realizzare dei rapporti reciprocamente vantaggiosi con la diocesi vescovile e il papato, anche in funzione anti-imperiale. Inizialmente la borghesia non è nemica della chiesa, ma anzi cerca di essere la sua principale alleata, scalzando il ruolo dell’aristocrazia terriera.

Quando avverrà la lotta per le investiture ecclesiastiche, la borghesia starà sempre dalla parte del papato, proprio perché sapeva bene che gli imperatori volevano sfruttare fiscalmente le città e tenere sotto controllo tutti i loro commerci. I due grandi imperatori svevi: Federico Barbarossa e suo nipote, Federico II, furono sostanzialmente sconfitti dai Comuni.

Solo quando la borghesia avrà acquisito un certo potere economico, ridimensionando di molto quello della nobiltà, essa comincerà a rivendicare un proprio potere politico, separato da quello della chiesa e anzi, per molti versi, ostile a quest’ultimo.

A questo punto però la domanda cui bisogna cercare di dare una risposta è la seguente: com’è stato possibile un tale sviluppo della borghesia comunale? E perché esso è avvenuto anzitutto in Italia? Perché uno sviluppo del genere non si è verificato nell’area bizantina, dove i commerci sono sempre stati molto fiorenti, almeno sino all’occupazione turca? La risposta è molto semplice: in Italia la corruzione della chiesa, nei suoi livelli gerarchici (soprattutto pontifici), era molto forte, a motivo del fatto ch’essa voleva porsi come chiesa politica, in competizione col potere imperiale bizantino, al punto da desiderare due cose che suscitarono non poco scandalo tra i cristiani orientali: la prima fu quella di attribuire il titolo di “imperatore” a Carlo Magno, quando a Bisanzio ne esisteva già uno; la seconda fu quella di rompere l’unità del mondo cristiano, separandosi nettamente dalla chiesa ortodossa nel 1054, dopo secoli di controversie dogmatiche risoltesi negativamente. Nel primo caso ebbe bisogno dell’alleanza nobiliare, nel secondo di quella borghese, tant’è che le crociate scoppiarono subito dopo l’affermazione della teocrazia pontificia. L’alleanza con la grande borghesia fu decisiva per affermare la propria ideologia teocratica assolutistica.

Ora, quando a livello politico-istituzionale s’impone una corruzione così marcata, diventa poi molto difficile, da parte delle istituzioni, impedire un’autonoma gestione dell’economia, in cui il criterio del profitto privato risulta essere la regola dell’agire comune. Con questo non si vuol dire che l’impero bizantino e tutte le altre compagini governative del periodo medievale fossero esenti da corruzione. Si vuol semplicemente dire che solo in Europa occidentale si era formata una chiesa che voleva svolgere un ruolo direttamente politico, considerando lo Stato (impersonato dagli imperatori) un proprio braccio secolare.

Questa incapacità di distinguere gli aspetti laici da quelli ecclesiastici, l’uso della ragione da quello della fede, l’etica dalla religione è stata la causa principale del sorgere della borghesia, la quale ha potuto svolgere i propri traffici individualistici proprio perché sapeva bene che la chiesa, nel proprio assoluto integralismo, era sommamente corrotta e quindi non titolata a “giudicare” una pratica che lo era altrettanto sul piano sociale. Una volta acquisito il necessario potere economico, la stessa borghesia ha poi potuto esigere che sul piano politico si tornasse a fare differenza tra sacro e profano, relegando il sacro in un ambito sempre più privato o comunque trasformandolo in una pratica sempre meno significativa. Di qui la trasformazione della chiesa da cattolica a protestante.

La borghesia non è nata direttamente dalla chiesa romana, ma è stata un suo involontario prodotto derivato, che, ad un certo punto, le è sfuggito di mano, sicché la stessa chiesa si è sentita indotta a darsi una veste meno esigente sul piano politico e ideologico, più conciliante con l’attività affaristica, anche perché il tentativo di frenare questo processo con la strategia della Controriforma si rivelerà del tutto fallimentare nell’Europa del Nord.

Solo quando nascerà il proletariato industriale, principale nemico della borghesia imprenditoriale, quest’ultima avvertirà il bisogno di ritrovare anche nella chiesa romana l’alleata di un tempo; e il papato, con lo strumento del Concordato e soprattutto con la svolta del Concilio Vaticano II, accetterà il nuovo “patto d’acciaio”, anche per far fronte alla dilagante indifferenza verso le questioni religiose.

Gli storici e la religione cristiana (III)

3. L’ORTODOSSIA BIZANTINA

In un qualunque manuale scolastico di storia medievale, il tema principale dedicato al regno millenario dei bizantini è quello dell’epoca giustinianea. Tutto il resto viene generalmente liquidato in qualche paragrafo sparso qua e là.

Perché si accentua l’importanza di Giustiniano? Il motivo è semplice: perché sino a questo imperatore non vi è stata una sostanziale differenza tra cattolici e ortodossi. Sicuramente non ve n’era sul piano dogmatico, e anche su quello politico l’intera cristianità riconosceva un’unica realtà imperiale: tutti gli altri sovrani o erano re delle proprie genti o erano “patrizi romani” (titolo che indicava una sorta di vassallaggio nei confronti del basileus).

Le differenze tra cattolici e ortodossi han cominciato a farsi sentire sul piano politico con l’incoronazione di Carlo Magno, preceduta dalla rottura ideologica del Filioque nel Credo (rottura che i cattolici curiosamente definiscono col termine di “scisma di Fozio”).

Prima di allora la chiesa romana s’era limitata a ostacolare, in varie maniere, il progetto di riunificazione dell’ex impero romano sotto l’egida bizantina, anche a costo di favorire la penetrazione barbarica in occidente. Questo perché il papato non aveva mai accettato il trasferimento costantiniano della capitale da Roma a Bisanzio.

In tale resistenza ad oltranza, il papato aveva cercato non solo di prevalere su ogni altra cattedra episcopale della civitas cristiana, ma anche di acquisire quanti più beni possibili. Infatti, quando si sentì sufficientemente forte sul piano economico, al fine di poter rivendicare anche un potere politico, scelse di incoronare imperatore Carlo Magno, in totale dispregio del fatto che un imperatore esisteva già.

Ma come viene presentato Giustiniano? Bisogna prima fare un passo indietro e parlare dei due imperatori che l’hanno preceduto: Zenone e Giustino.

Del primo i manuali dicono che mandò in Italia gli Ostrogoti per liberarsi degli Eruli di Odoacre, di religione ariana. In realtà, si precisa, Zenone lo fece perché gli Ostrogoti premevano sui confini orientali (anche i Goti infatti erano ariani, per cui non vi sarebbe stata alcuna differenza di principio). Con ciò quindi si fa capire che l’Italia, per Zenone, non valeva nulla.

Tuttavia con gli Ostrogoti l’Italia ebbe 30 anni di pace. Dunque perché con Giustino l’impero volle disfarsi anche di questa popolazione? Forse perché era anch’essa ariana? No, il motivo era che Bisanzio voleva annettersi l’intera Italia.

Cioè lo storico vuol far credere che mentre Bisanzio aveva motivi ideali sul piano formale, sul quello sostanziale invece aveva i sordidi motivi dell’interesse di potere. Lo dimostra il fatto (storiografico) che il basileus viene sempre dipinto come un uomo senza scrupoli, continuamente ansioso d’intromettersi nelle questioni teologiche e di sottomettere politicamente la chiesa (cesaropapismo).

Per converso, la chiesa romana viene presentata come la paladina della libertà dell’occidente: libertà religiosa (cattolici contro ortodossi e contro impero), culturale (latino contro greco), economica (potere spirituale poggiante su quello temporale) e politica (autorità imperiale non indipendente ma riconosciuta dal papato).

Quando si inizia a parlare di Giustiniano, lo si definisce addirittura come “l’ultimo grande imperatore romano”! Tutti gli altri imperatori che si sono succeduti, dalla sua morte sino al 1453, cioè per altri 888 anni, è come se non fossero mai esistiti: non vengono neppure ricordati per nome.

Ma perché Giustiniano fu grande?

1. Perché cercò di riunificare tutto l’impero cacciando i barbari dall’Africa, dalla Spagna, dall’Italia, anche se, a causa della forte resistenza ostrogota, ridusse l’Italia a un cumulo di macerie;
2. perché riprese il controllo commerciale del Mediterraneo;
3. perché riorganizzò l’amministrazione dello Stato, sviluppò il commercio, l’artigianato, l’architettura ecc., e produsse quel capolavoro giuridico chiamato Corpus iuris civilis.

Insomma Giustiniano in tanto fu grande in quanto assomigliava ai migliori imperatori pagani del passato mondo romano. Tuttavia la sua idea di ricostruire il vecchio impero in nome del cristianesimo morì con lui. Si parla della sua “utopia” come se fosse stato un suo problema personale e non un’esigenza dell’intera cristianità.

Quando infatti si comincia a dire che il progetto fallì perché i Visigoti si ripresero la Spagna, i Longobardi entrarono in Italia, i Berberi e i Mauritani si ribellavano continuamente in Africa e i Persiani premevano a oriente, si tralascia del tutto di dire che la chiesa romana non fece assolutamente nulla in occidente per favorire la realizzazione di quel piano. Anzi lo ostacolò in tutte le maniere: dapprima con una forma di resistenza passiva, che impediva ai bizantini di concertare le forze in funzione anti-gota; poi col favorire l’ostilità monofisita delle forze copte dell’Egitto e siriane nei confronti del potere centrale dell’impero; infine con l’avvallo all’ingresso longobardo in Italia, onde impedire a Bisanzio, dopo la vittoria sui Goti, di potersi insediare in tutta tranquillità nella penisola (cfr la controversia dei Tre capitoli).

Il papato infatti aveva bisogno di un’Italia divisa sul piano territoriale, per meglio esercitare i propri tentativi egemonici; e a partire dall’ingresso dei Longobardi, essa resterà divisa sino all’unificazione di fine Ottocento.

Detto questo, si aggiunge che, avendo dovuto sostenere ingenti spese per le numerose e faticosissime guerre su più fronti, Giustiniano aveva prosciugato le casse dello Stato, sicché i suoi successori dovettero privilegiare gli aspetti del risanamento interno, interessandosi dell’Italia solo per motivi fiscali.

La questione delle tasse diverrà cruciale per sostenere le finanze dello Stato, ma anche per sostenere la tesi, propria degli storici papisti, secondo cui la chiesa romana aveva tutto l’interesse a staccarsi dal dominio di Bisanzio.

I bizantini saranno sempre odiati a causa del loro rapace fiscalismo e del loro cesaropapismo. Di fronte a una situazione del genere era dunque giusto che in occidente fosse la chiesa romana a porsi a capo della cristianità.

Ovviamente si tace del tutto sia il fatto che in occidente la chiesa esercitava quello che poi venne definito col termine di “papocesarismo” (l’imperatore come braccio secolare del papato), sia il fatto che in oriente il fiscalismo bizantino era una prerogativa dello Stato, esercitata nei confronti di qualunque cittadino, anche di quello possidente, cosa che nell’Europa feudale occidentale non è mai avvenuto, proprio perché la gestione del potere politico era personalistica (basata sul vassallaggio) e non istituzionale.