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L’evidenza è solo un’abitudine

Non c’è nessuna evidenza, di nessun tipo. Per milioni di anni s’è creduto al sole che ci girava intorno, per poi scoprire ch’era il contrario. Neanche dio in persona, se ci si presentasse, potremmo considerarlo un’evidenza. E presumere di dimostrarlo, come facevano gli Scolastici con le loro prove logiche, è ridicolo, anzi patetico.

Ci può essere soltanto l’abitudine a considerare evidenti quelle cose che si ripetono costantemente, come diceva Hume. Ma proprio sul cambiamento delle abitudini Darwin ha posto le fondamenta del suo evoluzionismo.

Una qualunque abitudine può sempre essere smentita, magari non immediatamente o non in qualunque momento, ma se pretende di non esserlo mai, di sicuro – scriveva Popper – è falsa, non è scientifica. In effetti è la vita stessa che c’insegna ad essere elastici duttili flessibili. Dobbiamo abituarci a non avere abitudini tassative.

La gravitazione universale non ha alcuna forza per l’astronauta e, per questa ragione, quello è costretto a fare ginnastica anche quando non ne ha voglia, se non vuole che si decalcifichino le ossa e s’atrofizzino i muscoli.

Per cambiare abitudine bisogna solo avere il coraggio, la volontà e poi la costanza di farlo: ne sanno qualcosa gli obesi o gli accaniti fumatori, per i quali il vizio è un’evidenza che devono cercare di smentire, se vogliono star bene con se stessi e continuare a vivere in società come persone normali. E certamente le abitudini sociali, quando sbagliate, si superano solo collettivamente. Gli sforzi individuali servono a poco se non si fa una campagna pubblica contro una cattiva abitudine. In tal senso tutta la pubblicità dovrebbe essere “progresso”: i refrain giovano moltissimo; a volte si dà retta a quel che dicono proprio per non doverli più sentire.

Se ci fossero delle evidenze indiscutibili, ne subirebbe un danno la libertà umana: oggi abbiamo dei dubbi persino sul significato dell’appartenenza a un orientamento sessuale. Abbiamo infatti capito che non è una certezza del genere che, di per sé, ci rende eticamente migliori. Non lo diceva forse anche san Paolo ai Galati che nel regno dei cieli non solo non ci sarà né schiavo né libero, ma neppure né uomo né donna?

La libertà si sente davvero realizzata soltanto quando è libera di scegliere, e non una tantum ma ogni volta che lo desidera. Scegliere cioè di credere o di non credere in un determinato fatto evento fenomeno, o anche un semplice oggetto segno simbolo, una parola o una frase, persino un sentimento. Sappiamo che gli attori recitano, però quando ci commuovono ci piace credere che siano sinceri.

Certo, qualcuno potrebbe obiettare che se mettessimo in dubbio che i segnali stradali sono un’evidenza, poveri noi. Ma l’evidenza di quei simboli è puramente convenzionale: l’abbiamo decisa a tavolino e nulla c’impedisce di modificarla. L’importante è che tutti lo sappiano. In tal senso anzi dovremmo chiederci se non sia sbagliato pensare che, una volta presa la patente, l’automobilista non possa non ricordarsi tutti i segnali appresi quando andava a scuola-guida.

Insomma non ci piace essere “abituati” a credere o a non credere, e neppure ad amare o ad essere amati. Preferiamo, almeno di tanto in tanto, rimetterci in gioco: la scontatezza logora. Per questo dovremmo desiderare ardentemente la rotazione delle cariche, dei ruoli, delle funzioni. A scuola ci limitiamo a quella dei banchi, ma di tanto in tanto sarebbe bene che lo studente salisse in cattedra e tenesse la sua lezione.

Di fronte a qualunque cosa ci si dovrebbe sentire liberi di credere in maniera personale, non perché qualcuno ci obbliga o ci induce. Quelli che considerano la coerenza un valore assoluto, non si rendono conto che anche un qualunque elettrodomestico è coerente.

Noi possiamo anche accettare d’essere condizionati o persuasi da qualcuno, ma, in ultima istanza, vogliamo sempre poter dire che il fatto di credere o meno in una determinata cosa o persona dipende da una nostra libera decisione. Non vogliamo apparire plagiati o suggestionati. Le dittature nascono così, da quelle mega di Hitler e Stalin, che finirono con l’ammazzare milioni di propri connazionali, a quelle mini dei mariti violenti o dei santoni fanatici che, come Jim Jones, pur di non riconoscere la libertà di coscienza ai propri seguaci, preferiscono eliminarli tutti.

Ci piace apprezzare la libertà e, per questa ragione, non sopportiamo le cose o le persone che pretendono d’imporsi. Anzi, se siamo abbastanza esperti nelle cose del mondo, preferiamo insospettirci proprio di fronte a tutto ciò che pretende d’essere evidente, lapalissiano. Per questo non sopportiamo chi urla, chi non ascolta, chi non dialoga, chi si sottrae alle domande, chi presume d’avere la verità in tasca, chi pilota i dibattiti secondo uno schema precostituito, chi interpreta qualunque cosa secondo una sua determinata pre-comprensione. Non sopportiamo né la troppa luce né il troppo buio, né il silenzio assoluto né il rumore assordante.

L’evidenza è soltanto un pregiudizio, un infantile schema mentale, il difetto di una mancanza di dialettica. Una verità evidente è la più povera del mondo, è una banale tautologia, è la meno adatta a ulteriori sviluppi, è la morte del pensiero. La verità evidente è quella sbandierata dalle dittature, di destra e di sinistra, laiche e clericali. È l’idolatria del dogma, la morte della democrazia, del libero confronto delle opinioni.

La storia è piena di queste dittature del pensiero, che hanno avuto la presunzione di abbattere le evidenze con altre evidenze. “Stato” e “mercato”, p. es., sono due evidenze insopportabili, che ci legano mani e piedi. È non meno evidente che dobbiamo liberarcene.