Si intitola “Cronaca criminale”, ha per sottotitolo “La storia definitiva della Banda della Magliana”, lo ha scritto il giornalista e saggista Pino Nicotri e lo ha pubblicato la casa editrice Baldini-Castoldi-Dalai. A leggerlo si ricevono vari scossoni e qualche shock. Il più forte di tutti è apprendere che la morte di Aldo Moro, lo statista democristiano rapito dalle brigate rosse nel marzo 1978 e ucciso dopo 55 giorni, è stata scientemente voluta da un uomo, Steve Pieczenik, inviato dal Dipartimento di Stato degli Usa, allora guidato dal famoso Henry Kissinger, a presiedere il comitato di crisi che doveva decidere come fronteggiare la strategia impostata dai brigatisti con quel rapimento. Il comitato comprendeva il ministro degli Interni di allora, Francesco Cossiga, i capi dei servizi segreti e alcuni specialisti criminologi che si scorì in seguito essere tutti iscritti alla loggia segreta massonica P2. E’ infatti lo stesso Pieczenik ad averlo dichiarato in più sedi, specificando che Moro stava cedendo, rivelava ai brigatisti troppe cose, scriveva troppe lettere accusatorie contro il mondo politico ad amici, parenti e redazioni di giornali, mettendo così troppo a rischio la stabilità politica dell’Italia quando invece il supremo interesse Usa era la stabilità filo atlantica, cioè filo Usa, dei suoi vari alleati, compreso il nostro Paese.
Pieczenik ha specificato che per spingere i sequestratori a uccidere Moro venne fatto confezionare a bella posta, d’accordo con il futuro presidente della repubblica Cossiga, un falso comunicato brigatista, il N. 7 di quei drammatici 55 giorni, che ne annunciava falsamente l’avvenuta uccisione. Un modo per far capire a chi aveva in mano Moro che non c’era nulla da trattare e che la sua morte era ormai un dato di fatto già accettato dall’opinione pubblica e, soprattutto, dal potere che la manovrava. L’autore del falso comunicato, e di altri depistaggi “brigatisti”, è stato un malavitoso del giorno della banda della Magliana, Antonio “Toni” Chichiarelli. Come si vede, un intreccio da far tremare i polsi.
Un altro scossone lo si riceve apprendendo che il famoso “rapimento” di Emanuela Orlandi, la bella ragazzina sedicenne abitante in Vaticano sparita nel giugno dell’83, non è mai esistito, è stato sempre e solo un “rapimento mediatico”, cioè un messa in scena chiaramente per nascondere una pesante verità che chiama in causa qualche pezzo grosso del Vaticano. E suscita sgomento scoprire che il can can che per esempio porta vanti da anni su tale vicenda il programma televisivo “Chi l’ha visto?” è lastricato di falsi e scoop fasulli, il più vistoso dei quali è il “mistero” della sepoltura di Renato De Pedis, definito a torto un boss della banda della Magliana e un pluriassassino nonostante sia morto incensurato e sia sempre stato assolto dalle varie accuse sempre più pesanti. Il “mistero” era infatti già stato esplorato e archiviato come inesistente dalla magistratura romana ben 10 anni prima che la trasmissione di Federica Sciarelli ci si tuffasse a capofitto. Non a caso Nicotri ha fatto parlare la vedova De Pedis, signora Carla, che per la prima volta prende pubblicamente la parola e dice la sua in una ventina di pagine.
Si resta di sale anche ad apprendere che il famoso generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso dalla mafia il 3 settembre ’82, ha cercato di mettere in piedi una montatura contro il potente uomo politico democristiano Giulio Andreotti, evidentemente perché lo riteneva pericoloso e con legami fin troppo compromettenti, come del resto hanno dimostrato varie inchieste delle quali Nicotri traccia un sunto.
“Cronaca criminale” sembra che parli di fatti del passato, ma da quel passato emergono nomi e modi di operare, quali il faccendiere sempre in pista Flavio Carboni, la loggia segreta P2 progenitrice dell’odierna cosiddetta P3, le scorribande finanziarie della banca IOR del Vaticano e l’uso disinvolto da parte dello stesso Vaticano del suo enorme patrimonio immobiliare romano per “addomesticare” i personaggi che per la Chiesa è utile addomesticare o comunque tenerseli buoni.
A Nicotri è bastato un sopralluogo sul posto dove a suo tempo venne ucciso a revolverate Domenico “Memmo” Balducci, “cravattaro” di spicco nella Roma criminale dell’epoca, per scoprire che la versione dei fatti data dai pentiti è pura fantasia, benché sia stata presa per oro colato da giornali e tv.
Il 20 gennaio 2010 il magistrato del tribunale di Roma Giancarlo Capaldo in un dibattito alla libreria Mondadori ha dichiarato che la Banda della Magliana «è un’invenzione giornalistica» e che «non è mai esistita una organizzazione unitaria della malavita romana», concetto ribadito da vari altri inquirenti. In effetti, Nicotri la chiama spesso “la banda a geometria variabile” o la definisce un mosaico di tessere tra loro diverse, a volte convergenti in un disegno unitario, ma più spesso in lotta tra loro, al punto da sterminarsi a vicenda ponendo fine nei primi anni ’90 a un’epopea nera iniziata nella seconda metà degli anni ’70. Eppure la «bandaccia», come veniva anche chiamata, è stata protagonista di romanzi, film e sceneggiati televisivi di grande successo e suggestione, fino a diventare sinonimo di «cupola» onnicomprensiva della malavita capitolina dalla seconda metà degli anni Settanta alla fine degli anni Ottanta, e a far sospettare, addirittura, che esista ancora.
Ritenuta ricca di agganci compiacenti nelle zone torbide dei servizi segreti, della finanza, della massoneria, del terrorismo e della gerarchia vaticana, fino a essere la loro longa manus negli affari più sporchi, alla Banda della Magliana sono stati addebitati quasi tutti i casi che hanno scandito la burrascosa storia italiana di quegli anni «ruggenti» e sanguinosi: l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli, l’attentato al banchiere Roberto Rosone, la morte del banchiere Roberto Calvi, i depistaggi riguardo il rapimento e l’uccisione dell’onorevole Aldo Moro e la strage della stazione di Bologna, le razzie della banca vaticana IOR, della mafia, della camorra, della ’ndrangheta, della Loggia P2 di Licio Gelli, ecc… I confini tra mito e realtà si sono sempre più assottigliati fino a diventare evanescenti e provocare il coinvolgimento della banda nelle indagini sulla scomparsa della Ma come stanno in realtà le cose? Esisteva la onnitentacolare Banda della Magliana o esisteva invece Roma Caput Criminis? Domande alle quali Pino Nicotri fornisce le risposte.
Nicotri ha il merito di far notare che gli anni dell’epopea della “bandaccia” erano gli anni in cui la sinistra extraparlamentare, nata nel “mitico” ’68 e diventata infine il polivalente e composito Movimento ’77, aveva dato “l’assalto al cielo” impugnando le armi. Sulla sua scia, i borgatari e i sottoproletari romani tenteranno anche loro “l’assalto al cielo” impugnando anch’essi le armi e imboccando la scorciatoia del crimine, dai sequestri a scopo di estorsione al dilagare del commercio delle droghe nell’intera Roma e dintorni. Il fiume di denaro tratto con il monopolio delle droghe ha avuto come effetto anche quello di una strana debolezza dell’azione di prevenzione e repressione del crimine da parte di polizia, carabinieri, ecc. Nicotri fa notare che se non fosse stato per i pentiti, a partire dal primo, Fulvio Lucioli, per finire con l’ultimo, Vittorio Carnovale, e per gli ammazzamenti reciproci, la “bandaccia” avrebbe avuto vita ancora più lunga… La timidezza delle forze dell’ordine non è stata però solo un fatto di corruzione, bensì anche una ben precisa scelta politico strategica: lasciar dilagare la droga tra i giovani, tra i contestatori e i borgatari significava corrompere i movimenti di protesta, diminuendone così le capacità e la forza, grazie anche al vizio dell’eroina, chiamato dal romanziere Burroughs “La scimmia sulla spalla”, che ha seminato morte eliminando così i possibili “caporioni” e “teste calde”. Gli eroinomani dei movimenti di contestazione erano inoltre facilmente ricattabili e quindi utilizzabili come informatori di polizia, carabinieri e servizi segreti. Il “buco” dell’eroina è diventato così un buco nero che ha inghiottito i tutto, vite umane, sogni, programmi e interi gruppi politici.
L’eroina anche a Roma ha seminato morte non solo tra chi lottava contro la vita agra, ma anche tra chi si godeva la dolce vita o tentava comunque di capire quale fosse la propria strada, come per esempio il giornalista di Repubblica Carlo Rivolta e il giovane erede dell’impero Fiat Edoardo Agnelli, figlio del famoso “Avvocato” Gianni Agnelli.
La dedica che Nicotri ha scritto per il suo libro è ad un tempo un omaggio a tutte le vittime della “scimmia” e un terribile schiaffo in faccia all’ipocrisia e alle menzogne del caso Moro e del caso Orlandi, usati entrambi non per cercare la verità, bensì per coprire responsabilità, vendere più copie di giornali e aumentare l’audience televisiva:
“A Carlo Rivolta,
a Edoardo Agnelli
e a tutti gli sconosciuti
con “la scimmia sulla schiena”
che non ce l’hanno fatta.
Ad Aldo Moro
e a Emanuela Orlandi,
traditi e venduti da tutti”.