LA CRESCITA DELLE CRIPTOVALUTE IN AFRICA

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Da qualche tempo i media esaltano la crescita straordinaria delle criptovalute nei Paesi dell’Africa e, in generale, in quelli emergenti e in via di sviluppo. Secondo Chainalysis, la società privata di New York che studia le applicazioni delle nuove tecnologie chiamate blockchain, nel 2020 il mercato delle criptovalute in Africa è cresciuto più del 1200%. Nella top list internazionale dei 20 Paesi, primi per il loro utilizzo, 5 sono africani, la Nigeria, il Kenya, il Togo, il Sudafrica e la Tanzania.

Per l’Africa non si tratta della quota del mercato ma del numero di cittadini coinvolti. Anche il World Economic Forum afferma che nel 2020 il settore sarebbe cresciuto di 105,6 miliardi di dollari nel continente africano.  La cosiddetta blockchain è un insieme di tecnologie informatiche che permettono di creare un registro digitale che memorizza le transazioni di dati tra diverse parti collegate tra loro in modo aperto e protetto. Può avere applicazioni positive e innovative in vari settori. Può essere usata anche in rapporto al cosiddetto “internet del valore”, con il quale, invece delle informazioni, si scambiano dei valori, come le monete.

E qui entrano in gioco le criptovalute, di cui abbiamo parlato in passato. Esse operano globalmente attraverso reti informatiche che mettono in contatto diretto, peer-to-peer, gli utenti e i loro computer. Sono decentralizzate e, quindi, senza la tradizionale gestione centralizzata delle banche e dei governi. Sono già parecchie centinaia. Anche tutte le bigtech, i giganti tecnologi globali, come Amazon, Google, Facebook, la cinese Alibaba, ecc. lavorano per creare le proprie criptomonete, totalmente private e fuori da ogni tipo di controllo governativo e istituzionale. Ve ne sono per transazioni finanziarie di ogni dimensione, come la dash per piccoli acquisti, il litecoin per pagare le bollette, gli abbonamenti, la paxful in particolare per le rimesse e il bitcoin per operazioni più grandi.

Per la popolazione africana, che per il 57% non ha ancora accesso ai servizi bancari, esse sono molto attraenti. Basta avere uno smartphone. In Africa, anche la debolezza delle monete locali, i tassi di cambio volatili, i sistemi politici e bancari instabili, le restrizioni finanziarie, i rischi d’inflazione e la poca fiducia nelle istituzioni nazionali, giocano un ruolo a favore delle criptovalute.

Possono essere usate, e lo sono già, per le rimesse dei migranti.  I costi di transizione sono inferiori a quelli dei centri di money transfer. Il volume di rimesse supererebbe i 50 miliardi di dollari in criptomonete. Per esempio, un terzo degli utenti della paxful si trova in Africa, in particolare in Nigeria, dove se ne contano già un milione e mezzo. Se a livello locale appaiono interessanti, a livello globale le cose sono più complesse. L’andamento altalenante del bitcoin nel 2021 docet!.

Non si tratta di semplice “volatilità” ma di speculazioni forsennate e fuori da ogni controllo. In caso di un loro crollo, si perderebbe tutto. La loro capitalizzazione totale è passata dai 16 miliardi di dollari di 5 anni fa a oltre 2.300 miliardi di oggi. Sono diventate un potenziale “rischio sistemico” e possono provocare degli sconquassi finanziari globali. I governi e le banche centrali del mondo sono giustamente preoccupati per la tenuta del sistema monetario. Sottraendosi a ogni controllo, le criptovalute possono anche essere usate da organizzazioni criminali e terroristiche. Non è un caso che gli hacker abbiano recentemente sottratto informazioni preziose alla Regione Lazio e alla SIAE, chiedendo un riscatto in bitcoin per rilasciare i dati rubati.

Il G7 e la Banca dei regolamenti internazionali di Basilea hanno definito le criptomonete una «crescente minaccia alla politica monetaria, alla stabilità finanziaria e alla concorrenza». Ovviamente, le monete digitali, come l’eNaira della Nigeria o l’euro digitale, non sono da confondere con le criptovalute. Tutti i Paesi del mondo stanno affrontando la digitalizzazione dei pagamenti e dei trasferimenti monetari. Le prime sono gestite dalle autorità governative e dalle banche centrali, le seconde, invece, non avendo alcuna garanzia né controllo, sono delle valute esclusivamente private. Come nel medio evo!

*già sottosegretario all’Economia  **economista

Fondi speculativi all’assalto della sanità americana

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Negli Usa, com’è noto, l’assistenza sanitaria è privata e coperta da polizze assicurative. Da qualche tempo, però, i fondi di private equity stanno comprando pezzi importanti del sistema sanitario americano e anche le reti sanitarie di base. Un fenomeno da tenere sotto la lente, perché “merce di esportazione”. Soprattutto in Europa.  I fondi equity sono poco regolati e puntano al massimo profitto in tempi brevi. Solitamente operano attraverso dei manager che gestiscono capitali di un numero limitato di partner privati e istituzionali. Spesso le loro operazioni di acquisizioni sono fatte attraverso il cosiddetto “leveraged buyout”, cioè mediante lo sfruttamento della capacità d’indebitamento della società acquisita. Il che rende indispensabile un ritorno veloce di dimensioni rilevanti.

La spesa sanitaria negli Usa è una parte notevole del pil. E’ passata dal 5% del 1960 al 18% del 2020. Dovrebbe arrivare al 20% nel 2024. I costi ospedalieri sono cresciuti del 42% nel periodo 2007-2014 e si ritiene che, in futuro, le spese per la sanità assorbiranno il 25-50% del salario della cosiddetta classe media americana. Fino alla legge Affordable Care Act (ACA) del 2010, meglio conosciuta come Obamacare, una parte del sistema sanitario era regolata e sostenuta con fondi pubblici da due strutture, Medicare per gli over 65 e Medicaid, per le famiglie a basso reddito. Pur con i suoi limiti, l’Obamacare ha dimezzato il numero delle famiglie americane ancora senza una copertura assicurativa sanitaria.

All’interno dell’Obamacare era stato introdotto il concetto di Accountable Care Organizations (ACOs)  per rendere la sanità più efficiente e meno costosa per i pazienti. Invece, si è avuto una maggiore concentrazione del settore sanitario con la formazione di veri e propri cartelli di ospedali, di cliniche e di centri diagnostici. Nel 2021 il processo di acquisizioni e di concentrazioni è cresciuto enormemente. Nel secondo trimestre del 2021, rispetto a quello del 2020, gli investimenti per gli acquisti di studi medici sarebbero cresciuti di 10 volte. La società di consulenza Solic Capital Mangement, sostiene che gli investimenti per acquisizioni nella sanità sarebbero stati ben 126,1 miliardi di dollari nel periodo menzionato rispetto ai 12,1 miliardi del 2020. Gli istituti di lunga degenza, gli ospedali e la medicina telematica sarebbero i settori più interessati.

Oggi gli investitori nel sistema sanitario sono principalmente i fondi di private equità e certi enti finanziari specialmente creati per acquisizioni mirate. Il loro “appetito” è cresciuto anche in relazione all’American Family Bill, di circa 3.500 miliardi di dollari, proposta dal  presidente Biden. Ovviamente, tra i fondi equity e le assicurazioni è scoppiata una “guerra” per il controllo del settore sanitario americano.

Secondo un articolo del New York Times del 2019, un’organizzazione di medici, che fortemente si oppose alla proposta di legge per disciplinare il fenomeno delle “fatturazioni a sorpresa”, fatte attraverso la maggiorazione dei costi e la pratica delle prestazioni mediche più costose e, a volte, non indispensabili, aveva avuto un consistente appoggio di due grandi ditte fornitrici dei settori dell’emergenza sanitaria, la Envision, controllata dal fondo equity KKR, e la TeamHealth, controllata dal fondo Blackstone. Vanguard, BlackRock e Bain & Co. sono i fondi equity più attivi nella sanità mondiale con parecchie decine di miliardi di dollari di asset. Oltre ai fondi “leader” americani, vi sono quelli con base a Londra e in Francia, che operano soprattutto in Europa e in Italia.

La privatizzazione della sanità, se non è regolata, può diventare il problema sociale ed economico più serio per le famiglie e per i governi. Lo abbiamo visto durante la pandemia, quando la debolezza delle strutture sanitarie pubbliche, soppiantate da quelle private, e la mancanza di imprese farmaceutiche funzionanti nell’interesse generale, hanno messo i governi e le sanità pubbliche in grande affanno nell’affrontare l’emergenza Covid.

*già sottosegretario all’Economia **economista

Oggi 30 ottobre Lanciano diventa capitale dell’intercultura

Oggi 30 ottobre Lanciano diventa capitale dell’intercultura ospitando due importanti appuntamenti la cui partecipazione è libera e gratuita.

L’associazione Them Romano di Lanciano in collaborazione con la Regione Abruzzo, l’UCRI (Unione delle Comunità Romanès in Italia), l’Anpi di Lanciano, l’ANPI di Lecce, l’associazione Logos Cultura di Pescara, l’ARCI di Pescara, l’Associazione Il Sorriso di Marinella di Pescara, l’ Università della LIBERTÀ “Nicola Perrotti”- Città di Penne (Pescara), la Novagro dell’imprenditore lancianese Francesco Pace e altre associazioni locali promuovono i due importanti appuntamenti lancianesi.
Alle ore 11.00 presso il Parco delle Memorie si terrà l’anniversario dell’inaugurazione in Italia del primo grande monumento al Samudaripen (genocidio) dei rom e sinti alla presenza delle autorità, di studenti ed insegnanti, associazioni e rom e sinti e con la partecipazione del Coro Polifonico di Pescara diretta dal M^ Nicola Russo.
Alle ore 16.30 presso il Teatro Fenaroli si svolgerà la solenne cerimonia di premiazione del 28^ Concorso Artistico Internazionale “Amico Rom” il più importante e longevo concorso al mondo che riguarda la popolazione romanì (rom, sinti, kale, manouches e romanichals).
Il concorso è stato vinto dalla scrittrice Rom Serba Maja Jovanovic, che sarà presente alla premiazione.
Il Premio alla Carriera 2021 andrà alla docente universitaria kali/gitana spagnola Ana Gimenez ed al Parlamentare Macedone Rom Samka Ibraimoski.
Il Premio Eccellenza Romani 2021 è stato conferito al ristoratore laertino Giuseppe Barbetta (Laterza), al chimico e farmacista Moreno Di Rocco (Montesilvano), al pugile campione europeo Michele Di Rocco (Roma) ed al Presidente del Centro di Cultura Rom di Craiova avvocato Romeo Tiberiade (Romania).
Il Premio PHRALIPÉ 2021 (Solidarietà, Fratellanza, Cittadinanza Onoraria Rom) verrà conferito quest’anno al ricercatore del CNR Sandro Turcio (Castellammare di Stabia), al violinista Marco Bartolini (Pesaro), alla presidente dell’ISTORECO Fausta Messa (Sondrio), al musicista e intellettuale Gualtiero Lamagna (Marano di Napoli -NA), alla scrittrice per i diritti umani Maria Angela Zecca (Lecce).

Nel Comitato d’Onore Internazionale figurano tante personalità e tante eccellenze abruzzesi che saranno presenti per la consegna dei premi.
Un evento artistico internazionale imperdibile. Per conoscere, capire e rispettare l’arte, la lingua e la cultura romanì in quanto patrimonio dell’umanità.
Per Info e Contatti:
danieladerentiis@gmail.com
340 6278489

La mania di spezzare le frasi NON è mia (Lo fanno in redazione perché i motori di ricerca privilegiano le frasi corte) https://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/italia-bel-paese-dove-il-no-suona-dante-in-crisi-da-no-vax-e-no-green-pass-che-si-autoproclamano-popolo-3426511/

https://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/italia-bel-paese-dove-il-no-suona-dante-in-crisi-da-no-vax-e-no-green-pass-che-si-autoproclamano-popolo-3426511/

La “trappola” della dipendenza dalle materie prime

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Il rapporto “State of Commodity Dependence 2021” recentemente pubblicato dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (Unctad) evidenzia l’aumento nell’ultimo decennio del numero dei paesi dipendenti dalle materie prime: da 93 paesi nel 2008-2009 a 101 nel 2018-2019. L’Unctad considera un paese dipendente dalle esportazioni di merci quando più del 60% del totale delle sue esportazioni è composto di materie prime e di prodotti agricoli. Più che una condizione, è una vera e propria “trappola”, che blocca la crescita di molte economie.

Il valore nominale delle esportazioni mondiali di materie prime ha raggiunto 4.380 miliardi di dollari nel 2018-2019, con un aumento del 20% rispetto al 2008-2009. La dipendenza rende i paesi più vulnerabili agli shock economici con inevitabili impatti negativi sulle entrate fiscali, sull’indebitamento e sullo sviluppo economico. Infatti, nel 2008-2009 la maggior parte dei paesi, il 95%, che dipendeva dalle materie prime, è rimasta tale nel 2018-2019. Naturalmente, la dipendenza tende a colpire principalmente i paesi in via di sviluppo. Lo sono ben 87 dei 101 emersi nel 2019. In specifico, dei 101 paesi, 38 facevano affidamento sulle esportazioni di prodotti agricoli, 32 sulle esportazioni minerarie e 31 sui combustibili.

La dipendenza è particolarmente forte in Africa. Tre quarti dei paesi africani lo è per oltre il 70% del loro export. In Africa centrale e occidentale essa è mediamente pari al 95%. Anche tutti i 12 paesi del Sud America hanno un livello di dipendenza dalle materie prime superiore al 60% e per tre quarti di essi la quota supera l’80%. Nell’Asia centrale, il Kirghizistan, il Kazakistan, il Tagikistan, l’Uzbekistan e il Turkmenistan, hanno registrato una quota media delle esportazioni di materie prime sul totale dell’export di merci superiore all’85%.

Consapevole di ciò, l’Unctad ha esortato i paesi in via di sviluppo a migliorare le proprie capacità tecnologiche per sfuggire alla “trappola”. Un processo non facile in assenza di sostegni e di trasferimenti di tecnologia. Infatti, l’analisi mostra che i livelli di tecnologia sono molto bassi nei paesi succitati. Il “Technology Development Index”, l’indice di sviluppo tecnologico dei paesi cosiddetti commodity-dependent developing countries,  è mediamente dell’1,55 rispetto al 5,17 dei paesi in via di sviluppo che non dipendono dalle materie prime, come Cina, India, Messico, Turchia e Vietnam.

Il “Frontier Technology Readiness“, relativo all’utilizzo delle nuove tecnologie, dà un punteggio medio dello 0,25 ai paesi dipendenti rispetto allo 0,47 degli altri.

Si tenga presente che l’indice dei prezzi delle materie prime, elaborato dall’Unctad, che, a causa della pandemia, nel periodo gennaio 2020 – aprile 2021 era diminuito del 36%, a luglio ha raddoppiato il suo valore e i prezzi dei prodotti alimentari sono aumentati del 41%. L’indice Fao sul cibo ha già raggiunto i 127,4 punti lo scorso agosto, con un aumento del 3,1% in un mese. Si ricordi che alla vigilia dell’esplosione dei prezzi dei beni alimentari del 2011, che portarono alle rivolte del pane in molti paesi, l’indice era di punti 137,1.

Secondo l’Unctad, la correlazione tra i prezzi delle materie prime e la crescita economica può arrivare al 70%.  Milioni di persone, soprattutto nelle aree rurali dei paesi in via di sviluppo, non hanno ancora accesso a cibo, elettricità, acqua e servizi igienico-sanitari. Si prevede che la domanda di cibo aumenterà del 60%, man mano che la popolazione mondiale si avvicinerà ai 10 miliardi entro il 2050.

La “trappola” delle materie prime, di fatto, è il proseguimento “moderno” del vecchio rapporto colonialistico. Sembra di rileggere “La ricchezza delle nazioni” di Adam Smith, scritta prima del 1776, che, di là delle teorie economiche, come la divisione del lavoro, invitava le colonie inglesi nel Nord America a limitarsi a produrre cotone perché le manifatture e lo sviluppo industriale erano riservati all’Inghilterra.

Si ricordi che quell’imposizione coloniale fu una delle cause principali che portarono alla Rivoluzione americana e alla nascita e all’indipendenza degli Stati Uniti.

*Già sottosegretario all’Economia

**Economista

 

Sull’aumento del prezzo del gas incidono anche futures e speculazione

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

In Italia, non solo tra le forze politiche, si discute dell’aumento delle bollette del gas e dell’elettricità, rispettivamente del 31% e del 40%. E’ un trend inflattivo in atto in tutta Europa e nel resto del mondo. Manca, però, la chiarezza sulle cause dell’aumento. Non basta riferirsi alla ripresa economica globale e dei consumi dopo i lockdown pandemici, alla domanda di energia pulita e al cambiamento climatico. Tutti aspetti veri, ma il classico rapporto tra domanda e offerta, a nostro avviso, non spiega il fenomeno dei prezzi così “inflazionati”. Però, diventano delle giustificazioni per operazioni di carattere finanziario, come i futures sul gas.

Com’è noto, il prezzo del gas naturale e quello dei futures sul gas sono definiti nello stato della Lousiana dal cosiddetto Henry Hub. Dall’inizio dell’anno il prezzo dei futures sul gas contrattati negli Usa è cresciuto di oltre 94%. Cinque volte quelli di due anni fa. Si aggiunga che sul mercato ci sono anche i cosiddetti CFD (contract for difference), strumenti finanziari derivati il cui utilizzo non comporta lo scambio fisico, in questo caso il gas. Bensì si prevede il pagamento in contanti della variazione di valore della materia prima alla scadenza del contratto.

I mercati principali dei futures sui prodotti energetici sono il Chicago Mercantile Exchange e il NYMEX di New York. Come per gli altri futures e, in genere, per i derivati finanziari, i trader possono usare il cosiddetto leverage, la leva, per cui un deposito limitato messo in garanzia permette di sottoscrivere contratti per un valore multiplo. Pertanto, la sola spiegazione oggettiva dell’aumento del prezzo del gas, causato dalla crescita della domanda e dei consumi, non regge. Lo conferma anche lo studio, “The future of liquified natural gas: Opportunities for growth“, pubblicato nel settembre 2020 da McKinsey & Company, la maggiore società internazionale di consulenza strategica. McKinsey ha una sua credibilità. Per esempio, in passato ha elaborato lo studio più accurato sulle infrastrutture a livello globale.

McKinsey sosteneva che l’industria del gas naturale liquefatto (GNL) stava praticando prezzi bassi e un’offerta eccessiva e che, per la pandemia, la domanda di gas nel 2020 sarebbe potuta diminuire dal 4 al 7%. Tanto che gli esportatori di GNL avevano cancellato alcune spedizioni di gas (più di 100 cargo statunitensi sono stati cancellati nel mese di giugno e di luglio 2020), poiché il prezzo spot nei mercati asiatici ed europei non copriva più il costo della fornitura.

In ogni caso, McKinsey spiegava che in futuro lo GNL avrebbe avuto una grande potenzialità in rapporto a cinque aree di intervento: efficienza del capitale, ottimizzazione della catena di approvvigionamento, sviluppo del mercato, de carbonizzazione e digitalizzazione avanzata dei processi. In seguito, McKinsey ha valutato una crescita della domanda globale di gas intorno al 3,4% annuo fino al 2035.Perciò, l’aumento della domanda c’è, ma in dimensioni che non giustificano la sproporzionata crescita del prezzo del gas. Invece, l’aumento dei prezzi dei futures può deformare l’andamento del mercato.

Ovviamente i liberisti facinorosi sostengono che i futures non influenzano l’andamento dei prezzi, poiché si tratta di contratti tra privati, dove se uno perde, l’altro vince. Somma zero. In realtà, i futures e in generale le operazioni speculative in derivati, grazie al leverage, raggiungono numeri altissimi e riescono a influenzare i mercati e determinare i prezzi di una materia prima. Si ricordi il balzo del petrolio fino a oltre 150 dollari al barile nel 2008, alla vigilia della Grande Crisi, per poi crollare. Allora si parlò dei famosi “barili di carta”, perché per ogni barile reale di petrolio, almeno cento barili erano trattati con strumenti speculativi.

Resta ineludibile, quindi, l’approvazione di nuove regole sulle attività finanziarie e speculative. Il G20 non può sottrarsi a questa specifica responsabilità. Se ne faccia carico anche il governo italiano.

*già sottosegretario all’Economia **economista

I palestinesi? Possono aspettare ancora…. Tanto per cambiare. Biden democratico sì, ma fino a un certo punto. E sicuramente un po’ servo.

I palestinesi? Possono aspettare ancora…. Tanto per cambiare.

Biden democratico sì, ma fino a un certo punto. E sicuramente un po’ servo. 

HAARETZ
“Biden ha detto alle Nazioni Unite che i palestinesi possono aspettare, dando spazio a Bennett d’Israele”

https://www.haaretz.com/us-news/.premium.HIGHLIGHT-biden-told-the-un-the-palestinians-can-wait-giving-israel-s-bennett-breathing-space-1.10231607?utm_source=mailchimp&utm_medium=content&utm_campaign=haaretz-news&utm_content=4ff92a51ad&fbclid=IwAR23_NvRSXON6up9peqt7ap2jSNRVI0iAeNh1IFGA0tt7s1-BfaS6DXNp_k

Un piccolo stop alla prepotenza dei cattolici imposta ed ereditata dal fascismo

https://www.repubblica.it/cronaca/2021/09/10/news/cassazione_su_crocifisso_in_aula_il_prof-317225447/?ref=drrt-2

Una prepotenza vergognosa che esiste solo in Italia, eredità velenosa a suo tempo imposta dal fascismo come regalo alla Chiesa che gli aveva venduto la libertà degli italiani in cambio del ricco piatto di lenticchie del Concordato.
Prepotenza da talebani, condannati a parole ma preceduti e imitati non appena possibile.

1) – Jackson Hole: l’oracolo non ha parlato. O meglio… 2) – Incendio del grattacielo di Milano: mozzicone acceso, non bottiglia

Jackson Hole: l’oracolo è confuso

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Jackson Hole: l’oracolo non ha parlato. O meglio, come tutti gli oracoli che si rispettano, è stato volutamente poco chiaro, fumoso, aperto a ogni possibile interpretazione.

Quest’anno, il simposio di economisti internazionali e banchieri centrali, tenutosi il 26 agosto sul tema “La politica macroeconomica in un’economia mondiale ineguale”, si è svolto per la seconda volta a distanza. Ma la vera particolarità è rappresentata dalla partecipazione di relatori soltanto americani. Rivela forse una rinnovata tendenza all’isolazionismo? Dopo quello militare e geopolitico ora anche quello monetario ed economico? In tutti i passati incontri, nella cittadina del Wyoming, la presenza internazionale era sempre stata importante, a volte dominante.

La mancata presenza internazionale sarebbe dovuta a importanti comunicazioni del governatore della Federal Reserve, Jerome Powell, circa l’eventuale riduzione degli acquisti di titoli pubblici da parte della Fed. Il temuto annuncio non c’è stato.

Le parole di Powell sono state queste: “Abbiamo detto che continueremo i nostri acquisti di asset al ritmo attuale fino a quando non vedremo altri progressi sostanziali verso i nostri obiettivi di massima occupazione e di stabilità dei prezzi… La mia opinione è che il test di “nuovo progresso sostanziale” sia stato soddisfacente per quanto riguarda l’inflazione. Ci sono stati anche dei progressi verso la massima occupazione. A luglio sostenni che se l’economia si fosse evoluta come previsto, sarebbe stato opportuno iniziare quest’anno a ridurre il ritmo degli acquisti di asset. Il mese successivo ha portato nuovi progressi per quanto riguarda l’occupazione, ma ha visto anche una maggiore diffusione della variante Delta. Valuteremo attentamente i nuovi dati e i rischi. In ogni caso, anche dopo la fine degli acquisti di asset, le nostre partecipazioni in titoli a più lungo termine continueranno a supportare le condizioni finanziarie accomodanti. I tempi e il ritmo dell’imminente riduzione degli acquisti di attività non intendono essere un segnale diretto per quanto riguarda la tempistica del rialzo dei tassi d’interesse, per i quali è previsto un test diverso e più rigoroso”.

Il problema centrale dell’intero discorso di Powell è stato l’inflazione. Questa è stata la parola più usata, per oltre 70 volte, anche se spesso accompagnata dall’aggettivo “temporanea”.

Nei dodici mesi precedenti allo scorso luglio, i tassi dell’inflazione complessiva e quella dei consumi delle famiglie sono stati rispettivamente del 4,2% e del 3,6%, ben sopra l’obiettivo del 2%.

La spesa per i beni durevoli è aumentata dall’inizio della ripresa e supera di circa il 20% il livello pre-pandemia. In questi settori la domanda supera l’offerta, che è ancora in grande difficoltà per gli effetti dei lockdown. Di conseguenza, i prezzi dei beni durevoli sono il fattore principale che spinge l’inflazione oltre il 2%.

Per supportare la sua analisi di “inflazione temporanea”, Powell ha parlato dell’andamento del mercato delle auto usate, che, dopo una notevole crescita, si sarebbe stabilizzato. Anzi, egli afferma che la discesa dei prezzi in questo settore potrebbe far scendere il livello generale del tasso d’inflazione.

Un’affermazione che ci sembra azzardata e in controtendenza con il riferimento da lui fatto alla mancanza di rifornimenti, come quella dei chip semiconduttori, che sta mettendo in crisi i grandi produttori di automobili. Perciò, si potrebbe avere una diminuzione delle produzioni e dell’offerta di auto nuove, con un inevitabile aumento della domanda e dei prezzi di quelle usate.

I mercati hanno apprezzato che il tasso d’interesse non sia stato toccato e che Powell lo abbia “sganciato” dalle future decisioni riguardanti il cosiddetto tapering, cioè la progressiva riduzione del ritmo di acquisti previsti dal quantitative easing.

Si tenga presente che i bilanci delle maggiori banche centrali ammontano alla stratosferica cifra di 28.000 miliardi di dollari. Un aumento del tasso d’interesse, oltre a modificare gli assetti finanziari internazionali, farebbe crescere automaticamente il costo di mantenere tanto capitale nelle casse delle stesse banche centrali. Un problema che prima o poi si porrà.

*già sottosegretario all’Economia  **economista

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di Pino Nicotri
Leggo con una certa meraviglia che per l’incendio del palazzo di 18 piani di via Antonini a Milano la magistratura indaga “sull’effetto lente” come causa che ha scatenato l’inferno di fiamme e distruzioni conseguenti ( https://milano.repubblica.it/cronaca/2021/09/06/news/incendio_milano_effetto_lente_cause_rogo-316699398/?ref=RHTP-BH-I315657642-P2-S6-T1 ). Secondo questa ipotesi l’effetto lente sarebbe stato prodotto dal riflesso dei raggi solari di una bottiglia che si trovava sul balcone del 15esimo piano, quello da dove è partito l’incendio. Ma si tratta di un’ipotesi francamente assurda. Vediamo perché.

Il vetro delle bottiglie NON può concentrare i raggi solari (né altri raggi non solari) perché le bottiglie sono cilindriche, la loro superficie ha cioè forma convessa e NON concava. Motivo per cui l’effetto lente concentrante è impossibile. Le superfici convesse i raggi li disperdono, il che è il contrario del concentrarli, come invece fanno le superfici concave quali ad esempio i famosi specchi ustori di Archimede (  https://it.wikipedia.org/wiki/Specchio_ustorio  ) o quelli dei telescopi riflettori. Dei telescopi che cioè raccolgono la luce per mezzo di uno specchio concavo, che la riflette concentrata e debitamente trattata verso l’oculare dove poggia l’occhio l’utilizzatore del telescopio stesso, E’ evidente che i raggi solari se anziché venire concentrati vengono dispersi non possano surriscaldare alcunché.

Mi permetterei di suggerire invece un’altra ipotesi, purtroppo non solo più realistica, ma anche più probabile. L’ipotesi cioè del mozzicone di sigaretta o di sigaro buttato giù ancora acceso da uno dei tre piani sopra il 15esimo. Buttato giù e finito nel balcone del 15esimo magari per un colpo di vento o più semplicemente perché chi ha buttato il mozzicone anziché lanciarlo lo ha semplicemente fatto cadere, forse stando appoggiato al muretto del balcone per godersi il panorama o anche solo sporgendo la mano mentre magari se ne stava seduto a parlare con amici o familiari o a sentirsi in santa pace un po’ di musica.

Suggerisco questa ipotesi perché m’è capitato sia a Padova che a Milano e Bari, tutte città dove ho vissuto e passo periodi dell’anno, di dover litigare con gli inquilini del piano di sopra perché, specie d’estate quando cenavano all’aperto in balcone, buttavano giù i mozziconi di sigarette ancora accesi. Loro e i loro ospiti.  Qualche mozzicone cadeva sul mio balcone, col rischio che finisse col dar fuoco alle foglie secche delle mie piante o a fogli di giornale e pezzi di carta vari.

A Padova una vicina di casa particolarmente cafona gettava addirittura i suoi mozziconi di sigarette nel mio balcone sporgendosi appositamente dal suo, separato dal mio solo da una parete di vetro non trasparente.  Una volta la signora non s’è accorta che ero seduto in balcone e l’ho beccata sul fatto. Sono andato a suonare alla sua porta e le ho detto – educatamente – quello che avevo da dirle. E così ha smesso di usare il mio balcone come un portacenere, anzi un portamozziconi accesi.

Gli incendi provocati da mozziconi di sigarette in Europa erano talmente tanti, e uccidevano una media di mille persone l’anno, che la Commissione Europea nel 2011 ha stabilito che nel Vecchio Continente si potessero mettere in commercio esclusivamente sigarette «con ridotta propensione alla combustione , subito ribattezzate dalla stampa firesafe cigarettes, “sigarette antincendio”»  ( https://www.corriere.it/cronache/11_novembre_17/sigarette-anti-incendio_d2fd4dac-1137-11e1-b811-fb0a2ca90bde.shtml ).

Nonostante la decisione dell’Unione Europea gli incendi da sigaretta hanno continuato tranquillamente a fare danni (e non di radi anche a mietere vittime). Tanto che, per esempio, nel dicembre dell’anno scorso i vigili del fuoco di Piacenza hanno reso noto che nei primi 10 mesi dell’anno dei 532 incendi che sono dovuti correre a spegnere il 26% era stato provocato da mozziconi di sigaretta o fiammiferi.  Nell’anno in corso, 2021, il corpo forestale della Sardegna lamenta la pericolosa mania di troppi automobilisti di lanciare dal finestrino mozziconi accesi ( http://www.sardegnaambiente.it/index.php?xsl=612&s=147197&v=2&c=4577&idsito=19  ).

Tornando al disastro milanese di via Antonini è il caso di segnalare due cose:

– è vero che per fortuna nessuno degli inquilini dei 18 piani – e dei negozi a pian terreno – è morto né è rimasto ferito o ha riportato scottature, ma che fine hanno fatto i cani e i gatti rimasti chiusi in casa?

– Tutti i video dell’intervento dei vigili del fuoco mostrano che le autoscale con gli idranti dei pompieri non riuscivano ad andare più su della metà del palazzo. Significa forse che Milano “metropoli europea” e “capitale morale d’Italia” non è adeguatamente dotata di mezzi in grado di spegnere incendi anche  oltre gli ottavi piani? Al comando dei vigili del fuoco assicurano che hanno in dotazione anche mezzi con scale che arrivano a 50 metri di altezza (pari a un palazzo di 15-16 piani). Però spiegano anche che in strada le prese d’acqua con la necessaria pressione per spingere così in alto l’acqua degli idranti non sempre si trovano.