1) – La follia dell’uscita dall’euro e della “svalutazione competitiva”; 2) – Le “sviste” di “Chi l’ha visto?” per mandare avanti l’Emanuela Orlandi Show

1) – La follia dell’uscita dall’euro e della “svalutazione competitiva”

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Dopo i recenti exploit populisti in varie regioni europee, anche le elezioni tedesche di settembre potrebbero riservare qualche brutta sorpresa. Infatti in Germania è sorta una nuova formazione politica che mette al centro l’abbandono dell’euro.

Noi riteniamo che si debba dire con chiarezza e documentare con dovizia che l’uscita dall’euro non rappresenta una soluzione ai problemi ma l’inizio di un incubo i cui effetti potrebbero esser ben peggiori di qualsiasi altro scenario.

Non siamo i cantori delle bellezze del Trattato di Maastricht né della “perfezione geometrica” dell’euro. Sappiamo che è stato fatto male, che c’è molto da migliorare. Ma sarebbe pura follia politica ed economica far saltare il processo di unità europea.

Solitamente l’uscita dall’euro viene giustificata con la riacquisizione della sovranità monetaria nazionale e quindi con la possibilità di battere moneta, di emissione di nuovo debito e di svalutazioni competitive.

Queste ultime sono il cavallo di battaglia degli euroscettici, il che rivela una sostanziale ignoranza dei principi basilari dell’economia.

Essi sostengono che il ritorno alla moneta nazionale potrebbe permettere appunto la sua svalutazione, rendendo i prodotti nazionali più competitivi sui mercati internazionali. L’aumento delle esportazioni diventerebbe così il volano della ripresa delle produzioni, dell’occupazione  e dell’intera economia.

La verità è un’altra. Il ritorno alla moneta nazionale, per qualsiasi paese Eu, Italia inclusa, lascerebbe l’intero ammontare del debito pubblico e privato, in larga parte in mani estere, denominato in euro oppure in dollari. Soltanto i cittadini risparmiatori potrebbero convertire i loro risparmi, a cominciare dai bot, in titoli denominati nella nuova moneta nazionale, ma gli altri titoli di debito resterebbero come prima. Comunque la riconversione completa equivarrebbe ad una dichiarazione di default nazionale.

Sarebbe possibile finanziare il debito esistente e aumentarlo, come si propone, soltanto a tassi di interesse molto più alti di quelli attuali. Si ricordi che, dopo la crisi del 1992 e la svalutazione della lira, gli interessi dei bot a breve arrivarono fino al 17%!.

Tutte le importazioni, a cominciare dal petrolio e dal gas, sono calcolate in dollari o in euro. Per l’Italia sarebbe perciò lo sconquasso finale delle sue finanze. Gli aumenti dei costi di importazione e del finanziamento del debito si tradurrebbero inevitabilmente in una inflazione galoppante con una drammatica perdita di potere d’acquisto.

E’ difficile immaginare come si possano così ampliare le fette di mercato per le proprie esportazioni. In questa logica per diventare competitivi occorrerebbe abbattere i costi che ancora una volta colpirebbe il lavoro. Ciò vorrà dire innescare nuovamente quel vortice recessivo fatto di meno reddito, meno consumo, meno produzione, meno entrate fiscali, meno disponibilità di bilancio.

L’economia italiana, sulla scia di quella tedesca, non può competere nei settori legati alle vecchie tecnologie mentre le economie emergenti operano con salari bassissimi. Invece bisognerebbe puntare sulle nuove tecnologie e determinare il prezzo e il mercato sulla base della loro qualità e della loro innovazione.

L’uscita dall’euro anche del più piccolo Paese innesterebbe una reazione a catena che porterebbe progressivamente al collasso dell’Ue. Si metterebbe in moto un’inevitabile guerra commerciale protezionista. Ci rimetterebbero tutti. Anche la Germania.

Sarebbe una destabilizzazione globale! Purtroppo non è impossibile. La storia europea del secolo scorso ha fatto conoscere “cose” che i popoli non avrebbero mai ritenuto possibili.

Certo la situazione attuale non è tollerabile. Non si può permettere che i cittadini siano portati ad una tale disperazione e povertà da voler preferire l’inferno.

A nostro modesto avviso serve più Europa. L’impegno prioritario del costituendo governo dovrebbe mostrare maggiore decisione nel consesso europeo per rendere più efficaci e solidali le scelte politiche ed economiche dell’Unione.

*Sottosegretario all’Economia del governo Prodi **Economista

———————————–

2) – Per chi vuole tenersi aggiornato sul modo col quale si continua a mentire sul caso di Emanuela Orlandi in modo da suggestionare il pubblico come fossero tutti beoti e favorire l’audience, ecco un altro bell’esempio:

http://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/emanuela-orlandi-chi-lha-visto-flauto-mistero-1538698/

Usa: medaglie restituite per protesta. Italia: “Chi l’ha visto?” insiste con l’Emanuela Orlandi Show

Questa volta vi propongo alcuni link. Il primo, boicottato e mai trasmetto in Italia, mostra un raduno di militari o ex militari Usa che buttano via le medaglie al valore ricevute nelle varie azioni “di pace”. Un’iniziativa che fa piazza pulita di tanta, troppa retorica inganna popolo e soprattutto inganna giovani. Gli altri sono link di miei articoli per Blitz riguardanti il fino ad ora inutile e indecoroso clamore creato da “Chi l’ha visto?”, il programma di Raitre condotto da Federica Sciarelli, sul caso Orlandi con il ritrovamento del “flauto di Emanuela” (?!). Ritrovamento che va ad aggiungersi agli ormai 8 anni 8 di panzane e mitomanie veicolate da tale programma. Sono messi in ordine cronologico e sono interessanti anche i commenti decisamente velenosi di Pietro Orlandi, con annessi fan, contro di me e le mie risposte a tono. Traete voi le conclusioni, se credete.

Questo andazzo avvalorato da “Chi l’ha visto?” ha come unico risultato la diffusione di sfiducia nelle istituzioni e in particolare contro magistratura,  avvalorando le ipotesi più strampalate di complotti che qeasta volta non sono più demoplutosocialmassonici, come diceva il Cavaliere in camicia nera anziché azzurra, ma di altro tipo. Sempre comunque deliranti. Insomma, “Chi l’ha visto?” affianca di fatto Berlusconi nel delegittimare la magistratura e semina qualunquismo a piene mani: il risultato lo si vede anche alle elezioni. Per essere Raitre una rete “de sinistra”  chiarisce bene cos’è oggi la sinistra. Che s’è suicidata definitivamente scegliendo come suo candidato presidente della Repubblica l’ottantenne Franco Marini.

Nel frattempo le bombe alla maratona di Boston si stanno rivelando un prodotto forse locale, di qualche mente malata yankee intossicata dal mito, dalla retorica e dagli sporchi interesse di bottega delle armi o di qualche immigrato rancoroso perché malamente americanizzato. Si griderà ovviamente ad Al Qaeda, come se i suoi fanatici fossero tipi da bombe fatte in casa usando pentole a pressione… Purtroppo a questo mondo non c’è limite non solo all’umana ferocia, me neppure al ridicolo. Vedremo. Intanto s’è rivelata ancora una volta la prontezza degli untori a scatenarsi contro i “terroristi islamici” o simili, avvalorando anche un quantità di vittime assai più grande del reale. Fermo restando che le vittime sono comunque troppe e che purtroppo ce ne sono una dozzina in condizioni critiche. A molti sono stati amputate parte degli arti inferiori. Il demone Usa amante delle armi diffuse a gogò ha già silurato il tentativo di Obama di varare una legge più decente, cioè più restrittiva della vergognosa licenza di acquisto oggi vigente.   L’esplosione di una fabbrica di fertilizzanti chimici del Texas, con annessa strage e devastazione, pare voler sottolineare l’esistenza di tale rovinoso demone.

https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=RDcL4xtQwds#!

http://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/il-flauto-di-emanuela-orlandi-vero-1523501/

http://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/emanuela-orlandi-il-flauto-si-compra-su-1524679/

http://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/emanuela-orlandi-mistero-bidoni-gianluca-1527038/

http://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/emanuela-orlandi-il-flauto-mistero-sospetti-1529283/

http://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/emanuela-orlandi-flauto-yamaha-ramponecazzani-1531113/

Crisi bancarie: si vuole una guerra tra contribuenti e risparmiatori

Crisi bancarie: si vuole una guerra tra contribuenti e risparmiatori

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

La decisione del governo di Cipro, spintonato da una Troika troppo invadente, di tassare tutti i conti correnti oltre i 100.000 euro delle banche cipriote in default, è stato un test premeditato e un pericoloso precedente per l’intera Ue. Lo possiamo affermare con certezza.

La conferma del resto è arrivata dal portavoce di Michel Barnier, il Commissario europeo al mercato interno, che non ha potuto escludere la possibilità che in futuro i depositi oltre quella cifra possano essere utilizzati per operazioni di salvataggio delle banche in crisi.

Anche l’Institute of International Finance di Washington, uno degli enti privati più noti della finanza globale,  ha sostenuto che la “soluzione” cipriota potrebbe diventare un modello per l’intera Europa.

bancarotta, Al riguardo è da sottolineare che dal 10 dicembre 2012 era già in circolazione un documento della Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic) americana e della Bank of England, il  “Resolving Globally Active, Sistemicaly Important Financial Institutions (SIFI)”, che affronta le emergenze relative all’eventuale bancarotta di istituzioni finanziarie di importanza sistemica.

Si afferma che non si intende più utilizzare i soldi pubblici per salvare con dei bail-out le banche in crisi, come finoraFmi, è sempre avvenuto dopo il fallimento della Lehman Brothers.

Il motto è: dal bail-out al bail-in! Con il procedimento del bail-in le perdite dovranno essere sopportate dagli azionisti e dai cosiddetti “unsecured creditors”. Sembra molto razionale: perché devono essere i contribuenti a pagare per le malefatte e per i giochi fatti dai banchieri con i derivati speculativi?

Ma il diavolo, come sempre, si nasconde tra i dettagli. Chi sono questi fantomatici “unsecured creditors”? Di certo i detentori di azioni, obbligazioni e di altri titoli di credito non garantiti. Si salvano invece i crediti vantati dalle pubbliche amministrazioni, dalle Banche Centrali, dalla Bce in Europa e da enti internazionali come il Fmi. Continua a leggere

Aspettando Godot: una banca per lo sviluppo e bond per la crescita

Una banca per lo sviluppo e bond per la crescita

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Per il nuovo governo le priorità sono chiare e non eludibili: crescita economica e occupazione. Del resto questo è stato un mantra da tutti ripetuto nella campagna elettorale. La sfida vera però è nei modi e nei tempi delle scelte.  Le ricette non mancano. Comunque, se necessario, si può trarre ispirazione da qualche recente iniziativa internazionale. Dopo un lungo periodo di paralisi politica, l’inizio del secondo mandato del presidente Barack Obama sembra dare qualche esempio di “good practice”. La Casa Bianca ha appena reso pubblico un programma in tre punti per investimenti nelle infrastrutture.

Il primo prevede un piano finanziario di 50 miliardi di dollari per riparare, rinnovare o ammodernare le infrastrutture nei settori dei trasporti. Sull’intero territorio statunitense ci sarebbero infatti  circa 70.000 ponti che richiedono urgenti interventi di riparazione.

Il secondo punto prevede la creazione in tempi brevi di una Banca Nazionale per le Infrastrutture al fine di raccogliere e mobilitare capitali pubblici e privati e sulla base dei quali emettere obbligazioni per la ricostruzione dell’economia reale.

Il terzo aspetto mira ad una immediata semplificazione delle procedure burocratiche per far sì che i progetti possano realmente partire in tempi brevissimi e così avviare il motore della ripresa e dell’occupazione. Continua a leggere

Iconbox

IconBox with left icon

The theme ships with the Entypo Icon font. Almost all of those Icons can be selected as your IconBox Icon

Checkit!

Lorem ipsum dolor sit amet, consectetuer adipiscing elit.
Aenean commodo ligula eget dolor. Aenean massa. Cum sociis

Green Power

Aenean massa. Cum sociis natoque penatibus et magnis dis parturient montes, nascetur ridiculus mus. Lorem ipsum dolor sit amet

Recycle that

Aenean commodo ligula eget dolor. Aenean massa. Lorem ipsum dolor sit amet, consectetuer adipiscing elit. Cum sociis natoque sadfsadfas

Iconbox with top icon

IconBoxes with top icons are a little less subtle

A new Star

Lorem ipsum dolor sit amet, consectetuer adipiscing elit. Aenean commodo ligula eget dolor. Aenean massa.

Gotta Love it

Aenean massa. Cum sociis natoque penatibus et magnis dis parturient montes, nascetur ridiculus mus. Lorem ipsum dolor sit amet

1) – Cipro: un test per far pagare ai risparmiatori i debiti delle banche in default. 2) – Francesco cala l’asso della povertà evangelica

Cipro: un test per far pagare ai risparmiatori i debiti delle banche in default

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

La vicenda di Cipro è la prova provata dell’incompetenza di Bruxelles e della Troika (Fmi, Commissione europea e Bce) a trattare le crisi finanziarie e bancarie in Europa. Gli euroburocrati hanno potuto mostrare la loro arroganza sostenuti da quei “duri” europei che vogliono il rigore soltanto per poter salvare le banche in default. Il sistema bancario di Cipro, a metà strada tra il legale e l’offshore, è pieno di soldi. Spesso di provenienza non limpida. Secondo il Fondo Monetario Internazionale avrebbe attività per 152 miliardi di euro pari a circa 8 volte il Pil del Paese. I depositi bancari, favoriti da tasse basse e da ancor più bassi controlli, ammonterebbero a 68 miliardi, dei quali il 40% sarebbe in mani russe.

La Cyprus Bank e la Cyprus Popular Bank, le due maggiori banche cipriote, sono in gravi difficoltà per le perdite in miliardi di euro subite sui bond greci. Ovviamente si può anche ipotizzare che il rischio di insolvenza sia dovuto all’accumulo di debiti causati da speculazioni andate male. Il governo cipriota deve far fronte alla crisi di bilancio come tutti i Paesi europei dell’area mediterranea. Servirebbero circa 17 miliardi di euro. Chi paga? Il Meccanismo di Stabilità Europea, cioè il fondo di salvataggio creato ad hoc per simili situazioni? Oppure il governo cipriota che non ha soldi e che non può chiedere prestiti in quanto violerebbero il patto da stabilità europeo? Continua a leggere

Bergoglio, probabile Wojtyla dell’America Latina. In Argentina ha taciuto? Come Pio XII con la Germania e Togliatti e il Pci (Napolitano compreso) con Stalin. L’atroce dilemma Wojtyla-Emanuela Orlandi

Strano. Nessuno, eccetto il mio collega Andrea Tornielli su La Stampa, ha previsto che tra i papabili c’era anche Bergoglio, eppure era stato il cardinale più votato dopo Ratzinger quando questi venne eletto papa. Una svista  che la dice lunga sulle pecche della nostra informazione, che qui incassa il secondo fallimento, il secondo clamoroso “buco” come si dice in gergo, subito dopo la mancata previsione del boom elettorale di Grillo. Per non parlare dei 30 anni di frottole sul caso Orlandi…. Nessuno, ecctto Tornielli, s’è ricordato del suo nome prima e durante il conclave, eppure ora tutti fanno a gara a chi sa di più cosa farà il nuovo papa. S’è gettato a capofitto nella gara anche Eugenio Scalfari: non pago delle fregatura ricevuta alla vigilia di Natale da Mario Monti, della quale si è lamentato alla grande su Repubblica, ora sempre su Repubblica spiega in dettaglio cosa farà papa Bergoglio e perché ha scelto di chiamarsi Francesco (  http://ricerca.gelocal.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/03/15/un-prete-di-strada.html ). Ad alimentare le previsioni di Scalfari c’è la propria soddisfazione per avere scritto il 12 febbraio e il 10 marzo, parlando de “Il rebus che il Colle dovrà sciogliere”,  che se il futuro papa non fosse stato un uomo della Curia avrebbe potuto chiamarsi Giovanni XXIV, in prosecuzione col “papa buono” Roncalli, oppure Francesco. Previsione azzeccata, sia pure a metà. Speriamo ora che le previsioni di venerdì 15 marzo non siano il bis di quelle natalizie su Monti.

Nel mio piccolo, ho l’impressione che Bergoglio sarà il Wojtyla del Centro e Sud America. Wojtyla lo elessero per indebolire e dare la spallata finale all’Unione Sovietica già dissanguata dalla forsennata corsa al riarmo condotta dagli Usa. Bergoglio mi pare lo abbiano eletto per contrastare e sconfiggere la tendenza di alcuni governi sudamericani a recuperare le radici indigene, cioè indie e non europee, e a lanciare la terza via, cioè una sorta di socialdemocrazia o comunque maggiore attenzione al popolo. Terza via perché diversa da quella di Cuba, ma ancor più diversa da quella degli Usa. Metere in pista su vasca scala la socialdemocrazia o una più decisa attenzione alle masse popolari può diventare per gli Usa e per il suo declinante predominio WASP (acronimo di White, Anglo, Saxon, Protestant) più pericoloso di Cuba. Teniamo presente che secondo le ultime proiezioni del Census Bureau negli Usa la popolazione bianca di origine europea  si avvia a perdere il suo primato demografico. Oggi è ispanico – quindi di fatto con componente di origine india – un cittadino su sei, nel 2060 il rapporto diventerà di uno a tre. Ci sono inoltre i filoni evangelici, pentecostali, ecc., che, come fa notare anche il forumista “alberto C.”,  nelle Americhe stanno diventando concorrenti pericolosi. Continua a leggere

Habemus papam! Pare però non sia una bella notizia

http://www.donvitaliano.it/?p=145

Jorge Bergoglio e il suo passato vicino alla dittatura argentina

“Il cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, presidente dei vescovi argentini, nonché tra i più votati, nel 2005, nel conclave Vaticano che ha scelto il successore di Giovanni Paolo II, è accusato di collusione con la dittatura argentina che sterminò novemila persone“.

Inizia così un lungo articolo pubblicato sul sito del prete ‘no global’ Don Vitaliano della Sala, la scheda sul “passato oscuro” di chi, a distanza di 8 anni, è il nuovo papa.

“Le prove del ruolo giocato da Bergoglio a partire dal 24 marzo 1976, sono racchiuse nel libro L’isola del Silenzio. Il ruolo della Chiesa nella dittatura argentina, del giornalista argentino Horacio Verbitsky, che da anni studia e indaga sul periodo più tragico del Paese sudamericano, lavorando sulla ricostruzione degli eventi attraverso ricerche serie e attente”.

“I fatti riferiti da Verbitsky. Nei primi anni Settanta Bergoglio, 36 anni, gesuita, divenne il più giovane Superiore provinciale della Compagnia di Gesù in Argentina. Entrando a capo della congregazione, ereditò molta influenza e molto potere, dato che in quel periodo l’istituzione religiosa ricopriva un ruolo determinante in tutte le comunità ecclesiastiche di base, attive nelle baraccopoli di Buenos Aires. Tutti i sacerdoti gesuiti che operavano nell’area erano sotto le sue dipendenze. Fu così che nel febbraio del ’76, un mese prima del colpo di stato, Bergoglio chiese a due dei gesuiti impegnati nelle comunità di abbandonare il loro lavoro nelle baraccopoli e di andarsene. Erano Orlando Yorio e Francisco Jalics, che si rifiutarono di andarsene. Non se la sentirono di abbandonare tutta quella gente povera che faceva affidamento su di loro”.

Verbitsky racconta come Bergoglio reagì con due provvedimenti immediati. Innanzitutto li escluse dalla Compagnia di Gesù senza nemmeno informarli, poi fece pressioni all’allora arcivescovo di Buenos Aires per toglier loro l’autorizzazione a dir messa. Pochi giorni dopo il golpe, furono rapiti. Secondo quanto sostenuto dai due sacerdoti, quella revoca fu il segnale per i militari, il via libera ad agire: la protezione della Chiesa era ormai venuta meno. E la colpa fu proprio di Bergoglio, accusato di aver segnalato i due padri alla dittatura come sovversivi. Con l’accezione “sovversivo”, nell’Argentina di quegli anni, venivano qualificate persone di ogni ordine e grado: dai professori universitari simpatizzanti del peronismo a chi cantava canzoni di protesta, dalle donne che osavano indossare le minigonne a chi viaggiava armato fino ai denti, fino ad arrivare a chi era impegnato nel sociale ed educava la gente umile a prendere coscienza di diritti e libertà. Dopo sei mesi di sevizie nella famigerata Scuola di meccanica della marina (Esma), i due religiosi furono rilasciati, grazie alle pressioni del Vaticano”.

“Alle accuse dei padri gesuiti di averli traditi e denunciati, il cardinal Bergoglio si difende spiegando che la richiesta di lasciare la baraccopoli era un modo per metterli in guardia di fronte a un imminente pericolo. Un botta e risposta che è andato avanti per anni e che Verbitsky ha sempre riportato fedelmente, fiutando che la verità fosse nel mezzo. Poi la luce: dagli archivi del ministero degli Esteri sono emersi documenti che confermano la versione dei due sacerdoti, mettendo fine a ogni diatriba. In particolare Verbitsky fa riferimento a un episodio specifico: nel 1979 padre Francisco Jalics si era rifugiato in Germania, da dove chiese il rinnovo del passaporto per evitare di rimetter piede nell’Argentina delle torture. Bergoglio si offrì di fare da intermediario, fingendo di perorare la causa del padre: invece l’istanza fu respinta. Nella nota apposta sulla documentazione dal direttore dell’Ufficio del culto cattolico, allora organismo del ministero degli Esteri, c’è scritto: “Questo prete è un sovversivo. Ha avuto problemi con i suoi superiori ed è stato detenuto nell’Esma”. Poi termina dicendo che la fonte di queste informazioni su Jalics è proprio il Superiore provinciale dei gesuiti padre Bergoglio, che raccomanda che non si dia corso all’istanza. E non finisce qui. Un altro documento evidenzia ancora più chiaramente il ruolo di Bergoglio: “Nonostante la buona volontà di padre Bergoglio, la Compagnia Argentina non ha fatto pulizia al suo interno. I gesuiti furbi per qualche tempo sono rimasti in disparte, ma adesso con gran sostegno dall’esterno di certi vescovi terzomondisti hanno cominciato una nuova fase”. È il documento classificato Direzione del culto, raccoglitore 9, schedario B2B, Arcivescovado di Buenos Aires, documento 9. Nel libro di Verbitsky sono pubblicati anche i resoconti dell’incontro fra il giornalista argentino e il cardinale, durante i quali quest’ultimo ha cercato di presentare le prove che ridimensionassero il suo ruolo. “Non ebbi mai modo di etichettarli come guerriglieri o comunisti – affermò l’arcivescovo – tra l’altro perché non ho mai creduto che lo fossero””.

Ad inchiodarlo c’è anche la testimonianza di padre Orlando Yorio, morto nel 2000 in Uruguay e mai ripresosi pienamente dalle torture, dalla terribile esperienza vissuta chiuso nell’Esma. In un’intervista rilasciata a Verbistky nel 1999 racconta il suo arrivo a Roma dopo la partenza dall’Argentina: “Padre Gavigna, segretario generale dei gesuiti, mi aprì gli occhi – raccontò in quell’occasione – Era un colombiano che aveva vissuto in Argentina e mi conosceva bene. Mi riferì che l’ambasciatore argentino presso la Santa Sede lo aveva informato che secondo il governo eravamo stati catturati dalle Forze armate perché i nostri superiori ecclesiastici lo avevano informato che almeno uno di noi era un guerrigliero. Chiesi a Gavigna di mettermelo per iscritto e lo fece”. Nel libro, inoltre, Verbistky spiega come Bergoglio, durante la dittatura militare, abbia svolto attività politica nella Guardia di ferro, un’organizzazione della destra peronista, che ha lo stesso nome di una formazione rumena sviluppatasi fra gli anni Venti e i Trenta del Novecento, legata al nazionalsocialismo. Secondo il giornalista, l’attuale arcivescovo di Buenos Aires, quando ricoprì il ruolo di Provinciale della Compagnia di Gesù, decise che l’Università gestita dai gesuiti fosse collegata a un’associazione privata controllata dalla Guardia di ferro. Controllo che terminò proprio quando Bergoglio fu trasferito di ruolo. “Io non conosco casi moderni di vescovi che abbiano avuto una partecipazione politica così esplicita come è stata quella di Bergoglio”, incalza Verbitsky. “Lui agisce con il tipico stile di un politico. È in relazione costante con il mondo politico, ha persino incontri costanti con ministri del governo”.


Anche Ratzinger indica la minaccia del “capitalismo finanziario sregolato”. La nostra proposte per nna banca per lo sviluppo e bond per la crescita

Mario Ledttieri* Paolo Raimondi**

Gli operatori di pace chiamati a costruire un nuovo modello di sviluppo più solidaleIn relazione alla sorprendente decisione di Papa Benedetto XVI di dimettersi dall’alta carica di capo della Chiesa cattolica, assume una particolare e significativa rilevanza il suo messaggio “Beati i Costruttori di Pace” scritto per la celebrazione della 46. sima Giornata Mondiale delle Pace tenutasi il primo gennaio 2013.

E’ un messaggio assai importante, sicuramente elaborato nella consapevolezza della gravità dei problemi mondiali e della difficile missione universale della Chiesa cattolica. Probabilmente le gravi questioni che tormentano il mondo e le vicissitudini del governo della Chiesa hanno pesato non poco sulla sua decisione.

Nel suo intervento il Papa affronta il tema della crisi economica e del ruolo di “un capitalismo finanziario sregolato” evidenziandone la minaccia per il raggiungimento del bene comune.

Benedetto XVI afferma autorevolmente che “il prevalere di una mentalità egoistica e individualistica e le ideologie del liberismo radicale erodono la funzione sociale dello Stato e delle reti di solidarietà della società civile, nonché dei diritti e dei doveri sociali”. A farne le spese – continua – sono la dignità dell’uomo ed il diritto al lavoro che “viene considerato una variabile dipendente dei meccanismi economici e finanziari”.

Sostiene quindi che “oggi è necessario un nuovo modello di sviluppo” basato su una corretta scala di beni-valori. E’ una esplicita sollecitazione del Papa agli economisti e ai dirigenti politici che intendono essere dei “costruttori di pace” operando anche nel mondo dell’economia.

“E’ fondamentale e imprescindibile la strutturazione etica dei mercati monetari, finanziari e commerciali; essi vanno stabilizzati e maggiormente coordinati e controllati, in modo da non arrecare danno ai più poveri”, così continua il Pontefice. Continua a leggere

Il fallimento della cosiddetta Società Civile. Ma il “Tutti a casa!” vale anche per noi giornalisti

Per essere onesti, bisogna riconoscere ad alta voce che non solo i politici hanno fatto bancarotta nel non prevedere lo sbalorditivo boom di Beppe Grillo, e anzi nel provocarlo con la loro insipienza e corruzione diffusa. C’è anche la cosiddetta “società civile”, quella che pescando tra personaggi famosi e professionisti ritenuti onesti per definizione, da oltre venti anni, per la precisione da quando Nando Dalla Chiesa il 2 dicembre 1985 l’ha fondata come associazione, si è illusa di potere insegnare il mestiere ai partiti e ai politici di mestiere o almeno di raddrizzarne le storture. Lo tsunami Grillo ha chiarito senza possibiltà di equivoci che la “società civile” non è fatta dai professionisti di grido e neppure da vedove e orfani illustri, ma proprio da gente qualunque, quel che si usa definire la “ggente” o anche il “popolo”. La “società civile” cara a Dalla Chiesa e adottata infine come piatto forte anche nel PD da Walter Veltroni a Pierluigi Bersani, che ha voluto candidare l’avvocato e orfano illustre Vittorio Ambrosoli alla guida della Lombardia, si è rivelata solo come un altro  diaframma tra la politica e la società civile senza virgolette liberata infine da Grillo. Dallo stagionato Antonio di Pietro all’esordiente egocentrico Antonio Ingroia è stato tutto un fallimento elettorale. Per fortuna, vorrei aggiungere. Questa pretesa dei pubblici ministeri “eroi” di ripulire l’Italia come novelli Robespierre aveva preso una piega talmente pericolosa che è bene abbia sbattuto contro il duro muro della realtà elettorale stanca di promesse tanto mirabolanti quanto inconcludenti.
E ci siamo anche noi giornalisti, anche questa volta colti drammaticamente di sorpresa. Assolutamente di sorpresa. Come i sondaggisti, del resto. Nessuna delle “grandi firme” dei grandi giornali e delle grandi reti televisive iitaliane, Rai compresa, ha annusato lo tsunami in arrivo. Nessuno quindi è stato capace di fare analisi e descrivere la realtà. Il che significa che la realtà non la conosceva nessuno. Perché? Perché da troppo tempo i grandi giornali e le grandi tv sono la sponda di partiti e interessi politici ed espressione di interessi economici e finanziari ben precisi. Fanno cioè parte di quel mondo verso il quale i grillini gridano “Tutti a casa!”. E infatti ecco che Grillo già da tempo agita la scure del taglio delle provvidenze pubbliche alla stampa esattamente come la scure del taglio dei rimborsi delle spese elettorali ai partiti. Continua a leggere

Chi ha votato in massa Grillo. Ambrosoli troppo disinvolto e pieno di sé.

Ma Beppe Grillo dove ha “rubato” i voti? Premesso che non ha rubato voti a nessuno, per il semplice motivo che il voto è libero e nessuno, neppure Grillo, ha costretto qualcuno a votare in un modo o in un altro, provo a spiegare perché ha portato via voti, e non pochi, sia alla destra che alla cosiddetta sinistra e a quale destra e a quale cosiddetta sinistra.

Alla destra ha portato via voti della politica spettacolo inventata dallo stesso Berlusconi, politica spettacolo che Grillo ha capovolto in spettacolo politica. Il Cavaliere e il suo partito, a prescindere dal nome, hanno saputo lucrare dalla degradazione della politica in spettacolo condotta anche a grandi manciate di “circenses” elargite dalle tv private e dal sostituzione dela figura del leader politico con quella del personaggio di successo comunque accattivante. Politica strada facendo adottata anche da Veltroni nei vari partiti dei quali ha fatto parte infilandoci ogni volta fosse possibile vedove, orfani, familiari di eroi civili che come unico merito hanno quello di essere congiunti di vittime della criminalità organizzata o del terrorismo. L’ultimo acquisto di questo tipo a sinistra è l’avvocato Umberto Ambrosoli, che però, esattamente come Grillo, ha capovolto le procedure: anziché dire lui sì all’offerta del PD ha fatto in modo che fosse il PD a dover dire sì a lui, ma la sostanza non cambia. Politicamente Umberto Ambrosoli, candidato trombato a guidare la Regione Lombardia, non ha storia. Non si può considerare attività politica neppure il suo far parte del comitato antimafia milanese voluto dal sindaco Pisapia e presieduto da Nando Dalla Chiesa, comitato che oltre a dar lustro ai suoi componenti non è ben chiaro a cosa serva in pratica. Continua a leggere

Il dignitoso addio di Ratzinger. Alla vigilia di guerre monetarie?

Meno attaccato di Wojtyla alla poltrona, Ratzinger ha annunciato che il 28 si dimetta da papa perché “non ho più le forze”. Che sia gravemente malato lo si sa da tempo. Lo era anche Wojtyla, che ha invece voluto restare fino all’ultimo, con non lieve danno della Chiesa ad avere un papa ormai ridotto evidentemente a una sorta di cadavere ambulante. Però Ratzinger mostra di avere più dignità. Forse perché è tedesco.

Anche Ratzinger è stato un papa reazionario, più sul piano dottrinale che su quello dell’azione concreta come invece Wojtyla, che ha finanziato anche la reazione militare in Sud America, ha legittimato un boia come Pinochet e ha avuto la faccia di bronzo di dire che “gli indigeni americani erano maturi per aspettare l’arrivo del messaggio di Gesù”, sorvolando sul fatto che sono stati spazzati via a decine di milioni e interi popoli ridotti a strame. Ratzinger è stato reazionario sul piano dottrinale, come ha fatto rilevare il suo ex amici teologo Hans Kueng, ma non si è sporcato le mani come il pastore polacco.

Ratzinger è gravemente malato. Tutto qui. Lo si sa da qualche mese. Solo che in Vaticano sono talmente ottusi da non volerlo dire: altrimenti la gente si accorge che neppure il papa, che si pretende sia il rappresentante di Dio in terra e ne goda quindi particolare protezione, gode di un qualche favore divino.  Succederà come per papa Luciani: per voler far apparire la sua morte meno banale hanno dato la stura alla serie allucinante dei complottardi, che come Yallup e altri ci hanno anche ben lucrato su. Ahhhhh, la brutta mania di turlupinare i semplici con gesta e morti “eroiche”….

Poiché però è meglio non distrarsi dai pericoli che ci sovrastano anche a causa di una classe politica la cui pochezza è bene espressa dalla cialtronaggine e volgarità di questa campagna elettorale,  propongo un altro articolo dei nostri due economisti.

———————–

Alla vigilia di guerre monetarie?

Mario Lettieri*  e Paolo Raimondi**

Il rischio che il mondo precipiti in pericolosi scenari di guerre valutarie diventa sempre più concreto. Ecco perché bisogna continuare ad insistere sulla necessità di un accordo strategico tra i governi e i più importanti attori dell’economia per riformare la finanza ed il sistema monetario internazionale. Secondo noi, una nuova Bretton Woods è sempre più urgente e necessaria. Non siamo dei pessimisti inveterati, ma i segnali di pericolo sono ormai tanti.

Gli Stati Uniti hanno appena deciso di procrastinare al 19 maggio prossimo ogni decisione riguardante l’ammontare del debito pubblico e dei conseguenti tagli al bilancio statale. Nel frattempo si permette all’amministrazione di funzionare sfondando in modo incontrollato il tetto del debito, che è di 14.400 miliardi di dollari.Ciò vuol dire che di fatto c’è una forte immissione di nuova liquidità nel sistema da parte della Federal Reserve. Tale operazione certamente ferma l’immediato default dell’economia americana,  però in seguito si dovrà far fronte alle possibili spirali inflazionistiche.   Continua a leggere