L’ECONOMIA E LA FINANZA SECONDO TRUMP, CHE VUOLE COLPIRE DURAMENTE LA CINA

Economia e finanza: i test chiave dell’amministrazione Trump

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Alla fine, anche se dopo il gran botto, tutti, dagli analisti più blasonati fino al più sprovveduto sondaggista, hanno dovuto riconoscere che Donald Trump ha vinto perché ha affrontato di petto i problemi economici e occupazionali che affliggono la stragrande maggioranza degli americani. Di coloro che lavorano per vivere, di quei cittadini che negli Stati Uniti chiamano la “middle class”. Anche in Italia nessun media aveva capito che questa America non era preoccupata primariamente per l’immigrazione, la politica estera, le guerre o il terrorismo bensì per il proprio livello di vita.

In tutti i suoi discorsi Trump ha ripetuto che “oggi, 92 milioni di americani sono ai margini, fuori dalla forza lavoro, non sono parte della nostra economia. E’ la nazione silenziosa degli americani disoccupati.”. Se molti votanti vi hanno creduto, allora vuol dire che le statistiche ufficiali, che osannavano la grande ripresa con milioni di nuovi posti di lavoro, non riflettevano la verità, la situazione reale.

E’ quindi proprio sul fronte dell’economia che la polemica di Trump contro l’establishment ha fatto presa e ha coagulato il voto di protesta. Adesso si dovrà vedere quanto delle tante promesse fatte in campagna elettorale egli sarà capace di mantenere.

Nel suo discorso della vittoria ha ribadito l’intenzione di voler “investire almeno 1.000 miliardi di dollari nelle infrastrutture”. Prevede investimenti addirittura per 50.000 miliardi di dollari nei settori dell’energia. I tassi di interesse non saranno in futuro così bassi come quelli odierni, ha detto, per cui oggi è il momento migliore anche per fare nuovi debiti per costruire nuovi aeroporti, ponti, autostrade, treni veloci, ecc. E ha aggiunto che intende usare la leva del credito, che lui ama molto, per moltiplicare le disponibilità finanziarie necessarie.

Al riguardo è però opportuno ricordare che ad agosto alcuni banchieri d’assalto avevano già avanzato la proposta di creare proprio una banca per le infrastrutture per mille miliardi di dollari. Come sempre occorrerà vedere chi sarà alla testa di una simile operazione e sulla base di quali principi economici verrebbe realizzata.

Questa politica di investimenti dovrebbe essere parte di una serie di iniziative miranti a creare 25 milioni di nuovi posti di lavoro in 10 anni, mantenendo un tasso di crescita annuo del 3,5%. Per sostenere un tale progetto, Trump ha aggiunto di volere ridurre al 15% la pressione fiscale delle imprese, che attualmente negli Usa è del 35%.

Per passare dai numeri ai fatti la strada si farà difficile e complicata, soprattutto se dovesse pensare che si possano ottenere simili risultati lasciando che i mercati operino da soli, senza alcuna guida o correzione. In questo, il nuovo presidente crede, forse per troppa convinzione ideologica liberista, che una diminuzione delle tasse porti automaticamente a più posti di lavoro. Nei passati anni molti desiderati automatismi economici e monetari si sono rivelati delle pure illusioni sia negli Usa che in Europa.

Trump riconosce che il deficit commerciale annuale americano di 800 miliardi di dollari nei confronti del resto del mondo non è più sostenibile. Vuole rinegoziare gli accordi commerciali con il Messico e il Canada e cancellare quello con i Paesi del Pacifico. Per il neo presidente la Cina è il principale ‘nemico’ economico che manipola, con le svalutazioni, la propria moneta, per cui essa dovrà essere fatta oggetto di sanzioni e dazi. Per Trump si tratta di politiche che penalizzano l’occupazione negli Usa. Al di là di certi slogan protezionistici, sarà certamente una prova molto complessa quella di bilanciare la ripresa occupazionale interna con la stabilità delle relazioni commerciali internazionali.

E’ importante che in campagna elettorale, copiando un intervento del democratico Bernie Sanders, Trump abbia posto al centro del dibattito l’idea di reintrodurre la Glass-Steagall Act per la separazione bancaria. Si tratta della legge voluta nel 1933 da Roosevelt per mettere un freno alla speculazione finanziaria fatta dalle banche con i soldi dei risparmiatori. Purtroppo fu proprio Bill Clinton nel 1998 a cancellarla, aprendo così la strada allo tsunami speculativo fatto di derivati finanziari e di altri titoli tossici che hanno portato alla grande crisi bancaria del 2008 e alla susseguente depressione economica mondiale.

Al riguardo Trump, sempre imitando Sanders, ha denunciato la cosiddetta riforma Dodd-Frank del sistema finanziario americano come “un disastro che penalizza i piccoli imprenditori e i loro tentativi di accedere al credito” . Secondo lui un principio di giustizia più equa vuole che anche Wall Street sia sottoposta a regole stringenti.

Nel campo economico e finanziario di carne al fuoco ne ha messo tantissima. Occorrerà aspettare per vedere. Ma nemmeno troppo a lungo. Si potranno già capire le reali politiche dell’amministrazione Trump quando nominerà i ministri chiave. Se, per esempio, al Tesoro dovesse andare un banchiere, sia esso della Goldman Sachs o della JP Morgan di cui tanto si parla, allora sarà chiaro che alle tante parole e alle tante promesse, difficilmente seguiranno fatti nuovi.

Comunque è troppo presto per avere certezze. Le incognite non sono poche. Abbiamo il dovere di verificare prima di dare giudizi definitivi. Per il momento vi sono le parole. A noi corre l’obbligo di ricordare che tra il dire e il fare molto spesso c’è di mezzo il mare.

*già sottosegretario all’Economia **economista

TRUMP: ALTRA CLAMOROSA SCONFITTA DEL GIORNALISMO FACILONE E DEL MORALISMO UN TANTO AL CHILO DELLA “SINISTRA” (?)

Ha vinto Trump. Il confronto Trump-Clinton è finito come è finito per il solito eccesso di moralismo della sinistra (?), più o meno cosiddetta, e per la faciloneria dei giornalisti oltre che per l’indebito irrompere sul palco di “star” del cinema e della musica che hanno la mania di ergersi a maestri di pensiero. Il messaggio di questa “intellighenzia” è in fin dei conti lo stesso dell’aborrito Trump: solo chi ha successo e quattrini può dire cose sensate e intelligenti, illuminare le tenebre, mentre gli sfigati e gli essere umani comuni – cioè la grandissima parte del mondo, Usa compresi – sono solo zavorra incapace di pensare. Incapace di pensare, ma da attrarre al botteghino, dove la si ritiene invece utile, anzi utilissima: venghino, siòri, venghino…..

Trump NON farà quello che si teme faccia, perlomeno non le cose peggiori, esattamente come Obama NON ha fatto quello che si sperava facesse, perlomeno le cose migliori. Trump non farà quello che ha detto di voler fare, perlomeno le cose peggiori, esattamente come Obama NON ha fatto quello che ha detto di voler fare, per lo meno le cose migliori, a partire da un rapporto migliore con l’Islam.Al quale ha preferitoinvece il solito rapporto “speciale” con Israele – ormai Usraele –  e  con i regimi più infami del mondo arabo, vedi i regimi sauditi e dei vari regnotti del Golfo, tutti wahabiti, cioè il peggio del peggo dell’Islam.

Continueranno a comandare in primis l’apparato militar industriale,  denunciato già da Eisenhower, che pure se ne intendeva, e il sistema finanziario “globalizzato”, compreso quello Sheldon Adelson che finanzia anche Netanyahu ed è l’imperatore dei casinò da Las Vegas a Macao. Continueremo perciò ad avere guerre “locali”, perché gli Usa – e l’Europa – devono vendere le armi che producono e smaltire le vecchie sulla pelle degli esseri umani. I palestinesi saranno ancor più trattati come Untermenschen da affarmare, espellere, lasciar crepare, accoppare, rinchiudere in riserve indiane e ai quali cancellare l’identità con l’ennesimo identicidio perpetrato dall’Occidente nei confronti del resto dl mondo.

Trump o Hilary Clinton, come tutti anche gli Usa cambieranno davvero in meglio solo quando sbatteranno la faccia contro il muro. La propria faccia.
L’elezione della Clinton avrebbe se non altro segnato il buon punto della novità di un presidente Usa donna, che faceva seguito all’incredibile elezione di un presidente nero. Ma sotto questo profilo, gli Usa hanno preferito fare un passo indietro.

Clinton-Trump, la strana coppia che testimonia il declino degli Usa.

Un Paese che vede candidati alla presidenza personaggi come Barry Goldwater ieri, con la sua promessa di usare subito le atomiche in Vietnam, e un gaglioffo come Trump oggi, che tra l’altro vende altre regioni palestinesi a Israele se gli ebrei Usa lo voteranno, può dirsi un Paese civile? Ha titoli per giustificare le sue centinaia di basi militari all’estero?
E non che Hilary Clinton sia molto meglio: qual è il suo programma politico economico di governo?
Un Paese che vede irrompere nella gara per la presidenza i metodi sporchi dell’Fbi può dirsi civile? E può dirsi civile un Paese in cui l’elettorato si beve con entusiasmo tutta la merda dei pettegolezzi reciproci anche a carattere sessuale tirati fuori dai due candidati? I quali si guardano bene dallo specificare quali sono i propri programmi di governo, oltre a quello di compensare Israele sulla pelle dei palestinesi per gli eventuali voti degli ebrei Usa.
Che schifo di campagna elettorale! Che sugella il lento ma inarrestabile declno degli Usa.

1) Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica cooperano con forte sviluppo mentre l’Europa si limita a guardare. 2) La matematica al servizio delle speculazioni globali gigantesche in tempo reale, che nel mondo intero rendono sempre più ricchi pochi e sempre più poveri troppi.

 

Goa: BRICS, alleanza sempre più stretta

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Il summit dei Paesi BRICS a Goa, India, tenutosi il 16 ottobre scorso segna un ulteriore passo avanti verso la creazione di una più stretta alleanza istituzionale tra i suoi membri. E’ indubbiamente la dimostrazione concreta che gli indebolimenti interni ai singoli Paesi e i tentativi esterni di destabilizzazione non hanno avuto gli effetti paralizzanti che certi interessi geopolitici si auguravano.

La Dichiarazione finale del summit afferma che i BRICS rappresentano “una voce influente sullo scenario internazionale capace anche di generare effetti positivi tangibili per i propri popoli”. Essi “contribuiscono grandemente all’economia mondiale e al rafforzamento dell’architettura finanziaria internazionale” anche attraverso i nuovi organismi come la Nuova Banca per lo Sviluppo (NDB) e l’Accordo per la Riserva di Contingenza (CRA) . Ciò dovrebbe agevolare la “transizione verso un ordine internazionale multipolare”.

Tale prospettiva si affianca alla denuncia dei “conflitti geopolitici che hanno contribuito al clima d’incertezza dell’economia globale”, in quanto lo sviluppo e la sicurezza sono strettamente collegati, direttamente proporzionali e determinanti per sostenere una pace duratura.

Al riguardo si ribadisce il sostegno al ruolo centrale dell’ONU come unica organizzazione multilaterale universale capace di lavorare per la pace, la sicurezza, lo sviluppo, la solidarietà e la tutela dei diritti umani. Tale sostegno è una scelta importante, per certi versi stridente con lo stesso silenzio dell’ONU rispetto a situazioni di crisi, come quelle in atto in Siria e in Nord Africa.

Si afferma con forza che “le politiche monetarie da sole non possono condurre ad una crescita bilanciata e sostenibile”. Si sottolinea perciò “l’importanza dell’industrializzazione e di efficaci misure finalizzate allo sviluppo industriale, che sono le fondamenta di una trasformazione strutturale”. In questo contesto l’innovazione tecnologica, si evidenzia, è centrale.

Durante la riunione del BRICS Business Council, formato da 25 importanti industriali, tenutosi il giorno prima del summit, i capi di governo dei BRICS hanno parlato con un linguaggio ancora più chiaro. Il presidente cinese Xi Jinping ha detto che l’economia mondiale langue nel mezzo di una “ripresa incerta e volatile”. E’ perciò necessario, ha aggiunto, che, dopo i successi dei passati dieci anni, i BRICS rafforzino la loro partnership.

A sua volta il primo ministro indiano Narendra Modi ha aggiunto che tale crescente e positivo rapporto tra i Paesi BRICS deve rafforzarsi con la creazione di nuove istituzioni e organizzazioni comuni, tra cui una propria Agenzia di rating, un Centro di ricerche agricole e quello per le infrastrutture e i trasporti ferroviari.

Il presidente russo Vladimir Putin, da parte sua, ha indicato una strategia comune per una nuova linea di cooperazione e di investimenti che colleghi le attività del Business Council con quelle della Nuova Banca di Sviluppo. L’intento è quello di rendere più operativi gli imprenditori privati. Molti dei quali, con l’occasione, hanno partecipato alla grande Fiera Commerciale di New Delhi dove sono stati presentati i nuovi prodotti tecnologici e industriali realizzati nei rispettivi Paesi

Noi pensiamo che nel prossimo futuro il mondo occidentale potrebbe essere sorpreso dai molti nuovi progetti realizzati congiuntamente dai BRICS in vari campi tecnologici.

I capi di governo dei BRICS hanno ribadito gli accordi e gli impegni presi al summit del G20 di Hangzhou in Cina all’inizio di settembre. In particolare hanno rinnovato l’impegno a lavorare con più decisione nel G20 per progetti di importanza globale, come l’Iniziativa per lo sviluppo dell’Africa e la definizione dei una più giusta ed equa governance del Fondo Monetario Internazionale.

Ci sembra che, anche in relazione al ruolo, sempre più incisivo, dei BRICS, l’Unione europea dovrebbe avviare con maggiore convinzione rapporti più stringenti con detti Paesi. Sarebbe il modo più concreto ed efficace di contribuire ad accelerare la ripresa economica globale, la crescita delle regioni in ritardo di sviluppo e, ovviamente, la realizzazione dell’indispensabile stabilità politica internazionale quale presupposto per una pace mondiale duratura.

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Algoritmi: parola magica per meglio speculare

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi **

Recentemente i mercati internazionali, sia delle valute che dei titoli, hanno registrato dei capovolgimenti così grandi da suscitare grandi preoccupazioni sulla tenuta dell’intero sistema bancario e finanziario mondiale. Eppure i governi e le autorità preposte, nonostante le loro indubbie preoccupazioni, hanno cercato di far passare tali eventi come ‘fisiologici per il mercato’.

Invece, così non è.

Venerdì 7 ottobre, nel giro di meno di 3 minuti, la lira sterlina è crollata del 6% per poi recuperare il 5 % in meno di un ora. Dopo aver raggiunto il minimo assoluto degli ultimi 31 anni, a fine giornata la sterlina registrava una perdita dell’1,6%.

Il crollo è avvenuto alle 7 di mattina sul mercato di Singapore, mentre a Londra ancora si dormiva profondamente e la borsa di Wall Street aveva già chiuso le sue operazioni.

E’ stata una pura speculazione, di inaudita pericolosità per l’intero sistema, per niente giustificabile con i possibili effetti della Brexit sull’economia inglese. L’unica spiegazione possibile, ci sembra, è legata al cosiddetto ‘electronic trading’, che avviene quando i computer sono programmati con un algoritmo specifico a fare in automatico operazioni di compravendita ad una velocità straordinaria, oltre ogni immaginabile umana capacità.

Algoritmi e computer basati su istruzioni relative all’andamento di certi scenari, come quello della Brexit.

Si arriva finanche ad impostare tali algoritmi in rapporto al numero e al tipo di informazioni riportate dai media, a volte addirittura dai social media!

L’algoritmo succitato avrebbe ‘letto’ i reportage negativi sulla Brexit come un segnale di vendita della sterlina. Poi, quando la moneta inglese ha cominciato a scendere, altri algoritmi si sono ‘attivati’ nelle stessa direzione.

Purtroppo i mercati internazionali dei cambi sono ancora grandemente non regolati. Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali gli scambi della coppia dollaro-sterlina rappresentano il 9,2% di tutte le contrattazioni nei mercati dei cambi, che mediamente sono di 5,1 trilioni di dollari al giorno.

Negli ultimi tre anni l’‘algorithm trading’ sarebbe aumentato enormemente.  

Si rammenti che qualche giorno prima, il 30 settembre, le azioni della Deutsche Bank avevano perso il 9% in mattinata e avevano guadagnato il 5,7% a fine giornata. Una cosa inaudita, fuori dal normale andamento.

Le nostre critiche alla DB sono note. Qui però si è di fronte ad un colossale attacco speculativo, non facilmente spiegabile. L’anomalo andamento non può essere attribuibile semplicemente alla stratosferica multa comminata dalle autorità americane alla banca tedesca per le sue passate speculazioni con i derivati sui mutui subprime americani. Né la successiva risalita delle sue quotazioni può essere giustificabile con le notizie relative ad una eventuale riduzione della multa in questione.

Chi ha comprato le azioni per salvare la banca dal tracollo? E’ una domanda che sorge spontanea.

Mario Draghi, governatore della Banca Centrale Europea, nel suo recente discorso ai parlamentari tedeschi del Bundestag, ha detto che la sua politica del tasso di interesse zero, nel 2015 ha fatto risparmiare alla Germania ben 28 miliardi di euro. Sulla base di questo dato si può ipotizzare che negli ultimi anni Berlino abbia pagato meno interessi sul suo debito pubblico per almeno 100 miliardi.

La Germania non sembra aver usato tanta ricchezza per sostenere consumi e investimenti in casa propria o nelle regioni europee più deboli e bisognose di un sostegno concreto per il loro rilancio economico.

Molto probabilmente il ‘tesoretto’ tedesco è stato accantonato proprio per il salvataggio delle banche che non sono in buona salute!

I due recenti avvenimenti finanziari menzionati assumono una gravità eccezionale per le dimensioni e i velocissimi tempi delle operazioni. Essi ci dicono che l’intero sistema economico è esposto più di prima a terremoti di altissima magnitudo.

Non sono vicende da lasciare ai mercati o solo alle banche centrali e alle autorità di controllo. Sono questioni squisitamente politiche che, secondo noi, richiedono interventi e decisioni da parte dei governi. Senza indugi, prima che una nuova crisi sistemica bussi alla porta.

*già sottosegretario all’Economia **economista

 

L’INGLORIOSA FINE DELLE MONTATURE SUL MISTERO DELLA SCOMPARSA DI EMANUELA ORLANDI, FONTE DI INFINITE SPECULAZIONI E DI MALOGIORNALISMO SOPRATTUTTO DA PARTE DELLA RAI

Leggendo questi miei quattro articoli avrete una panoramica completa. E vi farete anche un’idea dell’indecenza e del cinismo del film “La verità sta in cielo”, che ha la pretesa di avere risolto il mistero. Ogni articolo contiene inoltre i link che rimandano ad altri articoli e documentazioni varie che vi permetteranno di avere un’informazione sul mistero Orlandi e dintorni abbastanza esaustiva.

 

http://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/ecco-la-voce-del-rapitore-di-emanuela-orlandi-reperto-del-1983-chiaramente-un-falso-2570160/
http://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/emanuela-orlandi-flop-del-film-verita-smentite-2569228/

http://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/bruno-vespa-smonta-il-caso-emanuela-orlandi-scemenze-i-sospetti-del-film-di-faenza-2562295/

http://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/emanuela-orlandi-al-cinema-150-spettatori-a-milano-alla-anteprima-su-180-posti-2560737/

1) Le banche sono sempre senza regole 2) Coinvolgere i capitali privati nella ricostruzione post terremoto 3) Russia e Giappone lavorano assieme: e l’Europa? 4) Le chiacchiere della FED 5) Il sistema bancario è sempre in bilico

Banche: multe miliardarie ma mancano le regole
Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

La recente richiesta del Dipartimento di Giustizia americano alla Deutsche Bank di pagare una multa di 14 miliardi di dollari per chiudere il contenzioso negli Usa sulla ‘frode’ dei mutui subprime, e dei relativi derivati finanziari, ha una rilevanza che va ben oltre la cifra stessa.
Nel frattempo, sempre sulla stessa questione, quasi tutte le banche internazionali too big to fail sono state chiamate a pagare altrettante multe miliardarie: nel 2013 la JP Morgan per 13 miliardi di dollari, nel 2014 la Citi Bank per 7 miliardi e la Bank of America per circa 17 miliardi, e poi la Goldman Sachs per 5,1 miliardi, la Morgan Stanley per 3,2 miliardi…
Sono cifre importanti che pongono una serie di domande pressanti e inquietanti. Quanto hanno incassato le banche negli anni della ‘bonanza’, se sono disposte a pagare decine di miliardi? Si può presumere che abbiano incassato centinaia di miliardi, ingigantendo a dismisura i loro bilanci tanto da superare persino quelli di molti Stati. Non solo dei più piccoli o meno industrializzati.
Inoltre, il danno prodotto all’intero sistema economico e finanziario globale è stato devastante. Si stanno ancora pagando gli effetti della recessione che ne è derivata. E’ ormai convinzione diffusa che sia stata proprio la grande speculazione sui mutui sub prime e sui derivati connessi a scatenare la più grande crisi finanziaria della storia.
Con spregiudicatezza e arroganza le grandi banche hanno giocato forte ai ‘casinò della speculazione’ usando ‘fiches’ non di loro proprietà, ma quelle dei risparmiatori, delle imprese e persino dei governi. E dopo il disastro hanno chiesto di essere salvate dalla bancarotta con i soldi pubblici!
Quanto ci sono costate la speculazione e la crisi? E’ molto complicato cercare di quantificarne i danni e le perdite che hanno prodotto alle economie e alle popolazioni di tutti i Paesi colpiti. Sono sicuramente immensi, tanto quanto le responsabilità dei principali attori.
Se si tratta di frodi conclamate, come è possibile che, con il semplice pagamento di una multa, i responsabili vengano sollevati da qualsiasi condanna civile e penale? Perché non vi è mai una responsabilità anche personale dei manager implicati? D’altra parte le multe sono di fatto pagate dai correntisti e dai clienti delle banche in questione.
Tutto ciò fa sì che i cittadini perdano ulteriormente fiducia nella giustizia percependo, come nelle società prima delle repubbliche sovrane, l’esistenza di due o più mondi: uno per i semplici mortali sottoposti e spesso tartassati da una miriade di leggi e l’atro, quello degli ‘dei dell’Olimpo’, dove si fanno regole e leggi su misura.
La questione più importante ovviamente riguarda la riforma del sistema bancario. La propensione ad un rischio incontrollato e illimitato è stata la molla della degenerazione dell’intero sistema. Le domande fondamentali, quindi, non riguardano solo il passato, ma soprattutto il presente e il futuro. Sono stati solo comportamenti sbagliati? Sono state introdotte nuove regole più virtuose? Sono stati messi a punto controlli opportuni? Purtroppo non ci sembra che si possano dare risposte incoraggianti a tali semplici domande.
Anche l’Unione bancaria europea non sembra andare a fondo nella questione. Garantire maggiori capitali e riserve per far fronte ad eventuali nuove crisi è giusto, ma non affronta la questione alla radice.
Fintanto che non si decide di introdurre una netta separazione bancaria, come quella della Glass-Steagall Act negli Usa dopo la crisi del ’29, che distingua le banche commerciali da quelle di investimento, proibendo alle prime di operare sui mercati speculativi, e fino a quando non si stabiliscono limiti ferrei ai derivati finanziari, le grandi banche too big to fail, purtroppo, si sentiranno autorizzate ad operare come sempre, business as usual.
Tutto ciò non depone bene anche per le grandi manovre bancarie che riguardano il nostro Paese, non solo il Monte Paschi di Siena ma anche la Banca Popolare di Vicenza, la Veneto Banca, la Banca Etruria, ecc.
In Italia purtroppo non si fa mai tesoro delle esperienze del passato. Si ha memoria corta. Eppure solo qualche decennio fa si verificarono i dissesti del Banco di Sicilia e del Banco di Napoli. E agli inizi del 2000 vi furono le vicende della Parmalat, dei bond argentini, della Banca 121. Nonostante il puntuale documento finale della Commissione di Indagine parlamentare, nessuno ne ha tenuto conto: né la Banca d’Italia, né la Consob, né i governi.
*già sottosegretario all’Economia **economista

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Come coinvolgere anche capitali privati nella ricostruzione e messa in sicurezza del territorio
Bond per la messa in sicurezza del territorio
Mario Lettieri* Paolo Raimondi**

Le devastazioni e la perdita di tante vite umane, a causa dei disastri che ripetutamente colpiscono il territorio del nostro Paese, naturalmente provocano emozioni forti, suscitano diffusa solidarietà e spingono gli stessi governanti ad assumere impegni. Ciò è quanto è accaduto anche a seguito del recente terremoto.
In verità la messa in sicurezza anti sismica è un problema antico che riguarda la gran parte del territorio italiano. La semplice ricostruzione delle aree colpite e la ristrutturazione anti sismica in tutto il territorio nazionale interesserebbero non meno di 12 milioni di unità abitative con investimenti prevedibili di circa 100 miliardi di euro.
Se si aggiungesse anche l’improcrastinabile intervento di stabilità idrogeologica dell’intero Paese, allo scopo di evitare le continue e devastanti alluvioni, frane e altri deterioramenti del territorio, bisognerebbe aggiungere almeno altri 40-50 miliardi di investimenti.
Indubbiamente si tratta di cifre molto importanti. Soprattutto se si considerano anche i costi delle perdite di vite umane e delle distruzioni di proprietà e di ricchezze provocate dai vari cataclismi.
Secondo l’ufficio studi della Camera dei Deputati in 48 anni sarebbero stati spesi circa 121 miliardi di euro per ricostruire ciò che i terremoti hanno distrutto!
Ovviamente il ruolo dello Stato, anche in questi casi, è insostituibile. Non c’è libero mercato che tenga. E’ compito dello Stato garantire la sicurezza ai propri cittadini. Perciò è sacrosanto, come fa il nostro presidente del Consiglio dei ministri, chiedere che gli investimenti per la ricostruzione e per la messa in sicurezza del territorio siano posti fuori dai ristretti parametri del Trattato di Maastricht.
La dimensione degli investimenti richiesti non potrebbe essere soddisfatta da una semplice flessibilità di bilancio!
Lo Stato, secondo noi, potrebbe emettere specifiche “obbligazioni per la ricostruzione” al fine di creare liquidità da destinare esclusivamente alla realizzazione del programma di investimenti. Potrebbe essere la Cassa Deposti e Prestiti a farsene carico, al fine di non farli rientrare nell’alveo del debito pubblico. Del resto la stessa Germania usa in tale senso la sua Kreditanstalt fuer Wiederaufbau, la gigantesca banca di sviluppo tedesca che, con attivi per oltre 500 miliardi di euro, è da sempre considerata fuori dal bilancio statale. La KFW è stata il motore della ricostruzione e dello sviluppo dell’economia tedesca.
Tale scelta non potrebbe che essere condivisa perché, come noto, il debito sarebbe strettamente legato a politiche di sviluppo che creano non solo unità abitative sicure ma anche produzione, occupazione, aumento della produttività e maggiori introiti fiscali. Così lo stesso debito iniziale verrebbe in parte ripagato e creerebbe allo stesso tempo nuova ricchezza.
Ai sottoscrittori delle obbligazioni si potrebbe estendere la garanzia dello Stato fino al valore di 100.00 euro, così come avviene per i conti correnti bancari. Sarebbe una forma di forte incentivazione.
Importante che detti titoli siano di lungo termine, almeno 10 anni, con capitale nominale garantito, ad un tasso di interesse basso ma comunque superiore al tasso zero di oggi.
Un secondo strumento per sostenere i menzionati investimenti potrebbe essere simile a certi contratti di assicurazione sulle vita. Il risparmiatore verserebbe un capitale, ad un tasso di interesse stabilito, mantenendolo bloccato per un certo numero di anni. Alla scadenza avrebbe diritto alla restituzione del capitale investito più gli interessi maturati, oppure ad una rendita commisurata. In questo caso non si avrebbe alcuna emissione di obbligazioni ma si tratterebbe di “assicurazioni sulla stabilità del territorio”. Anche questo strumento potrebbe essere gestito dalla stessa CDP.
Per incentivare tali “polizze assicurative”, lo Stato potrebbe anche qui offrire una garanzia fino a 100.000 euro e altri eventuali incentivi.
Purtroppo i governi preferiscono creare un debito anonimo, e non mirato a settori specifici di intervento, perché in questo modo possono gestirlo come meglio credono, anche per coprire altri buchi di bilancio. Ma il disegno che dovrebbe stare alla base delle messa in sicurezza dell’intero territorio rappresenta una grande sfida ma anche l’opportunità di indirizzare e programmare l’economia in un modo differente dal passato, compatibile con la difesa della natura e dell’ambiente.
Naturalmente i controlli di qualità, di trasparenza e di rispetto delle regole sono fondamentali per la riuscita del progetto. Così come è indispensabile il coinvolgimento delle popolazioni interessate.
*già sottosegretario all’Economia **economista

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A Vladivostok Russia e Giappone lavorano insieme. E l’Europa?
Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Non deve sorprendere se la dichiarazione finale del recente summit del G20 tenutosi a Hangzhou in Cina è la solita retorica piena di belle parole e buone intenzioni. Come al solito sono gli Usa, anche con il sostegno non sempre entusiasta dell’Ue e dei Paesi europei, a dettarne il contenuto.
Ciò stride non poco con gli interventi propositivi e concreti di alcuni altri attori, non ultimi la Cina, la Russia e il Giappone.
Il presidente cinese Xi Jinping, alle mere enunciazioni, ha contrapposto i grandi progetti in corso di realizzazione, i corridoi di sviluppo infrastrutturale della Silk Road Economic Belt, che collegheranno l’Oceano Pacifico a quello Atlantico e all’Europa, e quelli della 21st Century Maritime Silk Road,la strada marittima che collegherà la Cina all’India e oltre. E’ importante rilevare che in merito l’Asian Infrastructure Investment Bank è già molto attiva con le sue grandi linee di credito.
Nelle sue parole Xi ha legato la realizzazione di questi grandi progetti e la costruzione di numerose zone di libero scambio sul territorio cinese con l’intenzione di rendere il renminbi una forte moneta internazionale nel quadro di un necessario miglioramento della governance economica globale .
Presentando il programma “Blueprint on Innovative Growth” ha delineato con chiarezza i settori prioritari del nuovo sviluppo globale, tra cui “l’innovazione, una nuova rivoluzione scientifica e tecnologica, la trasformazione industriale, l’economia digitale e l’interconnessione delle reti infrastrutturali”.
Per chiarire lo stato reale dell’economia produttiva cinese egli ha ricordato che, nel primo semestre dell’anno, essa è cresciuta del 6,7%.
La pochezza e la scarsa portata del summit balzano con nettezza se si considerano i risultati del Forum Economico di Vladivostok tenutosi il giorno prima tra il presidente Putin, il primo ministro giapponese Shinzo Abe, il presidente della Corea del Sud, la signora Park Geun-hye e l’ex pm australiano Kevin Rudd.
Putin ha presentato il suo programma più ambizioso, quello di trasformare il Far East nel centro dello sviluppo sociale ed economico della Russia. Tra i progetti illustrati ci sono la realizzazione congiunta di un “super ring” di infrastrutture energetiche che metterà in relazione Russia, Cina, Corea e Giappone, la costruzione di infrastrutture di trasporto trans-euroasiatiche e regionali, quali i corridoi Primorye 1 e 2 che collegheranno le regioni cinesi del nord e i porti russi, nonché la costruzione della sezione russa della nuova Via della Seta che dovrebbe collegare la Cina all’Europa. Putin ha lanciato ai suoi interlocutori l’idea di realizzare un polo internazionale per le scienze, l’istruzione e le tecnologie sull’isola di Russky di fronte al porto di Vladivostok dove si prevede anche una grande zona di libero scambio.
Sono progetti concreti di indubbia rilevanza che sollecitano ulteriori coinvolgimenti, anche europei, per accelerare la ripresa della crescita globale.
Per simili grandi lavori la Russia ha già creato un Far East Development Fund che concederà prestiti al tasso di interesse del 5%, meno della metà del tasso di sconto della Banca centrale russa. Certamente è importante l’accordo siglato con la grande Japan Bank for International Cooperation per finanziare i progetti relativi al porto di Vladivostok che vedono la partecipazione di imprese giapponesi.
Tra le altre iniziative concrete c’è il fondo di sviluppo russo-cinese per investimenti nel settore agroalimentare.
L’importanza delle joint venture russo-coreane, in particolare quelle negli investimenti di Vladivostok, è stata sottolineata dalla presidente coreana, signora Park, anche in vista dell’apertura del passaggio artico della Northen Sea Route. Ha ricordato inoltre che la politica di isolamento è fondamentalmente sbagliata. Lo dimostrano le esperienze del passato come quella della Grande Depressione quando l’aumento dei dazi da parte di molti Paesi provocò una riduzione del 40% del commercio in 4 anni.
Dal resoconto del Forum emerge tuttavia che l’intervento politico più pregante sembra quello pronunciato da Shinzo Abe che ha detto: “Trasformiamo Vladivostok nella porta che unisce l’Eurasia con il Pacifico”. In verità i rapporti e le joint venture tra i due Paesi si sono fortemente consolidati tanto che il governo giapponese ha creato uno specifico Ministero per la cooperazione economica russo- giapponese.
Al Forum di Vladivostok l’Unione europea e i Paesi europei erano totalmente assenti, evidenziando ancora una volta, come sottolineato anche da Romano Prodi, “il momento più basso del cammino dell’Europa verso il processo di armonizzazione tra gli Stati”.
Il Giappone invece sta dando una grande lezione di politica, non solo economica. Certo, sotto la pressione americana aderì alle sanzioni contro la Russia, ma ora Tokyo si muove in modo del tutto indipendente.
Il continente euroasiatico è per metà europeo, come evidenzia il nome. E’ lecito chiedere quando l’Europa si emanciperà e assumerà il ruolo che dovrebbe naturalmente avere rispetto ai nuovi scenari economici e geopolitici che si stanno profilando?
*già sottosegretario all’Economia ** economista

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La Fed continua con le politiche monetariste del Qe
Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

L’oracolo di Jackson Hole ha parlato per bocca del governatore della Federal Reserve, la signora Janet Yellen. Ma come sempre, dai tempi di Delfi in poi, non è stato molto chiaro. Sì, forse, ma anche no, sulla possibilità di un piccolo ritocco, un rialzo del tasso di sconto da parte della banca centrale americana.
Organizzato come ogni anno alla fine di agosto dalla Fed di Kansas City, il convegno di banchieri ed esperti internazionali era spasmodicamente atteso da tutti gli operatori finanziari del mondo. Conoscere le future intenzioni monetarie americane, come noto, è da sempre un fatto cruciale per i mercati per poi prendere le decisioni sulle grandi operazioni finanziare. Naturalmente anche quelle speculative.
Nella sua analisi, Janet Yellen ha riconosciuto che la persistente debolezza nella ripresa degli investimenti, la bassa produttività e la troppo alta propensione al risparmio frenano l’economia, nonostante l’aumento dell’occupazione registrato anche negli ultimi tre mesi negli Usa.
I differenti e molteplici indicatori economici non permettono, quindi, di affermare con chiarezza se ci sia l’intenzione di aumentare il tasso di interesse, come in precedenza ventilato anche nei documenti ufficiali del Federal Open Market Committee della Fed.
La lettura delle proiezioni e degli scenari elaborati dalla stessa banca centrale indicherebbe un 70% di probabilità che esso possa variare tra lo 0 ed il 4,5% entro la fine del 2018! E’ una vaghissima stima che non giustifica affatto l’aver scomodato centinaia di importanti esperti. La ragione di tale vaghezza sarebbe ovviamente da ricercare nell’andamento dell’economia che spesso è colpita da rivolgimenti imprevedibili. Perciò “quando avvengono forti choc e l’andamento economico cambia, la politica monetaria deve adeguarsi”, ha affermato la Yellen.
Si spera che non sia questo il suo vero oracolo.
Leggendo con più attenzione il suo discorso vi è comunque un messaggio molto chiaro: continuare senza limiti di tempo la politica monetaria accomodante del Quantitative easing.
In merito si consideri che, secondo una ricerca della Bank of America, il totale delle politiche di Qe condotte dalle banche centrali a livello mondiale ammonterebbe a 25 trilioni di dollari.
Sul piano concreto la Fed ha anzitutto deciso di mantenere i titoli, compresi quelli più complessi e quindi potenzialmente pericolosi come gli abs, che ha acquistato negli anni passati, liberando così le banche dai loro titoli rischiosi e fornendo maggiore liquidità all’intero sistema bancario.
In questo contesto la Yellen riconosce che il bilancio della Fed è passato da meno di un trilione a circa 5 trilioni di dollari e ritiene pertanto che una sua riduzione potrebbe avere delle conseguenze imprevedibili sull’economia.
E’ evidente che per il governatore americano la politica di acquisto di titoli e di “guidance” resterà una componente essenziale della strategia complessiva della Fed. Per “guidance” si intende anche l’annuncio che il tasso di interesse potrebbe restare vicino allo zero per un lungo periodo di tempo. Più che di economia monetaria trattasi di una politica della comunicazione!
Ma l’annuncio più importante è quello di voler prendere in considerazione l’utilizzo anche di nuovi strumenti d intervento monetario, tra cui quello di allargare il raggio di acquisto di titoli e di altri asset finanziari. Ciò inevitabilmente potrebbe voler dire l’acquisto di titoli e derivati ancora a più alto rischio. Si considererà anche la possibilità di alzare il target del tasso di inflazione dal 2 al 3%, allungando così i tempi di applicazione del Qe. Allo stato non ci sembra una prospettiva rosea.
Tuttavia la Yellen deve ammettere che una prolungata politica del tasso di interesse zero potrebbe incoraggiare le banche e gli altri operatori finanziari a intraprendere operazioni eccessivamente rischiose.
Si calcola che il Qe ha determinato che titoli per circa 11 trilioni di dollari oggi siano a tasso zero o negativo. Trattasi di circa il 20% del debito sovrano mondiale! Un terzo di tutti i titoli di debito pubblico globale emessi nel 2016 sono stati ad un tasso negativo.
E’ chiaro che la continuazione delle politiche monetarie accomodanti riflettono “la paura che siamo di fronte ad un prolungato periodo di stagnazione economica secolare”, come ha ammesso persino Stanley Fisher, il vice presidente della Fed.
E’ evidente, quindi, che il tasso di interesse zero non sempre si rivela efficace nel sostegno alla ripresa e alla crescita.
Per questa ragione, senza iattanza, da sempre noi ribadiamo la necessità che i governi non lascino alla politica monetaria e alle banche centrali il compito di rimettere in moto l’economia, ma se ne assumano essi la piena responsabilità decisionale. Servono politiche di investimento di partenariato pubblico privato nei campi delle infrastrutture, delle nuove tecnologie. In Italia anche nel campo della messa in sicurezza del territorio sempre più minacciato da inondazioni, frane, dissesti idrogeologici e terremoti, come dimostrano i drammatici recenti disastri di Amatrice e della vasta area laziale-marchigiana-umbra.
*già sottosegretario all’Economia **economista

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Continue difficoltà del sistema bancario internazionale, nonostante la pausa estiva.
Il sistema bancario sempre in bilico
Mario Lettieri* e Paolo Raimondi **

Dopo le grandi agitazioni nel mondo bancario internazionale provocate dagli stress test, le vacanze estive sembra abbiano creato un’ovattata atmosfera di apparente tranquillità. Ma, osservando con più attenzione i processi finanziari in corso, l’emergenza resta sempre dietro l’angolo.
Non solo per quanto riguarda il futuro della MPS, della Veneto Banca e di altre banche in Italia.
Negli Usa, per esempio, la componente repubblicana del Comitato per i Servizi Finanziari della Camera dei Deputati ha recentemente presentato un dossier sul coinvolgimento della grande banca inglese, la Hong Kong Shanghai Bank Corporation (HSBC), nel riciclaggio dei soldi provenienti dal traffico di droga operato dal cartello messicano di Sinaloa e da quello colombiano del Norte del Valle.
Sono stati documentati ben 881 milioni di dollari “lavati” dai narcotrafficanti nel sistema bancario americano. Quella emersa e documentata dalle indagini in realtà è solo una piccola parte dell’enorme business che si è sviluppato, in modo incontrastato, per anni.
Durante le indagini, iniziate nel 2013, la HSBC aveva ammesso il crimine e accettato di pagare una multa di circa 2 miliardi di dollari.
Il rapporto accusa in particolare il Dipartimento di Giustizia americano di avere bloccato il processo contro la banca, anche su pressione della Financial Services Authority, l’equivalente inglese della Consob, in quanto “ esso avrebbe potuto avere serie conseguenze per il sistema finanziario”.
E’ un’accusa molto forte che la dice lunga sull’opacità di certe operazioni fatte da importanti attori del sistema bancario americano e inglese. Soprattutto sulla capacità delle ‘too big to fail’ di influenzare le decisioni delle istituzioni finanziarie di controllo e addirittura di quelle dei governi. L’opacità naturalmente si estende anche a molte altre operazioni finanziarie e ai bilanci delle banche che spesso non riflettono il loro vero stato di salute. Nonostante gli stress test.
Anche in Europa sono in corso alcune complesse operazioni bancarie, in particolare in Germania. All’inizio di agosto l’indice borsistico europeo Stoxx Europe 50 ha rimosso dal suo listino la Deutsche Bank e il Credit Suisse per evitare che il livello dell’indice fosse influenzato negativamente dalle continue perdite di valore delle azioni delle suddette banche.
Attraverso le pagine del quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, Martin Hellwig, un importante economista dell’istituto tedesco di ricerca Max Planck, ha addirittura ventilato l’ipotesi della necessità di una nazionalizzazione della Deutsche Bank che si troverebbe in “una crisi peggiore di quella del 2008”. Il bail in, con la partecipazione di azionisti e obbligazionisti nella copertura delle perdite della banca, non sarebbe sufficiente a salvarla.
Da parte sua il Fmi ha recentemente dichiarato che la DB “presenta grandi rischi ” per l’intero sistema bancario. Infatti essa sarebbe grandemente indebitata e pericolosamente sotto capitalizzata.
La DB è anche in continuo conflitto con l’agenzia americana Commodity Futures Trading Commission (CFTC), che controlla il mercato dei derivati, in quanto non esporrebbe in modo chiaro la vera situazione delle sue operazioni in derivati finanziari otc, “compromettendo la capacità di valutare i potenziali rischi sistemici del mercato dei derivati”.
Da ultimo anche la Banca del Regolamenti Internazionali e l’International Organization of Securities Commissions (IOSCO), che coordina gli enti di vigilanza dei mercati finanziari a livello mondiale, affermano che persino le Central Counterparty Clearing (CCP), cioè le “casse di compensazione” che dovrebbero garantire le parti coinvolte nei contratti in derivati, non sarebbero in grado di far fronte ai loro compiti per mancanza di fondi.
Al riguardo non è un caso che la stabilità delle casse di compensazioni e i rischi derivanti dalla speculazione finanziaria siano stati posti, su iniziativa della Cina e dell’India, nell’agenda del G20 che si terrà nella città cinese di Hangzhou all’inizio di settembre.
Ciò dovrebbe essere di monito anche in Europa per far sì che il sistema bancario e i derivati non siano lasciati in balia del “fai da te“ del mercato. Senza ulteriori indugi essi dovrebbero essere sottoposti ad una stringente e profonda revisione da parte dei governi che dovrebbero ovviamente mirarli più al credito produttivo che agli interessi della speculazione

Le Tre Grazie Mancate del tiro con l’arco e la Grande Ipocrisia

Le Olimpiadi di Rio sono finite, gli atleti tutti, vincitori e vinti, sono tornati a casa, comprese le nostre tre tiratrici con l’arco diventate famose non perché vincitrici di medaglie, ma per la polemica tanto feroce quanto ridicola per un titolo del quotidiano sportivo Qs che le aveva affettuosamente definite “le tre cicciottelle”, rivelatesi in realtà tre pretenziose molto poco simpatiche e ignoranti del motto del barone Pierre de Coubertin, il fondatore delle Olimpiadi moderne: “L’importante non è vincere, ma partecipare”. La polemica è finita a tarallucci e vino non davanti a una tavola imbandita del ristorante napoletano Da Cicciotto, come avevo proposto scherzosamente con un mio articolo, dove le tre cicciottelle sarebbero certo state a loro agio, ma a Raitre davanti al conduttore di Agorà. Con tanto di nuove scuse da Paese bulgaro offerte in diretta alle seriose arciere ancora una volta dal direttore di Qs Giuseppe Tassi. Che, sospeso dall’editore per quel titolo, ora non si capisce se resterà o no al suo posto. Guarda caso, delle Tre Grazie Mancate era assente nella seratina tv  quella che nelle foto da Rio appare di aspetto meno femminile, ritratta mentre ha appena scoccato un dardo con il suo ipertecnologico arco da gara. 

Nel frattempo però un piccolo scheletro non troppo magro è emerso dall’armadio proprio di chi aveva scoccato per primo la poco sportiva e molto ridicola freccia delle accuse contro Tassi.

“Il presidente Mario Scarzella della Federazione Italiana di Tiro con l’Arco, ha protestato a gran voce per il titolo del quotidiano sportivo Qs sulle tre cicciottelle sconfitte alle Olimpiadi di Rio? Beh, allora c’è da chiedersi perché ha invece taciuto sul caso di Giuseppe Cozzo. Chi è? È il presidente del Comitato Regionale Emilia Romagna della Federazione, condannato in primo grado nel 2012 e in secondo grado nel 2014 per detenzione di materiale pedopornografico nel silenzio generale”.

A parlare di getto è Mauro Baldassarre, presidente e atleta tesserato della società sportiva Arcieri del Basso Reno, fino a poco tempo fa una delle 700 società aderenti alla Federazione Italiana di Tiro con l’Arco, in sigla Fitarco, e ora membro di un’altra federazione. Baldassarre riprende fiato e prosegue con foga:

“Cozzo s’è deciso a dare le dimissioni obtorto collo solo quando a fine 2014 una lettera anonima molto dettagliata ha reso nota la sua storia giudiziaria a una serie di autorità sportive. Ma nonostante la condanna definitiva e le sue dimissioni, accettate dopo pochi giorni dall’arrivo della lettera, Cozzo è rimasto attivo nella Federazione. Addirittura fino alla riunione indetta a Roma dal Coni per organizzare gli eventi e le gare di tiro con l’arco per tutto il 2016, cioè per tutto l’anno in corso”.

Incredibile! E il presidente Mario Scarzella cosa ha fatto?

“Lo chieda a lui”, taglia corto Baldassarre.

I fatti.
Il 10 giugno 2009 la polizia postale nel contesto di un’indagine sulla diffusione in Internet di foto e filmati pornografici con soggetti minorenni perquisisce l’abitazione di Cozzo, di professione broker assicurativo e presidente del Comitato Regionale emiliano romagnolo della Fitarco, in sigla CRER. La perquisizione trova archiviato nel computer di Cozzo materiale pornografico con protagonisti minorenni. E trova anche uno scambio di mail con altri amanti del genere dal contenuto decisamente irriferibile, specie quello riferito a “una zingarella”, ma che figura regolarmente agli atti. Cozzo finisce sotto processo e il 18 dicembre del 2012 viene condannato per detenzione di materiale pedopornografico a un anno di reclusione.

Al processo d’appello, voluto da lui col rito abbreviato e concluso l’11 dicembre 2014, la pena viene ridotta a 5 mesi e 10 giorni, più 800 euro di multa, col beneficio della sospensione della pena e della non menzione. ma si tratta pur sempre di una condanna che per giunta ordina “l’interdizione perpetua da ogni incarico nelle scuole di ogni ordine e grado nonché da ogni ufficio e servizio in istituzioni o strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori”. Eppure tutto prosegue come se niente fosse. Rieletto presidente del comitato regionale per il quadriennio 2012-2016, Cozzo continua a svolgere il suo ruolo nonostante nel frattempo il Coni avesse varato il 30 dicembre 2012 il Codice di Comportamento Sportivo, in base al quale il dirigente condannato avrebbe dovuto farsi da parte.

A metà novembre 2014 una lettera anonima firmata “Genitori e Giovani Arcieri molto molto incazzati” – avente come Oggetto “provati comportamenti di pedofilia ai vertici della Fitarco Emilia Romagna (CRER) e spedita da Bologna l’1 di quel mese – viene recapitata a un nutrito numero di destinatari: Ufficio Pratiche Anti Pedofilia, Coni di Bologna, Mario Scarzella presidente della Fitarco, segretario e funzionari della Fitarco, presidenti delle società Arcieri dell’Emilia e Romagna, sindaco di Castenaso e assessore allo Sport del Comune di Bologna.

Tra parentesi: curiosa l’esistenza dell’Ufficio Pratiche Anti Pedofilia, perché fa pensare che la pedofilia non sia un fenomeno raro nel mondo dello sport e non solo ai vertici delle società di arcieri. La lettera fa anche i nomi di chi nel Coni e Fitarco sapeva, compreso un giornalista, ma ha taciuto, e ne chiede l’espulsione. Accuse anche alla Società di Tiro Castenaso Archery Team, perché nonostante la condanna ha continuato a chiamare Cozzo a premiare i vincitori sui podi, e alla Società Arcieri Felsinei, alla quale è ancora iscritto come arciere e della quale è stato segretario, tuttora molto amico della presidente Danila Barioni.

A differenza che per il titolo sulle tre cicciottelle sconfitte a Rio De Janeiro, nessuno dei destinatari ritiene di dover rompere il silenzio e infatti tutti tacciono, nessuno emette né comunicati altisonanti né flebili proteste. La lettera anonima viene tenuta nascosta alla stampa, ma pur se confinata nelle varie stanze dei bottoni finisce col provocare comunque le dimissioni di Cozzo, presentate il 20 di quel novembre per altri motivi. Dimissioni accettate, ma lui continua a esserci sia con ruolo tecnico che con ruolo paraistituzionale. Come tecnico allena una giovane disabile. Come figura più o meno istituzionale promuove i campionati italiani, svolti a Rimini dal 30 gennaio all’1 febbraio dell’anno scorso, collabora al programma Arco Senza Barriere e il 25 novembre 2015 partecipa come se niente fosse alla riunione del Coni a Roma che deve definire il programma delle gare di tiro con l’arco di quest’anno.

Baldassarre, sempre più incredulo, segnala il tutto via mail agli organi federali il 21 novembre 2014, alla giustizia sportiva il successivo 10 dicembre e al Coni il 19 febbraio di quest’anno allegando anche le sentenze di condanna. Il giorno dopo Il Resto del Carlino pubblica un articolo con sue dichiarazioni, che denunciano il muro di gomma. Ma continua a non succedere nulla, almeno fino al 17 giugno scorso, quando Cozzo viene radiato dalla Fitarco con il divieto di partecipare a qualunque sua attività, gare comprese, e di essere iscritto a società sportive. La giustizia sportiva tenta di mettere sotto accusa proprio Baldassarre per avere reso nota la vicenda con toni piuttosto accesi.

Per quanto riguarda l’inattività di Scarzella, ci si accontenta della sua versione, secondo la quale avrebbe “interpellato il segretario generale del Coni e parlato con Cozzo per consigliargli di dimettersi”, evitando però di fare altro “perché la lettera anonima era indirizzata anche agli organi preposti ad agire”.

Per Scarzella dunque “gli arcieri italiani sono in rivolta” per l’aggettivo “cicciottelle”, come ha gridato sdegnatissimo da Rio contro il titolo di Qs, ma si è ritenuto non fosse il caso di farli rivoltare rendendo nota la vicenda Cozzo alquanto più seria. E c’è chi non esclude che il comunicato di protesta contro Qs, quotidiano dello stesso editore del Resto del Carlino, sia una freccia malevola che Scarzella ha voluto scagliare a scoppio ritardato per l’articolo pubblicato da quest’ultimo lo scorso 20 febbraio, articolo che ha reso impossibile continuare a far finta di niente.

Peccato solo che ad Agorà non ne abbiano parlato. Informazione sì, però solo fino a un certo punto… L’importante è pagare il canone alla Rai!

Povero Pierre de Coubertin, che si starà rivoltando nella tomba. Prima dalle risate e poi dall’orrore. 

 

UNA GIORNATA DI LAVORO AL MACELLO

Ha mangiato carne per tutta la vita, poi un giorno Faith ha trascorso una giornata di lavoro in un macello. Quella notte ha cambiato la sua vita ed è diventata vegana. Lei è una voce testimone per tutti gli animali. Ecco la sua lettera. Giorno in cui ho accettato il lavoro: “Oh mio Dio! Se ci penso…Ho sempre mangiato carne e latticini e non ci ho mai pensato su due volte. Sono stata senza lavoro per più di due anni ma finalmente ho trovato lavoro al macello. Non ho mai pensato a quello che potrebbe accadere, sono solo contenta di avere un posto di lavoro.”  “E’ durato un giorno. Non sono riuscita a rimanere. E’ stata la cosa più orribile che abbia mai visto in vita mia! Non c’era nulla di umano là dentro. Sono tornata a casa il Venerdì in lacrime. E l’odore! L’odore della morte, posso ancora sentirlo sotto le narici! Da allora non riesco a dormire una notte intera, quelle immagini sono dentro alla mia testa e non posso più dimenticarle. Non ho mai più sentito il desiderio di toccare di nuovo la carne.

Non pensavo che sarebbe stato così. Non ho mai provato nuove diete o cambiamenti di stile di vita, perché i miei nonni ci hanno allevati in una fattoria”. “Quello che ho visto però era atroce e quello che ho vissuto la notte scorsa, mi ha fatta stare male fisicamente e moralmente. Ho fatto sei docce, continuavo a sentire l’odore del sangue e della morte. Non so come avverrà il mio cambiamento ma ho intenzione di farlo. Ho due bambini, ma non compreremo mai e poi mai più carne. Voglio provare un’alimentazione vegan. Solo il pensiero di acquistare carne e doverla cucinare, ora mi fa sentire male. E durato un giorno il mio lavoro e non sarebbe mai potuto durare di più. La prima settimana dovevo solo guardare per imparare ma non  avevo idea di ciò che avrei visto nel macello!” “Mi sento così stupida perché alcuni dei miei amici da tempo sono vegan e ho pensato che fosse semplicemente una scelta folle, che seguivano una nuova tendenza hippy. Ora mi sento male per aver giudicato le loro decisioni.

Mi è stato detto di guardare documentari e non l’ho mai fatto. Ho sempre pensato che gli animali non soffrissero nei mattatoi ma che venissero prima storditi e poi uccisi all’istante. Non è così! Sono vivi e urlano. E anche se fossero morti, il sangue solo quello… OH MIO DIO! 1 ° giorno: “Sono seduta qui stasera e tutto è ancora nella mia mente come se fosse ieri. Sono stata senza lavoro per così tanto tempo, ed ero così contenta di avere un lavoro. Ho creduto che era tutto ciò che volevo che era umano! Gli animali non sentono! C’era un grande paddock accanto al macello, pieno di mucche, stavano mangiando l’erba e tutto sembrava normale. Ho sentito una fitta di tristezza nel sapere che la loro tranquillità sarebbe durata poco ma il peggio l’ho visto dentro alla struttura. Mi hanno mostrato la stanza macelleria, sembrava il negozio di un macellaio. Tutto normale e non mi ha impressionato più di tanto. Poi nel proseguire mi sono avvicinata e ho accarezzato una delle mucche. Da tempo non mi ero avvicinata ad una mucca, da quando i miei nonni avevano la loro fattoria. Mi è stato mostrato la camera di imballaggio e ho incontrato gli altri dipendenti e poi uno di loro mi ha detto “metti su questi, devi andare e devi vedere come si svolge il lavoro”. “Mi ha dato degli stivali di gomma e un grembiule di plastica e poi siamo passati attraverso delle enormi porte dove le mucche erano allineate vive una dietro l’altra e si lamentavano, non era il solito “muu” , quello che fanno di solito, era chiaro che avevano paura. Alcune delle mucche urinavano spesso e lo facevano per la paura.

Così, dopo aver attraversato più porte, mi è stato detto che non mi sarebbe piaciuto quello che avrei visto da lì a poco, ma così è la vita. “Parte del settore agricolo vive con le mucche che sono state allevate per questo scopo” ha detto l’uomo che mi accompagnava, secondo lui non avevano altro scopo per cui vivere”. “Un uomo ha aperto un cancelletto dove era tenuta una mucca e le ha bloccato la testa. Ha cominciato a lottare e mi sentivo male, ma mi sono convinta che faceva parte del suo destino, della vita. Questo era il suo scopo. Qualcun altro in quel momento si è avvicinato con un attrezzo che sembrava una piccola asta ma che serviva per lo stordimento. L’animale colpito è caduto immediatamente a terra e mi aspettavo che fosse morta. Proprio così. Ma non lo era. Tremava e mi hanno detto che erano solo i nervi, la mucca era morta e il suo cervello non avrebbe sentito nulla. Ma dopo circa un minuto mentre hanno legato le sue gambe, ha cercato di alzarsi in piedi. E Questi non sono i nervi cazzo! E’ inciampata e ha cercato di nuovo di rialzarsi ma è stata issata per le zampe posteriori. Ho chiesto se era morta e mi è stato detto che lo era. Ma i suoi occhi erano aperti e per un momento i miei occhi hanno incontrato i suoi. Poi è rimasta appesa per le zampe ad una zona di piastrelle tutte bianche, simile ad un enorme box doccia con uno scarico nel pavimento.

Un uomo mi disse: “Lei non potrà mai avere a che fare con questo lavoro se per aver visto questo è già turbata.” L’operaio si è avvicinato e mentre la mucca stava ancora lottando gli ha tagliato il collo, mentre lei lottava disperatamente per liberarsi! E ha gridato. Ha sbattuto la testa di scatto prima in avanti e poi indietro. Il sangue è schizzato, ha spruzzato tutto il muro mentre altro sangue scendeva dal suo collo. Il suo “muu” è diventato meno forte e sempre meno forte fino a quando non aveva più forza per lottare e il dolore e la morte ha finalmente messo a tacere il suo dolore.Ho guardato verso il basso. Ero in piedi quattro piedi dall’animale e gli stivali erano di colore rosso vivo, appena coperto di sangue. “Non ho mai visto così tanto sangue e non conoscevo l’odore del sangue. Che odore! E’ un odore metallico, di morte, come quello della mucca che è stata appena uccisa in questa stanza ancora sanguinante, mentre stava per arrivare il turno della successiva che ha subito esattamente lo stesso trattamento. Di nuovo i medesimi step: lotta, occhi aperti e muggito feroce e anche qui hanno detto che erano solo i suoi nervi. La mucca è morta di morte cerebrale a causa dello stordimento! Ma io non credo.

Rimasi lì a guardare sette vacche uccise e non ho fatto nulla, ero come impietrita. Dopo la quarta ho dovuto andare fuori e vomitare. Mi è stato detto di mettere un panno con del Vicks sotto il naso per eliminare l’odore. Ho pensato ai miei figli e che avevo bisogno di  un lavoro e così sono tornata dentro e ho visto l’uccisione di altre tre mucche. Poi sono tornata fuori nel punto in cui le mucche erano vive. Mi sono tolta stivali e grembiule e sono tornaita nella stanza prima del macello, dove gli altri dipendenti hanno cercato di consolarmi suggerendomi che era troppo presto per me per assistere alla macellazione. Così ho atteso la fine del turno di lavoro nella stanza antecedente al macello, quella che non mi aveva dato fastidio prima.

Quando ho finito il mio orario ho detto a loro che non sarei tornata su quel luogo e hanno capito. Mi hanno dato 75 dollari anche se ho solo guardato e poi ci siamo salutati. Il mio ragazzo mi ha detto stasera che il sangue non ha odore, quello che ho sentito è immaginato. E gli ho detto- ‘hai mai visto un vero e proprio diluvio di sangue? Litri e litri di sangue che scorrono sopra i tuoi piedi?’ Non ho mai sentito tanto dolore per un altro essere vivente come quello che ho provato per quelle mucche. Ha avuto un effetto drammatico su di me, un’esperienza che non dimenticherò mai più.

Sto ancora piangendo stasera mentre sto scrivendo questa lettera e per un certo verso forse è un bene che io abbia visto. Dopo quel giorno ho parlato con i miei tre amici vegani. Ho chiesto scusa per aver criticato loro e la loro decisione quando hanno fatto una scelta vegan. Me, ero una mangiatrice di carne convinta di essere nel giusto. Mi dispiace tanto per averli derisi. Loro hanno accettato le mie scuse e ora sono disposti ad aiutarmi nel percorso di transizione di me stessa. Una cosa so per certa ed  è che mai e poi mai mangerò di nuovo carne. Non potrò mai più dimenticare quel venerdì. Ogni dettaglio, ogni suono, ogni odore, rimarrà impresso nella mia mente come il momento che mi ha cambiato la vita. Sono disgustata da quanto mi è stato detto e dal fatto che mi hanno mentito, che lo  stordimento li uccide. Da allora ho scoperto che in realtà non è così. Mi sento ancora male e ci vorrà del tempo perché io possa riprendermi ma sono determinata a fare anche il più piccolo cambiamento.

Gli animali non meritano questo. Vorrei solo aver visto tutto prima. Ora che ho visto quello che ho visto, sostengo pienamente la scelta di un’alimentazione etica e vorrei che ognuno si renda consapevole della crudeltà dei nostri macelli definiti da molti “umani”. 

Fonte: http://www.nonsoloanimali.com/il-mio-primo-e-ultimo-giorno-di-lavoro-al-macello-lettera-di-una-donna-sconvolta/

1) Il sistema bancario è malato non solo in Italia 2) Joan Baez denuncia la passione USA per le armi 3) Un ottimo articolo sulla Cina come economia di mercato

Il sistema bancario è malato non solo in Italia
Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**
Il malato è ancora una volta l’intero sistema bancario internazionale. Da una recente analisi fatta dal Wall Street Journal sulle 20 maggiori banche mondiali, tra cui la JP Morgan Chase, la Goldman Sachs, la Deutsche Bank e la nostra Unicredit, risulta che dall’inizio dell’anno esse hanno perso almeno 500 miliardi di dollari del valore delle loro azioni quotate in borsa.

Circa un quarto della loro capitalizzazione di mercato. Al momento della pubblicazione dello studio le azioni dell’inglese Barclay’s, del Credit Suisse e della Deutsche Bank avevano perso circa la metà del loro valore, quelle della Bank of Scotland erano cadute del 56% e quelle della UniCredit di  quasi due terzi!
Secondo la banca delle banche centrali, la Banca dei Regolamenti Internazionali, l’intero sistema bancario internazionale sta registrando un netto ridimensionamento dei crediti interbancari ed in particolare di quelli verso le imprese non finanziarie, con la sola eccezione della Cina e di alcuni Paesi asiatici.

Il problema principale per le banche è adesso l’effetto del tasso di interesse zero che, in verità,avrebbe dovuto aiutarle fornendo liquidità senza costi.
Oggi si racconta un’altra storia. Nel mondo, infatti, obbligazioni e altri tioli di debito per quasi 12 trilioni di dollari sono entrati nel cono d’ombra dell’interesse negativo. L’intero sistema è compresso nella morsa fatta da un debito crescente, da una produttività in diminuzione e dall’inefficacia delle politiche monetarie cosiddette accomodanti.

Una simile combinazione crea ovviamente instabilità e perdita di fiducia.
Perciò si è tornati a ventilare la possibilità o la necessità, di creare delle fusioni tra mega banche per dare ‘l’illusione’ di maggiore forza e solidità, ignorando il fatto che due debolezze non fanno una forza. Al contrario, i giornali tedeschi citano nuovi studi, come quello del centro di consulenza bancaria ZEB, limitati alle maggiori 50 banche europee, dove invece si parla di rischio di contagio tra le banche in crisi che hanno un livello di profitto inferiore al costo del capitale.

Non deve quindi sorprendere se anche il Fondo Monetario Internazionale indica la Deutsche Bank, seguita a ruota dall’inglese Hong Kong Shanghai Bank e dal Credit Suisse, come “la più importante ‘too big to fail’ che contribuisce ad aumentare i rischi sistemici”.
D’altra parte un confronto tra la situazione della Deutsche Bank di oggi e quella della LehmanBrothers prima del fallimento è devastante. La banca americana aveva attivi per 639 miliardi di dollari e debiti per 619 miliardi con un pacchetto di derivati otc pari a circa 35 trilioni di dollari. Ogni sua azione valeva 25 dollari nel 2007 e 10 centesimi nel 2009!

La DB ha attivi per 1630 miliardi di euro e debiti per 1560 miliardi a cui occorre aggiungere 428 miliardi di prestiti. A fine 2015 aveva in pancia derivati otc per 42 trilioni di euro. Un anno prima erano 52 trilioni. L’azione DB valeva 135 dollari nel 2007 e oggi ne vale 17.
E’ in questo contesto che si colloca anche l’emergenza bancaria italiana che necessiterebbe di 150 miliardi di euro per stabilizzare il sistema. Nei giorni passati si sono sentite dichiarazione ufficiali che fino a qualche ora prima sembravano venire solo da ‘voci fuori dal coro’. Si pensi algovernatore Ignazio Visco che non esclude nuovi bail out, “interventi pubblici” per salvare le banche o al presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, che denuncia il bail in come anticostituzionale!

E’ ovvio, quindi, che non c’è ragione di presentare ‘l’altro’ come se fosse in condizioni peggiori:l’americano per gli europei, la Deutsche Bank per Roma o le banche italiane per i tedeschi.

A otto anni dall’esplosione della crisi globale dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che il sistema finanziario vive una situazione ancora peggiore. Peggiore in quanto i comportamenti rischiosi delle banche sono continuati e sono stati tollerati, mentre l’economia globale è stata indebolita da una progressiva recessione e le autorità monetarie hanno esaurito tutte le munizioni standard.
Si ripropone quindi, con più urgenza, la necessità di approntare insieme regole efficaci e stringenti per riportare la finanza e il sistema bancario nell’alveo della loro vera missione, cioè quella di fornitori di credito alle politiche di sviluppo e di crescita.

Si tratta perciò di sganciare il sistema bancario e finanziario dalla costante “tentazione speculativa” attraverso la reintroduzione della legge Glass-Steagall, la separazione bancaria voluta dal presidente Roosevelt proprio per affrontare gli eccessi speculativi delle grande crisi del ’29, di proibire alle grandi banche di giocare alla roulette dei derivati otc e di vietare in borsa le vendite allo scoporto.
Basta con i bail out e i bail in.

Questa è la vera sfida di fronte ai governi e a quei leader politici che sentono la responsabilità di essere statisti e non soltanto politicanti di successo.

*già sottosegretario all’Economia

**economista

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2) Joan Baez denuncia la passione USA per le armi 

http://video.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/joan-baez-ecco-perche-nessuno-ama-le-armi-come-gli-americani/246525/246629?ref=HRESS-5

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3) Un ottimo articolo sulla Cina come economia di mercato

http://www.pandorarivista.it/articoli/riconoscimento-della-cina-come-economia-di-mercato-uno-scontro-inevitabile/

Ma nessuno grida “Je suis Bagdad, Dakka, Istanbul!”.

Almeno 250 morti in due attentati a Bagdad. Decine di morti in attentati a Istanbul e a Dakka. Me i nostri politici europei si guardano bene dallo scendere in piazza sdegnati al grido di “Je suis Bagdad, Dakka, Istanbul!”. L’ipocrisia, l’egoismo, il doppiopesismo e il conseguente suprematismo regnano sovrani. Se pensiamo che questo ci aiuti anziché spingerci più in basso sbagliamo di grosso.

Senza Londra l’Europa sarà più tedesca?

L’Europa è già a guida tedesca dal crollo del muro di Berlino. E’ un fatto economico e di organizzazione. Il battibecco tra Renzi e Merkel è solo scena. Ecco i possibili scenari nel dopo Brexit. Punto sulle giunte formate dai nuovi sindaci. Intervista di Carla Signorile a Pierluigi Magnaschi, direttore di MF/MilanoFinanza e ItaliaOggi

 

Brexit: timori finanziari fondati o alibi per interventi eccezionali? Ovvero: una (altra) scusa per qualche (altra) fregatura?

Brexit: timori finanziari fondati o alibi per interventi eccezionali?

di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Il risultato del referendum sulla Brexit avrà certamente un effetto profondo sull’economia britannica, sull’Unione europea e sul suo processo di integrazione.

Chi ci ha letto in passato sa che noi siamo sempre stati fautori di un’Europa forte, solidale e sovrana. Nondimeno ci sembra esagerata la reazione sia dei mercati che delle istituzioni finanziarie europee ed internazionali che paventano un nuovo sconquasso finanziario globale.

E’ come se l’emergenza Brexit serva a giustificare una probabile adozione di interventi eccezionali e a scaricare su di essa le conseguenze di una crisi già in atto, ma che oggettivamente non ha origine nell’eventuale uscita della Gran Bretagna dall’Ue.

Al riguardo è’ interessante notare che le grandi banche too big to fail americane ed internazionali, la Goldman Sachs, la JP Morgan, la Citibank, la Bank of America per nominarne alcune, sono state in prima fila, anche con notevoli donazioni in denaro, per sostenere la campagna “Remain”. Anche speculatori come George Soros sono scesi in campo contro la Brexit paventando cataclismi di ogni sorta.

La Federal Reserve ha deciso di lasciare i tassi fermi e ha annunciato che il costo del denaro salirà, ma più lentamente. L’incertezza sul referendum della Brexit “è uno dei fattori che ha pesato sulla decisione” di mantenere invariato il costo del denaro, ha affermato la governatrice Janet Yellen, sottolineando che un eventuale addio della Gran Bretagna all’Ue potrebbe avere ripercussioni sull’economia e sulla finanza globale. Dopo di che anche la Banca Centrale Europea ha affermato di essere pronta ad interventi di emergenza e in ogni caso di voler mantenere i suoi acquisti di asset finanziari pari a 80 miliardi di euro al mese fino a marzo 2017 e anche oltre, se fosse necessario.

Indubbiamente l’uscita dall’Ue avrà un grosso impatto in particolare per la City di Londra. Nella City operano circa 250 banche estere che in questo modo hanno un accesso diretto al mercato Ue. La City rappresenta circa il 10% del Pil britannico e contribuisce per il 12% a tutte le tasse raccolte dal governo. Essa è la prima esportatrice di servizi finanziari del mondo. Servizi che, per 20 miliardi di euro, vanno proprio verso l’Europa.

Una delle grandi preoccupazioni riguarda, per esempio, la sorte della Royal Bank of Scotland, che nel biennio 2014-15 ha accumulato perdite per oltre 7 miliardi di euro. Cosa succederebbe a questa banca in caso di un aggravamento della situazione inglese?

Secondo noi il nervosismo nella grande finanza riflette un profondo senso di incertezza e anche una vera e proprio paura di effetti a catena, simili a quelli non previsti e non voluti, della bancarotta della Lehman Brothers nel 2008.

L’ultimo bollettino della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea delinea andamenti finanziari e bancari che meritano una attenta disamina. Nell’ultimo trimestre del 2015 i crediti bancari transfrontalieri globali sono diminuiti di 651 miliardi di dollari, di cui 276 verso la zona euro. E’ una tendenza in crescita da tempo. La stessa cosa era avvenuta a seguito della crisi del 2008. E’ indubbiamente uno dei risultati della prolungata stagnazione economica mondiale.

E’ anche rilevante notare che il valore nozionale dei derivati otc è finalmente sceso di quasi 200.000 miliardi di dollari, da 700 mila di giugno 2014 ai circa 500 mila di fine 2015. E’ un fatto di indubbia positività.

Si tratta di cambiamenti necessari e ulteriormente auspicabili. Noi abbiamo sempre ribadito l’importanza di ‘prosciugare’ la palude dei derivati finanziari speculativi otc e di contenere le operazioni bancarie non produttive.

I dati della Bri sono di grandezze eccezionali, però richiedono un attento controllo e anche interventi precisi da parte delle autorità competenti. Se fossero soltanto il risultato di performance autonome dei mercati, allora dietro ai numeri potrebbero nascondersi ‘macerie’.

Sarebbe proprio come spesso accade dopo fenomeni alluvionali. Dopo una violenta inondazione si è tutti contenti di vedere che le acque si sono ritirate. Ma prima di permettere il ritorno delle famiglie evacuate o addirittura concedere dei permessi di costruzione è necessario che la Protezione Civile faccia un attento controllo del territorio per determinare se la catastrofe ha minato le fondamenta dei palazzi e la compattezza del terreno.

Di certo sono in atto profondi rivolgimenti nei settori finanziari e bancari per cui ogni evento, anche di portata minore, rischia di produrre conseguenze destabilizzanti. Con effetti sistemici!

*già sottosegretario all’Economia **economista

Magari la Gran Bretagna finisse a pezzi dopo il voto contro l’Unione Europea!

Che l’Europa sia una realtà inventata dalla Chiesa spaccando l’unità con l’Oriente e da questa fatta imporre con le armi di Carlo Magno è cosa che ho detto e ripetuto più volte, per esempio in http://www.pinonicotri.it/2008/10/ancora-sta-storia-delle-radici-cristiane-ma-in-italia-e-in-europa-ce-ne-sono-varie-altre-e-se-non-vogliamo-la-catastrofe-e-bene-tenerne-conto-ora-che-non-solo-la-cina-e-vicina-e-gli-usa-un-p/ . Del resto la stessa parola Europa è stata usata politicamente per la prima volta da uomini di Chiesa. Alla fine del VI secolo fu l’abate irlandese San Colombano, il fondatore dell’abbazia di Bobbio, a citarlo – “tutus Europae” – in una lettera a papa Gregorio Magno. Poi il  monaco Isidoro Pacensis usò il termine “europei” per indicare i soldati di Carlo Martello che avevano combattuto a Poitiers: “prospiciunt Europenses Arabum tentoria, nescientes cuncta esse pervacua”. E tralasciamo la truffa che da sempre afferma che a Poitiers si combatte contro gli arabi cioè contro gli islamici, quando invece si combattè contro un’orda di pastori baschi. Uno dei miti fondanti dell’identità europea è quindi anch’esso una truffa. Ovviamente. A partire dall’Orlando furioso….

Ho anche scritto più volte che le tradizioni e le radici “pagane”  tranciate con la spada, col fuoco  e col sangue da Carlo Magno in poi hanno sempre teso a riemergere qua e là nonostante tutto. E ho spesso aggiunto che senza la civiltà arabo islamica e le invenzioni, scienze e culture che essa ci ha veicolato l’Europa non sarebbe diventata quello che è diventata. Logico quindi che a furia di negare la realtà storica e di voler mantenere la frattura con l’Oriente e gli Orienti si rischia che l’Europa subisca un tracollo epocale.

E’ inoltre noto che l’Inghilterra, nonostante il ruolo di San Colombano nell’edificare la coscienza dell’Europa,  ha sempre combattuto contro la possibilità che nel Vecchio Continente dopo il Sacro Romano Impero si potesse realizzare un potere egemone che lo riunificasse.

Tutto ciò premesso, non sarebbe male che la Gran Bretagna finisse travolta dal suo orgoglio ebete e guerriero espresso col voto che vuole a maggioranza l’uscita dall’Unione Europea, vale a dire la vittoria del Brexit contro il Remain. Gli inglesi se ne stanno già pentendo velocemente, le firme per un nuovo referendum sono già a quota tre milioni, ma la possibilità che Scozia, Irlanda tutta e la stessa Londra mandino in malora l’unione con il Regno Unito e le preferiscano invece l’unione con l’Europa è francamente uno scenario elettrizzante. Compreso il togliersi dai piedi la ridicola e costosissima famiglia reale capeggiata da Elisabetta e dal suo incartapecorito marito Filippo e stagionato figlio Carlo somigliante a un wuerstel. Ahhh, magari togliersi dai piedi  anche i “fascinosi” nipoti e annesse “fascinose” consorti, tutta gente più adatta a riviste specializzate in gossip che a gestire un moderno Paese europeo. I filmati dei festeggiamenti per i 90 anni della regina fanno morir dal ridere per il ridicolo, a partire dal 92enne Filippo esibito con un altissimo colbacco fissato marzialmente alla gola  come un Dragone o un Ussaro in procinto di guidare un assalto di cavalleria anziché essere scarrozzato nell’augusta auto scoperta usata per le esibizioni dei sovrani al popolo, che dovrebbe essere il vero sovrano.

L’Inghilterra punta tanto per cambiare alla disgregazione dell’Europa, con il seguito di inevitabili guerre. Grazie alle quali poter ancora esercitare il suo potere più o meno arbitrale non solo sul Vecchio Continente. Gli inglesi che vivono nella muffa e nella naftalina e che applaudono entusiasti la famiglia reale non si sono ancora resi conto che dalla fine della seconda guerra mondiale il mondo è piuttosto cambiato. Un amaro risveglio non sarebbe male.

Trasformismo, malattia del giornalismo anche “de sinistra”

Pubblico volentieri questo articolo della “lepre marzolina” comparso su http://www.criticaliberale.it/news/235604

VOLTA&GABBANA: repubblica cambia fronte
la lepre marzolina

Nell’ultimo mese ha fatto propaganda scatenata contro il M5S e a favore di Renzi. Scavalcando persino ”l’Unità”, che perlomeno notizie false non le ha spacciate. Si è scomodato anche il Fondatore che è arrivato a paragonare il presidente del consiglio a Giovanni Giolitti. E ha esaltato il renziano “carisma”, e si è convertito pubblicamente al “comando di un uomo solo”. Dietro di lui, con affanno e deferenza, i poveri redattori…“L’editore lo vole!”. A rileggere le loro previsioni e le loro piaggerie col senno di poi si potrebbe comporre un regesto corposo del conformismo e del servilismo giornalistico italiano.
Poi gli elettori votano.
Spingiamo il pulsante del cronometro: quanto ci metterà “Repubblica” a voltare gabbana? Poche ore. Dai piani alti, un immaginario altoparlante tuona: “fuori Merlo, si prepari Concita de Gregorio”. E infatti oggi martedì ecco l’editoriale in prima e ben due paginate a seguire, con un concerto di violino e orchestra a favore delle due neo-sindache. Concita si industria come può a rappresentare un’ala del nuovo corso (almeno per alcuni mesi sicuramente cerchiobottista), ma non esita a togliersi qualche sassolino dalla scarpa : «Come Madrid e Barcellona in Spagna, così Roma e Torino in Italia. Là due donne sindaco elette con Podemos, qui coi Cinquestelle. In entrambi i casi: la capitale, la città simbolo del lavoro. Quattro donne cresciute nel contrasto alla classe politica dominante, di governo o di opposizione, guidano oggi le prime città dei due Paesi europei. Le analisi di quel che sta cambiando (che è già cambiato da tempo) lasciamole ad altri: non sempre e non tutti hanno avuto il dono della preveggenza. Restiamo piuttosto ai fatti, riprendiamo da dove eravamo rimasti due settimane fa. «Vorrei parlare di Virginia Raggi e Chiara Appendino », dicevo. «Di cosa stiamo parlando? », ha replicato su questo giornale qualcuno, molto vicino all’ex sindaco di Torino. Risposta: dei nuovi sindaci».
E’ cominciata la guerra.

P.S.: Vi preghiamo di segnalare a info@criticaliberale.it tutti di casi di trasformismo, di nuova piaggeria e cialtronaggine di cui saremo invasi nei prossimi mesi.

{ Pubblicato il: 21.06.2016 }

Hilary Clinton lo definisce non a caso “La nostra NATO economica”: la strategia del silenzio e della non informazione per far passare il trattato TTIP, che con la scusa del libero scambio ci rende di fatto colonia anche agroalimentare degli USA

TTIP: chi difende l’interesse dell’Europa?

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Si sta facendo di tutto affinché in Europa la stessa politica e la società civile non siano in grado di esprimere in modo sovrano e pacato un giudizio consapevole sul Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), il Trattato di libero scambio tra Stati Uniti e Unione Europea in cantiere da ben tre anni. Da una parte è stata imposta una peculiare quanto ingiustificata ed intollerabile segretezza sui documenti, sulle procedure e sul contenuto del Trattato. Dall’altra, avendo radicalizzato l’argomento e avendolo portato nelle piazze con forti dimostrazioni, a volte anche provocatoriamente degenerate in scontri, si tenta di etichettare come “facinoroso” chiunque chiede chiarezza e vuole esprimere la sua democratica opposizione.

Eppure, dal poco che è trapelato, il TTIP potrebbe avere un impatto profondo, per alcuni anche devastante, sulle nostre produzioni, soprattutto, ma non solo, nel settore agricolo ed agroalimentare, sul nostro sistema sociale di mercato e sul nostro commercio. I promotori vorrebbero la sua ratifica prima della scadenza della presidenza Obama, che ne è stato uno dei grandi promotori. Hilary Clinton lo ha già definito la nostra ‘Nato economica’. Alcuni parlamentari tedeschi hanno recentemente chiesto di visionare i documenti presso il Ministero dell’Economia di Berlino. Ne hanno fatto un resoconto desolante. Si possono leggere alcuni documenti solo sul computer in una stanza controllata, per poche ore senza consultazioni con altri e senza prendere appunti. Del materiale letto non se ne può neanche parlare pubblicamente.

E’ grave che il commissario europeo per il Commercio, Cecilia Malmström, sostenga che la stesura del trattato non sia di competenza dei parlamenti nazionali. L’obiettivo del TTIP sarebbe la creazione della più grande zona di libero scambio commerciale del pianeta, con circa 800 milioni di consumatori. Questa rappresenterebbe quasi la metà del Pil mondiale e un terzo del commercio globale. L’Ue è la principale economia e il maggior mercato del mondo. In gioco, quindi, ci sono enormi interessi economici. Ma in gioco c’è anche il futuro delle relazioni politiche internazionali. Non si tratta di mettere in discussione il rapporto di amicizia con gli Stati Uniti, ma la mancanza di trasparenza fa dubitare della bontà dell’accordo. Gli interrogativi che i cittadini e gli operatori economici, non solo italiani, si pongono sono tanti. Gli Usa usano gli ogm in agricoltura. Sarà anche l’Europa costretta a introdurli nelle sue coltivazioni? L’Italia ha 280 prodotti a denominazione d’origine protetta. E’ il numero più grande in Europa. Gli Usa li rispetteranno oppure avremo il ‘parmisan della Virginia’ o il ‘san danny del Minnesota’? Eventualmente venduti anche nei nostri mercati?

Molti, anche negli Stai Uniti, credono che uno dei principali pericoli del TTIP sia la possibilità che investitori privati possano iniziare procedimenti legali e querele milionarie contro gli Stati in tribunali internazionali d’arbitraggio. L’intenzione positiva di proteggere l’interesse pubblico potrebbe essere interpretata dalle multinazionali come una “limitazione dei profitti degli investitori stranieri”, un ostacolo al business e alla libera concorrenza. E’ molto importante notare che questa è anche la maggior preoccupazione della London School of Economics che punta appunto il dito sulle camere arbitrali, i tribunati istituiti dal Trattato. Nel suo studio l’istituto inglese cita come esempio una serie di querele passate, come quelle della Phillips Morris contro l’Uruguay e l’Australia per aver lanciato delle campagne contro il fumo.

In Europa si sentono voci di grande preoccupazione, anche se ancora espresse troppo sottovoce. Il governo francese afferma che dirà un forte no se il Trattato dovesse mettere in discussione la struttura della sua agricoltura. Ci si augura che l’Italia non si dica soddisfatta di qualche generica garanzia di rispetto del nostro ‘made in italy’. Per il sistema agroalimentare italiano, a partire da quello del Sud, il Trattato sarebbe esiziale. La geopolitica e il business tout court non possono mortificare le prerogative democratiche e indisponibili dei popoli e dei loro parlamenti, a partire dal diritto alla conoscenza.

*già sottosegretario all’Economia **economista