FISCHIANO PIETRE DA ENTRAMBI I FRONTI…
/58 Commenti/in Uncategorized /da Pino Nicotrihttps://www.youtube.com/watch?v=MiZ15I0HJ3g
[Le lodi di Samir nei miei confronti sono eccessive. Lo avevo pregato di presentarmi in modo sobrio e conciso. E vabbè!]
L’appello di papa Francesco per regolamentare la finanza
/71 Commenti/in Uncategorized /da Pino NicotriMario Lettieri* e Paolo Raimondi**
Che di fronte al dilagare incontrollato della finanza speculativa sia necessario “rivolgersi alla preghiera”, è uno schiaffo morale ai governi e alle istituzioni economiche internazionali preposte al controllo e alla regolamentazione dell’economia, della moneta e dei settori finanziari. E’, però, l’ammissione della loro incapacità d’intervento e della sottomissione al “mercato senza leggi” e al laissez faire più spregiudicato. Dinanzi all’intollerabilità della situazione, papa Francesco si è sentito in dovere di richiamare i credenti e i laici con un video dedicato alla preghiera per una “finanza giusta, inclusiva e sostenibile”.
Egli afferma che “mentre l’economia reale, quella che crea lavoro, è in crisi – quanta gente è senza lavoro! – i mercati finanziari non sono mai stati così ipertrofici come sono ora. Quanto è lontano il mondo della grande finanza dalla vita della maggior parte delle persone! La finanza, se non viene regolamentata, diventa pura speculazione animata da politiche monetarie. Questa situazione è insostenibile. È pericolosa. Per evitare che i poveri tornino a pagarne le conseguenze, bisogna regolamentare in modo rigido la speculazione finanziaria.”.
Ricorda che la finanza deve essere uno strumento per servire le persone e per prendersi cura della casa comune e fa un appello “perché i responsabili della finanza collaborino con i governi, per regolamentare i mercati finanziari e proteggere i cittadini in pericolo.”
In pratica riprende il discorso avviato nel 2015 con l’enciclica” Laudato sii” in cui si afferma che “la finanza soffoca l’economia reale. Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale”. Secondo Francesco non è una questione di teorie economiche ma della loro applicazione fattuale nell’economia. Il mercato da solo non può garantire lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale, né la protezione dell’ambiente e dei diritti delle generazioni future.
Nell’enciclica citata si sostiene: “La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia… Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura”.
Secondo noi la crisi finanziaria del 2007-2008 ne è la prova: sarebbe stata l’occasione per sviluppare una nuova economia, non solo più attenta ai principi etici, ma, soprattutto, per regolamentare l’attività finanziaria speculativa e la ricchezza virtuale. Purtroppo non è stato così.
Certo, sono concetti che papa Francesco ripete ormai costantemente. Lo ha fatto anche recentemente nell’enciclica “Fratelli tutti” e con molto coraggio anche nella lettera inviata al meeting della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, svoltosi lo scorso aprile. Egli afferma che “è ora di riconoscere che i mercati — specialmente quelli finanziari — non si governano da soli. I mercati devono essere sorretti da leggi e regolamentazioni che assicurino che operano per il bene comune, garantendo che la finanza – invece di essere meramente speculativa o finanziare solo sé stessa – operi per gli obiettivi sociali tanto necessari nel contesto dell’attuale emergenza sanitaria globale”.
Ci preme sottolineare che la preghiera del papa ha avuto anche qualche orecchio attento. La Federcasse, la Federazione italiana delle Banche di Credito Cooperativo, una rete di 250 banche cooperative di comunità con un milione e 350 mila soci, l’ha fatta sua. Del resto essa fa della vicinanza al territorio, alle famiglie e ai piccoli imprenditori e artigiani la sua mission. In merito, il direttore generale Sergio Galli ha ribadito che “occorre elaborare nuove forme di economia e finanza realmente orientate al bene comune e rispettose della dignità umana”.
Naturalmente le tematiche affrontate da papa Francesco sono tali che oggettivamente impongono ai governi decisioni rapide e stringenti. In questi giorni da più parti si sollecita il superamento dei brevetti sui vaccini. Tema che va affrontato. Si consideri che, mentre nei paesi industrializzati una persona su 4 ha già ricevuto almeno una dose di vaccino, nei paesi poveri, invece, l’ha avuta una su 500. Il caso più odioso è sicuramente quello dell’India, dove si produce il 70% dei vaccini mondiali, ma non per i propri cittadini, bensì per l’export.
*già sottosegretario all’Economia **economista
Giustizia è fatta! O no? Cerchiamo di capire.
/20 Commenti/in Uncategorized /da Pino NicotriDopo oltre 20 anni di attesa il giornalista e scrittore di lungo corso Beppe Lopez, cronista di politica interna dell’esordio di Repubblica e man mano detentore di un curriculum di tutto rispetto ( http://infodem.it/iniziative.asp?id=2977 ), s’è visto negare dal tribunale di Potenza tutti i suoi diritti economico professionali nonostante risultassero nero su bianco da regolari contratti di lavoro. Come se non bastasse, di recente è stato condannato non solo a pagare 30 mila euro di spese processuali e parcelle alla controparte, ma anche a cominciare a pagarle subito senza aspettare l’esito dei sui ricorsi in appello. Insomma, come si suol dire, cornuto e mazziato.
Il tutto in un tribunale il cui bar, dal 2017 ufficialmente gestito dalla società “Bar del Tribunale Srl”, secondo la Direzione Distrettuale Antimafia sarebbe in realtà gestito da prestanomi e affiliati di un’organizzazione mafiosa colpita il 27 aprile da 17 mandati di cattura. Ma torniamo a Beppe Lopez.
Dal 1989 al 1997 il collega è ancora a Roma a dirigere la Quotidiani Associati, la più importante agenzia italiana di servizi giornalistici, forniti a una 30ina di testate locali. Poi nel 1998 Lopez cede alle sirene dell’editore lucano, cioè della Basilicata, Donato Macchia, titolare della tv privata Teleregione, desideroso di varare con la sua società Alice Idea Multimediale anche un quotidiano che vada in edicola, visto che la sua è l’unica regione che ne è ancora sprovvista. Contratto da direttore garantito dall’azienda editrice per dieci anni e per tre anni dall’editore in persona.
E così Lopez lascia Roma per andare a progettare e realizzare a Potenza il quotidiano regionale La Nuova Basilicata, rifornita di pubblicità dalla Manzoni e di articoli e inchieste nazionali dell’Agenzia dei Giornali Locali (AGL), entrambe del Gruppo L’Espresso. Successo oltre le previsioni. Ed entusiasmo del manipolo di pionieri raccolti da Lopez. Due cose che però non piacciono a tutti, specie a chi era abituato a condurre affari e politica senza avere ficcanaso tra i piedi, specie in un periodo in cui vengono scoperti il settore eolico e i ricchi contributi pubblici. Sta di fatto che Macchia, in seguito imprenditore anche del settore eolico, dopo meno di un anno dal varo del giornale licenzia quattro redattori. E poiché Lopez si oppone e protesta Macchia licenzia anche lui
E i dieci anni di contratto garantito dall’azienda? E i tre anni garantiti dall’editore in persona? Svaporati. Alice Idea Multimediale dichiara fallimento, la Nuova Basilicata chiude i battenti e il suo posto viene preso da La Nuova del Sud. Il magistrato nega a Lopez anche la possibilità di inserirsi nel fallimento nonostante fosse un “creditore privilegiato” in quanto ex dipendente della società fallita.
Dopo un palleggio tra Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI, sindacato nazionale dei giornalisti) e l’Associazione Regionale della Stampa (ARS, sindacato regionale dei giornalisti) su chi dovesse prendere l’iniziativa, nel 2019, cioè a 20 anni dai fatti e dopo una decina di rinvii delle udienze, la FNSI s’è decisa a denunciare entrambe le vicende al Consiglio Superiore della Magistratura (CSM). Che ha chiesto chiarimenti al Tribunale di Potenza.
Risultati? Nel giugno 2020 i magistrati di Potenza hanno rigettato come inammissibili ambedue le vertenze intentate da Lopez. E lo hanno condannato al pagamento delle spese processuali, per un totale di 30 mila euro. Da cominciare a prelevare subito a rate dalla sua pensione: Lopez ha infatti sì chiesto i processi d’appello, ma i magistrati hanno respinto anche la sua domanda di sospensione della riscossione in attesa delle nuove sentenze. E sì, cornuto e mazziato.
Nelle loro sentenze vengono negati a Lopez in particolare i seguenti diritti:
- la partecipazione al fallimento,
- il riconoscimento del contratto garantito per dieci anni,
- il riconoscimento dei contratto garantito di persona dall’editore,
- il pagamento delle mensilità dei nove anni “saltati”,
- il pagamento della liquidazione (detta anche TFR, Trattamento di Fine Rapporto),
- i risarcimenti per demansionamento,
- il risarcimento da mancato preavviso del licenziamento,
- il credito per spese connesse ai procedimenti penali.
Sarebbe utile pubblicare la sentenza per renderla di pubblico dominio, e poter così leggere le motivazioni addotte dai magistrati.
Il botto del bar del tribunale a quanto pare gestito per interposta persona da malavitosi, sfacciato trofeo del loro asserito avere le mani in pasta ovunque, ha dato la stura a una serie di voci che è meglio non raccogliere.
Archegos: la bancarotta di un altro fondo speculativo
/19 Commenti/in Uncategorized /da Pino NicotriMario Lettieri * e Paolo Raimondi**
La morte in carcere dello speculatore americano Bernie Madoff non chiude un ciclo. Anzi, il susseguirsi di continui fallimenti e di sconquassi finanziari dimostra che dopo la Grande Crisi non sia cambiato proprio niente Aveva orchestrato il più grande “schema Ponzi”, la piramide finanziaria truffaldina, che pagava i primi investitori con i nuovi capitali raccolti. Un’operazione di almeno 50-60 miliardi di dollari! La vicenda di Madoff, con la sua condanna a 150 anni di prigione, sembra la classica esagerazione americana: punire un singolo, con il massimo della pena e della pubblicità mediatica, e lasciare i meccanismi e il potere della finanza pressoché intatti.
Il più recente caso è quello del fondo hedge Archegos, fondato dallo speculatore Bill Hwang. Com’è noto, i fondi hedge gestiscono i capitali degli investitori con l’intento di evitare loro rischi e volatilità dei titoli. Il problema, però, è come lo fanno. Il suo primo fondo, il Tiger Asia Management, fu investito dal crollo della Lehman Brothers. In seguito, fu accusato dalla Security Exchange Commission di insider trading in operazioni di vendita allo scoperto, anche con titoli cinesi. Se la cavò con una multa soft di 44 milioni di dollari. Però, per quattro anni non poté operare sul mercato di Hong Kong. Nel 2014 creò l’Archegos Capital Management. Si tratta di un fondo hedge ancora più ristretto e selezionato, un family fund, con cui gestisce i suoi capitali e quelli di pochi altri privilegiati. In questo modo sfugge ai controlli e alla vigilanza delle agenzie preposte. Fa parte, appunto, del cosiddetto shadow banking.
Lo strumento più spregiudicato di Archegos è stato l’utilizzo della leva finanziaria, il leverage, per avere maggiori disponibilità finanziarie partendo da un piccolo capitale. E’ arrivato così a gestire tra 50 e 100 miliardi di dollari. Nell’operazione sono state coinvolte tutte le maggiori banche mondiali, tra cui la giapponese Nomura, le americane Goldman Sachs e Morgan Stanley, il Credit Suisse, la Deutsche Bank, ecc. Con i prestiti, Hwang ha investito, tra l’altro, in azioni americane e cinesi, dando i titoli in garanzia. L’accordo era che, qualora essi dovessero perdere di valore, le banche creditrici avrebbero potuto chiedere di reintegrare le garanzie, la cosiddetta margin call, o, in ultima istanza, vendere i titoli per contenere le perdite. E’ esattamente ciò che è successo. Il Credit Suisse, per la seconda volta in poche settimane, avrebbe perso circa 4 miliardi di euro.
Le banche conoscono perfettamente i giochi, per cui le loro “sorprese” sono insostenibili. Esse usano, appunto, detti fondi hedge, entità autonome e separate dalle stesse banche, per fare delle operazioni molto rischiose e incassare commissioni e guadagni consistenti. In una situazione anomala di tassi bassissimi e anche negativi, quando la leva finanziaria è molto alta, basta un piccolo cambiamento della politica monetaria o uno scossone negativo dei titoli messi a garanzia per far cadere il castello di carte. E i derivati emessi su detti titoli sono, ovviamente, i primi a risentirne.
Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea nel 2019 il valore nozionale dei derivati finanziari otc ha raggiunto il picco di 640 mila miliardi di dollari. Come abbiamo più volte evidenziato, si tratta di operazioni molto rischiose che sono tenute solitamente fuori dei bilanci delle banche coinvolte e non sottoposti alle regole e alla vigilanza delle autorità preposte. Per esempio, non sono disciplinate dalle cosiddette stanze di compensazione, le clearing house, che garantiscono che le controparti siano in grado di portare a termine i contratti derivati. Gli esperti del settore e taluni economisti, anche molto noti, si affrettano sempre ad affermare che dovrebbe essere preso in considerazione il valore lordo di mercato (gross market value), quello che evidenzia il rischio e cosa sarebbe necessario per chiudere i contratti dei derivati in essere in un determinato momento. Naturalmente, si tratta sempre di parecchie migliaia di miliardi di dollari.
Il caso del recente crac di Archegos dimostra, in verità, il contrario. Esso prova che, in caso di crisi, è il nozionale che entra in gioco. E può creare un enorme effetto valanga difficilmente arrestabile. Siamo alle solite. I grandi pescecani della finanza continuano a creare rischi sistemici. Manca, purtroppo, una legislazione stringente e globale.
*già sottosegretario all’Economia **economista
Greensill: un altro inganno per i risparmiatori?
Mario Lettieri* Paolo Raimondi**
Greensill come la crisi dei subprime? Ancora una classica operazione speculativa, con possibili pericolose conseguenze sistemiche.
Nei giorni scorsi il gruppo finanziario Greensill ha portato i suoi libri contabili in tribunale a Londra e dichiarato insolvenza. Greensill Capital è un fondo londinese che porta il nome del suo fondatore.
La sua “mission” iniziale era la finanza della supply-chain: anticipare il pagamento delle fatture, emesse da clienti e fornitori minori nei confronti delle grandi corporation, garantendo loro incassi più celeri. I fornitori erano contenti di ottenere i pagamenti dovuti e, quindi, di sottrarsi ai tempi lunghi delle corporation. In seguito, la Greensill Capital portava le fatture all’incasso presso le grandi imprese, ottenendo naturalmente un certo premio. Queste ultime vedevano, con soddisfazione, allungarsi i tempi di pagamento. Purtroppo, però, non tutti i bilanci delle imprese coinvolte erano, e sono, trasparenti e solidi.
Il sistema veniva propagandato come una “democratizzazione del capitale e della finanza”.
Ovviamente, la “monetizzazione” degli asset acquisiti (le fatture da incassare) veniva trasformata in investimenti o in crediti per altre imprese. Ancora più importante era la cartolarizzazione delle fatture acquisite che venivano “impachettate” con altri prodotti finanziari e titoli vari da piazzare agli investitori, in particolare quelli istituzionali. Proprio come accadde negli Usa con i subprime prima della Grande Crisi.
Il sistema veniva internazionalizzato con una rete finanziaria, attraverso la creazione di istituti e di banche, la realizzazione di rapporti con grandi organismi finanziari e assicurativi e la partecipazione attiva in importanti operazioni di finanziamento o di acquisizione di altre corporation.
Ciò è avvenuto con la “benedizione” della City, del governo di Londra e persino della Casa Reale britannica. Lex Greensill è stato consulente speciale per gli affari finanziari del governo di David Cameron, il quale nel 2018 ebbe l’incarico di special adviser della Greensill Capital. A coronamento di tutto ciò, la regina Elisabetta II nel 2017 nominò Lex Greensill “Comandante dell’Ordine dell’Impero Britannico”. Il cerchio magico si era così chiuso.
Di fronte a un così promettente pedigree, gli investitori sono stati pronti a partecipare all’affaire. Prima il fondo americano di private equity, General Atlantic, poi il conglomerato industriale-finanziario giapponese, SoftBank Group. Intanto, il valore di mercato della società aumentava quotidianamente. Del resto, oggi si stima in 55.000 miliardi di dollari il mercato supply-chain.
Con la cartolarizzazione, i “titoli salsiccia”, ovviamente con rendimenti superiori a quelli delle normali obbligazioni di Stato, sono stati piazzati a importanti clienti, tra cui la Global Asset Management (GAM), società di gestione patrimoniale svizzera. Anche il Credit Suisse ne avrebbe comprato per i propri clienti per almeno 10 miliardi di dollari.
Per rendere i titoli più attraenti era necessario che fossero coperti da importanti compagnie assicurative internazionali. E qui entrò in campo la giapponese Tokyo Marine, che l’anno scorso, verificata la mancanza di solidità della Greensill Capital, decise di non rinnovare le garanzie assicurative su 4,6 miliardi di dollari di crediti.
Nel 2014, Greensill Capital acquistò una banca tedesca, la Nordfinanz Bank AG di Brema, poi Greensill Bank AG, usata per espandere le operazioni della casa madre in molti settori e per raccogliere fondi anche da piccoli risparmiatori.
L’iniziale affidabilità della banca ha spinto molti comuni e altri enti pubblici tedeschi a investire in questi “titoli salsiccia”. Ora, purtroppo, la banca è esposta per oltre tre miliardi di euro. Perciò la Bafin, l’equivalente della nostra Consob, è stata costretta a sospendere la licenza e a fermare tutte le operazioni finanziarie della banca.
Le conseguenze globali dell’insolvenza della Greensill Capital sono tutte da verificare. Il rischio sistemico deve essere ancora misurato. La vicenda segue altri casi simili, come quelli di Wirecard e di GameStop.
Il ripetersi di questi disastri finanziari speculativi ripropone l’urgenza di una seria riforma del sistema finanziario internazionale e, comunque, almeno di un coordinamento tra le agenzie di controllo per tutelare i risparmiatori e i settori delle economie reali.
*già sottosegretario all’Economia
**economista
Milano e Palazzo Chigi copiano dal Portogallo, ma senza dirlo
/0 Commenti/in Uncategorized /da admin(Almada però NON è la terza città del Portogallo per numero di abitanti). https://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/governo-italiano-e-milano-copiano-il-potogallo-covid-lotterie-pino-nicotri-svela-e-consiglia-altre-idee-3261113/
Rischi finanziari anche per la Cina
/0 Commenti/in Uncategorized /da adminMario Lettieri* Paolo Raimondi**
Anche la Cina sta facendo i conti con le sue bolle finanziarie, create nei passati due decenni con la scadente applicazione del modello finanziario speculativo americano. Perciò è scesa in campo la potentissima China Banking and Insurance Regulatory Commission, l’agenzia governativa di controllo sulle attività bancarie e assicurative, attraverso il suo presidente Guo Shuqing, manager competente e uomo forte del Partito Comunista Cinese. Il problema numero uno è il rischio rappresentato dal debito corporate cinese e del crescente stock di non performing loans, i crediti inesigibili delle imprese.
Secondo l’International Capital Market Association, l’associazione degli investitori nel fixed income, il mercato obbligazionario cinese interno in yuan, è equivalente a circa 15.000 miliardi di dollari, il secondo al mondo dopo quello Usa. La parte strettamente relativa al debito corporate non finanziario sarebbe pari a 3.700 miliardi di dollari. Il mercato obbligazionario cinese offshore è di 752 miliardi di dollari. E’ in grande crescita e legato soprattutto al settore immobiliare.
Il 2020 è stato l’anno che ha certamente “shoccato” la Cina e i mercati internazionali per i debiti corporate interni: circa 40 fallimenti per 30 miliardi di dollari, il 14% in più rispetto al 2019. Anche 12 imprese cinesi offshore sono fallite coinvolgendo obbligazioni per 7 miliardi di dollari. Ciò sta provocando forti preoccupazioni per una possibile crisi del debito nel periodo post Covid. Infatti, nel 2021 bond per 7,1 trilioni di yuan (6,5 yuan sono equivalenti a 1 dollaro) arriveranno a scadenza sul mercato interno. Alcune delle imprese fallite sono delle controllate dallo Stato e ciò solleva dubbi anche sulla garanzia, finora certa, di salvataggi pubblici.
Nel recente incontro con la stampa, Guo Shuqing ha dato un quadro preoccupante della situazione: “Nel 2020, il rimborso di 6,6 trilioni di yuan di prestiti è stato differito”. Per quanto riguarda gli NPL (Non Performing Loans, in italiano “crediti deteriorati”) ha detto:”Un numero considerevole di imprese potrebbe dover affrontare una riorganizzazione o liquidazione fallimentare.Pertanto, l’aumento dei crediti in sofferenza è una tendenza inevitabile.Nel 2020, abbiamo ceduto 3.02 trilioni di yuan di attività deteriorate.È possibile che i crediti in sofferenza aumentino nel 2021 e anche nel 2022.”.
Guo Shuqing ha annunciato alcuni programmi d’intervento e illustrato i risultati già ottenuti. In primo piano vi è la riduzione dell’elevato effetto leva all’interno del sistema finanziario, che aveva visto una pericolosa crescita nel periodo 2017-19. Sarebbe in atto lo smantellamento del settore bancario ombra, la cui portata è diminuita nel 2020 di circa 20 trilioni di yuan. All’inizio dell’anno il totale era di 85 trilioni di yuan, pari all’86% del pil cinese.
La Regulatory Commission teme che alcune attività ad alto rischio dello scado banking possano ripresentarsi sotto forma di pseudo “innovazioni”. Perciò, per l’internet private banking, saranno applicate le stesse regole di adeguatezza patrimoniale e di garanzie valide per il settore bancario.
Guo ha ammesso che “nel settore immobiliare la finanziarizzazione e la tendenza a diventare una bolla sono ancora relativamente forti, anche se nel 2020 il tasso di crescita dei prestiti investiti nel real estate è sceso per la prima volta sotto quello medio dei prestiti”. E’ un pericoloso “rinoceronte grigio”, perché “molte persone comprano case non per abitarci, ma per investimenti o per speculazioni. Se in futuro il mercato dovesse scendere, potrebbero esserci grandi perdite e i prestiti non sarebbero rimborsati, mandando le banche e l’intera economia in sofferenza.”. Usa docent.
Guo, inoltre, ha spostato l’attenzione sui mercati finanziari negli Usa e in Europa che opererebbero “in contraddizione con l’economia reale”. “Il mercato finanziario dovrebbe riflettere lo stato dell’economia reale, ha detto, altrimenti sorgeranno problemi e sarà costretto alla fine ad adeguarsi. Pertanto, siamo molto preoccupati per il giorno in cui scoppierà il mercato finanziario, in particolare la bolla delle attività finanziarie estere.”.
Considerazioni corrette, che valgono anche per i comportamenti finanziari della Cina e per i rischi sistemici che stanno creando. Alla fine, in Cina o negli Usa, in Africa o in Europa, la finanza speculativa è sempre un pericolo per l’economia reale.
*già sottosegretario all’Economia **economista
Le vergogna dello Stato italiano: NON assegna le medaglie d’oro, e la pensione, al personale sanitario che nella lotta al Covid ci ha rimesso la vita e che viene proposto per il Premio Nobel per la Pace..
/0 Commenti/in Uncategorized /da adminSorvoliamo sul fatto che non si vede cosa c’entri la Pace con la lotta al Covid. Non sorvoliamo invece sull’ipocrisia dello Stato italiano e annessa presidenza.
https://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/premio-nobel-per-la-pace-a-medici-e-infermieri-italiani-la-proposta-ce-ma-dallo-stato-italiano-niente-medaglia-3259504/
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