Se ti baciassi la pianta del piede: poesia, musica e immagini

Vi giro una breve poesia in formato video, protagonista l’attore e autore Vasco Mirandola. Poesia, immagini e musica per vivere in un altro mondo, anche se solo per poco più di un minuto. E tornare lì quando vuoi, basta chiudere gli occhi e aprire il cuore…..
Molte volte guardi quello che succede e non ne capisci il senso poi inaspettata arriva una rivelazione, un’epifania, e tutto quello che hai visto e vedrai prenderà significato.Questo è la poesia e questo è quello che vogliamo provare a fare: dare un senso a quello che un senso non ha. Se e ti baciassi la pianta del piede.

Jimi Hendrix, santo subito!

Su Jimi Hendrix si è scritto di tutto e di più, scrittori e giornalisti hanno rincarato la dose l’anno scorso per celebrare il quarantennale della morte. Tra tutti merita una segnalazione Enzo Gentile con il suo “Jimi santo subito” (Shake edizioni). Confesso subito che non l’ho ancora letto, ma che non vedo l’ora di farlo. Ho avuto  la fortuna di avere sue notizie dallo stesso autore, fan compulsivo e consenziente, protagonista di una presentazione dal vivo ricca di foto, filmati, aneddoti. Un piccolo, ma gustoso assaggio di quanto si potrebbe raccontare e ascoltare. Mi limito a citare solo un numero, noto a tutti ma che dice più di tante parole (tra l’altro Jimi era un appassionato di numerologia: “If 6 was 9”….): 4. Quattro gli anni di “carriera”, dopo una gavetta rhythm’n’blues e soul come sideman: pochissimi, eppure hanno stravolto il rock. E nessuno negli ultimi quarant’anni ha saputo fare né meglio né come lui.

Crash Records, 32 anni a febbraio: e invece no

Chissà quanti ne sono rimasti in tutta Italia. Già fanno fatica a tirare avanti i negozi che vendono le  ultime novità, figuriamoc colleghi dell’usato. Parlo di dischi, in vinile e cd. Nella mia città per più di  trent’anni c’era Crash, un buco sotto i portici del ghetto. Uso il passato  perché dal primo gennaio 2011 non ci sarà più. Roberto Morbiato, fondatore e titolare nostop – faccia alla Guccini ma più ganza, occhi furbi dietro gli occhiali seriosi – è stanco: “Mi dedicherò  ancora ai dischi di seconda mano, ma solo nei mercatini, più qualcosa in”. Roberto ne ha macinata di musica in questi ultimi 32 anni, ascoltando tutti i dischi che metteva in vendita, comprati soprattutto con puntuali approvvigionamenti in Inghilterra: “Negli anni d’oro, gli Ottanta, il sabato qui facevano la coda per ascoltare vinili di tutti i generi, mentre gli altri chiacchieravano, discutevano di valvole e amplificatori, puntine e casse. In questo negozio si sono formati almeno due gruppi, c’è scappato persino un matrimonio”. Crash nasce nel 1979: “A Londra,

dove ho vissuto facendo un po’ di tutto, avevo scoperto a Notting Hill Gate un negozietto che vendeva dischi usati, abbassando il prezzo di settimana in settimana – mi racconta Roberto, mentre due ragazzi colombiani spulciano tra le svendite e trovano increduli due lp di Rick Wakeman a soli 5 euro l’uno – Tornai a casa con le borse piene di rarità. Tentai di lavorare come ragioniere, ma dopo l’ennesima incomprensione con il mio datore di lavoro mollai tutto e con la liquidazione aprii Crash. Dopo un paio d’anni venne a darmi un mano da Mestre Gianni Olivato, il karateka. Restò una decina d’anni, rimpiazzato per altrettanti

da Riccardo Bosco, il primo bassista dei Devil Doll. Dal 2002 mando avanti il negozio da solo”. Tra la miriade di titoli, quali i più richiesti? “Sopra tutti i Beatles, e poi Pink Floyd, Frank Zappa, Deep Purple e Led Zeppelin. Basterebbe questa cinquina per darmi da vivere. Hanno sempre avuto grande successo anche i gruppi di progressive italiano come il Rovescio della Medaglia, che

io detesto come del resto quasi tutti gli italiani, a parte i grandi cantautori. Preferisco il folk inglese, il rock blues, l’elettronica d’autore di Brian Eno. Il vinile più quotato? Con il primo e unico album dei Mellow Candle, “Swaddling Songs”, inciso per la Decca, nel 1990 mi sono pagato un mese d’affitto. I dischi rimasti più a lungo negli scaffali? Qui è andato venduto di tutto, anche gli

orrori. I più terribili li mettevo in regalo sotto le feste: non rimaneva un pezzo!”. Crash è sempre stato di stampo prettamente maschile: “Qui le donne non hanno superato il 10% , ma ultimamente si facevano vive molte ragazze: proprio quando ho deciso di mollare…”. Il ritorno del vinile, molto amato dai dj, non ha mai preso piede da Roberto: “Solo negli anni Ottanta cercavano qualcosa degli anni Sessanta da campionare, ma niente di più. Amici e clienti vanno più sul rockettaro, e qui si sentivano a casa. Ricordo i bei tempi in cui, scoperto a Londra grazie ad un concorrente giapponese un magazzino della Virgin, o meglio della sua Caroline Records, portavo in Italia a prezzi stracciati camion di dischi”.

Nick Cave avanti tutta, Devo in (meritata) pensione

A proposito di chi ha già dato e farebbe dunque meglio a lasciar perdere (vedi i Blonde Redhead del mio ultimo post), per fortuna c’è chi invecchia ma non peggiora, continua ad avere qualcosa da dire, emozioni da dare. Fedele al suo stile ma senza suonarsi addosso. Come Nick Cave. Si è inventato i Grinderman e fa dei gran bei dischi. Ancora! Compreso l’ultimo, Grinderman 2. Ritmo pulsante, sano rock dolente e sanguigno, d’istinto, duro. Auuuu! Altro che gli heavy metallari con la vocina da castrati. Facevano invece meglio a rimanere indimenticati nel cuore dei fan, me compresa, i Devo. Il ritorno di Mark Mothersbaugh, che delusione. Che inutilità, come per i B-52s tempo fa. Canzoncine che appena finiscono le hai già dimenticate. E non le voglio neanche più riascoltare.

Blonde Redhead addio!

Chissà per quale motivo malsano quando il musicbiz si interessa finalmente di un artista e decide di lanciarlo alla grande sul mercato, quello automaticamente cambia pelle, perde i connotati che ci hanno fatto innamorare, non sembra più lui. Arriva al successo quando non lo merita più. E’ successo a tanti, troppi. Che sia il discografico a pretendere una virata easy listening o viceversa che sia questa ad attirare l’attenzione di quello, il risultato non cambia. Sentire per credere l’ultimo disco dei Blonde Redhead, “Penny Sparkle”. Te li ritrovi ultimamente dappertutto, e sempre con lodi sperticate. Peccato che non siano più loro. Che mi frega se fanno graziose canzoncine? Io voglio ben altro. Dove sono quelle melodie oblique, dolenti e insolenti, alla Elephant woman? Che me ne faccio di questi tre mosci, con tanto di tastiere anni Ottanta che mi schifavano già allora? E che comunque altri hanno già usato, magari anche meglio, trent’anni fa? Ma dai…

Beniamino Noia, non fatevi ingannare dal nome

Paolo Tizianel è uno di quelli che non molla. Musicista fin da ragazzo, raggiunta la matura età non ha lasciato perdere l’intenzione di fare musica per mestiere, per giunta restando a vivere in provincia. Nonostante venga ripagato molto poco, troppo poco rispetto alla sua interessante investigazione tra pop ed elettronica. Il suo ultimo progetto è solista e porta il nome indisponente di Beniamino Noia, volutamente poco accattivante (un aggettivo che fa a pugni con Paolo lo schivo). Una provocazione, visto che noioso di certo non è. Tant’è che è stato selezionato dall’Italia Wave festival per rappresentare il Veneto e sarà a Livorno il prossimo luglio con il suo “gradevole milieu fatto di dub, rilassatezza malinconica, uso della chitarra minimale, emozionale, intimistico e basi elettroniche”, come recita la motivazione della giuria. La sera di venerdì 28 maggio, alle 21.15, sarà in concerto al cinema Lux di via Cavallotti a Padova, armato di voce, loop station e computer, e ancora di chitarra e basso. Sarà accompagnato da una selezione di cortometraggi di animazione, proposti dall’Euganea Movie Movement, e dalla compagnia teatrale dei Carichi Sospesi, in scena con “Méchanicae”. Polistrumentista e compositore, Paolo ha alle spalle diverse esperienze in gruppo (Infinity Within, Descanto e Diva) e di musiche scritte per spettacoli teatrali (Tam Teatromusica, Abracalam e Carichi Sospesi). Si è dato da fare anche come organizzatore di concerti e di eventi, e non disdegna la contaminazione con fotografia e arti visive (vedi la collaborazione con la Valentina Nieli, aka Malta Bastarda, questo sì un gran bel nome d’arte!). Il suo primo album, “S/t”, uscito per PBM, è del 2008. C’è già tutta la sua vena malinconica, a tratti minimalista, ma anche ritmi lievi e spazzolati, songwriting e dance. Questa la sua autopresentazione: “Beniamino Noia nasce dall’incontro di diversi musicisti di talento che un giorno mi hanno detto “ Paolo, noi usciamo un attimo a comprare le sigarette, aspettaci qui. “ Sono passati cinque anni. Ma io sono tranquillo, so che torneranno; hanno dimenticato l’ accendino in sala prove. Oggi Beniamino Noia è un progetto che si basa su di una necessità, una profonda e intima esigenza, quella di non dividere il cachet con nessuno, per esempio. Per fare musica si avvale della voce, di una chitarra e di un basso elettrici, di una loop station , di un computer e di altri complessi macchinari tra cui una Micra bianca del 95 dotata di tutti i comfort, volante incluso, che vende a prezzo stracciato”. Infoweb www.myspace.com/beniamino noia.

Laverna, i nuovi talenti dell’elettronica in libera circolazione

Quando, chi, dove, come, quanto, perché: sono tante le domande che ho voluto fare ai tre curatori di un’etichetta discografica indipendente alquanto particolare. Laverna Netlabel propone musica online gratis, non solo in streaming ma da scaricare, a norma di legge. E’ specializzata in musica elettronica, una trentina gli artisti in catalogo, selezionati da Mario “Molven” Marino, Mirco Salvadori e Lorenzo Isacco.

Quando è nata l’etichetta?

Mario: Era il 2004 e il progetto Laverna Netlabel partì da subito come progetto più ampio rispetto a quello di una “semplice” etichetta musicale. La scommessa era quella di aprire uno spazio (di cui il sito web era solo una delle componenti) in grado di raccogliere e sviluppare progetti legati ad un certo tipo di suono (che semplificando potremmo definire “elettronico”) e ad una certa forme estetica, da sviluppare con dinamiche di tipo “collaborativo”. E’ una sorta di strana coincidenza cronologica. Se il 1994 io riconosco l’anno decisivo per il suono elettronico, la svolta qualitativa e le innovazioni musicali più importanti per etichette quali Warp, Apollo, Rising High, Fax, plus8..; il 2004 lo vedo in qualche modo come l’anno della svolta per quanto riguarda le modalità di diffusione dei suoni con l’esplosione delle licenze “Creative Commons” e il salto qualitativo delle netlabel (fino ad allora poco più di contenitori di file mp3 diffusi in Rete) che diventano vere e proprie etichette con stile e contenuti riconoscibili.
Resto in attesa del 2014…

Quale background vi ha portato fino a Laverna?

Mirco: “ho iniziato da giovane”…verrebbe da dire! Più che giovane da vero e proprio adolescente, ad ascoltare musica non canonica. Per me è sempre stata una compagna inseparabile ed insostituibile. Nei primi anni ’80 mi sono avvicinato alle radio libere (così si chiamavano…) e non le ho più lasciate. Son partito da una piccola emittente sulla riviera per finire a creare uno dei programmi più ascoltati nel NordEst Italia. Si chiamava ‘Nocturnal Emission’ e lo conducevo assieme a Massimo Caner, guru ricercatore del suono new-wave ed elettronico, tutt’ora in azione. Da un po’ di tempo a questa parte siamo ospiti di Andrea De Rocco e del suo “Diserzioni” in onda su Sherwood Radio: con lui abbiamo inaugurato una nuova esperienza radiofonica (Disermission) che si occupa esclusivamente di suono elettronico e va in onda con frequenza quindicinale la domenica pomeriggio. Un percorso, il mio, partito dal country-rock (?!) ed approdato al suono elettronico di ricerca. Nel mezzo una serie di esperienze che ancora pulsano di vera vita come la collaborazione più che ventennale con il mensile specializzato Rockerilla per il quale curo la pagina recensioni produzioni Net e non solo, le esperienze di produzione discografica con Laverna Net come dj micromix, la nuova avventura artistica con gli Infant T(h)ree e l’incarico di art director sempre per Laverna Net Label.

Mario: ..ahimè a causa dell’età il background parte dai lontani anni ’80 ai quali, guarda caso, faccio risalire le fondamenta storiche del suono che amo ancora oggi. Una certa “elettronica” (di matrice “wave”) che ha iniziato a formarsi con le produzioni di formazioni storiche quali Wire, Cocteau Twins, Cabaret Voltaire, Clock DVA.. Che si unisce ad una militanza “politica” che nella mia personale esperienza personale ha sempre significato prima di tutto un impegno per tenere in vita la purtroppo asfittica scena culturale locale che, se non fosse per la generosità di singoli individui che si impegnano da anni gratuitamente nel territorio, sarebbe ancora più povera e arretrata di quanto non lo sia oggi, sopratutto nel confronto con gli altri paesi europei nei quali sono previsti riconoscimenti, incentivi, programmi radiofonici e televisivi nei canali pubblici, finanziamenti..

Lorenzo: il mio background è presto raccontato. Son quello che spesso viene definito un “musicofilo”, ho cominciato a 12 anni ascoltando Devo e Pink Floyd, e ho fatto un giro a 360 gradi per la musica, fermandomi in molte stazioni. Una di quelle più viscerali è la musica elettronica, ed in particolare l’ambient ed i generi ad essa affini o derivati. Ho fatto un po’ di anni di radio, in una piccolissima radio localissima, ed ora ho anche una piccola etichetta (oltre a Laverna, s’intende) discografica, e una piccola società di management.. Da 20 anni lavoro ed ho lavorato in differenti ruoli, vicino al mondo dello spettacolo. Naturale il passaggio poi, a Laverna, con tutto l’entusiasmo e la convinzione di poter fare esplodere un potenziale incredibile grazie al concetto di collaborazione proprio di Laverna.net sin dagli albori: una forza esplosiva.

Di cosa campa una net-label visto che i download sono gratis?

Mario: Una Netlabel in sè non ha nessun tipo di introito in quanto diffonde musica “free”, cioè liberamente e gratuitamente scaricabile dalla Rete. Tuttavia ci sono delle attività collegate come gli eventi musicali live che abbiamo organizzato in varie occasioni (come l’evento del 10 Dicembre 2009 al Candiani di Mestre) che hanno come unico scopo quello di diffondere un messaggio estetico e un contenuto, e che riusciamo a mettere in campo solo grazie alla generosità dei musicisti e di tutti quelli che collaborano a titolo assolutamentegratuito!
E’ il solito vecchio discorso: ci sono delle attività umane che non hanno un immediato riscontro economico e che nei paesi più avanzati sono riconosciute come valore sociale e in quanto tali sono finanziate e sostenute. In Italia sopravvivono grazie ai ritagli di tempo di alcuni testardi individui..

Lorenzo: L’etichetta ha una filosofia ben precisa: pubblica in download gratuito, e come tale, anche l’impegno dell’artista che decide di pubblicare con noi, sa in partenza che le regole sono quelle della gratuità. Questo non incide sulla qualità del prodotto, se non per qualche caso ove l’artista stesso ha deciso di raggiungere o non raggiungere una determinata qualità, ma mantenendosi su standard di assoluto rispetto. Di cosa campa.. ognuno di noi, di un altro lavoro..

Chi sono i vostri utenti tipo? e quanti sono?

Mirco: trattandosi di una label che opera in rete il numero degli utenti è estremamente ampio in quanto Internet è ‘patria’ del suono elettronico per antonomasia. I nostri utenti arrivano dalle esperienze le più svariate ed appartengono a quella categoria che noi prediligiamo: “open minds people”

Mario: Non c’è un utente tipo ma possiamo misurare in modo preciso il numero di download, ovvero il numero di volte che ogni release viene scaricata. E possiamo dire che per alcune releases la cifra è di tutto rispetto tenendo conto del fatto che trattiamo un suono “di nicchia” (anche alcune migliaia di download)..

Quanti artisti conta la vostra scuderia?

Mirco: il bello di una Net Label è che non conta poi molto il numero degli artisti o delle uscite che si producono in un anno ma la qualità delle cose che si fanno. Laverna ha iniziato il suo percorso lentamente ma ora sta viaggiando a pieno ritmo. Abbiamo parecchi nomi interessanti in catalogo, sia italiani che stranieri e altri ne stanno arrivando. Laverna si sta pian piano definendo come etichetta capace di produrre cose decisamente di alto contenuto artistico e di estremo valore sonoro. Siamo tre tipini molto attenti alle scelte per cui le proposte vengono vagliate traccia per traccia e tutte devono avere dei requisiti che siano in linea con la ‘politica sonica’ della label.

Mario: beh è una “scuderia” molto dinamica, forse molto più variabile della media di un etichetta musicale, nel senso che si aggiungono sempre nuovi musicisti e alcuni artisti che hanno pubblicato in passato con noi non è detto che lo faranno ancora in seguito. Il criterio guida viaggia su un doppio binario: da un lato lo stile musicale, dall’altro lato il musicista, tenendo conto di tutto quelle che ci siamo detti finora, deve collegarsi allo spirito “collaborativo” e “orizzontale” del progetto..

Lorenzo: difficile rispondere, un po’ perché in quest’ultimo anno, ed oggi ancor di più, abbiamo incrementato del 300 per cento il numero delle uscite. Gli artisti che sono nella “nostra” scuderia o semplicemente ruotano attorno ai progetti di Laverna sono molteplici: alcuni hanno proseguito e si ripropongono con una certa continuità, altri hanno virato verso altre scelte artistiche. Altri ancora hanno terminato, il loro percorso, pubblicando il loro saluto con noi.. diciamo che tra habitué ed occasionali, oltre la trentina..

Quali sono i vostri musicisti più scaricati?

Mirco: senz’ombra di dubbio direi che ‘The Last dj’ di Gigi Masin è il disco più downlodato in assoluto.

Mario: Poi ci sono alcuni nomi “emergenti”: Enrico Coniglio e gli LLS04. Abbiamo anche un “supergruppo” nato da una interessantissima combinazione di elementi ed esperienze diverse: Gli “Infant T(h)ree”..

Quali gli artisti più originali e/o innovativi?

Mirco: facendone parte non posso parlarne ( ; ) quindi, a parte quella produzione, devo dire che ogni uscita ha una sua peculiarietà, ogni artista che decide di ‘stampare’ per Laverna porta con sé originalità ed innovazione.

Mario: Gigi Masin è il nome storico, il musicista più noto e con più esperienza. Poi ci sono alcuni nomi “emergenti”: Enrico Coniglio e gli LLS04. Poi abbiamo anche un “supergruppo” nato da una interessantissima combinazione di elementi ed esperienze diverse: Gli “Infant T(h)ree”..

Lorenzo: Abbiamo trovato molto interessante ed innovativa al release di Enrico Coniglio, musicista di acclamato valore a livello mondiale. Una sorpresa si è rivelato, poi, #11 degli LLS04, una coppia di musicisti, coppia anche nella vita. Siamo in attesa delle tracce audio di Emanuele Errante (che già ha collaborato con noi in occasione dello spettacolo “Futuribile notte d’inverno” al centro Culturale Candiani di Mestre). Ma poi tutti, tutti i musicisti che hanno prodoto qualcosa per noi hanno riscontrato il nostro entusiasmo ed il risconto del pubblico.. Come Monosonik, Halo XVI, Molven, Vain Foam, Paolo Veneziani, Mono-drone. Gocce di poesia di Gigi Masin, e sicuramente e molto gli Infant T(h)ree.

Il termine “elettronica” è un po’ vago: voi abbracciate un po’ tutto, dalla dance all’ambient, oppure no?

Mirco: non posso che darti ragione, oramai con il termine elettronica si tende a catalogare tutto ciò che non è canonico o mainstream. Noi ci occupiamo di suono elettronico inteso come suono di ricerca che ha come base, come comune denominatore il fascino dell’esperienza Ambient. Da li partiamo per andare alla ricerca di sempre nuove frontiere sonore, lontane comunque dall’inascoltabile frastuono della musica (?) tristemente convenzionale.

Mario: Se inizialmente il nostro progetto di net-label si proponeva di diffondere attraverso la Rete le produzioni musicali di artisti del nostro territorio, in una fase successiva e forse più matura, ci proponiamo un superamento totale e definitivo di ogni distinzione di carattere geografico utilizzando come unico criterio di scelta e di pubblicazione del materiale, come dicevo, il suo intrinseco valore e anche le affinità di spirito relative al metodo di lavoro del musicista. E’ chiaro che inizialmente si è pubblicato materiale differente come stile, mentre da molto tempo ormai abbiamo creato un percorso musicale legato ad uno stile preciso che potremmo in qualche modo definire: ambient elettronico tra l’IDM, il downtempo e la sperimentazione… Non avrebbe senso attraverso una label tentare di rappresentare tutta la scena elettronica, pena il rischio di fare un pasticcio incomprensibile.

I suoni sono tutti elettronici o c’è l’inserimento di strumenti “veri”?

Mario: Se inizialmente il nostro progetto di net-label si proponeva di diffondere attraverso la Rete le produzioni musicali di artisti del nostro territorio, in una fase successiva e forse più matura, ci proponiamo un superamento totale e definitivo di ogni distinzione di carattere geografico utilizzando come unico criterio di scelta e di pubblicazione del materiale, come dicevo, il suo intrinseco valore e anche le affinità di spirito relative al metodo di lavoro del musicista. E’ chiaro che inizialmente si è pubblicato materiale differente come stile, mentre da molto tempo ormai abbiamo creato un percorso musicale legato ad uno stile preciso che potremmo in qualche modo definire: ambient elettronico tra l’IDM, il downtempo e la sperimentazione…

Lorenzo: dipende da quale musicista intendiamo: scuramente ci sono strumenti acustici, altri elettrificati, ed in fine completamene elettronici.. In particolare gli Infant T(h)ree usano strumenti “veri”, come anche Enrico Coniglio, Halo XVI, LLS04.. Dipende dalla sensibilità e dal percorso artistico finora svolto dall’artista (o gruppo d’artisti), e dalla propria curiosità.. E’ comunque pratica sempre più comune e riconosciuta, e ci si apre a nuovi orizzonti artistici

Molti artisti di elettronica dal vivo non interagiscono con la loro strumentazione nè creano in diretta ma propongono una pappa già bell’e fatta: ha senso allora un live set?

Mirco: ti posso assicurare che l’interazione avviene eccome! Se tu prendi un file e lo vai ad incastonare all’interno di un loop che hai appena creato ritagliandolo da un campione a sua volta registrato al momento ti assicuro che stai ‘suonando’ ed interagendo con la macchina e creando suoni assolutamente non pre-confezionati. Io credo si debba sfatare questa fiaba metropolitana per cui elettronica=freddezza ed inespressività. C’è più poesia in un drone dilatato per 20 minuti che non in una canzone pop qualsiasi. La potenza dell’ambient sta proprio nel suo riuscire ad interagire prepotentemente con la tua immaginazione per portarti in territori altri, lontano dal clamore insulso della realtà quotidiana con le sue canzoncine.

Mario: Oltre alle pubblicazioni di release nel nostro sito Laverna.net, da molti anni ormai costruiamo eventi dal vivo e dunque il tema della musica elettronica nella sua dimensione live per noi è molto sentito. Per un musicista che si ripropone di eseguire esibizioni Live è una continua ricerca di una interazioni in presa diretta con il suono. Le possibilità sono infinite (interfacce, filtri, multi effetti, elaborazione in tempo reale di strumenti alettrici che entrano nella scheda audio, ecc..). Ma mentre i tuoi “colleghi” musicisti non hanno difficoltà a godersi la tua performance, la vera difficoltà secondo me è fare capire ai non addetti ai lavori che durante il tuo live-set stai davvero “suonando” mentre interagisci con queste interfecce che sono in tutto differenti rispetto ai classici strumenti musicali.

Il formato mp3 è pratico ma ammazza la qualità del suono….

Mario: mah.. non è stata trovata una risposta definitiva a questo interrogativo. Ci sono diverse opinioni. La “perdita” di qualità dei file mp3 pur essendo oggettiva è alla fine percepita soggettivamente in modo diverso. Io non sono un fanatico audiofilo. Se un brano è bello lo è anche in mp3..

Lorenzo: beh una volta era sicuramente vero, ora non più così tanto.. L’MP3 è tecnologia che è stata sviluppata dal Prof. Brandenburg nei primi anni ’90. I primi MP3, che è una tecnologia che sfrutta l’eliminazione delle frequenze superiori al limite di udibilità umana, tagliandole brutalmente nei primi esempi. Poi si son fatti passi da gigante, sia con altre tecnologie di compressione audio che ottengono una migliore percezione acustica (purtroppo è sempre quella la prova da fare.. ascoltare.. non c’è miglior giudice del nostro orecchio!), sia abbinando una straordinaria tecnica di codifica che si chiama SBR (Spectral Band Replication). Ci sarebbero poi altre tecnologie ed altri sorprendenti risultati. Però non ha molto senso scendere in particolari tecnici, credo.. E’ chiaro che l’MP3 è di qualità inferiore della qualità del CD audio, e il CD audio inferiore al vinile.. ma dati gli straordinari passi avanti che si son fatti ed (da non sottovalutare) il crescente disinnamoramento per l’audiofilia, pongono l’MP3 ancora sulla ribalta delle tecnologie di compressione, anche perché.. la fruizione probabilmente, va sempre più verso un ascolto da cuffiette e lettore mp3 sul cellulare, o suoneria per cellulare, contro un tempo in cui si bloccavano le proprie attività per ascoltare un disco (alti tempi)..

Diritti d’autore: qual è la vostra posizione al riguardo?

Mirco: in Italia siamo in fase afasica rispetto alla cultura, il ‘comportamento televisivo’ regna sovrano, l’ignoranza sta devastando la maggioranza delle giovani menti. Cerchiamo perciò di diffondere cultura nuovamente ed al meglio e senza orpelli. Noi di Laverna lo stiamo facendo.

Mario: Io sono un ultra sostenitore delle licenze libere e addirittura del copyleft, pur ritenendo sacrosanto il fatto di attribuire i crediti al creatore originario della musica. Ma non tutti i musicisti concordano su questo.
Tuttavia, come sempre, è nel momento in cui entra in gioco il discorso economico che nascono i problemi. Nel nostro caso, la scena musicale di riferimento è talmente limitata come numero di fruitori che il problema non si pone. Anzi considero la svolta “Creative Commons”, l’occasione per uscire dalle ambiguità: non ci guadagno nulla dalla pubblicazione dei miei brani (tanto era così anche prima per noi..) ma almeno resta chiara l’attribuzione dell’autore del brano e la mia musica potrà avere una maggiore diffusione rispetto a quella della tradizionali etichette..
E’ come se si stesse tornando un po’ alle origini della musica, prima dell’avvento del disco, dove il musicista otteneva i propri guadagni solo dalle esibizioni dal vivo..

Lorenzo: Beh.. per un non musicista è un po’ difficile rispondere anche per chi è musicista e vorrebbe che il mondo lo osannasse (come sogno nel cassetti, intendo). Ma, brevemente, dal mio punto di vista, il fatto che un ente dichiari di tutelare i diritti dei suoi affiliati, ma alla fine ti costringe a pagare anche per la tua musica, ricalcola le eccedenze economiche dando di più “ai ricchi” e niente ai “poveri”, ed altre cose, è quantomeno ridicolo.. La CCL, licenza sotto la quale pubblica Laverna tutti i propri contenuti, ti permette di raggiungere più persone, per la gratuità della proposta, ti permette di tutelare i diritti dell’autore, in modo non poi così tanto differente da altre forme più “pubblicizzate” (od istituzionalmente riconosciute). Detto questo, i diritti d’autore sono sacrosanti e non si può prescindere dal pensare di tutelarsi in tal senso. Poi, è giusto anche pensare se val la pena spendere dei soldi a fronte di quello che si prevede possano rientrare con lo stesso meccanismo, oppure affidarsi alla tutela con formule gratuite ma perfettamente funzionanti. Noi, con Laverna, abbiamo scelto la Common Creative License e ne siamo fieri.

www.laverna.net, www.myspace.com/lavernanet

Tam Teatromusica riparte da trenta

Dall’8 maggio scattano due mesi di gran festa per i 30 anni di Tam Teatromusica: la storica compagnia padovana più che autocelebrarsi vuole riflettere e rimettere in discussione tutto il suo lavoro nato dalla relazione tra immagine e suono. Non per gli addetti ai lavori ma per il grande pubblico, fuori dalla sua “tana”, l’ex oratorio delle Maddalene in via Verdara, organizzando una mostra al centro culturale Altinate/San Gaetano (in via Altinate in centro storico a Padova), raccogliendo il suo archivio in una trentina di dvd e pubblicando una monografia. Il tutto sotto il titolo di “Megaloop”. “Non c’è nessun intento nostalgico –sottolinea Michele Sambin, padre del Tam – vogliamo piuttosto riprendere i temi della nostra lunga ricerca, fissandoli nella memoria prima che vadano perduti, per ricostruire un’altra nuova nostra opera intitolata “Megaloop””. Il loop è una tecnica musicale che permette di sovrapporre sullo stesso anello di nastro o altro tipo di supporto tante incisioni: “E’ come il nostro modo di far teatro, senza principio e fine – aggiunge Pierangela Allegro, ideatrice dei “festeggiamenti” - affidandoci alla composizione piuttosto che alla narrazione. La relazione tra immagine e suono e non il testo è il motore del nostro far teatro”.

La mostra si aprirà l’8 maggio: “L’obiettivo è quello di non limitarci alla semplice esposizione di documenti come foto, manifesti, video – spiega il curatore, Riccardo Caldura, una collaudata esperienza nel modo dell’arte contemporanea – il pubblico deve poter cogliere la creatività di chi fa teatro, conoscendo da vicino gli oggetti scenici, che saranno rimessi in gioco in alcune performance serali, affidate a diverse generazioni di attori del Tam: una sorta di “clip” teatrali di breve durata per un numero limitato di spettatori. Importante è poi la riscoperta delle radici artistiche di Sambin attraverso un centinaio di disegni preparatori dei suoi spettacoli, riagganciandosi ai suoi primi lavori degli anni ’70 a Venezia”. In programma anche altri eventi collaterali alla mostra (aperta fino al 6 giugno, ore 10-19), come conversazioni e tavole rotonde, workshop e visite guidate. Coinvolti come custodi gli studenti del Dams dell’Università di Padova, soprannominati “miniloop”. Il libro monografico (presentazione il 21 maggio alle 17) è curato dal critico Fernando Marchiori e racchiude gli scritti di Cristina Grazioli, Riccardo Caldura, Antonio Attisani e Veniero Rizzardi. L’Archivio Tam, che verrà presentato al pubblico il 18 maggio alle 17 e resterà consultabile in mostra, raccoglie in 30 dvd 74 opere dal 1980 al 2009. Infoweb www.tamteatromusica.it.

Eugenio Finardi, la musica è sempre ribelle

“La musica è ribelle”: l’avevo scritto con la bic sul tettuccio di tela della 500 di mia sorella, una tag per dire che era anche mia. Ed è ancora ribelle la musica di Eugenio Finardi, che ha dato voce alle canzoni di Vladimir Vysotsky, poeta e cantante russo censurato dal regime sovietico fino alla morte nel 1980, suonate dall’ensemble di musica contemporanea “Sentieri selvaggi” nel disco “Il cantante al microfono”. “Non solo la musica, ma l’arte, la cultura possono avere una forte valenza sociale e politica quando sviluppano il pensiero individuale – mi racconta – il messaggio di Vysotsky è anarchico, antitotalitario, contro il potere che usa gli ideali e i sogni della gente per rivoltarglieli contro”. Nel disco inciso con Sentieri Selvaggi Eugenio perfeziona una ricerca nell’uso della voce intrapresa ancora negli anni Settanta: “Merito di mia madre, soprano mozartiano e insegnante, che mi ha passato i rudimenti fin dai miei esordi . Ora ho aggiunto alla vocalità tipica del blues, che uso in questi ultimi anni, quella che io chiamo “camera di risonanza”. Non si inventa nulla, ma si possono combinare tecniche diverse: Demetrio Stratos, ad esempio, mio maestro, spaziava dalla tradizione mongola a quella tibetana”.

“Ho ormai abbandonato il pop, niente più stronzate, faccio solo musica pesante, ovvero di peso, di spessore”. Ma non disprezza alcuni colleghi più giovani e “leggeri”: “A Sanremo mi sono piaciuti Scanu e Mengoni, soprattutto quando ha cantato con il Solis quartet. Tra i cantautori stimo moltissimo Bersani, intelligente e autonomo, fuori dai soliti giochini, e Roberta Di Lorenzo, che ho volentieri prodotto, forte di una visione al femminile molto intrigante per noi maschi”.

Son quasi quarant’anni di musica: un bilancio? “E’ così lunga che vado per decenni. Gli anni Settanta, quelli della Cramps, degli Area e dell’utopia; gli Ottanta della delusione e del duro scontro con la realtà, la nascita di mia figlia Elettra, handicappata; i Novanta con il tentativo, riuscito soprattutto con “La forza dell’amore”, di giocare il gran premio delle case discografiche; dal Duemila rinuncio al pop per seguire i miei amori, come il blues. Il successo lascia abbastanza aridi, va e viene, io voglio inseguire l’arte. Non mi rende economicamente molto, ma ho le mie belle soddisfazioni. Lo scorso gennaio ho cantato alla Scala e mi hanno invitato nuovamente l’anno prossimo”.

Peter Gabriel, cover da camera

Anni di astinenza e poi finalmente arriva un nuovo disco, ma non sazia. Peter Gabriel non ritrova la vena creativa a sessant’anni – pretendiamo troppo? – e reinterpreta canzoni altrui, in versione da camera. Niente basso né batteria né ritmiche etniche che tanto care gli furono. Parte bene, e come potrebbe essere altrimenti, con un capolavoro: “Heroes” è bella sempre e comunque, dolente come piace a Gabriel – gli archi mi ricordano Philip Glass, da risentire l’integrale dei suoi quartetti suonati dal quartetto Paul Klee – o gioiosa come l’ha voluta Craig Armstrong in “Moulin Rouge”. Una riuscita “The boy in the bubble” di Paul Simon al rallentatore è affidata soprattutto al piano, “Mirrorball” degli Elbow si apre a sonorità più sinfoniche. E poi? Meglio lasciare ai Talking Heads la nervosa “Listening wind”, “The power of the heart” alla voce inimitabile di Lou Reed e “Street spirit” ai Radiohead, il resto sono ed erano canzoni minori e mediocri e Gabriel non le salva dall’inutilità. E dalla noia.

I magnifici 9 per Wyatt a Modena

Canterbury, cittadina (45.000 abitanti circa) nel sud dell’Inghilterra. Nessuno di noi ci è mai stato, ma ci piace (a noi devoti) immaginarla come una località gentile e bizzarra, abitata da discepoli del Cappellaio Matto di Alice. Eppure, da questo paesone è arrivata, dai tardi anni ’60, una “famiglia” di musicisti che – come pochi – ha creato un cult following delle loro opere. In ordine sparso, questa specie di Modena (o Mantova, o Rovigo, o Ravenna) ci ha regalato gruppi come i Caravan, Hatfield & the North (che prendono il loro nome da un’indicazione stradale), i Camel, gli Henry Cow e –primi inter pares- i Soft Machine. Il batterista di questi ultimi era Robert Wyatt. Il quale però, dal 1973, non fu più un batterista a causa di una rovinosa e misteriosa caduta dal terzo piano durante un party, in seguito alla quale rimase paraplegico e –da batterista assai bravo, ma nulla di più- diventò una delle voci più devotamente amate da connoisseurs di tutto il globo. Wyatt, sia da batterista che da cantante e pure nella fase intermedia, ha avuto amici importanti: Jimi Hendrix, Phil Manzanera, Mike Oldfield, Elvis Costello (per il quale ha scritto la meravigliosa Shipbuilding), Brian Eno e soprattutto il batterista dei Pink Floyd Nick Mason che supportò in vari modi Wyatt nella realizzazione del suo masterpiece Rock Bottom del 1973. Wyatt, diciamolo subito, raccoglie nel mondo un enorme rispetto e un enorme amore per la sua figura e la sua musica, ma non ha mai venduto molti dischi (è anche uno dei due o tre inglesi pervicacemente comunisti) e quindi viene visto un po’ come il Panda, da proteggere ad ogni costo, nella sua ingenuità (nonostante i suoi 65 anni!) e nella sua unicità.

La voce di Wyatt è la voce più triste del mondo, punto.Il suo unico successo fu, nel 1974, una cover di I’m a believer di Neil Diamond (aka Sono bugiarda, di Caterina Caselli), una canzone allegrotta e stupidotta, precedentemente incisa dal gruppo allegrotto e stupidotto per eccellenza, i Monkees. Ebbene, la voce di Robert Wyatt riusciva a trasformare questa canzoncina easy-beat in qualcosa di doloroso e sofferente. Una sofferenza dolce, insopportabilmente bella, intima, come tutte le canzoni che hanno avuto la fortuna di passare dalla sua laringe. Lunedi’ 1 marzo, in prima assoluta, al Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena, debutta “Comicoperando. La musica di Robert Wyatt“: nove eccellenti musicisti riuniti, con la benedizione dello stesso Wyatt, per un omaggio alla sua musica, dagli esordi coi Soft Machine fino al recente Comicopera.I Magnifici 9 sono Dagmar Krause (cantante che esordì negli Henry Cow, diventando in seguito una delle migliori interpreti della musica di Kurt Weill), Richard Sinclair (bassista e cantante, la cui voce baritonale abbiamo ascoltato in alcuni suoi bellissimi album solisti, oltre che nei Caravan, nei Camel e negli Hatfield & the North), Gilad Atzmon (ance e flauti), Annie Whitehead (storica trombinista del jazz inglese), Michel Delville (chitarra synth), Alex Maguire (pianoforte e tastiere), John Edwards (contrabbasso), Chris Cutler (batteria) e Cristiano Calcagnile (percussioni). Il concerto e’ promosso dall’Assessorato alla Cultura della Regione Emilia-Romagna, dalla Fondazione Teatro Comunale di Modena e dal Comune di Modena. Io ci sarò.

Teatro degli orrori, un abbraccio vale tutta la canzone

Ultimamente me li son ritrovati un po’ dappertutto, toni entusiastici sempre: Il Teatro degli orrori, a forza di dai, me li son dovuti andare a cercare in rete per vedere se almeno stavolta i giornali avevano ragione. Non mi fido più. E così sono incappata nel video di “Direzioni diverse”. Musica e sound da flash-back, mi han riportata di forza negli anni Ottanta. Sono cresciuta nutrendomi anche di quel tipo di dark-rock, oggi mi sa tanto di già dato, ma tocca anche se non voglio qualche corda del mio dna musicale che non mi lascia indifferente e mi commuove. Il bello però è tutto nel finale del video: chi mi vedo sbucare dal nulla, ad abbracciare Pier Paolo? Carlo Casale dei Frigidaire Tango! Ma allora volete proprio farmi piangere, tornare indietro di vent’anni e più. Carlo, che forza, allora quand’era così figo e oggi, senza aprir bocca. Un abbraccio in cui vorrei potermi intrufolare anch’io…

Top 10 del 2009, niente classifica, qualche nome, tanti esclusi

Lo sapevo, anche stavolta mi becco un bel “inclassificabile”: arriva un altro fine anno e io non mi sono preparata, anche se me l’ero ripromesso. Non sono in grado di stilare l’immancabile classifica dei top 10 del 2009. Faccio confusione con le date, tra il vecchio e il nuovo. E poi da quand’è che un disco intero mi lascia un bel segno sul cuore? Preferisco allora ricordare con gratitudine qualche nome, sganciato dal cd, dimenticandomi sicuramente di qualcuno: i Dead Weather di Jack batterista, le colonne sonore di Cave + Ellis e quella di “Milk” firmata Danny Elfman, e ancora Grizzly Bear, Kazabian, Gogol Bordello live, Antony, gli italiani Amari, “Poweri” ma non di spirito né di lieve ironia, i divertenti, fantasiosi Zero7 (grazie ad Andrea che me li ha fatti conoscere, a lui piacciono molto anche gli ultimi Air, io preferisco i primi), i giocosi e gioiosi Mum, Danger Mouse & David Lynch con “Dark Night Of The Soul” solo sul web piuttosto che l’ultimo noioso Moby. E visto il periodo, il disco di Natale di Dylan: il contrasto stridente tra le voci femminili dolcissime anni Quaranta e quella catarrosa del Bob mi fa tenerezza. Ancor di più quando cerca di cantare in latino. La scorsa estate discutevo di musica con Fefè lo scettico: non c’è niente degno di nota, si lamentava, forse le cose più belle vengono dalle donne. Nel 2009 la mia preferita invece mi ha deluso – P.J. Harvey + John Paris sono una lagna – per non parlare di Peaches, disco music di serie Z, l’ultimo di Cat Power è del 2008, ed anche Joan Wasser, quindi andiamo fuori tema e in ogni caso non griderei al miracolo. Idem per Neko Case. Sul fronte delusioni l’elenco sarebbe lungo assai, all’insegna del già sentito, e meglio. Ed anche tra gli “originali” non c’è da stare allegri, anche se Rolling Stone, a proposito di classifiche, mettere ai primi due posti gli U2 e Bruce che invece a me, che pur gli amai, han fatto pena. Per tenermi legata al 2009 chiudo con due anniversari: quarant’anni fa i Clash registravano “London Calling”. Che struggimento nel rivederli nel dvd che li riprende in studio, così giovani, sinceri, magri, naif, il produttore matto ma bravo che li incita sbattendo sedie e scale sul pavimento. Nel 2010 cade invece il cinquantenario della morte di Hendrix: che il suo spirito ci protegga…

Miles Davis piace ai politici Usa: deciso un tributo ufficiale a “Kind of blue” che compie 50 anni

Ogni tanto una bella notizia dal mondo della politica: la  Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato all’unanimità una risoluzione  per commemorare  il cinquantesimo anniversario della pubblicazione dell’album di Miles DavisKind of Blue“, considerato “patrimonio nazionale“. Il secondo ramo del Congresso statunitense vuole così omaggiare il capolavoro di Davis, nato nel 1926 e morto dieci anni fa, ed in particolare  sollecita il governo ad “adottare tutte le misure necessarie” per la preservazione e la diffusione del capolavoro jazzistico. Promossa dal deputato democratico John Conyers, la risoluzione sottolinea che il disco “ha fatto la storia della musica e ha cambiato il panorama artistico del Paese e in qualche modo del mondo intero”. Altro non aggiungo: la notizia si commenta da sè….

Kings of convenience, Nick & Ellis, Sakamoto: andiamoci piano

Andamento lento per questo inizio di dicembre, pardon settembre…, sole caldino e brezza leggera. Easy ma niente affatto stupidini i Kings of convenience hanno sfornato dopo cinque anni di silenzio il nuovo “Declaration of dependence” tiepido come un panino con l’uvetta e altrettanto piacevole. La ricetta è sempre quella (squadra vincente non si cambia) capace però di produrre attimi sublimi, persino una canzone intera come quella d’apertura, “24-25”. Mi piace la definizione della coppia norvegese letta su Uncut: “like a married couple renewing their vows in middle”.

Vengono da e ci portano su un altro pianeta Nick Cave e Warren Ellis con un doppio da farti restare senza fiato, nel senso che ti fa spesso dimenticare di respirare tanto ti prende nella sua rarefatta malìa. “White lunar” ci regala tutte insieme le musiche scritte dai due portenti per il cinema, drammatico e western, più una manciata di scarti di rara bellezza.

Ancora più minimalista dovrebbe essere “Playing the piano” di Ryuichi Sakamoto, ma l’eco dei noti arrangiamenti orchestrali, spesso a servizio del cinema, restano udibili anche se c’è solo il pianoforte. Un esperimento più volte tentato, a volte con successo, negli ultimi vent’anni (“sindrome da Amedeo Minghi” mi suggerisce un amico musicista musicologo) e riproposto anche dal vivo, Italia compresa. L’ho sentito al Comunale di Ferrara, sul palco due pianoforti, uno suonato dal giapponese dal caschetto di capelli tutti bigi, l’altro comandato dal computer. Doveva essere una figata e invece ingessa la mano dell’uomo, gli impedisce qualsiasi voluta sbavatura, non parliamo di improvvisazione! Cui prodest? Ci avesse almeno messo un po’ di calore, di anima in più. Invece, calma piatta: non si fanno notare neppure le cover rubate alla sua Yellow Magic Orchestra, si salva il tema dall’Ultimo Imperatore suonata finalmente con pathos, immancabile “Merry Christmas mr. Lawrence” come bis per far andare tutti contenti a casa. Una parola, un saluto? Zero.