E’ strano che venga dato ancora tanto spazio alle indagini per il “rapimento” di Emanuela Orlandi, la bella ragazzina vaticana quasi 16 enne scomparsa il 22 giugno 1983, e che venga accordata tanta credibilità alla girandola di “supertestimoni”, uno più fasullo dell’altro, che ne affollano la scena giudiziario giornalistica. E’ stato infatti lo stesso avvocato Gennaro Egidio, all’epoca dei fatti legale degli Orlandi e rimasto tale fino alla sua morte, a confidare nel 2002 a Pino Nicotri che non si è trattato di un rapimento, ma di un dramma “molto più banale” per il quale sospettava semmai il giro delle amicizie della zia paterna Anna. Purtroppo già gravemente malato quando fece tale ammissione, Egidio è morto prima di potere raccontare a Nicotri di cosa esattamente si sia trattato, come si era riservato di fare quando la salute glielo avesse permesso. Nessuno però ha contestato le sue parole quando Nicotri ne ha riportato parte a pagina 20 di “Emanuela Orlandi – La verità”, edito nel novembre 2008: «I motivi della scomparsa della ragazza sono molto più banali di quello che si è fatto credere. Contrariamente alle dichiarazioni dei familiari, Emanuela di libertà ne aveva molta, per esempio le comitive con gli amici. Il rapimento, il sequestro per essere scambiata con Agca? Ma no, la verità è molto più semplice, anzi, ripeto, è banale. Non per questo meno amara. Mirella Gregori, l’altra ragazza che pure si è fatto credere fosse stata rapita da amici e complici di Agca?
Non c’entra niente, Mirella s’è infilata in un brutto giro, forse di prostituzione, lei voleva solo aiutare la madre a comprare un appartamento».
Da una parte si finge di ignorare che è stato lo stesso legale degli Orlandi ad ammettere che non di rapimento si è trattato. Dall’altra i recenti arresti di personaggi che sono stati del giro della banda della Magliana, come Manlio Vitale detto “Gnappa”, o che si vuole far credere ne abbiano fatto parte, come lo sconosciuto alle cronache “maglianesi” Sergi Virtù, fanno pensare a possibili baratti: se questi arrestati o altri eventuali malcapitati addossassero a se stessi o a qualche defunto la responsabilità del “rapimento”, potrebbero tornare liberi. E senza eccessivi rischi. Se si autoaccusano, i reati del caso Orlandi, avvenuti ormai 28 anni fa, si estinguono. Se invece accusano un morto, i rischi sono del tutto inesistenti: i morti infatti, si sa, non possono difendersi… E poiché non sono processabili, evitano anche il fastidio di dover trovare le prove necessarie per il loro rinvio a giudizio.
Ma ripercorriamo ora i fatti. Tenendo a mente che due anni prima, nell’81, papa Wojtyla aveva subito un attentato per mano di un killer turco, Alì Mehmet Agca, terrorista del gruppo di estrema destra dei Lupi Grigi. Agca gli aveva sparato in piazza S. Pietro, ferendolo gravemente, e per questo era stato condannato all’ergastolo. A quell’epoca esisteva ancora l’Unione sovietica, il gigante comunista che occupava la Polonia, patria di Wojtyla, pontefice impegnatissimo ad aiutare i movimenti dei connazionali tesi sia alla fine del comunismo che dell’occupazione sovietica. Ed era in corso una forte campagna per sostenere che ad armare Agca erano stati i servizi segreti bulgari, su input dei “servizi” sovietici desiderosi di liberarsi una volta per tutte dello scomodo papa polacco.
Emanuela scompare nel tardo pomeriggio del 22 giugno 1983, all’età di 15 anni e mezzo. Figlia di un commesso pontificio, frequentava un liceo scientifico statale e studiava flauto al conservatorio S. Apollinare, proprietà del Vaticano come l’intero palazzo che lo ospitava – oggi proprietà dell’Opus Dei – situato nella omonima piazza S. Apollinare contigua a piazza Navona e distante pochi metri da palazzo Madama, sede del Senato della Repubblica italiana. Ed è alla fermata degli autobus di fronte al Senato che Emanuela pare sia stata vista per l’ultima volta, dopo essere uscita a fine lezioni dal conservatorio. Pare: perché di certo e appurato riguardo Emanuela una volta uscita dalla scuola di musica non c’è in realtà nulla. In Italia scompaiono ogni anno centinaia di minorenni, che per fortuna nella maggior parte tornano a casa perché scappati solo per noia o per amore. Ed è appunto a una fuga temporanea di Emanuela, a una scappatella, che pensano gli inquirenti. Il colpo di scena avviene due settimane dopo, domenica 3 luglio, all’insaputa anche dei genitori di Emanuela, e per decisione addirittura di papa Wojtyla in persona. Il pontefice infatti a conclusione della usuale preghiera dell’Angelus recitata con la solita folla di pellegrini sorprende il mondo lanciando un appello “a chi ne avesse responsabilità” perché lasci tornare a casa la sua concittadina vaticana. E’ quindi il papa ad adombrare per primo, ma senza nessuna base, l’ipotesi del rapimento.
Se fino a mezzogiorno di quel 3 luglio si poteva sperare in un ritorno a casa di Emanuela, dopo la sortita di Wojtyla non lo si poteva poteva sperare più. Quella sortita equivaleva di fatto a una condanna a morte. Ovvio che se la ragazza fosse stata davvero sequestrata i suoi rapitori dopo l’appello del pontefice si sarebbero resi conto di non avere più scampo, braccati di colpo da polizia, carabinieri e servizi segreti non solo italiani, come infatti è avvenuto. Tanto più che al primo appello ne sono seguiti ben altri sette. Concludere che Wojtyla e/o la Segreteria di Stato sapessero come in realtà stavano le cose, e cioè che a Emanuela ormai non poteva essere più recato alcun danno da nessuno, è sconcertante, ma è l’unica conclusione razionale. Supportata in particolare da altri tre elementi, tutti documentati e interni al Vaticano. Il primo è la assoluta mancanza di iniziative per aprire reali canali di comunicazione con i “sequestratori”. Il secondo è la scelta della Segreteria di Stato di “lasciare le cose come stanno”, secondo le parole dette da monsignor Giovanbattista Re a monsignor Francesco Salerno. Il terzo è il muro di bugie e omertà nei confronti della magistratura italiana. Un atteggiamento speculare a quello dei “rapitori”: il Vaticano tace e mente, i “rapitori” non forniranno mai la benché minima prova di avere l’ostaggio.
La sortita di Wojtyla mette in moto la lunga messinscena, durata 25 anni, che voleva Emanuela rapita per essere scambiata con la liberazione dell’ergastolano Agca. e suggerisce ai servizi segreti della Germania Est, satellite dell’Unione Sovietica, di inserirsi nel “rapimento” con una loro autonoma messinscena, che punta a prendere due piccioni con una fava. Il primo era l’Operazione Papa, commissionata da Mosca per creare diversivi utili, ma tutti legali, ad aiutare i “fratelli” bulgari accusati d’essere i mandanti di Agca. Il secondo consisteva nel mettere il più possibile in imbarazzo Wojtyla per indurlo a smetterla con il suo aiuto alla Polonia. Insomma, una vera e propria battaglia della Guerra Fredda: l’ultima grande battaglia, esplosa per ironia della sorte nell’estate meteorologicamente più calda della storia italiana.
Dopo 25 anni di assurda “pista turco sovietica”, nell’estate del 2008 è esplosa la altrettanto assurda “pista della banda della Magliana”. A lanciare il nuovo scenario è una ex escort d’alto bordo, Sabrina Minardi, devastata da anni di droghe e fin troppo confusa nei “ricordi”. Uno scenario che, come è noto, nonostante tutto tiene banco ancora oggi.
In questo libro il giornalista Pino Nicotri ha condotto in modo serrato e implacabile l’analisi non più rinviabile dei fatti, passando al setaccio tutti gli elementi della vicenda e il torbido contesto in cui si è svolta, comprese le manovre condotte dai servizi segreti della Germania comunista. Il vuoto assoluto di verità nel gioco di specchi tra Vaticano e “rapitori” lascia spazio alle messinscene più varie, man mano legittimate e ampliate in televisione dal “Novecento” di Pippo Baudo fino a “Chi l’ha visto?” di Federica Sciarelli. The show must go on.