GIACOMO MATTEOTTI VENNE UCCISO PER AVER SCOPERTO LA CORRUZIONE DI ESPONENTI FASCISTI NELL’AFFARE SINCLAIR

84 ANNI FA L’ELIMINAZIONE DEL CORAGGIOSO ESPONENTE SOCIALISTA

GIACOMO MATTEOTTI VENNE UCCISO PER AVER SCOPERTO LA CORRUZIONE DI ESPONENTI FASCISTI NELL’AFFARE SINCLAIR

di Benito Li Vigni

Henry Sinclair era un petroliere e un finanziere d’assalto abituato a superare a suon di dollari e di favori i meccanismi burocratici, politici, diplomatici, parlamentari di casa sua e dell’altro mezzo mondo per investire nella ricerca e nella coltivazione di giacimenti di petrolio. In denaro più o meno pulito, in proprio e per conto terzi. La Sinclair Oil, da lui costituita, era una potente compagnia petrolifera, sostenuta da alcuni tra i più grossi gruppi finanziari di Wall Street, che facevano capo al cosiddetto Money Trust newyorchese, di cui la banca di Rockefeller era autorevolissima esponente.

La richiesta di concessione per l’esplorazione in Sicilia ed Emilia da parte della Sinclair era parte di un piano più complesso, messo in atto dalla Standard Oil allo scopo di conservare il monopolio del mercato italiano, insidiato dall’arrivo in Italia dell’Anglo Persian. Per essere più precisi, è assai probabile che la Sinclair Oil stesse operando in Italia come prestanome della Standard Oil, e di questo naturalmente fossero al corrente gli alti gerarchi fascisti e Mussolini stesso.

UNA CONVENZIONE SCANDALOSA

Dai documenti e dalle cronache di allora sembrerebbe che Vittorio Emanuele e Mussolini fossero distratti e distaccati nei confronti della questione Sinclair. Ma era solo apparenza. In realtà, tenuti informati dell’andamento delle trattative da diplomatici, ministri e mediatori, si sorvegliavano a vicenda. E’ stato detto che Mussolini propendeva favorevolmente alla stipula dell’accordo in considerazione dei buoni rapporti che intendeva mantenere con i potenti gruppi finanziari americani, sostenitori della Sinclair, tra i quali la casa Morgan, che già operavano in Italia attraverso società controllate e che avevano stabilito solidi collegamenti con uomini ed istituzioni del nostro paese. In America la Sinclair era nei guai. Era stato scoperto che, nel 1922, la Mammoth Oil Company, controllata da Henry Sinclair, aveva ottenuto dal Governo degli Stati Uniti la concessione per lo sfruttamento di un giacimento di petrolio e di gas naturale, chiamato Teapot Dome, destinato a fungere da riserva di combustibili della flotta navale. La notizia in America finì sui giornali, che chiesero alle autorità di indagare sulla consistenza del giacimento e denunciarono che era stata assegnata ad un privato una riserva strategica per la difesa nazionale. E Fu lo scandalo.

Il 29 aprile 1924 fra la Sinclair ed il Ministero dell’Economia Nazionale veniva firmata la Convenzione. Due giorni dopo il Consiglio dei Ministri l’approvava con un Regio Decreto Legge che, votato al Parlamento, diverrà legge dello Stato.

AFFARE SINCLAIR E DELITTO MATTEOTTI

La firma della Convenzione con la Sinclair, fu una conclusione moralmente inaccettabile che legittimava non pochi privilegi a favore di una compagnia straniera, sospettata d’essere strumento monopolistico nelle mani della Standard Oil, che si era macchiata di un grave reato ai danni del proprio paese, appropriandosi di un giacimento petrolifero dichiarato riserva strategica ed intangibile per la difesa nazionale, corrompendo il capo del Dipartimento Minerario Americano, processato e condannato per tale delitto. In Italia intanto i giornali d’opposizione lanciavano una violenta campagna sullo scandalo Sinclair. Giacomo Matteotti, capo del gruppo parlamentare socialista, in un duro intervento alla Camera preannunciò un dossier sugli scandali di cui erano protagonisti gli uomini di Mussolini. Fece capire di avere in mano le prove della corruzione nell’affare Sinclair. E lo sconcerto crebbe quando si diffuse la voce che Matteotti sarebbe stato in possesso di documenti che compromettevano la Corona o ambienti ad essa molto vicini. Molti anni dopo, lo stesso Mussolini rivelerà che il governo attendeva l’imminente discorso del segretario socialista con grande apprensione e preciserà che era venuto a sapere «che, nel suo prossimo discorso alla Camera, Matteotti avrebbe prodotto tali documenti da portare alla rovina certi uomini che erano pervenuti ad infiltrarsi profondamente tra le gerarchie fasciste». Di certo Mussolini temeva molto i risvolti dell’affare Sinclair mentre alcuni settori governativi, dopo l’intervento di Matteotti, si erano impegnati affannosamente a raccogliere sulla compagnia petrolifera ogni notizia utile a fronteggiare le insidie del dibattito parlamentare.

Il 10 giungo 1924, ad un mese dall’emanazione del Decreto controfirmato dal Re, Giacomo Matteotti venne rapito a Roma da un gruppo di quattro o cinque uomini. Il 16 agosto, in circostanze rimaste poco chiare, il suo corpo fu rinvenuto in un bosco dell’agro romano, in stato d’avanzata decomposizione. I sicari ebbero presto un nome, ma non i mandanti. Si accertò che a rapire ed uccidere Matteotti era stato un gruppo di arditi milanesi, composto da Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malaria ed Amleto Poveruomo. L’operazione criminale fu resa possibile con la complicità di alcuni settori dell’apparato dello Stato che non dispose la vigilanza su Matteotti da parte della Pubblica Sicurezza e che si avvalse del favoreggiamento sia di Filippo Filippelli, direttore del Corriere Italiano, il quale fornì ai sicari l’auto impiegata per condurre al temine il crimine, sia di Filippo Naldi, accusato di aver tentato di fare espatriare il Filippelli. Ma il ruolo di Naldi, che per qualche tempo aveva diretto il Resto del Carlino, fu probabilmente molto più importante. Trafficante internazionale con funzioni di intermediario fra il settore finanziario ed il mondo giornalistico, Naldi faceva parte, a buon diritto, di quella corte dei miracoli, nata intorno alla cosiddetta «rivoluzione fascista», nel momento in cui si affermava nel governo il gruppo neoliberista e, soprattutto, la lobby delle banche. Naldi, in quegli anni, aveva ricevuto la riconoscenza di Mussolini per aver procurato finanziamenti per il Popolo d’Italia, diretto dal fratello Arnaldo. E aveva pure fatto pervenire fondi anche al Corriere Italiano di Filippelli ed al Resto del Carlino da lui diretto. La Sinclair s’era avvalsa dei suoi servigi per avvicinare gli ambienti politico-finanziari italiani in cui il Naldi si muoveva con grande disinvoltura.

E’ stato detto che l’uccisione di Matteotti rientrava in un progetto di repressione ed eliminazione sistematica degli avversari politici, particolarmente invisi a Mussolini ed al suo entourage; funzione, questa che il regime aveva affidato alla Ceka, organismo segreto fascista, i cui compiti di natura illegale si avvalevano della complicità delle forze dell’ordine, che avrebbero dovuto fornir di volta in volta ai membri della organizzazione segreta i documenti falsi e garantire in seguito l’impunità alla loro attività criminale. Era quindi inevitabile che mandanti e sicari si giovassero della complicità di Emilio De Bono che, nelle sue vesti di capo della polizia, s’incaricò di intralciare l’attività della polizia giudiziaria e, se possibile, di precederla per occultare le prove compromettenti o alterarle prima che finissero al vaglio della stessa. Prove e testimonianze raccolte dimostrarono che Cesare Rossi e Giovanni Marinelli, dirigenti della Ceka, avevano rappresentato il trait d’union tra gli esecutori e Mussolini, il quale, per uscir fuori dalla crisi politica, che stava per metterlo in difficoltà, assunse un atteggiamento di condanna verso gli autori del delitto.

MATTEOTTI STAVA PER DENUNCIARE LA CORRUZIONE DI ESPONENTI FASCISTI

La gravità e l’ampiezza dello scandalo, la bufera politica scoppiata col delitto Matteotti, raggiunsero tali proporzioni da indurre lo stesso Mussolini – dopo che la commissione parlamentare aveva minacciato un pronunciamento negativo – a prendere l’iniziativa di una rescissione dell’accordo già stipulato con la Sinclair. Una decisione, questa, presa da Mussolini pochi giorni prima del discorso del 3 gennaio 1925, che annunciava la legislatura eccezionale; un ulteriore giro di vite autoritario che – di fatto – rappresentò il secondo colpo di stato messo in atto dal dittatore fascista. Tutto ciò fece sì che la Convenzione con la Sinclair non fosse votata dalle Camere per la conversione in legge; che anche Mr Sinclair recedesse dagli accordi; che la Convenzione fosse rescissa con Regio Decreto del 25 gennaio 1925.

I giornali laburisti inglesi dedicarono molto spazio al movente petrolifero del delitto Matteotti. Il The Daily Herald, organo ufficiale del Labour/Tuc, chiamò pure in causa Arnaldo Mussolini. Inoltre, senza citare la sua fonte d’informazione, il corrispondente del giornale londinese non indugiò a indicare nel direttore del Popolo d’Italia (Arnaldo Mussolini) il personaggio che avrebbe esercitato con successo pressioni su Mussolini affinché si decidesse a firmare la convenzione Sinclair. Il giornale precisò senza mezzi termini che la Sinclair Oil per ottenere il monopolio dell’esplorazione in Italia aveva dovuto sborsare ben trenta milioni di lire (circa 30 miliardi di vecchie lire a valore attuale) ad Arnaldo e ad altri uomini politici del regime. La corruzione fu dunque alla base dello scandalo Sinclair sicché l’esistenza di alcune importanti analogie tra la tesi sostenuta dai giornali inglesi e le convinzioni che al riguardo ebbe ad esprimere Matteotti poco prima di venire ucciso legittimò l’ipotesi che egli «possa aver ricevuto proprio dagli ambienti laburisti, se non la documentazione che provava la compromissione di uomini del regime fascista, almeno indicazioni che servissero ad incoraggiare ed orientare la sua successiva indagine sulla convenzione».

L’inopinato arrivo in Italia di un nuovo concorrente, la Sinclair Oil, aveva spiazzato il governo inglese, che aveva preso a seguire con preoccupazione e con molta attenzione le fasi preliminari delle trattative con il governo fascista, un’attenzione acuita dal fatto che l’Apoc era anche interessata alla ricerca di giacimenti petroliferi nel sottosuolo italiano. Per gli inglesi l’iniziativa italiana della Sinclair Oil era unicamente diretta a colpire i loro interessi. E proprio in Inghilterra, a cavallo di aprile e maggio, mentre era in corso la violenta campagna di stampa successiva alla notizia dell’accordo, si era recato Matteotti, che aveva manifestato profondo interesse per le vicende della convenzione Sinclair. Ad un giornale inglese, English Life, aveva inviato un suo articolo in cui esprimeva la sua raggiunta certezza che l’accordo tra il governo fascista e la compagnia petrolifera americana fosse il risultato di pratiche di corruttela, che interessavano alti esponenti governativi la cui identità faceva intendere di potere svelare.

English Life pubblicò l’articolo dopo l’uccisione di Matteotti. E’ però possibile che il contenuto fosse trapelato dalla redazione stessa della rivista londinese e, raccolto da ambienti dell’ambasciata italiana a Londra, trasmesso successivamente a Roma. Ed era pure giunto ad orecchie interessate che Matteotti, sulla via del ritorno dall’Inghilterra, si fosse fermato a Parigi per accordarsi sulla pubblicazione in quel paese del suo lavoro Un anno di dominazione fascista in cui certamente avrebbe parlato delle vicende della convenzione Sinclair, su cui aveva ricevuto nuovi elementi nel corso dei colloqui londinesi. E a Parigi, pochi giorni dopo il rientro di Matteotti dallo stesso paese, si recò Cesare Rossi, capo della Ceka fascista. E’ possibile che il capo ufficio stampa di Mussolini andasse a raccogliere indiscrezioni negli ambienti editoriali che Matteotti aveva in precedenza contattati. Fatto sta che il giorno dopo il rientro di Rossi dalla Francia venne avviata l’operazione che avrebbe portato all’eliminazione dell’esponente socialista.

Lo storico inglese Denis Mack Smith, conoscitore della storia d’Italia, ha scritto: «Uno dei motivi che portarono all’uccisione del parlamentare stava proprio nel fatto che egli si era recato in Inghilterra con informazioni sul sistema di corruzione che stava contribuendo a finanziare la rivoluzione fascista: una tale pericolosa fonte di informazione doveva essere soppressa a tutti i costi».

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