Didattica della storia (VI)
6. Saper declinare
Se nella storia di un giovane non vi sono elementi almeno sufficienti per poter comprendere le vicende del mondo degli adulti, la storia, né come disciplina a se stante, né come background trasversale a tutte le aree di sapere, può essere insegnata. Qui parliamo di “elementi almeno sufficienti”, dando per scontato che la storia degli adulti, proprio a motivo delle ambiguità di cui essi sono capaci, sfugge, nella sua complessità, a una comprensione adeguata da parte del giovane.
Un educatore dovrebbe comunque preferire sempre a una ripetizione meccanica di contenuti prestabiliti e spesso complicati, un confronto dialettico su contenuti più semplici. Il giovane in fondo non deve fare altro che abituarsi all’idea di poter esercitare la libertà di scelta per rendere la vita più umana. E deve essere messo in grado di capire dove nella storia si è più esercitata questa facoltà e quali ne sono state le conseguenze.
Compito dell’educatore, proprio perché qui si ha a che fare con dei “giovani”, è quello di mediare la comprensione delle azioni degli uomini col vissuto e con le capacità interpretative del giovane. Quindi si tratta d’impostare una forma di didattica i cui contenuti devono emergere da continue domande di senso, in cui gli aspetti psico-pedagogici della relazione giovane-adulto risultano, ai fini della motivazione iniziale e della rimotivazione in itinere, di fondamentale importanza. Per non parlare del fatto che sono proprio questi aspetti che aiutano l’educatore a declinare anche il contenuto in sé della disciplina.
Se un giovane comprendesse adeguatamente tutta la doppiezza o l’ambiguità di cui un adulto è capace (nel senso che spesso l’adulto fa esattamente il contrario di ciò che dice), diremmo che siamo di fronte a un’anomalia. In fondo a noi i giovani piacciono proprio per la loro carica idealistica, per l’aspettativa che hanno di vedere realizzata l’unità di teoria e prassi, di metodo e contenuto.
Tuttavia un giovane può essere aiutato a capire che nella storia sono stati fatti tentativi per rendere la vita più coerente con gli ideali professati. In via di principio potremmo sostenere che quanto più una formazione sociale tende ad allontanarsi dalla naturalità dei rapporti umani o, se si preferisce, dall’umanità dei rapporti naturali, tanto più essa cerca di giustificare se stessa con l’inganno, la propaganda, la demagogia, le guerre ecc.
Con ciò però non si vuole sostenere che quanto più ci si allontana dalla primitiva innocenza dell’umanità, tanto meno si sarà in grado di recuperarla; certo, questo recupero sta diventando sempre più difficile, ma non possiamo sostenere che l’odierna civiltà ha meno possibilità di farlo rispetto a quella medievale o schiavile, altrimenti le attuali generazioni si sentiranno senza speranza. Anzi, dovremmo dire il contrario, e cioè che quanto più ci si allontana da quella innocenza primordiale, tanto più se ne avverte la mancanza e si è disposti a lottare per riaverla, nella consapevolezza di non poterne fare a meno.
Ma qui s’è già introdotto un elemento interpretativo decisivo che sbagliamo a dare per scontato. Fino a che punto un educatore è disposto ad accettare il postulato che l’epoca del comunismo primitivo sia stata quella più umana e democratica? Accettare una cosa del genere, quando si deve impostare un lavoro collegiale tra adulti, è la cosa più difficile in assoluto, poiché lo stesso educatore è soggetto a condizionamenti culturali da parte dei mezzi di comunicazione della società in cui vive (ivi inclusi gli stessi libri di testo).
Senonché questo è per noi un presupposto irrinunciabile, che riguarda l’interpretazione generale da dare alla storia. Gli educatori, prima di impostare un qualunque lavoro didattico collegiale, sarebbe bene che partissero da questo terminus a quo, chiarendosi reciprocamente le idee su che tipo di lettura fanno della storia.
In sintesi
Dunque che tipo di approccio didattico possiamo immaginare quando c’è di mezzo una disciplina complicata come la “storia”? Proviamo a delinearlo sinteticamente in cinque punti:
1. partiamo dall’esperienza del giovane, chiarendogli l’importanza di avere un pregresso oggettivo da cui in alcun modo egli può prescindere (relazioni parentali, sociali, ambientali…), e che costituisce la memoria storica, di lui e di chi gli sta accanto, il suo “esserci”;
2. formuliamo domande di senso per mostrare al giovane l’uso ch’egli può fare della libertà di scelta, ovviamente in contesti determinati, da esemplificare nello spazio e nel tempo;
3. ipotizziamo i possibili, diversi, percorsi della sua libertà e le possibili, diverse, conseguenze relative alle scelte che vengono prese e che si potevano prendere;
4. trasferiamo questa dinamica psico-pedagogica alla comprensione dei fatti storici, facendo emergere una possibile interpretazione di tali fatti e soprattutto dei processi storici, usando una tecnica modulare, a difficoltà crescente, adeguandola alla capacità di comprensione e di rielaborazione dell’alunno;
5. basiamo l’interpretazione su una precomprensione relativa alla formazione e allo sviluppo delle cinque fondamentali tappe storiche: comunità primitiva, schiavismo, servaggio, capitalismo e socialismo, di cui la prima viene ritenuta come quella più umana e democratica, essendo l’unica non soggetta a conflitti di classe e a rapporti di sfruttamento uomo-natura (tale precomprensione non necessariamente deve essere esplicitata sin dall’inizio del lavoro didattico; può essere anche una conclusione ottenuta a fine lavoro).
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