L’adozione obbligatoria dei libri di testo
L’impostazione dei manuali scolastici di storia, che sostanzialmente è di tipo enciclopedico, in cui ogni argomento è già compiutamente svolto, nelle sue linee essenziali, risulta quanto mai sfavorevole all’idea di poter fare in classe un qualunque lavoro di “ricerca storica” (sotto questo aspetto si trovano meglio i maestri delle scuole elementari).
I manuali di storia, pur essendo notevolmente migliorati negli apparati iconici, cartografici, didattici, raramente riescono a proporre temi su cui riflettere, ovvero una serie di domande aperte che attendono di trovare, grazie a un lavoro di ricerca, una qualche risposta; non ci sono piste di lavoro su cui fare indagini, strumenti da analizzare (p.es. le fonti originali di un’epoca sono a discrezione dell’autore del manuale) per esercitarsi nell’interpretazione storiografica (salvo acquistare ulteriori e più specifici “quaderni di laboratorio”).
Generalmente detti manuali offrono soltanto svolgimenti in sé conclusi, incatenati da una ferrea logica di cause ed effetti, la cui interpretazione è sempre univoca, senza se e senza ma. Il manuale non appare come uno strumento tra altri, ma come una sorta di “bibbia”, le cui tesi hanno dovuto subire un iter processuale non molto diverso da quelle che appaiono, con tanto di imprimatur esplicito, nei manuali di religione cattolica. L’autore è come una sorta di “Mosé” che deve traghettare lo studente dall’ignoranza alla conoscenza e, in questo compito, il ruolo del docente non va oltre quello del luogotenente.
All’interno di tale impostazione didattica non c’è tempo per mettere a confronto strumenti diversi, non c’è modo per costruirsi, in itinere, un proprio “manuale”, meno che mai partendo da situazioni storiche locali; è inoltre da escludere a priori l’idea che, dopo aver pagato a caro prezzo un determinato manuale, gli alunni possano non considerarlo come il loro principale strumento di apprendimento della storia.
Il che, se ci pensiamo (ma preferiamo non farlo), è davvero assurdo, in quanto la stragrande maggioranza dei ragazzi oggi è in grado di disporre di cd enciclopedici e di navigare in rete, per cercare tutte le informazioni che vuole. Il libro di testo è ormai diventato uno strumento non solo del tutto inutile, ma anche terribilmente controproducente, sommamente anti-pedagogico.
Nessuno autore di testo infatti parte mai dal vissuto dei ragazzi, neppure in astratto o simulando dei casi (p.es. parlando di una qualunque guerra bisognerebbe partire dai conflitti interni a una classe); questo è un lavoro che deve fare il docente, il quale però deve anche fare la fatica di trovare le giuste mediazioni tra un manuale che non ha prodotto lui e le capacità ricettive e metaboliche di chi gli sta di fronte.
La fatica è doppia, anzi tripla, poiché gli autori dei due manuali, di storia e di italiano (antologia), non pensano mai di integrare le due discipline, fornendo p.es. ai fatti storici una documentazione culturale dell’epoca (qualcosina, in tal senso, si vede soltanto nell’ultimo anno delle medie). Italiano, storia e geografia viaggiano su binari completamente separati.
A questo punto sarebbe quasi meglio non adottare alcun libro di testo, ma limitarsi a partire dal vissuto dei ragazzi e sulla base di questo costruire vari percorsi storici, che devono necessariamente lasciarsi stimolare anche dal contesto locale, dal territorio comunale o provinciale in cui la classe vive. Scrive Laurana Lajolo, in I giovani e il senso del tempo. La storia del ‘900 a scuola: “L’approccio allo studio della storia dovrebbe partire dal vissuto dei soggetti della formazione, gli studenti, dalle domande sul presente per risalire al contesto storico passato”(art. trovato nel sito www.israt.it).
Bisogna partire non solo dal basso ma anche dal concreto, recuperando un vissuto e la sua memoria, procedendo insomma dal presente al passato, dal vicino al lontano. L’approccio testuale che offre il manuale è inevitabilmente astratto e intellettualistico, non solo perché non ha alcun riferimento alla realtà degli studenti, ma anche perché offre un sapere precostituito, che va semplicemente memorizzato e ripetuto, previa semplificazione da parte del docente.
Si pensi p.es. all’enorme importanza che può avere per uno studente di una piccola località rurale, la valorizzazione di esperienze come quelle della canapa, della tessitura, del riciclo dei materiali usati e in genere delle tradizioni del mondo contadino: tutte cose che andrebbero affrontate con ricerche specifiche e che assai difficilmente troverebbero supporti adeguati negli attuali manuali di storia (forse un piccolo aiuto si potrebbe trovare in quelli di educazione tecnica).
Caro Galavotti,
se mi è permesso sposterò un pò “iltiro”, rispetto all’argomento centrale del “libro di Testo”.
Parto da un’esperienza personale.
Pur avendo affrontato studi tecnici ,per naturale predisposizione ,gli “argomenti storico -letterali” erano tra i miei preferiti.
Lì approfondii,poi più tardi frequendando seralmente L’università, negli anni 80.
Quando tu parli di geo-politica mi vengono ancora in mente le “lezioni” del Farneti.
Ma torniano all’argomento che mi sta a cuore!
All’epoca, ma presumo ancor oggi ,mi ha sempre dato fastidio l’acquiescenza con cui Gli InS, di materie umanistiche sorvolassero su certe “manchevolezze”con gli allievi, in fatto di storia e italiano.
Fatti quindi ,ovviamente salvi il classico e molti licei scientifici,credo che il “lassimo” nel licenziare certi studenti in grado ancora di scivere popolo con due o 3 P, o non saper distinguere i tre poteri , mi pare davvero enorme.
Uno non dovrebbe fare il geometra,il perito, il maestro senza alcuni fondamentali.
Trovavo già all’epoca, una certa “sudditanza”dei Prof “umanistici nei confronti dei loro colleghi “scientifi”per la serie tanto “che se fa costui della storia.
I giudizi erano che alla fine il 6 in queste materie non veniva alla fine negato a nessuno, mentre per converso lo stesso voto nelle altre materie era sudato!
Credo che questa situazione abbia prodotto guasti e se perdura ne procuri ancora oggi moltissimi!
Cosa ne pensi?
cc
L’Italia è purtroppo un paese con tradizioni cattoliche, le quali han sempre malvisto gli studi scientifici. Questo pregiudizio s’è riflesso nella cultura idealistica di Croce e Gentile e quest’ultimo, come sai, è a capo dell’unica vera riforma scolastica che sia mai esistita.
Certo sarebbe stupido sostenere che la scienza sia per di per sé migliore della religione: non possiamo passare da un apriorismo a un altro. Però è indubbio che gli scarsi investimenti statali in materia di sviluppo e ricerca hanno radici lontane.
ciaooo