Uno dei due piloti dello sgancio della bomba atomica su Nagasaki era un italo americano, figlio di emigrati dal Viareggino
Nei giorni scorsi ci sono stati gli anniversari dell’uso delle prima due bombe atomiche su popolazioni civili. Il 6 agosto 1945 quella su Hiroshima. Tre giorni dopo, 9 agosto, quella su Nagasaki. Storia e tragedia note, anche se si tende ormai a dimenticarle o a ricordarle solo come facciata retorica. Le nuove generazioni dimenticano, ma mano sempre di più e sempre meglio. I fatti, anche i più terribili, vengono ricordati solo sui libri di Storia. Qualcuno, preferibilmente trasfigurato in mito, riesce a far parte dell’identità e del dna di un popolo, anche se di solito si preferiscono le leggende pure e semplici. E’ così, con le sdrammatizzazioni successive, di generazione in generazione, che gli errori più orrendi tendono a essere ripetuti. La Storia, si sa, è maestra di vita: peccato solo che gli esseri umani non amano imparare… Nei giorni scorsi abbiamo visto con sgomento, e con orrore, le scolaresche americane visitare entusiaste i laboratori di Los Alamos e guardare con occhi scintillanti i modelli in grandezza naturale delle prime due bombe atomiche. E c’è toccato assistere pure a come il personale militare di Los Alamos mostrava con orgoglio quei suoi prodotti… Altro che “lasciate che i pargoli vengano a me”! C’è chi dice che al mondo non esistono uomini più dannosi e imbecilli dei militari. L’uso futuro delle atomiche, se non di molto peggio, appare un dato inevitabile: fino ad oggi non esiste neppure un’arma, per quanto bestiale, che una volta costruita non sia poi stata prima collaudata in corpore vili e poi usata come attrezzo di routine.
Storia e tragedie note, dicevamo. Ciò che è poco noto è che uno dei due piloti del B29 Superfortress “Bockscar” che ha sganciato “la bomba” sui poveri cristi di Nagasaki era un italo americano di prima generazione: si chiamava Fred Olivi, nato a Chicago da genitori italiani immigrati da Corsanico, vicino Viareggio. Il suo diario, davvero “di bordo”, e la storia del suo incontro e destino con l’atomica si possono leggere nel libro “Nagasaki per scelta o per forza”. Lo ha scritto tutto lui, Olivi, in prima persona, perché man mano ha tenuto per davvero un diario nei suoi anni verdi, lui che fin da bambino sognava di fare l’aviatore e c’è riuscito.
Che dire? Niente. Aveva ragione Annah Arendt quando parlava di “banalità del male”. Fa uno strano effetto leggere con gli occhi del copilota di quello “storico” e fatale B29 la banalità anche della preparazione a un bombardamento atomico, dell’esecuzione di un bombardamento atomico, del rientro da un bombardamento atomico, delle risate al bar, del sole in spiaggia e delle nuotate dopo un bombardamento atomico. E’ tutto normale. Tutto di routine. E’ tutto ok. E’ la vita. Sì, la morte di una marea di esseri umani è la vita di altri esseri umani. In questo caso, la nostra vita. La morte di massa altrui e la nostra vita. Purtroppo, le equazioni di Maxwell ci dicono che l’Universo è simmetrico… Più in soldoni, e con più sangue, la Storia dice che oggi tocca a loro, domani a noi.
L’ex arcivescovo di Bologna cardinale Giacomo Biffi in un suo libro si è chiesto, mi pare uno o due anni fa, perché proprio Nagasaki. La sua domanda nasce dal fatto che in quella martoriata città viveva l’unica comunità di cristiani, mi pare cattolici ma non sono sicuro, dell’intero Giappone. Il cardinale pone la domanda, ma non si dà una risposta. Indiscrezioni mi dicono però che una sua idea ce l’abbia, ma non osa rivelarla.
Quando ho smesso di leggere i ricordi in presa diretta di Olivi non ho potuto fare a meno di ricordarmi di un altro italiano, vale a dire di Enrico Fermi, mentre ad Alamogordo assiste impaziente, con dei pezzettini di carta in tasca, all’esplosione della prima bomba atomica, quella, “sperimentale”, che sarebbe stato impossibile costruire senza il suo contributo decisivo. Quando ha visto la gigantesca palla di fuoco Fermi non ha fatto altro che contare i secondi e poi alle prime avvisaglie dell’arrivo dell’aria dell’onda d’urto tirar fuori dalla tasca i pezzettini di carta e lasciarli cadere. “Dal loro spostamento rispetto la verticale di caduta ho potuto fare subito un calcolo approssimativo delle potenza della bomba”, ha poi spiegato felice come un bambino che ha visto finalmente in azione il “suo” giocattolo.
Di Enrico Fermi, e di tutti gli altri grandi geni di Los Alamos, mi ha sempre colpito l’interesse e l’entusiasmo alla notizia dello sgancio delle atomiche su Hiroshima prima e su Nagasaki dopo, e l’assoluta assenza di un seppur minimo pensiero per le vittime, pur sapendo ben che i morti sul colpo si contavano a decine di migliaia, più gli altri a seguire. La stessa totale assenza di pensieri sulla sorte delle vittime mi ha colpito nel libro di Olivi, che almeno ha un moto di pietà anche se subito superata: “Poveracci, ma se la sono cercata”. Per i delitti, anche i più efferati, una giustificazione la si trova sempre. Mal che vada, si può sempre contestualizzare…
Spero che la frase di Olivi non venga mai pronunciata per le nostre città, che a detta di altri popoli e altre civiltà forse “se la sono cercata”. Ma non vi nascondo un grande senso di smarrimento alla lettura di Olivi e alla rilettura di Fermi. Qualcosa di simile l’ho provata solo alla lettura dei terribili castighi e delle sordide vendette contro popoli e città del Dio della bibbia e dei suoi fanatici maniaci. Forse è anche per tutto ciò che mi sono allontanato dallo studio della Fisica così come dalla bibbia e dai suoi dintorni, preferendo sporcarmi le mani con la vita.
Mi fa uno strano effetto sapere che sono nato in agosto, e che le atomiche sono state usate quando io mi accingevo a compiere due anni.
Avevo in mente di parlare anche d’altro, magari inserendo un nuovo interessante pezzo di Benito Li Vigni. Ma la banalità e la normalità del male credo abbiano bisogno di riflessione. Vi chiedo scusa.
Condivido molto, ma molti dei geni di Los Alamos (progetto Manhattan), non furono entusiasti dello sgancio della bomba. Senza il contributo teorico decisivo di Einstein non vi sarebbe stata nessuna bomba atomica, e forse non ve ne sarebbe ancor oggi una e scrisse una lettera al presidente Roosvelt perchè gli USA costruissero una bomba atomica. Mi risulta che Einstein tuttavia commentò amaramente lo sgancio delle bombe di cui forse ne sentì anche la responsabilità e considerò un errore terribile aver scritto la lettera. Molti fisici del gruppo di Los Alamos successivamente si pentirono dei loro sforzi per costruire l’arma e molti, a ragione, sorretti anche dalla teoria dell’equilibrio (teoria dei giochi) si traferirono in Russia. Ed il fisico a capo del progetto Manatthan Robert Oppenheimer allo sgancio della bomba commentò: “Oggi la scienza ha conosciuto il peccato”. E anche lui si distaccò dal progetto e protese le sue forze ad evitare l’incremento numerico e qualitativo dell’arsenale bellico e nucleare.
Questa lettura, mi risvegliò la memoria di quando ero bambino, avevo 5 anni e mezzo.. Sentivo le persone grandi , parlare di
bomba atomica , ma io non capivo cosa era . Però questa parola,
mi rimase in mente fino al giorno che capii, che cosa era questa atomica . Credo che innorridii, per ciò che avevano devastato.
Questa sera non speravo di leggere queste cose.Non posso fare a meno di pensare ai miei nipotini , che futuro avranno.
Con questo mondo d’oggi pieno di queste porcherie , centinaia di volte più potenti delle due lanciate . Vedo che la mentalità, da
allora non è cambiata . Che brutta razza quest’uomo.
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