LE VERITA’ NEGATE SULLA FINE DI ENRICO MATTEI – 3

di Benito Li Vigni

L’accordo algerino e il progetto europeo

Non era un mistero che Mattei teneva stretti rapporti con il governo provvisorio della Repubblica algerina, che allora combatteva per l’indipendenza dalla Francia. Era cominciata nel ’56 la lotta di liberazione del popolo algerino contro i francesi: la casbah di Algeri divenne un fronte di guerra sconvolto da lampi di fuoco e di morte. Crebbe in quei giorni la rabbia dei rivoltosi sotto lo sguardo assente di un’Europa lontana e sembrò, come cantò Garcia Lorca nella sua “Danza della morte”, che «mezzo lato del mondo era d’arena, di mercurio e di sole addormentato l’altro lato». Mille e mille fotogrammi di violenza ci giunsero nel ’66 con le immagini sconvolgenti della “Battaglia di Algeri” di Gillo Pontecorvo. Si videro molte donne algerine dalle chiome corvine diventar bionde, per confondersi tra le donne francesi e seminare, inosservate, bombe e terrore nella città sconvolta. Poi gli scontri casa per casa e i segnali degli insorti come grida d’uccello ferito sotto il fuoco di morte dei parà francesi. E le scene struggenti dei rivoltosi fatti torturare dal colonnello Mathieu sbarcato in Algeria per sradicare il Fronte di liberazione. E i labirinti della casbah, come selva di pietra stretta d’assedio con la morte annidata tra le rovine delle case dei rivoltosi che non si vogliono arrendere. Esaltante, infine, il dilagare per strade e piazze delle masse in trionfo, con canti e bandiere improvvisate nel giorno della vittoria.

Per il partigiano Mattei non c’era scampo. Prendere o lasciare. Lui si considerava uomo con una visione organica delle cose, per cui da una concezione di libertà discendeva una sola opzione di solidarietà che lo spinse a intervenire a sostegno di quel popolo in rivolta. Insediò a tal fine una sede a Tunisi e creò, come copertura di questa attività, un ufficio per i rapporti con la stampa dell’Africa del Nord, affidandone la responsabilità a Mario Pirani; e a Roma l’Eni mise a disposizione un locale che ospitò la rappresentanza del movimento di liberazione algerino presso il governo italiano. In quel momento, il corpo diplomatico italiano era diviso e c’era tutta una vecchia parte della Farnesina che era strettamente filo-francese e condannava le posizioni dell’Eni. Tra le azioni svolte, facilitare i passaggi diplomatici degli algerini in Italia, i loro viaggi in Europa e formare i loro quadri petroliferi mandandoli alle scuole superiori di idrocarburi. L’Eni si offrì anche di rifornire il carburante all’armata algerina comandata da Boumedienne alla frontiera tunisina e alla frontiera marocchina, ma la Shell e la Esso avevano già assicurato i rifornimenti.

Il sostegno più importante offerto da Mattei fu quello di preparare la parte algerina a elaborare le proposte, le posizioni, i suggerimenti delle trattative con i francesi per quanto riguardava tutto il contenzioso petrolifero con la Francia sullo sfruttamento dei giacimenti del Sahara. Tutte le norme furono suggerite dall’Eni, soprattutto quelle che prevedevano il mantenimento di una collaborazione francese, ma con una titolarità diretta algerina del sottosuolo e con una loro azienda di Stato che, in qualche modo, trovassero una cooperazione con i francesi aperta anche all’Eni. Da questa idea nacque la società algerina Sonatrach, e l’Office du Pétrol Saharien, dove c’erano i francesi e gli algerini. La cosa che più interessava a Mattei erano i giacimenti di metano, seguita dalla collaborazione per lo sfruttamento delle risorse petrolifere. Obiettivo raggiungibile poiché l’Eni appariva in quel momento agli algerini e in genere a tutti i movimenti del Terzo Mondo, di recente indipendenza, come punto di riferimento dirompente nei confronti delle vecchie strutture coloniali.

A Evian, intanto, il 20 maggio 1961, iniziava la lunga trattativa franco-algerina che aveva per obiettivo, oltre all’armistizio, la cooperazione tra i due paesi. «La consegna di De Gaulle», ha scritto Italo Pietra, «è che il petrolio è la Francia, e unicamente la Francia. E che il Sahara algerino è una finzione giuridica e nazionalistica senza fondamento storico … Quanto al petrolio», continua Pietra, «Bularuf, delegato del Fronte nazionale di liberazione algerino a Roma, si trovava qui coi dossier preparati dall’Eni in vista della trattativa per la valorizzazione delle risorse del Sahara. E’ più probabile che i servizi segreti francesi e americani fossero al corrente della cosa. Sta il fatto che, dopo poche settimane, Mattei è invitato a entrare nel pool in via di costituzione tra petrolieri americani, inglesi e francesi. E risponde di no». Irritata da questa risposta la diplomazia francese interveniva a Roma sul ministro degli esteri, Antonio Segni, con una nota di protesta contro l’attività dell’Eni che ostacolava le trattative in corso tra francesi e algerini, favorendo l’irrigidimento del governo provvisorio della Repubblica algerina in ordine a un problema che era considerato dalla Francia essenziale alla sua economia e alla sua sicurezza. Pochi giorni dopo, il 25 luglio 1961, la lettera dell’Oas con la minaccia di morte a Mattei e alla sua famiglia.

La volontà del generale De Gaulle di porre infine termine al conflitto aveva indotto Mattei a modificare il suo atteggiamento. Adesso che l’Algeria aveva ottenuto (marzo 1962) il riconoscimento della propria indipendenza egli prospettava un accordo a tre – Francia, Algeria, Italia – secondo la formula a lui gradita del rapporto tra industrie pubbliche. Furono presi alcuni contatti ai quali partecipò per i francesi un alto funzionario, quel Claude Cheysson che diventerà ministro degli esteri di Mitterrand. Doveva essere una partecipazione italiana, insieme a quella francese in alcuni giacimenti petroliferi, una raffineria italo-algerina da fare in Algeria, soprattutto una grossa fornitura di metano. «Fu una sfida vinta e che apriva grosse possibilità perchè», ha spiegato Pirani, «i francesi e gli algerini pensavano che assieme a Mattei avrebbero potuto realizzare un gasdotto intercontinentale che partendo dai ricchi giacimenti metaniferi del Sahara, passando lo stretto di Gibilterra e attraversando la Spagna, arrivasse fino alla Francia e all’Italia. Ritenevano anche che a questo primo progetto avrebbero potuto seguire analoghe iniziative che coinvolgessero altri paesi del Terzo Mondo. Nella loro strategia i francesi tenevano molto ad avere agli occhi dei paesi ex coloniali la “copertura” dell’Eni il quale, a sua volta, era interessato a questo tipo di intesa in quanto da un lato necessitava di petrolio e dall’altro voleva aumentare la propria disponibilità di gas naturale di cui cresceva continuamente la domanda per il mercato italiano». Mattei pensava che il ruolo della Francia, in questo quadro complessivo, dovesse essere svolto da una industria pubblica francese che si accordasse con l’Eni per fare una politica di tipo europeo. Questo indirizzo trovò coerente riscontro nella politica di De Gaulle che volle ampliare l’intervento pubblico nel campo degli idrocarburi trasformando l’azienda petrolifera francese Erap in un ente nel quale riunire tutte le partecipazioni dello Stato nel settore petrolifero. Nacque così l’Elf, a capo della quale egli mise Guillomat, già ministro della difesa e grosso personaggio gollista del quale voleva fare il “Mattei francese”. Le intese avviate avrebbero dovuto essere ratificate nell’incontro con Ben Bella del 6 novembre 1962 e completate da un accordo franco-italiano, per il quale era già previsto un viaggio di Mattei a Parigi a metà novembre.

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Mario Pirani, che seguiva da vicino la vicenda, continua così nella sua testimonianza: «Il discorso stava diventando molto interessante ma l’improvvisa morte del nostro presidente segnò una battuta d’arresto. Infatti, pur essendo stato nominato suo successore alla presidenza dell’Eni il professor Marcello Boldrini l’effettivo potere gestionale era esercitato dal vice presidente Eugenio Cefis…». In queste nomine il governo aveva dichiarato di voler garantire la continuità formale e sostanziale della linea che Mattei aveva imposto all’Eni. In realtà le cose andarono in modo diverso e si operò in una direzione che di fatto cambiò la politica dell’ente, da sempre contraria al cartello petrolifero internazionale. A sostegno di questa scelta si disse che Mattei seguiva un nuovo orientamento che lo avrebbe portato ad accordarsi con gli americani. In verità, proprio alla vigilia della sua morte, Mattei stava per concludere l’accordo algerino, evidentemente in aperto contrasto con le compagnie petrolifere americane.

Il progetto venne portato avanti ancora per un certo periodo ma poi, come racconta Mario Pirani, le cose andarono diversamente: «Con il benestare di Cefis si cominciò a elaborare nell’ambito dell’Eni il testo di un vero e proprio contratto riguardante oltre all’accennato gasdotto tripartito e alla costruzione degli impianti connessi e di una raffineria, anche il rilascio all’Eni di alcuni permessi di ricerca di idrocarburi nel Sahara algerino. Da parte loro, gli algerini si dichiararono interessati ad acquisire una partecipazione nella nostra rete commerciale di idrocarburi in Italia. Questa prospettiva, però, non fu considerata con favore dall’Agip, probabilmente dominata da una visione angusta e contingente del problema … In un primo tempo Cefis, essendo favorevole a proseguire il discorso iniziato da Mattei, si era recato ad Algeri per trattare con Ben Bella e Cheysson. A seguito di questi incontri, era venuto a Roma Guillomat per approfondire in sede Eni il problema del gas, prospettando anche l’allargamento dell’intesa ad altri paesi. Si discusse pure la proposta di effettuare in “joint venture” ricerche petrolifere in Iraq. I francesi tenevano molto ad ampliare i termini di una collaborazione con l’Eni ma nel nostro gruppo, particolarmente nell’ambito dell’Agip, persisteva un forte pregiudizio antifrancese e questa prospettiva era vista con molta tiepidezza per non dire con scarso favore».

Si arrivò dunque al cambio improvviso di rotta che così descrive Pirani: «D’altra parte, Cefis aveva evidentemente interesse ad accordarsi con gli americani, con la Esso in particolare. Così, dopo una prima fase in cui sembrava che l’intesa per il gas algerino su base tripartita andasse in porto, egli annunciò all’improvviso di aver stipulato un accordo con detta compagnia americana (rappresentata in Italia da Vincenzo Cazzaniga; n.d.a.) per l’acquisto di gas dalla Libia, nullificando d’un colpo tutto il delicato lavoro che avevamo fatto con gli algerini e con gli stessi francesi. [Cefis firmò a Madrid, nel febbraio del 1963, la formalizzazione dell’accordo pluriennale con la Esso concluso da Mattei a Roma nell’estate del 1962 (n.d.a.)]. La reazione fu durissima in Algeria e in tutto il Terzo Mondo. Sui giornali uscirono articoli di fuoco nei quali si tacciava di “tradimento” l’Eni che, dopo la morte di Mattei, abbandonava l’Algeria e se l’intendeva con gli americani. Molto del credito acquistato dal nostro gruppo andò perduto non solo per il fatto ma anche per il modo di questo accordo con la Esso. Ne soffrì molto l’immagine dell’Eni il cui comportamento suonò come una porta sbattuta in faccia non solo agli algerini ma anche ai francesi». In merito alle ragioni adottate dall’Eni per il mancato accordo algerino, lo stesso Pirani così conclude, accennando a improbabili motivazioni di mercato: «Cefis, persona peraltro intelligentissima e uomo d’affari di grande levatura, valutava la situazione e misurava l’interesse dell’Eni guardando al breve periodo: siccome il greggio si poteva acquistare sul mercato mondiale a un prezzo vantaggioso – mi pare fosse, allora, di due dollari e venti cent al barile – non ritenne conveniente effettuare grossi investimenti in Algeria. La stessa logica – o strategia che si voglia dire – a un certo momento prevalse anche per l’importazione del gas».

«Alcuni anni dopo, nel 1972», hanno scritto Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani in “Razza Padrona”, «venne fuori che Cazzaniga e Cefis s’erano talmente invaghiti l’uno dell’altro da diventare di fatto soci mentre avrebbero dovuti essere concorrenti. La cosa non piacque affatto ai dirigenti della Standard Oil New Jersey, che infatti mandarono a Roma uno stuolo di revisori dei conti per mettere sotto inchiesta le operazioni di Cazzaniga. Il quale, per quello che se n’è saputo, ne uscì con le ossa rotte». In merito, poi, alla facilità con cui Cefis abbandonò la politica di Mattei, nel caso dell’accordo per il gas algerino e più in generale dei rapporti internazionale, Giorgio Galli, nel suo libro “La Regia Occulta”, ha scritto: «L’Eni era una “banda” formata da un solo uomo. E i rapporti nell’ambito dell’Eni non erano rapporti di gruppo. Erano rapporti bilaterali col capo … Per questa ragione, era possibile liquidare una politica liquidando Mattei, soprattutto se il suo successore conosceva adeguatamente la macchina dell’organizzazione negli aspetti più delicati e anche più oscuri …».

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Preoccupato della politica delle grandi compagnie petrolifere, Mattei coltivava l’idea di un’alleanza di tipo europeo fra le imprese statali del settore, in sostanza fra l’Eni e le corrispondenti strutture pubbliche francesi, tedesche ecc. Si trattava di una strategia a largo raggio che mirava ad acquisire una posizione di forza che gli permettesse di avere un nuovo rapporto con i tradizionali avversari. Ma l’accordo fra l’Eni e le altre aziende petrolifere statali europee, nonché l’intesa con la Esso, preoccupavano gli inglesi per gli aspetti commerciali e soprattutto per i risvolti politici che ne sarebbero derivati anche in relazione ai rapporti di forza all’interno dell’Europa. Nel presentare l’iniziativa per la costruzione di una rete di oleodotti da Genova ad Aigle, in Svizzera, a Ingolstadt, in Baviera, e a Stoccarda, nella Germania meridionale, Mattei parlò di «condizioni di sostanziale convenienza, ai fini della competizione per il rifornimento petrolifero del centro Europa». Affermò che il sistema di oleodotti progettato, per uno sviluppo di circa 1100 chilometri e una capacità annua di trasporto da 14 a 18 milioni di tonnellate di greggio e di olio combustibile, avrebbe avvantaggiato economicamente e in misura notevole ciascuno degli utenti. Accennò, poi, alle combinazioni finanziarie predisposte per la realizzazione dell’opera, attraverso l’apporto di capitali dei paesi attraversati.

Con la progettazione di un sistema di oleodotti che portasse il petrolio dall’Algeria all’Italia e all’Europa centrale, si aprivano prospettive formidabili a cui Mattei aveva già iniziato a lavorare per coinvolgere la Francia di De Gaulle e la Germania di Adenauer. Allora si credeva che le maggiori riserve di petrolio si trovassero in Algeria, e non in Libia. C’è motivo di ritenere che Mattei puntasse su due obiettivi di notevole importanza politica e strategica. Il primo, mettere assieme la modesta quantità di petrolio che poteva trovare nel Sinai con il grosso volume che prendeva in Russia e con quello, si pensava elevatissimo, che poteva trovare in Algeria, per raggiungere quei 70-80 milioni di tonnellate che, secondo la legge della marginalità dei costi, avrebbero messo in crisi i prezzi del cartello. Il secondo, puntare a un’intesa con il presidente americano, con cui si sarebbe dovuto incontrare negli Stati Uniti, probabilmente entro il 1962, per ottenere il riconoscimento del ruolo internazionale che spettava all’Eni. La convergenza di Stati Uniti, Francia, Germania e Italia in una prospettiva strategica di sviluppo economico avrebbe isolato e sconfitto definitivamente il centro del colonialismo, istaurando un periodo di stabilità senza precedenti.

Era chiaro che l’attuazione di questi grossi obiettivi rappresentava un pericolo che minacciava in profondità il potere del cartello internazionale del petrolio che aveva a Londra, nella British Petroleum e nella Royal Dutch Shell, il centro decisionale e strategico. L’allora ministro dell’Economia bavarese, Otto Schedl, che trattò con Mattei per la costruzione dell’oleodotto e della raffineria in Baviera, ha dichiarato: «Eravamo d’accordo soprattutto nella valutazione che in futuro per l’economia di ciascun paese avrebbe assunto enorme importanza il costo dell’energia in generale e in particolare il prezzo dei prodotti petroliferi. I petrolieri erano preoccupati che con l’aiuto di Mattei potessi riuscire nel mio scopo di far giungere per la strada più breve il petrolio, via Mediterraneo, dal vicino Medio Oriente». Secondo la relazione tenuta da Mattei all’assemblea dell’Anic del 1962, i 18 milioni di tonnellate di greggio trasportati annualmente dall’oleodotto Genova-Aigle-Ingolstadt-Stoccarda avrebbero dovuto alimentare per 4 milioni la raffineria di Sannazzaro de Burgundi, per due quella di Aigle e per altri due un nuovo impianto da costruirsi in Italia. I rimanenti dieci milioni sarebbero stati utilizzati per alimentare nuove raffinerie da costruire in Germania, a Monaco di Baviera e Ingolstadt, in associazione con la società tedesca Sudpetrol. Il piano di Mattei per la Germania, infine, contemplava la rapida realizzazione di una rete di moderne stazioni di servizio sotto il simbolo del “cane a sei zampe”.

Le apprensioni suscitate dal progetto Centro Europa tra le società del cartello più direttamente interessate alle strategie dell’Eni si acuirono fortemente alla notizia di un possibile nuovo fronte che Mattei avrebbe aperto, a più lontana scadenza, non appena l’oleodotto Genova-Inglostadt fosse stato completato. A creare nuovi timori era stato il progetto di un secondo tronco che da Trieste trasportasse il greggio sempre nella zona di Ingolstadt. La scelta della località adriatica quale punto di partenza di un nuovo oleodotto aveva messo in allarme i capi delle grandi compagnie petrolifere che fecero coincidere tale decisione con la costruzione, allora in corso, del gigantesco oleodotto sovietico Druzba, lungo oltre quattromila chilometri, che avrebbe portato nei paesi comunisti dell’Europa notevoli quantitativi di petrolio proveniente dai grandi giacimenti degli Urali e del Volga. Il fatto che il ramo sud del Druzba si fermasse a Szazhalombatta, in Ungheria, a poche centinaia di chilometri dalla Venezia Giulia, rendeva probabile un futuro allacciamento di Trieste al terminale sud del grande oleodotto sovietico. A rendere straordinariamente possibile tale soluzione era, secondo il cartello, la linea di condotta di Mattei e, soprattutto, la decisione di Mosca di far penetrare il proprio greggio sui mercati occidentali attraverso l’organizzazione integrata dell’azienda di Stato italiana.

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