Sui rapporti tra Russia e Ucraina

Putin ha ribadito concetti già espressi in precedenza.
No alla tregua di 30 giorni se serve per riorganizzare l’Ucraina, continuando a riarmarsi e a reclutare forzatamente i giovani.
Sì alla tregua se è il preludio a una pace duratura con la rimozione delle cause che hanno provocato questa guerra.
Un fronte di quasi 2.000 km non è facile da controllare quando si parla di tregua. E poi le forze russe stanno avanzando ovunque.
Inoltre molti soldati nella regione di Kursk han compiuto crimini contro l’umanità a carico dei russi. Non possono andarsene grazie alla tregua. Al massimo Kiev dovrebbe ordinare di deporre le armi e arrendersi. Invece Zelensky sta già sperando che Putin rifiuti il cessate il fuoco per poter dire al mondo: “guardate chi vuole la guerra”.
Durante i colloqui per un accordo di pace permanente l’Ucraina non si deve mobilitare né riarmarsi.
Inviare forze di peacekeeping europee in Ucraina sarebbe per la Russia come un atto di guerra diretto.
Per noi l’inizio di un dialogo sarebbe possibile se fosse il governo ucraino a chiedere agli americani un cessate il fuoco sulla base della situazione militare sul campo.
In Ucraina le forze russe stanno gettando le basi per un nuovo sistema di sicurezza indivisibile europeo e globale.
Da notare che l’inviato speciale del presidente Trump per l’Ucraina e la Russia, Keith Kellogg (ex generale americano), è stato escluso dal Cremlino per quanto riguarda i colloqui di alto livello sulla fine della guerra. Viene ritenuto troppo filo-ucraino.
Se poi Trump ha già detto di voler imporre ulteriori restrizioni ai settori energetici e bancari della Russia, limitando ulteriormente l’accesso della Russia ai sistemi di pagamento statunitensi, la trattativa è già finita prima ancora di cominciare.
Putin tuttavia non ha escluso che il Nordstream venga acquistato dagli USA per vendere agli europei il gas russo.

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Dicono che la Russia abbia perso in Ucraina più di 100.000 uomini. Difficile pensare che Putin possa accettare una tregua alle condizioni di Trump. Gli obiettivi dell’operazione speciale non sono ancora stati conseguiti tutti. La NATO deve uscire completamente dall’Ucraina, sia come mezzi bellici, istruttori, intelligence, satelliti, militari travestiti da ucraini o da mercenari. La neutralità del Paese è tassativa, come la sua smilitarizzazione (le forze armate devono diventare puramente difensive). Il governo deve denazificarsi, perché è colpevole di crimini contro l’umanità. E va assicurata l’autodeterminazione delle minoranze del Paese.
Non solo, ma le principali città come Nikolaev, Odessa e Kharkhov e persino Kiev dovrebbero essere restituite alla Russia, perché fanno parte della sua storia da molti secoli. I neonazisti, se proprio vogliono avere una città di riferimento, la cerchino a Leopoli.
I termini della pace devono essere quelli della resa incondizionata e della capitolazione completa. Difficilmente i russi accetterebbero di meno.

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La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto le autorità ucraine colpevoli di aver violato l’art. 2 (diritto alla vita) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. La Corte cioè ha stabilito che le autorità non hanno adottato misure per prevenire la violenza e salvare vite umane durante gli eventi di Odessa del 2 maggio 2014 e non hanno avviato o condotto un’indagine efficace su tali eventi.
Come noto a Odessa, in quella data, si verificarono scontri su larga scala tra sostenitori del cosiddetti golpe Euromaidan e attivisti filorussi. Le rivolte si conclusero con un grande incendio nella Casa dei Sindacati. In seguito a quegli eventi furono assassinati 48 filorussi e più di 200 rimasero feriti.
Il Ministero degli Interni ucraino arrestò alcune persone, che dopo le indagini, oggetto di interferenze politiche, furono rilasciate.
Difficile che i russofoni dimentichino una tragedia del genere. Strano comunque che dopo un decennio la Corte europea abbia avuto un sussulto di dignità.
In ogni caso sarebbe stato meglio dire che il governo di Kiev non va considerato colpevole per non essere riuscito a impedire le gravi violenze sui manifestanti filorussi, ma proprio perché volutamente organizzò la strage, pensando di dare l’esempio e intimorire gli oppositori.
Fu proprio quella strage che convinse gli abitanti di Lugansk e Donetsk a chiedere aiuto alla Russia, poiché avevano capito che dalla giustizia neonazista non avrebbero ottenuto nulla.

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È stato presentato al parlamento ucraino un disegno di legge sul divieto assoluto dell’uso della lingua russa nelle scuole, incluse le pause da un’ora all’altra e al di fuori delle lezioni.
Siamo ai deliri. Da un lato si chiedono 30 giorni di tregua; dall’altro si fa un’altra dichiarazione di guerra.
La Costituzione ucraina tutela espressamente la lingua russa. Che razza di governo gestisce questo Paese devastato da una guerra triennale, indebitato fino al collo, incapace di qualunque forma di democrazia e profondamente corrotto?
Come si può pensare che Putin possa accettare le condizioni di pace di Trump e di Zelensky? Come si può non capire che una delle principali richieste di Mosca è proprio la protezione della lingua russa in Ucraina. I russofoni non esistono solo nel Donbass.
L’ucraino non è una lingua, ma un dialetto, è una specie di pidgin. In realtà è parlato solo nella Repubblica di Ivano-Frankivs’k, che è un oblast’, conosciuto come Voivodato di Stanisławów o Ciscarpazia. Non ha letteratura, non ha poesia, non ha nulla che lo renda un linguaggio vero e proprio.