Il Canada sarà un osso duro per Trump

di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

La recente nomina di Mark Carney a primo ministro del Canada ha un significato ben maggiore di quello meramente nazionale. E va ben oltre la questione della guerra dei dazi iniziata da Donald Trump. Ha certamente a che fare con l’improvvida dichiarazione del presidente americano di voler annettere in un modo o nell’altro il Canada facendone il 51.imo stato della Federazione americana.

Trump a modo suo ha attaccato, ma non ha fatto i conti con l’”impero britannico”. La nomina di Carney, quindi, ci pare la risposta britannica. Trump è veramente consapevole delle implicazioni strategiche del suo gesto?

Il Canada, apparentemente indipendente e con un parlamento democraticamente eletto, è parte integrante del Commonwealth britannico, una formulazione più soft e moderna del vecchio impero. Innanzitutto, non si dimentichi mai che un ruolo centrale nella politica internazionale, per quanto possa sembrare strano, è della Corona britannica e che oggi il Capo di Stato del Canada è re Carlo III d’Inghilterra, che opera attraverso un suo governatore generale.

Londra e la City, il quartier generale della finanza mondiale, sono i massimi sponsor di Carney. La carriera del nuovo primo ministro canadese non è stata primariamente politica, non ha avuto molto a che fare con il gioco dei partiti. Carney è stato per quasi quindici anni l’uomo delle banche centrali. Prima, dal 2008 al 2013, come governatore della Bank of Canada, poi, dal 2013 al 2020. governatore della Bank of England. Il primo, in questo posto apicale, a non essere nato in Gran Bretagna. Questo ci dice molto di che cosa egli realmente rappresenta.

Fino alla sua nomina a capo di governo, Carney ha mantenuto tre passaporti: uno canadese, un secondo irlandese e un terzo britannico. La sua formazione è avvenuta all’università americana di Harvard e a quella inglese di Oxford. Prima delle banche centrali, per 13 anni aveva “imparato il mestiere” lavorando con la Goldman Sachs, la banca americana delle più grandi speculazioni finanziarie internazionali.

Assiduo partecipante ai maggiori simposi finanziari internazionali, Carney non è mai mancato agli incontri annuali di Jackson Hole, organizzati dalla Federal Reserve di Kansas City.

Al riguardo è opportuno ricordare alcuni suoi interventi, diventati noti per le posizioni di sfida al ruolo internazionale del dollaro.

Nel simposio del 2019, per esempio, Carney dichiarò che “un sistema unipolare non è adatto per un mondo multipolare” e che “l’uso diffuso del dollaro statunitense nella fatturazione commerciale, al posto della valuta del produttore o dell’importatore”, ha avuto un effetto “destabilizzante” sull’economia globale. Metà delle transazioni commerciali mondiali è effettuata ancora in dollari, ma la quota delle importazioni Usa è solo un quinto del totale dell’import mondiale, diceva.

In quell’occasione, dopo aver ricordato che “la City è il principale centro finanziario internazionale”, egli propose di sostituire il dollaro, come moneta di riferimento negli scambi commerciali e nelle riserve internazionali, con la Synthetic Hegemonic Currency (Shc), una nuova valuta digitale che avrebbe dovuto essere emessa dalle banche centrali attraverso una loro rete di monete digitali. Prendeva come esempio la moneta digitate Libra, allora proposta da facebook.com, che sarebbe potuto diventare il nuovo strumento di pagamento per le transazioni commerciali.

Dalla Bank of England Carney si era opposto alla Brexit poiché aveva capito che l’isolamento britannico avrebbe avuto conseguenze economiche e politiche negative per Londra. Aveva ragione, come si può dedurre dall’attivismo di Starmer verso l’Europa.

L’integrazione economica tra il Canada e gli Stati Uniti è già molto forte, a prescindere dalle dichiarazioni e dalle intenzioni di Trump. Più del 75% delle esportazioni canadesi va negli Usa. Di conseguenza il gioco dei dazi è più propaganda che altro. Pertanto la questione è squisitamente geopolitica e riguarda il controllo americano sulle materie prime e sul vasto territorio del Canada.

Il “patriota” Trump , dovrebbe sapere bene che gli Usa conquistarono la loro indipendenza dall’impero britannico con una rivoluzione voluta dal popolo, né comprata né imposta dall’alto. Non sembra che i canadesi vogliano essere annessi come cittadini di secondo grado nel nuovo ordine mondiale trumpiano. Inoltre, è opportuno anche ricordare che nella Guerra di Secessione Londra prese apertamente e concretamente la parte degli Stati della Confederazione del Sud contro Lincoln.

Non è in corso una partita a scacchi per cui si possono rimettere i pezzi al loro posto e ricominciare daccapo. La realtà non può essere violentata a piacimento. Trump potrà portare avanti solo quelle politiche che è veramente in grado di realizzare. Il resto è pura propaganda.

*già sottosegretario all’Economia **economista

Il Manifesto di Ventotene

Il Manifesto di Ventotene, “Per un’Europa libera e unita”, fu redatto nel 1941 da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni mentre si trovavano al confino come oppositori del regime fascista.
Sue affermazioni principali, critiche nei confronti di Germania nazista, Italia fascista e Giappone militarista, a favore di Regno Unito, Stati Uniti, Unione Sovietica e Cina, sono le seguenti.
– Il nazionalismo ha permesso la formazione di Stati indipendenti, ed è stato un bene; tuttavia dal nazionalismo borghese è nato l’imperialismo capitalistico, che a un certo punto ha voluto dire Stati totalitari (intenzionati a dominare su quelli più deboli) e guerre mondiali.
– Dopo la prima guerra mondiale le classi marginali cercarono di opporsi a quelle privilegiate, ma queste, per difendersi, optarono per le dittature, ch’erano per lo più razziste e imperialiste [da notare che la geopolitica viene considerata una pseudoscienza di questi Stati, che pretendono di dominare pezzi di mondo].
– Si prevede la fine degli Stati totalitari e il ritorno agli Stati nazionali imperialistici formalmente democratici. Questo perché la vera democrazia non è cosa che il popolo sa creare facilmente, come si è visto in Russia, Germania e Spagna, con le loro rivoluzioni finite male.
– D’altronde una rivoluzione proletaria rischia di isolare la classe operaia, anche perché collettivizzare tutti gli strumenti produttivi è utopistico e dipendere da Mosca fa compiere azioni contraddittorie.
– Bisogna però combattere le forze reazionarie (capitalisti privati, proprietari terrieri, capitalisti finanziari, chiese privilegiate), perché c’è il rischio che dopo la fine degli Stati totalitari, si torni di nuovo con gli Stati nazionali a porre le premesse per un nuovo conflitto mondiale.
– Per impedire la rinascita (anarcoide) degli Stati nazionali ci vuole una riorganizzazione federale dell’Europa, con cui sarà più facile trovare una base di accordo per una si­stemazione europea nei possedimenti coloniali.
– I futuri Stati Uniti d’Europa devono essere basati su istanze repubblicane (quindi le dinastie monarchiche devono finire). E dovranno avere un’unica forza armata europea al posto degli eserciti nazionali. Questo in previsione dell’unità politica dell’intero globo, quando vi sarà un unico Stato internazionale federato.
– La rivoluzione europea dovrà però essere socialista, cioè dovrà favorire l’emancipazione delle classi lavoratrici, senza per forza arrivare alla statalizzazione dei mezzi produttivi, cosa che rende lo Stato sommamente burocratico. Socialismo vuol dire che non sono le forze economiche a dominare gli esseri umani ma il contrario.
– Tuttavia alcune imprese (che tendono a essere monopolistiche) andranno per forza nazionalizzate, poiché la loro importanza potrebbe condizionare il governo di uno Stato: per es. quelle minerarie, siderurgiche, elettriche, i grandi istituti bancari, i grandi armamenti.
– Ci vorranno anche una riforma agraria, che, passando la terra a chi la coltiva, aumenti enormemente il nu­mero dei proprietari, e una riforma industriale che estenda la proprietà dei lavoratori nei settori non statizzati, come le gestioni cooperative, l’aziona­riato operaio ecc.
– La scuola dovrà essere pubblica e gratuita. Vitto, alloggio e vestiario dovranno permettere una vita decente, quindi dovranno avere costi relativamente bassi.
– Indipendenza della magistratura e libertà di stampa e di associazione sono imprescindibili in uno Stato democratico.
– Il Concordato tra Stato e Chiesa andrà abolito, altrimenti è impossibile affermare la laicità dello Stato e l’uguaglianza di tutte le religioni.
– Il corporativismo fascista andrà abolito, poiché con esso lo Stato totalitario si serve dei sindacati per controllare i lavoratori in maniera poliziesca.
– Qualsiasi movimento rivoluzionario non può prescindere dall’unità tra operai e intellettuali.

Libro bianco per la difesa europea

Il Libro bianco per la difesa europea (ReArm Europe Plan/Readiness 2030) è una follia all’ennesima potenza. Lo si vede sin dalla premessa: “L’Europa deve investire nella sicurezza e nella difesa del continente, continuando al contempo a sostenere l’Ucraina per difendersi dall’aggressione della Russia.”
A parte che UE ed Europa non coincidono, ma dove sta scritto che la Russia ha intenzione di attaccare l’Europa? Quale è il documento del Cremlino che lo dice? Quali sono le parole di Putin?
E poi tutta questa fretta che ha la von der Leyen di armare la UE, da dove viene? Forse da un sentimento di frustrazione per aver perso clamorosamente la guerra per procura in Ucraina? La UE è già molto armata con la NATO. In questo folle documento non viene detto che la NATO va chiusa o superata. Gli USA non hanno detto di voler uscire dalla NATO, né la UE ha intenzione di farlo.
È chiaro dunque che sotto ci sono altre intenzioni. Secondo Alessandro Volpi sono di tipo finanziario. La UE sta creando una bolla finanziaria attraverso lo strumento delle armi. L’Ucraina è solo un pretesto. Darle 2 milioni di proiettili di artiglieria all’anno non servirà a nulla. La guerra l’ha già persa e continuerà a perderla, con o senza NATO, con o senza Unione Europea, con o senza von der Leyen. Russia e Bielorussia sono nemici completamente inventati.
Questi scriteriati che han redatto il documento non si rendono conto che non ha alcun senso economico investire così tanto nella difesa per rilanciare l’industria. Ad un certo punto le armi andranno usate per forza. Non potranno essere vendute a nessuno se serviranno per difenderci dalla Russia.
Insomma gli statisti folli della UE hanno intenzione di dissanguarci come un vampiro, poiché le spese per la difesa andranno tolte dai bilanci pubblici.