La zavorra africana del debito

di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi **

Da quando il suo debito è negoziato sui mercati internazionali, il problema per l’Africa si è fatto più critico. Alla fine del 2023, il 49% del debito africano era in mano di privati, cioè di fondi, di banche e di altri finanzieri internazionali. Si prevede che salirà al 54% entro la fine del 2024. Tra il 2015 e il 2022, per 49 dei 54 paesi africani i costi medi del servizio del debito sono aumentati dall’8,4% al 12,7% del pil. Secondo l’African Economic Outlook Report della Banca africana per lo sviluppo (AfDB), nel 2024 i paesi africani dovrebbero spendere circa 74 miliardi di dollari per il servizio del debito. Rispetto ai 17 miliardi del 2010. 40 dei 74 miliardi è dovuto a creditori privati.

Il vicepresidente e capo economista dell’AfDB, Prof. Kevin Urama, intervenendo il 30 novembre alla quinta sessione straordinaria del Comitato per la finanza e gli affari monetari dell’Unione africana, tenutosi ad Abuja, in Nigeria, ha affermato: “La mutevole struttura del debito verso i creditori privati ​​comporta opportunità e sfide. Quando prendono a prestito sui mercati dei capitali internazionali, i paesi africani pagano interessi del 500% in più rispetto a quanto pagherebbero all’AfDB e alla Banca mondiale”. Si tenga presente che dal 2010 il debito pubblico dell’Africa è aumentato del 170%, in gran parte a causa dei problemi strutturali del sistema debitorio, dei recenti shock globali e delle sue note debolezze.

Una delle ragioni dell’alto costo è certamente la tendenza di utilizzare debiti a breve termine e, quindi, a interesse alti, per finanziare progetti di sviluppo a lungo termine. Lo chiede il mercato. Le implicazioni per la sostenibilità del debito nel medio e lungo periodo sono ovvie. Come conseguenza, 20 paesi africani sono attualmente in difficoltà debitorie o ad alto rischio di esserlo, rispetto ai 13 del 2010.

Sempre secondo l’AfDB il rapporto debito pubblico/pil è mediamente cresciuto dal 54,5% del 2019 al 64% del 2020 per poi rimanere relativamente stabile. Dal 2000 al 2021 23 paesi africani hanno cercato crediti sui mercati privati per un totale di 1.510 miliardi di dollari. La stragrande maggioranza del debito pubblico verso l’estero è in dollari: nel 2022 circa il 70%, mentre quello in euro solo il 14,5%. Questa dipendenza dal dollaro è diventata nefasta quando la Federal Reserve ha alzato i tassi d’interesse. Molti paesi coprono i deficit di bilancio non pagando, ma rifinanziando i debiti in scadenza, soprattutto verso i fornitori privati di merci e di servizi e verso i creditori istituzionali. Il pagamento degli interessi sul debito rappresenta, mediamente per l’Africa nell’ultimo decennio, il 12,7% del pil, mentre la spesa per la salute solo 1,8% e quella per l’istruzione il 3,6 %.

Nel suo Regional Economic Outlook per l’Africa sub sahariana di ottobre, anche il Fondo monetario internazionale ha dipinto un quadro preoccupante: “L’inflazione rimane a due cifre in quasi un terzo dei paesi. La capacità di servizio del debito è bassa e l’aumento degli oneri debitori sta erodendo le risorse disponibili per lo sviluppo. Le riserve valutarie sono spesso insufficienti.”. I paesi esportatori di materie prime e di petrolio sarebbero in maggiori difficoltà.

Anche per tutte queste ragioni i leader africani chiedono riforme urgenti del sistema finanziario globale. Non vogliono essere le vittime delle speculazioni finanziarie e sulle commodity. Nello stesso tempo operano per un meccanismo di stabilità finanziaria regionale, per l’utilizzo delle monete locali nei commerci interafricani e, dove possibile, con il resto del mondo. In questo processo ci s’ispira alla Nuova Banca di sviluppo (Ndb) dei Brics.

Alla luce delle tensioni geopolitiche, dei rischi climatici e delle imprevedibili tendenze economiche globali, l’eccessiva dipendenza dell’Africa dai mercati esterni sta diventando sempre più problematica. L’AfDB enfatizza, perciò, la necessità di un sistema finanziario africano più solido e resiliente e di sforzi concertati per realizzare gli obiettivi d’integrazione economica a lungo termine del continente.

Molti paesi africani, tra cui la Nigeria, la più forte economia del continente, operano per stabilire istituzioni come l’African Monetary Institute e l’African Financing Stability Mechanism, sulla scia delle esperienze europee, che sono essenziali per raggiungere la convergenza macroeconomica, la resilienza finanziaria, l’indipendenza economica e l’autosufficienza del continente africano.

Queste problematiche economiche dei vari paesi africani non possono essere sottaciute o ignorate da chi – siano essi le amministrazioni americane, l’Ue e i vari paesi europei, a cominciare dall’Italia con il suo Piano Mattei – intende avere rapporti stabili con il continente. Si tratta in particolare di quei problemi finanziari strutturali globali che hanno ricadute nei paesi dell’Africa e del Sud del mondo. Sottovalutarli e non affrontarli vuol anche dire favorire un’incontrollata emigrazione di massa con i suoi effetti destabilizzanti.

*già sottosegretario all’Economia **economista

L’Africa è stanca di essere povera

di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

L’attenzione del mondo economico internazionale verso l’Africa sembra essere in crescita esponenziale. Lo si è visto recentemente all’incontro dell’Africa Investment Forum (Aif), organizzato dalla Banca Africana di Sviluppo (AfDB) a Rabat, in Marocco. Erano presenti 2.300 investitori e delegati provenienti da 83 paesi. In discussione sono stati più di 37 progetti di investimento, alcuni dei quali di rilevanti dimensioni, in tutti i settori economici, dalle infrastrutture all’agroalimentare, dall’energia alla gestione idrica e all’estrazione mineraria.

Quest’anno lo sponsor principale è stato il lontano Giappone, presente con oltre un centinaio di aziende, tra le quali le più importanti corporation dell’energia e dei nuovi minerali, le cosiddette “terre rare” d’importanza strategica.

Da sottolineare che nel 2025 due importanti appuntamenti economici africani, tra cui la Conferenza ministeriale per lo sviluppo africano, si terranno proprio in Giappone. Il paese del Sol Levante è anche il più grande contributore di prestiti agevolati della Banca Africana di Sviluppo, con un interesse specifico nei settori dell’agricoltura, anche attraverso l’utilizzo di nuove avanzate tecnologie.

Il che vuol dire che, nessuno ce ne voglia, Tokyo negli anni passati è stata molto più attiva di Roma nei rapporti con il continente africano. Qualcosa che l’Italia, che si affaccia sul Mediterraneo e con il suo decantato Piano Mattei, non dovrebbe ignorare. La delegazione italiana, senz’altro più numerosa e rappresentativa che negli incontri passati, a Rabat appariva abbastanza marginale in mezzo alle grandi banche americane come la JP Morgan e la Goldman Sachs, ai maggiori fondi di investimento internazionali e alle grandi corporation. Comunque la dirigenza dell’AfDB avrebbe espresso un certo apprezzamento per il progetto e il modello italiani.

L’Aif di Rabat è stato guidato con forza e lungimiranza da Akinwumi Adesina, presidente dell’AfDB dal 2015 e ideatore del Forum. Adesina, che in precedenza era stato ministro dell’Agricoltura della Nigeria, ha dettagliato le potenzialità attuali e le prospettive future dello sviluppo del continente africano. Per esempio, l’Africa oggi ha il 65% di tutte le terre arabili del mondo, attualmente incolte. Questo è un dato che la rende oggettivamente centrale nella politica della sicurezza alimentare globale nel prossimo futuro. Si calcola che entro il 2030 le dimensioni del mercato alimentare e agricolo in Africa varranno non meno di 1.000 miliardi di dollari.

Tuttavia, al di là degli aspetti economici, la maggiore ricchezza dell’Africa è la sua giovane popolazione. Secondo uno studio del New York Times entro il 2050, su 4 abitanti del pianeta 1 sarà africano. Entro tale data, il continente dovrebbe raddoppiare la sua popolazione, raggiungendo 2,4 miliardi di persone, cioè la popolazione complessiva della Cina e dell’India di oggi messe insieme. Ciò comporterà una grande domanda di beni alimentari, di servizi e di alloggi. Soltanto il settore abitativo creerà opportunità d’investimento pari a 1.400 miliardi di dollari. Le infrastrutture di base, trasporti, energia e acqua, già oggi richiedono investimenti di almeno 170 miliardi l’anno.

Secondo Adesina le ricchezze di materie prime sono immense. A livello globale l’Africa ha il 95% del cromo, il 90% del platino, i due terzi delle riserve mondiali di cobalto, il 30% del litio e del manganese, il 20% della grafite. Tutti materiali indispensabili per la produzione di batterie elettriche e per la cosiddetta transizione verde. Le dimensioni dei sistemi di accumulo di energia dei veicoli elettrici e delle batterie passeranno dai 7.000 miliardi di dollari previsti per il 2030 ai 59.000 miliardi per il 2050. L’Africa, che adesso funge da fornitore di minerali grezzi, ha un’opportunità unica di “risalire la catena del valore”, con investimenti nei settori dei minerali critici. Citando l’agenzia americana Bloomberg, Adesina ha ricordato che la produzione di batterie al litio nella Repubblica Democratica del Congo sarebbe tre volte meno costosa di quella degli Usa, della Cina o della Polonia!

Quindi, l’Africa Investment Forum è un grande successo. Nelle ultime 5 edizioni aveva realizzato transazioni per un valore di 30 miliardi di dollari. Quest’anno, i partner di Aif hanno avviato accordi per un valore di oltre 15 miliardi, pari alla metà di quanto transatto nel quinquennio precedente.

Adesina ha detto chiaramente che l’Africa è consapevole che “una causa della povertà è l’esportazione di materie prime, sia in agricoltura che nei minerali”. Di conseguenza l’Africa non vuole essere più solo un fornitore di materie prime, ma intende diventare un attore chiave nello sviluppo delle catene del valore: industrializzazione, ricerca e realizzazione di nuove tecnologie.

“L’Africa è stanca di essere povera”, ha affermato Adesina.

*già sottosegretario all’Economia **economista