Guerra russo ucraina: Lucio Caracciolo, direttore di Limes, ci chiarisce un po’ le idee

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Fuori dai mondiali, i commissari tecnici del bar sotto casa sono diventati esperti di geopolitica: in strada, in ufficio e nei talk show, tutti a spiegare e discutere di Ucraina, di Taiwan… La scuola di Limes, la rivista fondata da Lucio Caracciolo divenuta la casa europea per capire le relazioni tra piccole o grandi potenze, ha appena aperto le iscrizioni ed è già sommersa da richieste. 

Direttore, ma la geopolitica non era un tabù? Cos’è cambiato? Da cosa nasce questa passione?

“Sì, geopolitica era un termine proscritto fino a pochi anni fa. Era considerata materia nazistoide, per ragioni note (alla fine della Seconda guerra mondiale era ritenuta la materia con cui erano state modellate le mire imperialiste che avevano sconvolto il mondo, ndr). Ma finalmente hanno capito che non è una scienza sulfurea e diabolica; che non parte con un giudizio morale ma dall’analisi dei punti di vista differenti, e degli interessi delle parti che si confrontano. Questo tipo di approccio è un esercizio sempre importante: ti aiuta a comprendere anche chi è lontano da te. Studiamo i codici negoziali e l’importanza degli stereotipi nelle culture di riferimento: sono i meccanismi per i quali tu pensi di dire “a” e l’altro capisce “b””.

Perché ci sono decine di guerre ma ne vediamo solo una?

“Per il bene della nostra salute mentale. E poi obiettivamente è sempre stato così. Ti interessano i problemi e le opportunità in aree geografiche o culturali che possono toccarti. È chiaro che un conflitto mostruoso come quello in Congo, che va avanti da un’infinità di anni provocando milioni di morti, è sottovalutato. Siamo molto più attenti ad altri conflitti con meno morti ma più vicini a noi, come quelli balcanici o arabo israeliani. La guerra in Ucraina ha assunto dimensioni mondiali perché vede coinvolte, direttamente o indirettamente, tutte le maggiori potenze”.

Quali sono i nodi per uscirne negoziando? 

“Il punto di vista degli americani non è certamente quello degli ucraini. Per l’americano medio l’Ucraina è una nebulosa, sanno a malapena dove sia; il governo Usa invece aveva due obiettivi: interrompere l’interdipendenza energetica russo-tedesca e russo-europea, ed è stato raggiunto. E indebolire la Russia separandola da Pechino, ed è in parte ottenuto. L’obiettivo ucraino invece è sopravvivere, e se possibile riprendere tutto quello che i russi gli hanno sottratto”. 

È raggiungibile?

“Lo stesso capo delle forze armate Usa lo ritiene molto improbabile. La preoccupazione Usa è che la guerra si allarghi, e hanno dato segnali molto chiari di volerlo evitare. Ma i russi non riuscendo ad avanzare più di tanto sul terreno infieriscono sulla società ucraina, per spingerla a negoziare. Se dovesse continuare questa strategia, qualche problema di tenuta del fronte ucraino penso emergerà. La guerra non sono centimetri quadrati persi o presi, ma chi dura di più”.

La Turchia colpisce i curdi e minaccia di entrare in Siria e Iraq. Erdogan si gioca la rielezione?

“La geopolitica turca non cambia molto con Erdogan o senza: c’è forte consenso sulla sua politica estera, a cominciare dalle forze armate. Sulla questione curda, è chiaro che la Turchia vuole dare un segno sia sul fronte siriano che iracheno: quella è la sua sfera di interesse, e non vuole altre potenze tra i piedi. È un segnale inviato anche agli Usa, che direttamente o meno hanno sempre appoggiato i curdi del Pkk”. 

Attaccheranno in forze?

“Bisogna capire se ne hanno i mezzi, per una penetrazione. Sia lì che in zona balcanica”.

Intanto l’Italia è lacerata: tu stesso sei stato accusato di simpatie filorusse. 

“Lo scenario ucraino è coinvolgente, ci tocca da vicino ed è un eccellente rilevatore delle faglie che attraversano il nostro mondo. Io devo essere contemporaneamente filorusso, filoucraino e italiano: non puoi non capire tutte le follie delle parti in causa, altrimenti fai propaganda. E non è il mio mestiere”.

Torniamo alla scuola di Limes: la definite una “non accademia”. Cosa significa?

“Si chiama proprio “Scuola di Limes – non accademia di geopolitica e di governo”, perché non facciamo le cose che vengono fatte normalmente nelle università. Il metodo geopolitico studia i contesti, non i modelli. Non pretendiamo di definire e applicare leggi universali e algoritmi, ma studiamo i fenomeni nel loro specifico; nel loro ambiente geografico, socio economico e storico. Andiamo in profondità, facciamo archeologia del potere”. 

Chi si iscrive alla scuola di Limes?

“Ci sono due gruppi: giovani appassionati e persone con competenze. Si viene per passione ai temi geopolitici, ma può servire a procedere meglio nella carriera. Il nostro approccio è sempre più richiesto dai decisori, soprattutto economici. Non facciamo politologia, non pretendiamo che il diritto internazionale regoli il mondo. Qui si impara a dirigere e a decidere sporcandosi le mani”.