Manca un’alternativa al socialismo reale
Ormai si è capito che in origine (mille anni fa) esisteva un unico popolo russo ortodosso del Granducato di Kiev. Che poi si suddivise in tre parti: bielorusso, ucraino e russo.
Tutti e tre i rami in epoca medievale persero la loro sovranità: bielorussi e ucraini si trovarono nella struttura del pagano granducato di Lituania, e poi come parte del regno cattolico polacco-lituano; i russi del potere granducale di Vladimir e poi di Mosca erano direttamente subordinati all’Orda d’oro tataro-mongola.
Accadde però che mentre i mongoli di Gengis Khan rispettavano le tradizioni ortodosse dei russi, invece i bielorussi e gli ucraini si trovavano discriminati sotto i polacco-lituani: diventarono una specie di gruppo etnico oppresso, soprattutto sul piano religioso.
Più tardi una parte degli ucraini passò sotto il dominio islamico dell’impero ottomano e poi sotto quello cattolico dell’impero asburgico, perdendo sempre più la propria identità slavo-ortodossa e acquisendo soprattutto quella cattolico-europea, fortemente proselitistica nei confronti delle culture slave.
L’integrazione in questa cultura cattolica fu favorita dal fenomeno dell’uniatismo, creato dalla Chiesa romana per indurre gli ortodossi (autorizzati soltanto a conservare il rito slavo) a sottomettersi al papato.
La forza dell’ortodossia si concentrò unicamente tra i russi di Mosca, soprattutto dopo che si liberarono dal giogo mongolo. E furono loro che diventarono un grande impero, creando una nuova civiltà.
Col tempo il regno di Mosca cominciò a sottrarre i territori bielorussi e ucraini al regno polacco-lituano e, attraverso le guerre russo-turche, a riportarli alle loro tradizioni slavo-ortodosse.
Solo i territori della Galizia-Volinia e della Bucovina settentrionale (inclusi nella parte austriaca dell’Austria-Ungheria) e della Transcarpazia (dentro la corona ungherese) rimasero fuori dal contesto tutto russo.
Poi, dopo la I guerra mondiale, la Galizia-Volinia divenne parte della rinata Polonia, mentre la Bucovina settentrionale divenne parte della Romania, e la Transcarpazia entrò in Cecoslovacchia. Tutte queste terre furono riunite al resto della Russia sovietica negli anni della II guerra mondiale, una volta vinto il nazismo.
Ma la Russia sovietica era ideologicamente atea, del tutto indifferente alla religione, e comunista, cioè avversa al capitalismo. Fu accettata questa cosa? Fino a un certo punto. Infatti nel 1956 si ribellò la cattolica Ungheria, nel 1968 la protestante Cecoslovacchia, ai primi anni ’80 la cattolica Polonia, finché, con l’avvento di Gorbaciov, crollò anche il muro di Berlino, e col successore Eltsin implose la stessa URSS.
Che è successo dopo il 1991? Successe che i Paesi ex sovietici, dopo aver abbandonato il socialismo di stato, e quindi il suo ateismo, cominciarono a guardare favorevolmente allo stile di vita occidentale, a valorizzare le proprie tradizioni religiose e a perseguitare tutto quanto si rifaceva alla cultura russa (ivi inclusa la lingua e la religione).
E la Russia reagì con la forza militare, per proteggere i russofoni e/o i filorussi. Lo fece in Georgia, in Cecenia, ha sventato due colpi di stato in Bielorussia e Kazakistan, sostenuti dagli occidentali. Non ha potuto far nulla contro quello del 2014 in Ucraina, ma oggi sta recuperando il tempo perduto, tendendo a dividere il Paese in due parti.
Qual è il problema? Il problema è che dal 1991 ad oggi non si vede da nessuna parte una vera alternativa al socialismo e all’ateismo di stato. Certo il neonazismo ucraino, strettamente intrecciato con l’americanismo, è un’autentica vergogna dell’umanità, ma non sarà certo usando la forza militare che lo si potrà superare. Qui è la cultura laica e la politica democratica che mancano. E mancano in tutti: Russia, Europa, Stati Uniti e Ucraina.