La proposta del G20 per l’Africa
/15 Commenti/in Uncategorized /da Pino NicotriMario Lettieri* e Paolo Raimondi ** *già sottosegretario all’Economia **economista
Lo sviluppo e il futuro dell’Africa sono sempre menzionati nelle conferenze internazionali dei Paesi cosiddetti avanzati. Ma spesso ci si ferma a mere parole vuote o a pochi aiuti caritatevoli. Eclatante è il caso della pandemia: nessuna sospensione dei brevetti dei vaccini che permetterebbe la loro produzione anche in loco ma tante promesse di “regalare” centinaia di milioni di dosi in modi e tempi troppo incerti. Eppure, tutti sanno che le economie dei Paesi africani sono state colpite duramente, in particolare quelli della regione sub sahariana. Sono state già penalizzate dalla Grande Crisi per responsabilità altrui. Si aggiunga che nei prossimi tre anni il debito pubblico dei Paesi africani supererà i 950 miliardi di dollari.
In questa situazione povera di idee e di interventi concreti, vi è, per fortuna, una iniziativa lungimirante, la proposta del cosiddetto “Release G20”, fatta da un gruppo di ong italiane impegnate nella cooperazione internazionale, coordinate dall’organizzazione LINK2007 con sede a Milano. Essa propone la ristrutturazione e la riconversione di parte del debito in investimenti in valuta locale finalizzati agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
Nello specifico, si propone una conversione flessibile, totale o parziale, del debito sovrano di uno Stato africano debitore in un fondo in valuta locale. Ciò garantirebbe l’alleggerimento del peso del debito e nello stesso tempo favorirebbe il progresso delle comunità tramite l’avvio di investimenti produttivi di medio-lungo termine. Il fondo sarebbe gestito dal governo del singolo Stato, il quale, in assenza di pressioni dovute al debito, potrebbe promuovere e realizzare i progetti di sviluppo.
Al fine di garantire il rispetto dei principi di trasparenza, efficacia e accountability, “Release G20” prevede l’utilizzo di efficaci meccanismi di monitoraggio e di supervisione da parte del Ministero delle finanze dello Stato interessato e il coinvolgimento degli altri ministeri competenti e delle organizzazioni della società civile. Questi strumenti e procedure servirebbero a rafforzare le capacità amministrative e operative nell’utilizzo dei fondi.
La proposta è stata fatta pervenire al G20 a presidenza italiana. Pochi giorni prima della Conferenza ministeriale “Sviluppo” del G20 tenutasi a Matera il 29 giugno, essa è stata presentata in un incontro online, promosso dalla rete di ong LINK2007 in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI).
Nel citato incontro online, cui hanno partecipato numerosi ambasciatori dei Paesi africani, il vice ministro Marina Sereni ha spiegato che «ridurre il debito dei Paesi più poveri è una sfida cui l’Italia non si sottrae, soprattutto ora che, con la crisi di Covid-19, diventa sempre più difficile, in particolare in Africa, perseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’Onu». Ha ricordato, inoltre, che “i ministri delle finanze del G20 stanno lavorando a strategie di finanziamento di questi obiettivi, accogliendo così le proposte che emergono, come nel caso di quest’incontro, dalle organizzazioni della società civile”.
Ibrahim Assane Mayaki, responsabile di “NEPAD”, l’agenzia per lo sviluppo dell’Unione Africana, ha dichiarato che “la ristrutturazione del debito può aiutare l’Africa ad andare avanti a perseguire gli obiettivi dell’Onu in tutti i settori chiave”. Ha ricordato che “il continente perde circa 90 miliardi di dollari ogni anno a causa di flussi finanziari illeciti. Per tale ragione, “Release G20” è fondamentale per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu”.
La trasformazione del debito sovrano in investimenti per la ripresa post Covid-19 sarebbe auspicabile non solo in una prospettiva politica di rafforzamento della collaborazione tra gli Stati ma anche per qualificare la cooperazione internazionale con l’avvio di un’effettiva programmazione di investimenti orientati dai principi dell’equità e della sostenibilità.
In un più recente incontro online organizzato dall’Eurispes, Roberto Ridolfi, presidente di LINK2007, ha invitato i Paesi BRICS a far propria e a sostenere con forza l’iniziativa “Release G20”. Il che non sarebbe irrilevante ai fini della sua concreta realizzazione.
A quando il reato di ecocidio?
/0 Commenti/in Diritti&Rovesci /da Enrico GalavottiUna squadra di giuristi da tutto il mondo con competenze in diritto penale, ambientale e climatico, ha formulato la prima definizione legale di ecocidio, primo passo per un’introduzione del reato da parte della Corte Penale Internazionale. Se riconosciuto, si tratterà del primo crimine internazionale volto a proteggere la natura partendo da una prospettiva ecocentrica, in cui il danno agli esseri umani non è un prerequisito per il reato. Sarà il quinto crimine internazionale dopo quelli di genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e crimini di aggressione stabiliti dallo Statuto di Roma della suddetta CPI.
Si è finalmente capito che non è possibile decontestualizzare gli umani dal resto del mondo vivente e non è possibile separare la nostra esistenza da quella dagli ecosistemi che ci sostengono.
Non è certo un caso che l’80% della biodiversità sia presente nei territori abitati dalle comunità indigene, dove la cosmovisione si presenta come un modello alternativo allo sviluppo delle società occidentali. Ad oggi sono 37 i Paesi nel mondo che in diverse forme hanno riconosciuto i diritti della natura e una decina di loro hanno leggi nazionali specifiche in materia di ecocidio.
Il termine ecocidio fu per la prima volta introdotto dal bioeticista e fisiologo vegetale Arthur William Galston durante la guerra in Vietnam, per protestare contro l’uso da parte delle truppe statunitensi del famigerato agente arancio, un defoliante costituito da due diversi erbicidi e contenente diossina, utilizzato per distruggere le coltivazioni, la vegetazione e le foreste nelle zone occupate dai vietcong e che ancora oggi continua ad avere gravissimi effetti sia sugli ecosistemi che su tutte le generazioni nate dopo la guerra. Tant’è che il Vietnam è stato il primo, nel 1990, a inserire nel codice penale il reato di ecocidio come crimine contro l’umanità, superando così l’approccio del tipo “chi inquina paga”, che non fa altro che legalizzare il danno ambientale regolamentando la quantità d’inquinamento nei limiti delle norme vigenti.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso l’hanno offerta, nel 2019, i piccoli Stati insulari di Vanuatu e delle Maldive, minacciati di scomparire dall’innalzamento del livello del mare.
L’iter legislativo però potrebbe durare anni, se non decenni, com’è successo per il crimine di aggressione entrato in vigore nel 2018 dopo una fase di negoziazione iniziata nel 1998.
Non dimentichiamo che originariamente il reato di “grave danno ambientale” fu incluso nella bozza dello Statuto di Roma del 1991 come quinto crimine contro la pace, ma poi fu rimosso in una fase avanzata della stesura a causa delle pressioni da parte di Paesi Bassi, Regno Unito e Stati Uniti. Nella versione finale il danno ambientale non andò più a costituire un reato a sé, ma si decise di menzionarlo tra le varie disposizioni inerenti ai crimini di guerra dove vengono proibite “tecniche di modifica ambientale”, come appunto l’agente arancio, che hanno “effetti diffusi, durevoli o gravi”.
Insomma in cauda venenum. Anche perché se questa proposta passa, sarà finalmente possibile perseguire ministri di stato o amministratori delegati o alti funzionari di società ecc. Non solo, ma il riconoscimento internazionale del reato avrà effetto anche sui Paesi che non fanno parte della suddetta Corte (come p.es. USA, Cina e India), poiché a tutte le imprese che si trovano ad operare oltre frontiera non sarà più permesso attuare pratiche ecocide in nessuna giurisdizione che abbia incorporato la legge, o in quelle aree sotto giurisdizione internazionale.
Rischio d’inflazione oppure no?
/116 Commenti/in Uncategorized /da Pino NicotriRischio d’inflazione oppure no?
Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**
Il rischio di una ripresa dell’inflazione c’è oppure no? Non si tratta di una questione accademica che tiene impegnati economisti e giornalisti del settore. E’ in gioco la tenuta del sistema già provato da due pesantissime crisi economiche e finanziarie in poco più di un decennio.
La discussione si è aperta anche all’interno del G30, il gruppo di esperti che hanno coperto le più alte cariche delle istituzioni monetarie e finanziarie internazionali.
L’ex governatore della Bank of England, Mervyn King, senior member del G30, sostiene che “per la prima volta dagli anni ottanta coesistono due fattori che rendono l’inflazione un rischio serio: un eccessivo stimolo monetario e fiscale e una debole resistenza politica alla minaccia inflattiva”. E’ la stessa analisi espressa anche da Larry Summers, ex segretario al Tesoro americano, per quanto riguarda la situazione negli Usa e non solo.
I lockdown hanno avuto un forte impatto sulla domanda e sull’offerta. I dati raccolti dal 2019 indicano che in UK la fluttuazione della produzione è stata grande, ma si è mantenuta in linea con l’andamento in calo della domanda. Oggi si stima che il gap di produzione sia dell’1% nel primo trimestre del 2021 e dovrebbe azzerarsi all’inizio del 2022.
Sia chiaro. Nessuno mette in discussione il fatto che i governi e le banche centrali intervengano a sostegno delle economie, delle imprese e dei lavoratori. Se non fosse stato fatto il mondo sarebbe sprofondato in una crisi economica e sociale senza precedenti. La questione è come gestire gli interventi futuri senza comprometterelo sforzo fatto finora. Il livello d’inflazione tollerabile è, quindi, cruciale.
Si ricordi che l’aumento della spesa pubblica è finanziato non da tasse ma dalla creazione di moneta da parte delle banche centrali,tanto che da marzo 2020 a giugno 2021 il bilancio della Bce è cresciuto da 5.000 a 7.900 miliardi di euro e quello della Fed è raddoppiato, passando da 4.200 a 8.100 miliardi di dollari.
E’ vero quanto sostiene Draghi circa la differenza tra il debito buono, che crea nuova ricchezza, e quello cattivo, che copre le spese correnti e i buchi di bilancio. La questione si porrà quando si avranno dei tassi d’interesse più elevati e un’inevitabile contrazione dei bilanci delle banche centrali. Senza un aumento delle tasse, che nessun governo vorrebbe fare, come si finanzieranno i disavanzi? Si rischia una risposta troppo lenta ai segnali di aumento dell’inflazione. Anche un’eventuale brusca correzione del mercato avrebbe effetti preoccupanti per l’economia.
Negli Usa il tasso d’inflazione di aprile su base annua è stato del3,1%. I responsabili delle politiche della Federal Reserve hanno più volte affermato che considerano qualsiasi picco d’inflazione sopra la gamma accettabile, cioè il cosiddetto target del 2%, come puramente “transitorio”. Tenendo presente le valutazioni sbagliate e le negative esperienze passate, “transitorio” è un aggettivo si dovrebbe attentamente evitare.
Se la Fed si sbaglia nel ritenere che l’attuale aumento dell’inflazione sia transitorio, il resto del mondo non rimarrà incolume. Un rapido aumento dei tassi d’interesse statunitensi si tradurrà in un dollaro attraente rispetto ad altre valute. Le economie emergenti potrebbero sperimentare un rapido deflusso di capitali verso i mercati americani in cerca di rendimenti più elevati, creando una maggiore volatilità nei loro mercati, con tassi più elevati, una crescita più lenta e il rischio di una nuova recessione. I debiti in dollari diventeranno più costosi e cresceranno le difficoltà dei rimborsi.
C’è anche chi, come l’ex economista capo del Fmi, Kenneth Rogoff della Harvard University, anche lui membro del G30, da anni sostiene che il toccasana per l’economia e per l’abbassamento del debito sarebbe un forte tasso di “inflazionecontrollata” del 4-6 % annuo per diversi anni per abbreviare il periodo di «doloroso deleveraging (riduzione del debito) e di crescita lenta». Ricette un po’ superficiali ma molto rischiose. Un vecchio proverbio popolare dice che a giocare con il fuoco ci si scotta.
*già sottosegretario all’Economia **economista
E’ MORTO ANGELO DEL BOCA – ITALIANI BRAVA GENTE. ANZI, BRAVISSIMA.
/103 Commenti/in Uncategorized /da adminhttps://www.lafeltrinelli.it/libri/italiani-senza-onore/9788887009651
LA VERGOGNA DISONORANTE DELL’ARMADIO DELLA VERGOGNA:
Dovevano farlo già quando ha chiesto scusa – ma NON perdono! – il parlamento canadese. Ora esigono le scuse del papa da chiedere in Canadà – https://www.huffingtonpost.it/entry/canada-6000-bambini-indigeni-scomparsi-nelle-scuole-residenziali_it_60d9cdf9e4b0dcd799a9837a?utm_hp_ref=it-homepage&utm_source=Sailthru&utm_medium=email&utm_campaign=28%20Giugno&utm_term=it-daily-brief
/28 Commenti/in Uncategorized /da Pino Nicotri- A proposito di lapidazione. E a proposito di dilapidazi...11 settembre 2010 - 11:30
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- Caro Peter, un cordialissimo ben tornato. Io non distinguo...17 febbraio 2023 - 18:16 da Uroburo
- x Nicotri no, cosi' non va, occorrerebbero almeno un...17 febbraio 2023 - 18:16 da Peter