La difficile democrazia in Cile
Dopo molte proteste che chiedevano più welfare e meno oligopoli contro il governo cileno di Sebastián Piñera, le cui forze di sicurezza hanno compiuto abusi d’ogni genere, finalmente il 25 ottobre si è svolto un referendum in cui il 78% del 50% dei votanti si è espresso a favore di una nuova Costituzione, da approvarsi con un nuovo referendum entro giugno 2022.
Viene spontaneo chiedersi come abbia potuto una Costituzione fascista durare così tanto tempo. Semplice: con la dittatura. Non dimentichiamo che i militari di Pinochet, appoggiati dal governo americano di Nixon e Kissinger in funzione anticomunista, fecero un golpe nel 1973, uccisero Salvador Allende, presidente eletto democraticamente, ed eliminarono 3.508 persone (2.298 assassinate o giustiziate, 1.210 sparite nel nulla), mentre altre 28.259 furono vittime di torture, secondo la Commissione Rettig. Ma ancora oggi non si sa l’entità precisa del terrorismo di stato: secondo altre fonti gli internati, esiliati o arrestati in maniera arbitraria sarebbero stati tra 80.000 e 600.000, mentre i torturati e/o vittime di violenza tra 30.000 e 130.000.
Sette anni dopo il colpo di Stato, Pinochet elaborò una nuova Costituzione che favoriva il privato a danno del pubblico, la classe imprenditoriale a scapito dei dipendenti statali, inoltre concentrava nelle mani dell’esecutivo alcuni diritti fondamentali: dall’esonerare le alte cariche pubbliche a quelle militari. Sul piano economico Pinochet si avvalse di un gruppo di giovani economisti cileni iperliberisti, guidati da José Piñera (fratello dell’attuale premier), formatisi a Chicago da Milton Friedman. Sanità, istruzione, trasporti, previdenza furono appannaggio solo dei più ricchi.
Poi Pinochet, in seguito a un crollo finanziario, decise di allontanare quasi tutti i “Chicago boys” dal governo e nazionalizzò numerose aziende cilene, soprattutto quelle del rame, che facevano del Cile il maggior produttore al mondo.
Spinto dalle pressioni estere a una consultazione elettorale regolare, un referendum nel 1988 mise fine alla dittatura, con il 55% dei votanti che si espresse contro Pinochet, e lo costrinse ad avviare la transizione, reintroducendo la democrazia con libere elezioni nel 1989. Lasciò ufficialmente il potere solo nel 1990, rimanendo però capo delle forze armate fino al 1998. Divenne poi senatore a vita, godendo dell’immunità parlamentare fino al 2002. Arrestato nel Regno Unito su mandato del governo spagnolo per la sparizione di cittadini iberici e accusato di crimini contro l’umanità, di corruzione ed evasione fiscale, non fu però mai condannato per motivi di salute: rientrò in Cile, dove riuscì ad evitare i processi e dove morì nel 2006. Ancora oggi ufficialmente il suo regime in Cile non viene definito una dittatura. I delitti commessi dai militari furono “liquidati” con l’attuazione della politica di riconciliazione nazionale.
La prima modifica alla Costituzione avvenne nel 1989, ma le misure anti-terrorismo previste nel testo del 1980 rimasero sempre in vigore. Oltre a queste si continuava a favorire l’attività privata in tutti i settori della vita sociale, facendo diventare il Cile uno dei Paesi con più disuguaglianze nell’America Latina.
Ora la stesura della nuova Carta sarà affidata a una Convenzione costituente, composta interamente da 155 cittadini, scelti in occasione di apposite elezioni nell’aprile 2021, sulla base di un criterio di parità di genere e con una rappresentanza di delegati delle popolazioni indigene. Quindi non ci saranno i parlamentari!
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