Gentile e l’integralismo cattolico
Giovanni Gentile era partito bene, col suo ateismo implicito o criptico (quello non espressamente professo), nei due saggi giovanili dedicati alla Filosofia di Marx, apprezzati in due righe dallo stesso Lenin nella bibliografia alla voce “Marx” scritta nel 1914 per l’Enciclopedia Granat: “Il libro di un idealista hegeliano…, è degno di nota. L’autore tratta alcuni aspetti importanti della dialettica materialistica di Marx che di solito sfuggono all’attenzione dei kantiani, dei positivisti, ecc.”. In effetti, bisogna ammettere che la sua rilettura, in chiave laicistica, di Rosmini e Gioberti, al fine di trovare un accordo col materialismo marxiano era stata piuttosto originale.
Tuttavia proprio Gentile fu la dimostrazione più lampante che non basta essere “atei” per essere “democratici”. Cosa che già Marx aveva detto ai compagni della Sinistra hegeliana, che volevano portare il razionalismo hegeliano alla sua espressione ateistica più logica e consequenziale, indirizzando le loro critiche verso lo Stato confessionale prussiano e verso la Chiesa di stato luterana. La soluzione proposta da Marx era chiara: bisognava affrontare in maniera politico-rivoluzionaria le contraddizioni del sistema, mettendosi dalla parte del proletariato nullatenente, l’unico titolato a realizzare quegli ideali di giustizia e libertà che la filosofia tedesca era solo riuscita a teorizzare.
Quali conclusioni invece ha saputo trarre l’integralismo cattolico di Augusto del Noce e del suo principale discepolo, Rocco Buttiglione dal fallimento dell’attualismo ateistico gentiliano, in cui l’io si fa dio? Essi hanno approfittato del crollo del fascismo, cui la filosofia gentiliana s’era vincolata, per sostenere che le filosofie ateistiche, proprio perché tali, non possono che autodistruggersi. Portato alle sue estreme conseguenze il razionalismo ateistico (iniziato in un certo senso col cogito cartesiano) è una forma di antiumanismo, un vero e proprio suicidio.
Naturalmente, invece d’esser grati al socialismo per il suddetto crollo; invece di plaudire al fatto che il socialismo, per quanto limitate possano essere le sue realizzazioni storiche, resta sempre un’ideologia che vuole tenere strettamente unite la libertà personale con la giustizia sociale, quale altra conclusione hanno tratto? Che il cattolicesimo politico costituisce la “terza via” tra capitalismo e socialismo. Lo dicono come se le forme irrazionalistiche del fascismo non fossero state usate con l’appoggio, diretto o indiretto, delle Chiese cattolica e protestante, proprio al fine di distruggere ogni esperienza di “socialismo”! Lo dicono fingendo di non sapere che il suicidio del razionalismo ateistico del nazi-fascismo non fu affatto un processo endogeno a tale sistema dittatoriale, ma solo una conseguenza del fatto che di fronte alla sconfitta militare inflitta dal socialismo russo ci si comportò nella maniera più irrazionale possibile. Se il fascismo avesse vinto, come in Spagna per un quarantennio, sarebbe forse stato abbattuto da una maggiore coscienza religiosa? I cittadini democratici avrebbero fatto trionfare una Chiesa compromessa profondamente con una dittatura fascista? L’hanno forse fatto in Spagna o nei Paesi sudamericani?
Considerando che il razionalismo nazi-fascista era alleato, tramite intese e concordati, alle due suddette Chiese, vien da pensare che anche una coscienza religiosa può tranquillamente diventare irrazionale, e che non esiste alcun modo aprioristico per scongiurare questo “suicidio”, se non quello di vivere umanamente, conformemente alle leggi della natura. D’altra parte già il padre dell’esistenzialismo religioso, Soren Kierkegaard, aveva mostrato, con la sua filosofia e con la sua stessa vita, come l’irrazionalismo possa essere un rischio per chiunque, ateo o credente che sia.
In realtà il problema dell’attualismo gentiliano era un altro. Questa filosofia è una forma di soggettivismo piuttosto ingenuo. Beninteso non alla maniera stirneriana. Ciò che avvicina l’attualismo all’anarchismo è l’idea che l’io crea l’essere e lo fa anzitutto in maniera pratica: se c’è un pensiero dev’essere “pensante”, non “pensato”. La filosofia è un processo pratico in cui l’oggetto viene posto mentre si agisce e si pensa. Era forse questo l’aspetto gentiliano che più aveva interessato Lenin, il quale infatti nei suoi Quaderni filosofici affermava che l’unità degli opposti è sempre relativa, in quanto soggetta a continui mutamenti, per cui definirla una volta per tutte non avrebbe senso. Semmai assoluto è ciò che tiene distinti gli opposti.
A differenza di Stirner, che odiava qualunque forma di istituzione, Gentile aspirava a veder incarnato questo “ego onnipotente” in una struttura adeguata, ch’egli individuò nello Stato. In questo egli assomigliava di più a Fichte o forse all’ultimo Hegel, quello della Filosofia del diritto.
Gentile era un idealista soggettivo, che voleva creare da sé la propria oggettività, incarnando la propria idea in un ente pubblico. Vi è del paradosso in tale atteggiamento. Infatti lo Stato politico, come tutte le istituzioni, è statico per definizione: è soggetto a mille burocrazie e si caratterizza per la lentezza delle decisioni. Molto più dinamica è la società civile. Non solo, ma lo Stato fascista era anche caratterizzato da una direzione autoritaria, frutto di una delega in bianco da parte dei cittadini-sudditi. Il fascismo avrebbe potuto realizzare l’attualismo nel momento rivoluzionario della conquista del potere, ma già subito dopo sarebbe stato costretto a smentirlo, dovendo allacciare con le forze più reazionarie del Paese dei compromessi conservativi del sistema.
Per realizzare in maniera coerente l’attualismo, Gentile avrebbe dovuto porre le condizioni per un progressivo smantellamento di tutte le istituzioni statali, a vantaggio di uno sviluppo onnilaterale e decentrato della società. Solo all’interno di una comunità locale i cittadini possono avere l’impressione, previa la proprietà sociale dei loro mezzi produttivi, che in ogni momento tutto dipende dalla loro libera volontà.
Ma perché l’ateismo teorico gentiliano, una volta realizzato nell’ideologia fascista, non servì in alcun modo a migliorare le tesi del materialismo storico-dialettico o quelle politiche del socialismo democratico? Semplicemente perché Gentile difendeva gli interessi della piccola-borghesia, da cui lui stesso proveniva. Difendeva gli interessi non degli ultimi, ma dei penultimi. Il suo attualismo, nonostante ammirasse la filosofia marxiana della prassi, era arretrato rispetto agli sviluppi teorici del marxismo avvenuti in Germania, in Francia o in Russia alla fine dell’Ottocento.
Marx fu incontrato esclusivamente sul piano filosofico, quindi solo nella sua fase giovanilistica, quando era alle prese col materialismo naturalistico di Feuerbach e con la critica ateistica dei vangeli di Strauss e Bauer. Laddove Marx inizia a interessarsi di economia, il distacco di Gentile si fa netto, proprio perché egli non sopportava l’idea che esistesse un oggetto indipendente dalla volontà umana. Sostituire Dio con la Materia significava, per lui, fare di quest’ultima un nuovo Dio. Quanto era lontano, in questo, dal Lenin di Materialismo ed empiriocriticismo!
Nel contrapporre la filosofia piccolo-borghese alla politica proletaria, Gentile mostrava un lato aristocratico del suo pensiero. Infatti rifiutava il marxismo su un aspetto d’importanza vitale: la realtà da trasformarsi qualitativamente nelle sue irriducibili contraddizioni economiche. La struttura produttiva ha leggi immanenti che chiedono d’essere rispettate a prescindere da ciò che l’uomo possa pensarne, altrimenti è la stessa convivenza umana a rendersi impossibile. L’uomo deve scoprire queste leggi e adeguarvisi con la propria volontà.
Non è vero che Marx faceva dell’individuo il creatore della storia. In natura vi sono leggi che non dipendono dalla volontà umana, e queste leggi hanno un riflesso nella società civile. Quando gli uomini se ne distaccano, creando società incompatibili coi processi riproduttivi della natura, gli effetti negativi non ricadono soltanto sulla natura ma anche sulla stessa società umana.
Non si diventa disumani quando si smette d’essere religiosi, ma quando si vuole contrapporre l’umanismo al naturalismo e quando, all’interno di questo umanismo, si vuol fare della proprietà privata dei mezzi produttivi un motivo di oppressione sociale e di discriminazione. Gentile capì soltanto che la filosofia doveva concretizzarsi in una politica (e in questo rifletteva un’esigenza tipica del socialismo), e che l’istanza ateistica doveva subissare quella religiosa, ma per il resto rimase un provinciale.
Fondamentalmente l’integralismo cattolico, quando rimpiange le teorie di Rosmini e di Gioberti, non comprende che a quel tempo gli ideali erano sentiti con maggior vigore, rispetto ad oggi, proprio perché il capitalismo era ancora nella sua fase piccolo-borghese, cioè in un momento in cui la religione popolare, nella fattispecie cattolico-romana, prevalentemente contadina, giocava ancora un ruolo significativo. Cosa che continuerà a fare sino al fallimento degli ideali degli anni Settanta del Novecento, quando il trionfo del neoliberismo (oggi chiamato globalismo) spazzerà via ogni residuo di illusione terzoforzista tra capitalismo e socialismo.
Che il cattolicesimo politico oggi non conti più nulla è attestato dalla sonora sconfitta della sua variante polacca, che il pontificato di Wojtyla volle incarnare in maniera nettamente anticomunista e velatamente anticapitalista. Il crollo del muro di Berlino e la fine del cosiddetto “socialismo reale” hanno fatto capire che l’unica alternativa possibile al socialismo resta il capitalismo, mentre il cattolicesimo può svolgere soltanto una mera funzione di supporto.
In tal senso è inutile sperare in un revival del cattolicesimo europeo grazia all’apporto di continenti come quello sudamericano o africano. Se da quelle aree geografiche verrà fuori qualcosa di positivo, in senso cristiano, potrà esserlo solo in rapporto a idee socialiste o anti-imperialistiche. Cosa che, attraverso la teologia della liberazione, è già avvenuta, ma con scarsi risultati pratici, in quanto questo tipo di teologia non ha mai radicalizzato la propria opzione preferenziale per i poveri in una scelta chiaramente rivoluzionaria; inoltre è sempre stata pesantemente osteggiata dalla curia vaticana, salvo il recente incontro, piuttosto formale, tra il papa Bergoglio e Gustavo Gutiérrez, padre di quella teologia, il cui meglio di sé oggi lo dà con l’interesse maturato da Leonardo Boff per le questioni ambientali o ecologiche.
A dir il vero oggi non è più neppure il caso di limitarsi a cercare un’alternativa tra capitalismo e socialismo, in quanto è scontato che gli antagonismi sociali del globalismo neoliberista possono solo peggiore, portando l’umanità a una catastrofe di proporzioni apocalittiche. Il vero problema è diventato quello di come realizzare un socialismo davvero democratico (tutto da costruire), che sappia andare oltre le esperienze di socialismo già realizzate e drammaticamente concluse (quelle “statali” del modello sovietico) e quelle in via di realizzazione, come sta avvenendo in Cina col cosiddetto “socialismo di mercato”.
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