Che cosa vuol dire “progresso”?

Non ho mai sostenuto d’essere contrario al progresso tecnico-scientifico. Sarebbe molto sciocco esserlo. Ciò che non mi ha mai convinto è stata l’idea, di origine borghese, che lo sviluppo tecnologico fosse di per sé indice di progresso. Ogni volta che si esamina un fenomeno, bisogna sempre chiedersi quali sono state le motivazioni che l’hanno generato e quali hanno contribuito a farlo sviluppare in una direzione e non in un’altra.

Penso che debba essere considerato come un dato di fatto che l’essere umano possieda un certo desiderio di cercare nuove forme di vita, di fare nuove esperienze. L’esigenza di conoscere l’ignoto, di gestire razionalmente ciò che sembra sfuggire al controllo, di creare ordine da ciò che appare caotico, appartiene da sempre a ogni popolo della storia. In tal senso dovremmo ringraziare la prima donna del genere umano che, trasgredendo un divieto e convincendo il marito a fare altrettanto, ha permesso il sorgere di qualcosa che prima non c’era.

Eppure ciò è avvenuto in maniera anomala, trasgredendo appunto un divieto, cioè un’esperienza pregressa, delle tradizioni comuni, dei valori più o meno consolidati. Gli esseri umani sono usciti da una condizione d’ingenua innocenza per avventurarsi in un’esperienza di vita, perlopiù negativa, dalla quale non avrebbero più potuto prescindere.

Cosa c’era di sbagliato in quella scelta? Non eravamo forse destinati a compierla? L’unica cosa sbagliata era la tipologia della modalità. Gli esseri umani (almeno una parte di essi) avevano deciso di vivere una vita che rompesse col loro passato e che affermasse una sorta di esperienza arbitraria, del tutto inedita.

L’essere umano è destinato, per natura, a progredire infinitamente nella conoscenza e nel modo di applicare le nozioni che apprende. Tuttavia deve imparare a farlo secondo natura e secondo l’etica che lo caratterizza umanamente, rispettando le condizioni spazio-temporali in cui è chiamato a vivere. Per ogni cosa ci sono le dovute modalità e c’è anche il suo tempo: ogni arbitrio e ogni anticipazione sono indebiti.

Indubbiamente il pianeta contiene aspetti negativi che vanno superati. Ma questi aspetti sono naturali: servono a formare il carattere, a migliorare se stessi. Abbiamo bisogno di avversità climatiche, di asperità ambientali, di sconvolgimenti tellurici non solo per capire che siamo soltanto “ospiti” della madre Terra, ma anche perché è l’affronto delle contraddizioni che ci fa crescere, che ci rende forti. Questa pedagogia è universale e ci riguarderà anche quando non esisterà più il nostro pianeta: cambieranno soltanto le forme, i mezzi e le strategie di affronto dei problemi.

In realtà il vero nodo gordiano da sciogliere è un altro: come affrontare le contraddizioni restando umani, cioè senza perdere le caratteristiche fondamentali che qualificano la nostra specie. Questo, da quando è nato lo schiavismo e sino ad oggi, è diventato il nostro problema principale, cui non sappiamo trovare una soluzione convincente.

Alcuni studiosi attribuiscono tale transizione negativa, cioè il momento della nascita della tragedia, alla scoperta dell’agricoltura. Tuttavia in sé non c’è nulla che possa impedirci d’essere noi stessi. L’agricoltura ha cominciato a costituire un grave problema (le cui contraddizioni apparivano insormontabili) soltanto quando si è imposta la proprietà privata, non prima.

Si badi: che questa proprietà appartenga a sfruttatori individuali o che sia gestita, a livello statale, da una élite burocratica, risulta abbastanza irrilevante. Se si guardano i progressi compiuti sul piano tecnologico e quindi economico, dovremmo dire che la proprietà privata ha prodotto risultati più significativi di quella statale. Ma se guardiamo la stabilità dei sistemi, dovremmo dire il contrario, tant’è che storicamente la prima forma di proprietà a imporsi (Egitto, India, Cina, Mezzaluna fertile, Civiltà precolombiane) è stata quella statale, gestita da un sovrano imperiale o da una città-stato.

Infatti, quando gli imperi caratterizzati dalla proprietà statale sono crollati, ciò non è avvenuto per motivi endogeni, ma perché essi incontrarono altri imperi che, essendo basati sulla proprietà privata (e quindi su una forte competizione interna), avevano sviluppato meglio le tecnologie e gli apparati militari. A volte gli scontri epocali erano tra popoli stanziali e popoli nomadici o tra allevatori e agricoltori. Ma la storia ha deciso che dovesse prevalere la stanzialità, prima agricola e poi industriale.

Oggi lo Stato che sembra conciliare meglio istanze private di business con forme di autoritarismo politico-statale, sembra essere la Cina, il paese più idoneo a sostituire la leadership degli Stati Uniti, il cui capitalismo è fondamentalmente privato e lo Stato interviene soltanto per correggere le sue storture, facendone pagare interamente il prezzo al comune cittadino.

Le Tre Grazie Mancate del tiro con l’arco e la Grande Ipocrisia

Le Olimpiadi di Rio sono finite, gli atleti tutti, vincitori e vinti, sono tornati a casa, comprese le nostre tre tiratrici con l’arco diventate famose non perché vincitrici di medaglie, ma per la polemica tanto feroce quanto ridicola per un titolo del quotidiano sportivo Qs che le aveva affettuosamente definite “le tre cicciottelle”, rivelatesi in realtà tre pretenziose molto poco simpatiche e ignoranti del motto del barone Pierre de Coubertin, il fondatore delle Olimpiadi moderne: “L’importante non è vincere, ma partecipare”. La polemica è finita a tarallucci e vino non davanti a una tavola imbandita del ristorante napoletano Da Cicciotto, come avevo proposto scherzosamente con un mio articolo, dove le tre cicciottelle sarebbero certo state a loro agio, ma a Raitre davanti al conduttore di Agorà. Con tanto di nuove scuse da Paese bulgaro offerte in diretta alle seriose arciere ancora una volta dal direttore di Qs Giuseppe Tassi. Che, sospeso dall’editore per quel titolo, ora non si capisce se resterà o no al suo posto. Guarda caso, delle Tre Grazie Mancate era assente nella seratina tv  quella che nelle foto da Rio appare di aspetto meno femminile, ritratta mentre ha appena scoccato un dardo con il suo ipertecnologico arco da gara. 

Nel frattempo però un piccolo scheletro non troppo magro è emerso dall’armadio proprio di chi aveva scoccato per primo la poco sportiva e molto ridicola freccia delle accuse contro Tassi.

“Il presidente Mario Scarzella della Federazione Italiana di Tiro con l’Arco, ha protestato a gran voce per il titolo del quotidiano sportivo Qs sulle tre cicciottelle sconfitte alle Olimpiadi di Rio? Beh, allora c’è da chiedersi perché ha invece taciuto sul caso di Giuseppe Cozzo. Chi è? È il presidente del Comitato Regionale Emilia Romagna della Federazione, condannato in primo grado nel 2012 e in secondo grado nel 2014 per detenzione di materiale pedopornografico nel silenzio generale”.

A parlare di getto è Mauro Baldassarre, presidente e atleta tesserato della società sportiva Arcieri del Basso Reno, fino a poco tempo fa una delle 700 società aderenti alla Federazione Italiana di Tiro con l’Arco, in sigla Fitarco, e ora membro di un’altra federazione. Baldassarre riprende fiato e prosegue con foga:

“Cozzo s’è deciso a dare le dimissioni obtorto collo solo quando a fine 2014 una lettera anonima molto dettagliata ha reso nota la sua storia giudiziaria a una serie di autorità sportive. Ma nonostante la condanna definitiva e le sue dimissioni, accettate dopo pochi giorni dall’arrivo della lettera, Cozzo è rimasto attivo nella Federazione. Addirittura fino alla riunione indetta a Roma dal Coni per organizzare gli eventi e le gare di tiro con l’arco per tutto il 2016, cioè per tutto l’anno in corso”.

Incredibile! E il presidente Mario Scarzella cosa ha fatto?

“Lo chieda a lui”, taglia corto Baldassarre.

I fatti.
Il 10 giugno 2009 la polizia postale nel contesto di un’indagine sulla diffusione in Internet di foto e filmati pornografici con soggetti minorenni perquisisce l’abitazione di Cozzo, di professione broker assicurativo e presidente del Comitato Regionale emiliano romagnolo della Fitarco, in sigla CRER. La perquisizione trova archiviato nel computer di Cozzo materiale pornografico con protagonisti minorenni. E trova anche uno scambio di mail con altri amanti del genere dal contenuto decisamente irriferibile, specie quello riferito a “una zingarella”, ma che figura regolarmente agli atti. Cozzo finisce sotto processo e il 18 dicembre del 2012 viene condannato per detenzione di materiale pedopornografico a un anno di reclusione.

Al processo d’appello, voluto da lui col rito abbreviato e concluso l’11 dicembre 2014, la pena viene ridotta a 5 mesi e 10 giorni, più 800 euro di multa, col beneficio della sospensione della pena e della non menzione. ma si tratta pur sempre di una condanna che per giunta ordina “l’interdizione perpetua da ogni incarico nelle scuole di ogni ordine e grado nonché da ogni ufficio e servizio in istituzioni o strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori”. Eppure tutto prosegue come se niente fosse. Rieletto presidente del comitato regionale per il quadriennio 2012-2016, Cozzo continua a svolgere il suo ruolo nonostante nel frattempo il Coni avesse varato il 30 dicembre 2012 il Codice di Comportamento Sportivo, in base al quale il dirigente condannato avrebbe dovuto farsi da parte.

A metà novembre 2014 una lettera anonima firmata “Genitori e Giovani Arcieri molto molto incazzati” – avente come Oggetto “provati comportamenti di pedofilia ai vertici della Fitarco Emilia Romagna (CRER) e spedita da Bologna l’1 di quel mese – viene recapitata a un nutrito numero di destinatari: Ufficio Pratiche Anti Pedofilia, Coni di Bologna, Mario Scarzella presidente della Fitarco, segretario e funzionari della Fitarco, presidenti delle società Arcieri dell’Emilia e Romagna, sindaco di Castenaso e assessore allo Sport del Comune di Bologna.

Tra parentesi: curiosa l’esistenza dell’Ufficio Pratiche Anti Pedofilia, perché fa pensare che la pedofilia non sia un fenomeno raro nel mondo dello sport e non solo ai vertici delle società di arcieri. La lettera fa anche i nomi di chi nel Coni e Fitarco sapeva, compreso un giornalista, ma ha taciuto, e ne chiede l’espulsione. Accuse anche alla Società di Tiro Castenaso Archery Team, perché nonostante la condanna ha continuato a chiamare Cozzo a premiare i vincitori sui podi, e alla Società Arcieri Felsinei, alla quale è ancora iscritto come arciere e della quale è stato segretario, tuttora molto amico della presidente Danila Barioni.

A differenza che per il titolo sulle tre cicciottelle sconfitte a Rio De Janeiro, nessuno dei destinatari ritiene di dover rompere il silenzio e infatti tutti tacciono, nessuno emette né comunicati altisonanti né flebili proteste. La lettera anonima viene tenuta nascosta alla stampa, ma pur se confinata nelle varie stanze dei bottoni finisce col provocare comunque le dimissioni di Cozzo, presentate il 20 di quel novembre per altri motivi. Dimissioni accettate, ma lui continua a esserci sia con ruolo tecnico che con ruolo paraistituzionale. Come tecnico allena una giovane disabile. Come figura più o meno istituzionale promuove i campionati italiani, svolti a Rimini dal 30 gennaio all’1 febbraio dell’anno scorso, collabora al programma Arco Senza Barriere e il 25 novembre 2015 partecipa come se niente fosse alla riunione del Coni a Roma che deve definire il programma delle gare di tiro con l’arco di quest’anno.

Baldassarre, sempre più incredulo, segnala il tutto via mail agli organi federali il 21 novembre 2014, alla giustizia sportiva il successivo 10 dicembre e al Coni il 19 febbraio di quest’anno allegando anche le sentenze di condanna. Il giorno dopo Il Resto del Carlino pubblica un articolo con sue dichiarazioni, che denunciano il muro di gomma. Ma continua a non succedere nulla, almeno fino al 17 giugno scorso, quando Cozzo viene radiato dalla Fitarco con il divieto di partecipare a qualunque sua attività, gare comprese, e di essere iscritto a società sportive. La giustizia sportiva tenta di mettere sotto accusa proprio Baldassarre per avere reso nota la vicenda con toni piuttosto accesi.

Per quanto riguarda l’inattività di Scarzella, ci si accontenta della sua versione, secondo la quale avrebbe “interpellato il segretario generale del Coni e parlato con Cozzo per consigliargli di dimettersi”, evitando però di fare altro “perché la lettera anonima era indirizzata anche agli organi preposti ad agire”.

Per Scarzella dunque “gli arcieri italiani sono in rivolta” per l’aggettivo “cicciottelle”, come ha gridato sdegnatissimo da Rio contro il titolo di Qs, ma si è ritenuto non fosse il caso di farli rivoltare rendendo nota la vicenda Cozzo alquanto più seria. E c’è chi non esclude che il comunicato di protesta contro Qs, quotidiano dello stesso editore del Resto del Carlino, sia una freccia malevola che Scarzella ha voluto scagliare a scoppio ritardato per l’articolo pubblicato da quest’ultimo lo scorso 20 febbraio, articolo che ha reso impossibile continuare a far finta di niente.

Peccato solo che ad Agorà non ne abbiano parlato. Informazione sì, però solo fino a un certo punto… L’importante è pagare il canone alla Rai!

Povero Pierre de Coubertin, che si starà rivoltando nella tomba. Prima dalle risate e poi dall’orrore. 

 

UNA GIORNATA DI LAVORO AL MACELLO

Ha mangiato carne per tutta la vita, poi un giorno Faith ha trascorso una giornata di lavoro in un macello. Quella notte ha cambiato la sua vita ed è diventata vegana. Lei è una voce testimone per tutti gli animali. Ecco la sua lettera. Giorno in cui ho accettato il lavoro: “Oh mio Dio! Se ci penso…Ho sempre mangiato carne e latticini e non ci ho mai pensato su due volte. Sono stata senza lavoro per più di due anni ma finalmente ho trovato lavoro al macello. Non ho mai pensato a quello che potrebbe accadere, sono solo contenta di avere un posto di lavoro.”  “E’ durato un giorno. Non sono riuscita a rimanere. E’ stata la cosa più orribile che abbia mai visto in vita mia! Non c’era nulla di umano là dentro. Sono tornata a casa il Venerdì in lacrime. E l’odore! L’odore della morte, posso ancora sentirlo sotto le narici! Da allora non riesco a dormire una notte intera, quelle immagini sono dentro alla mia testa e non posso più dimenticarle. Non ho mai più sentito il desiderio di toccare di nuovo la carne.

Non pensavo che sarebbe stato così. Non ho mai provato nuove diete o cambiamenti di stile di vita, perché i miei nonni ci hanno allevati in una fattoria”. “Quello che ho visto però era atroce e quello che ho vissuto la notte scorsa, mi ha fatta stare male fisicamente e moralmente. Ho fatto sei docce, continuavo a sentire l’odore del sangue e della morte. Non so come avverrà il mio cambiamento ma ho intenzione di farlo. Ho due bambini, ma non compreremo mai e poi mai più carne. Voglio provare un’alimentazione vegan. Solo il pensiero di acquistare carne e doverla cucinare, ora mi fa sentire male. E durato un giorno il mio lavoro e non sarebbe mai potuto durare di più. La prima settimana dovevo solo guardare per imparare ma non  avevo idea di ciò che avrei visto nel macello!” “Mi sento così stupida perché alcuni dei miei amici da tempo sono vegan e ho pensato che fosse semplicemente una scelta folle, che seguivano una nuova tendenza hippy. Ora mi sento male per aver giudicato le loro decisioni.

Mi è stato detto di guardare documentari e non l’ho mai fatto. Ho sempre pensato che gli animali non soffrissero nei mattatoi ma che venissero prima storditi e poi uccisi all’istante. Non è così! Sono vivi e urlano. E anche se fossero morti, il sangue solo quello… OH MIO DIO! 1 ° giorno: “Sono seduta qui stasera e tutto è ancora nella mia mente come se fosse ieri. Sono stata senza lavoro per così tanto tempo, ed ero così contenta di avere un lavoro. Ho creduto che era tutto ciò che volevo che era umano! Gli animali non sentono! C’era un grande paddock accanto al macello, pieno di mucche, stavano mangiando l’erba e tutto sembrava normale. Ho sentito una fitta di tristezza nel sapere che la loro tranquillità sarebbe durata poco ma il peggio l’ho visto dentro alla struttura. Mi hanno mostrato la stanza macelleria, sembrava il negozio di un macellaio. Tutto normale e non mi ha impressionato più di tanto. Poi nel proseguire mi sono avvicinata e ho accarezzato una delle mucche. Da tempo non mi ero avvicinata ad una mucca, da quando i miei nonni avevano la loro fattoria. Mi è stato mostrato la camera di imballaggio e ho incontrato gli altri dipendenti e poi uno di loro mi ha detto “metti su questi, devi andare e devi vedere come si svolge il lavoro”. “Mi ha dato degli stivali di gomma e un grembiule di plastica e poi siamo passati attraverso delle enormi porte dove le mucche erano allineate vive una dietro l’altra e si lamentavano, non era il solito “muu” , quello che fanno di solito, era chiaro che avevano paura. Alcune delle mucche urinavano spesso e lo facevano per la paura.

Così, dopo aver attraversato più porte, mi è stato detto che non mi sarebbe piaciuto quello che avrei visto da lì a poco, ma così è la vita. “Parte del settore agricolo vive con le mucche che sono state allevate per questo scopo” ha detto l’uomo che mi accompagnava, secondo lui non avevano altro scopo per cui vivere”. “Un uomo ha aperto un cancelletto dove era tenuta una mucca e le ha bloccato la testa. Ha cominciato a lottare e mi sentivo male, ma mi sono convinta che faceva parte del suo destino, della vita. Questo era il suo scopo. Qualcun altro in quel momento si è avvicinato con un attrezzo che sembrava una piccola asta ma che serviva per lo stordimento. L’animale colpito è caduto immediatamente a terra e mi aspettavo che fosse morta. Proprio così. Ma non lo era. Tremava e mi hanno detto che erano solo i nervi, la mucca era morta e il suo cervello non avrebbe sentito nulla. Ma dopo circa un minuto mentre hanno legato le sue gambe, ha cercato di alzarsi in piedi. E Questi non sono i nervi cazzo! E’ inciampata e ha cercato di nuovo di rialzarsi ma è stata issata per le zampe posteriori. Ho chiesto se era morta e mi è stato detto che lo era. Ma i suoi occhi erano aperti e per un momento i miei occhi hanno incontrato i suoi. Poi è rimasta appesa per le zampe ad una zona di piastrelle tutte bianche, simile ad un enorme box doccia con uno scarico nel pavimento.

Un uomo mi disse: “Lei non potrà mai avere a che fare con questo lavoro se per aver visto questo è già turbata.” L’operaio si è avvicinato e mentre la mucca stava ancora lottando gli ha tagliato il collo, mentre lei lottava disperatamente per liberarsi! E ha gridato. Ha sbattuto la testa di scatto prima in avanti e poi indietro. Il sangue è schizzato, ha spruzzato tutto il muro mentre altro sangue scendeva dal suo collo. Il suo “muu” è diventato meno forte e sempre meno forte fino a quando non aveva più forza per lottare e il dolore e la morte ha finalmente messo a tacere il suo dolore.Ho guardato verso il basso. Ero in piedi quattro piedi dall’animale e gli stivali erano di colore rosso vivo, appena coperto di sangue. “Non ho mai visto così tanto sangue e non conoscevo l’odore del sangue. Che odore! E’ un odore metallico, di morte, come quello della mucca che è stata appena uccisa in questa stanza ancora sanguinante, mentre stava per arrivare il turno della successiva che ha subito esattamente lo stesso trattamento. Di nuovo i medesimi step: lotta, occhi aperti e muggito feroce e anche qui hanno detto che erano solo i suoi nervi. La mucca è morta di morte cerebrale a causa dello stordimento! Ma io non credo.

Rimasi lì a guardare sette vacche uccise e non ho fatto nulla, ero come impietrita. Dopo la quarta ho dovuto andare fuori e vomitare. Mi è stato detto di mettere un panno con del Vicks sotto il naso per eliminare l’odore. Ho pensato ai miei figli e che avevo bisogno di  un lavoro e così sono tornata dentro e ho visto l’uccisione di altre tre mucche. Poi sono tornata fuori nel punto in cui le mucche erano vive. Mi sono tolta stivali e grembiule e sono tornaita nella stanza prima del macello, dove gli altri dipendenti hanno cercato di consolarmi suggerendomi che era troppo presto per me per assistere alla macellazione. Così ho atteso la fine del turno di lavoro nella stanza antecedente al macello, quella che non mi aveva dato fastidio prima.

Quando ho finito il mio orario ho detto a loro che non sarei tornata su quel luogo e hanno capito. Mi hanno dato 75 dollari anche se ho solo guardato e poi ci siamo salutati. Il mio ragazzo mi ha detto stasera che il sangue non ha odore, quello che ho sentito è immaginato. E gli ho detto- ‘hai mai visto un vero e proprio diluvio di sangue? Litri e litri di sangue che scorrono sopra i tuoi piedi?’ Non ho mai sentito tanto dolore per un altro essere vivente come quello che ho provato per quelle mucche. Ha avuto un effetto drammatico su di me, un’esperienza che non dimenticherò mai più.

Sto ancora piangendo stasera mentre sto scrivendo questa lettera e per un certo verso forse è un bene che io abbia visto. Dopo quel giorno ho parlato con i miei tre amici vegani. Ho chiesto scusa per aver criticato loro e la loro decisione quando hanno fatto una scelta vegan. Me, ero una mangiatrice di carne convinta di essere nel giusto. Mi dispiace tanto per averli derisi. Loro hanno accettato le mie scuse e ora sono disposti ad aiutarmi nel percorso di transizione di me stessa. Una cosa so per certa ed  è che mai e poi mai mangerò di nuovo carne. Non potrò mai più dimenticare quel venerdì. Ogni dettaglio, ogni suono, ogni odore, rimarrà impresso nella mia mente come il momento che mi ha cambiato la vita. Sono disgustata da quanto mi è stato detto e dal fatto che mi hanno mentito, che lo  stordimento li uccide. Da allora ho scoperto che in realtà non è così. Mi sento ancora male e ci vorrà del tempo perché io possa riprendermi ma sono determinata a fare anche il più piccolo cambiamento.

Gli animali non meritano questo. Vorrei solo aver visto tutto prima. Ora che ho visto quello che ho visto, sostengo pienamente la scelta di un’alimentazione etica e vorrei che ognuno si renda consapevole della crudeltà dei nostri macelli definiti da molti “umani”. 

Fonte: http://www.nonsoloanimali.com/il-mio-primo-e-ultimo-giorno-di-lavoro-al-macello-lettera-di-una-donna-sconvolta/