ATTENTI ALLA SPECULAZIONE FINANZIARIA CONTRO LA CINA!

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

*già sottosegretario all’Economia; **economista

In Cina il fuoco che si nasconde sotto la cenere è molto più pericoloso della fiammata che si è vista di recente nella borsa di Shanghai. I media hanno riportato il fatto eclatante del crollo delle quotazioni e dei titoli sospesi senza cercare di rispondere alle inevitabili domande: Qual è la causa? Chi lo ha provocato? E perché?

Certamente è stato un evento potenzialmente sconvolgente. Dal 12 giugno al 9 luglio il mercato azionario cinese ha perso il 30% cancellando circa 3 trilioni di dollari di capitale. E’ da evidenziare che dopo l’intervento delle autorità monetarie con l’immissione di nuova liquidità per circa 200 miliardi di dollari, la borsa è risalita del 17%. Sono anche in corso indagini per “scovare” gli speculatori che hanno giocato a breve sulla caduta della borsa.

Ovviamente il fuoco non è stato estinto in modo sicuro e definitivo. Le varie bolle finanziarie dei settori privati dell’economia sono il problema numero uno della Cina. Essa ha un debito pubblico – il 43% del Pil – contenuto se paragonato a quello dei Paesi occidentali. Ma il debito delle imprese private (corporate) è pari al 160% del Pil nazionale, che è di circa 11 trilioni di dollari.

Si stima che nei prossimi 4 anni la Cina potrebbe avere bisogno di piazzare titoli di debito, tra nuovi e vecchi da rinnovare, per oltre 20 trilioni di dollari. Anche la bolla immobiliare, come rivelano le tante città fantasma costruite e non abitate, potrebbe diventare una bomba ad orologeria.

Sono situazioni di indubbia pericolosità ma minore rispetto a quella americana.

Infatti il livello totale del debito cinese, pubblico e privato, è inferiore a quello statunitense, a quello giapponese e a quello di tante altre economie europee. Vi è una differenza sostanziale nell’andamento dell’economia real che in Cina, nonostante una riduzione rispetto ai livelli altissimi degli anni passati, fa ancora registrare una crescita intorno al 7% del Pil.

I dati del commercio estero cinese sono straordinariamente positivi. Solo nei primi sei mesi di quest’anno il surplus commerciale nel settore della produzione di beni è stato pari a 260 miliardi di dollari, un vero boom se lo si raffronta con i 100 miliardi dello stesso periodo del 2014. Mentre gli Usa, nella prima metà del 2015, registrano un deficit nella bilancia commerciale (beni e servizi) di circa 250 miliardi.

E’ sul fronte geoeconomico e geopolitico che la Cina sta operando profondissimi cambiamenti e innovazioni, soprattutto nel contesto dell’alleanza dei BRICS. Forse non è un caso che il crollo della borsa di Shanghai sia avvenuto mentre la nuova Asian Infrastructure Investment Bank apriva ufficialmente i suoi uffici e le sue attività a Pechino. Si ricordi che l’AIIB, con un capitale iniziale di 100 miliardi di dollari, diventa il principale istituto di credito per promuovere la modernizzazione e la infrastrutturazione dell’intero continente asiatico, cominciando con la realizzazione del progetto della Nuova Via della Seta.

Nel frattempo, mentre gli Usa, con una troppo accondiscendente Unione europea, conducono una destabilizzante campagna di sanzioni economiche contro la Russia, la Cina mantiene un atteggiamento indipendente e completamente differente. La prova più eclatante è l’accordo trentennale di acquisto di gas russo per una valore di 400 miliardi di dollari, da “regolarsi” non più in valuta americana ma nelle loro monete nazionali.

Secondo noi il cambiamento più profondo è la decisione cinese, silenziosa e non discussa dai grandi media, di rivedere progressivamente la composizione delle sue riserve monetarie e di ridurre l’ammontare dei titoli americani in suo possesso. Nel mese di giugno ha acquistato 600 tonnellate di oro mentre si stima che nel secondo trimestre 2015 le sue riserve in valuta estera siano scese di 140-160 miliardi di dollari, come dimostra il freno agli acquisti cinesi di nuovi Treasury bond USA.

Tutto ciò spiegherebbe l’intento di qualcuno di frenare il nuovo corso della Cina con un avviso a non uscire dai vecchi binari e dai vecchi accordi.

Perciò occorre capire meglio chi ha promosso e cavalcato l’onda della succitata speculazione. La Jp Morgan City e la Goldman Sachs hanno riconosciuto pubblicamente che la Cina da un po’ di tempo ha abbandonato la consueta regola di acquistare con il suo surplus commerciale i titoli di stato americano.

Le agenzie di rating, a cominciare con la Standard & Poor’s, parlano di “rapida crescita del debito, opacità del rischio, alta percentuale tra debito e Pil, azzardo morale” in Cina. Sono le classiche “parole in codice” usate anche altrove, sempre poco prima di una attacco speculativo. La Banca Mondiale ha parlato del mercato cinese come “squilibrato, represso, costoso da mantenere e potenzialmente instabile”. Un giudizio poco dopo ritirato, asserendo che la sua pubblicazione era il frutto di un errore.

Una cosa è certa: giocare allo scontro o solo alla speculazione contro la Cina potrebbe avere degli effetti devastanti sull’intero sistema finanziario mondiale, potenzialmente maggiori della crisi del 2007-8. Una ragione di più per definire in sede internazionale accordi stringenti per regolamentare il sistema finanziario, almeno i suoi aspetti deteriori, quelli fortemente speculativi che incidono non solo sulla stabilità sociale ed economica di interi Paesi ma anche sugli assetti geopolitici mondiali.

L’articolo di un giornalista israeliano fatto sparire dal web

di Zvi Schuldiner

Cosa rispon­de­reb­bero il coro nazio­nale e gli imbe­cilli che dichia­rano ami­ci­zia a Israele in Europa se faces­simo una domanda molto sem­plice: di che colore era il san­gue dei circa cin­que­cento bam­bini che le forze israe­liane hanno ucciso l’anno scorso, nell’ultima guerra di Gaza? Sì, guerra.
Certo si parla di difesa…hanno ucciso set­tanta sol­dati israe­liani e sei o sette civili, fra i quali un bel­lis­simo bam­bino. Ma l’esercito più morale del mondo ha ammaz­zato oltre due­mila pale­sti­nesi e rico­no­sce che parte dei morti non erano ter­ro­ri­sti ma effetti col­la­te­rali della logica della guerra.
Non mi emo­ziono gran­ché ascol­tando tutti gli ipo­criti che giorno dopo giorno creano il ter­reno fer­tile nel quale ven­gono semi­nati cri­mini come l’attacco con­tro la sfi­lata dell’amore omo­ses­suale, gio­vedì, o il rogo e l’assassinio in una casa pale­sti­nese, adesso. Israele è in preda a un cre­scente raz­zi­smo, fomen­tato e appro­vato dai cori­fei del fon­da­men­ta­li­smo reli­gioso nella sua ver­sione nazio­na­li­sta, insieme agli ultra­na­zio­na­li­sti di destra. La loro reto­rica è la base che induce le bande di attacco a met­tere in pra­tica i mes­saggi dei ver­tici, sem­pre avvolti nella dema­go­gia nazio­na­li­sta stile «siamo l’unica demo­cra­zia e lot­tiamo per la sopravvivenza».
Respi­riamo, man­giamo, viviamo in un momento tra­gico per la società israe­liana, una società i cui lea­der evo­cano strom­baz­zando ogni giorno peri­coli esterni, men­tre get­tano le basi del raz­zi­smo colo­nia­li­sta che è la base del nostro domi­nio nei ter­ri­tori occu­pati. Quat­tro milioni di pale­sti­nesi chiusi nell’enorme car­cere gestito dalla «unica demo­cra­zia del Medio Oriente».
Quando i poli­tici locali par­lano e star­naz­zano, quando i poli­tici occi­den­tali mani­fe­stano loro sim­pa­tia, biso­gne­rebbe chie­dere a tutti chi ali­menta le fiamme di un raz­zi­smo nazio­na­li­sta che ha ucciso a Gaza cen­ti­naia di bam­bini — per mano dell’esercito rego­lare — e che ieri ne ha bru­ciato vivo un altro, per mano di qual­che ter­ro­ri­sta creato dalla sacra unione fondamentalista-nazionalista.