SOPRAVVISSUTI DELLA SHOA’ CONTRO QUELLO CHE DEFINISCONO “IL GENOCIDIO DEI PALESTINESI” E CONTRO LA VERGOGNOSA STRUMENTALIZZAZIONE DELLA STESSA SHOA’ PER GIUSTIFICARLO

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http://www.thepostinternazionale.it/mondo/israele/sopravvisuti-alla-shoah-oggi-condannano-israele


Lo scorso 11 agosto, il premio Nobel per la pace nel 1986 Elie Wiesel ha acquistato lo spazio per un’inserzione pubblicitaria sui maggiori quotidiani internazionali, tra cui The New York Times, The Wall Street Journal, Washington Post, The New York Observer e The Guardian, per condannare pubblicamente il sacrificio dei bambini da parte di Hamas. 

Nell’annuncio, si legge chiaramente: “Jews rejected child sacrifice 3,500 years ago. Now it’s Hamas’ turn”. Tradotto: “Gli ebrei hanno rifiutato il sacrificio dei loro bambini 3,500 anni fa. Ora tocca ad Hamas.”
“Questa non è una battaglia di ebrei contro arabi o di Israele contro i palestinesi. È una battaglia tra coloro che celebrano la vita contro i campioni della morte. È la battaglia della civilizzazione contro la barbarie”, si legge nell’annuncio del premio Nobel Wiesel.

Il 23 agosto, 327 ebrei sopravvisuti all’Olocausto o discendenti delle vittime del genocidio nazista hanno risposto con una lettera a Wiesel acquistando a loro volta un’inserzione pubblicitaria sul New York Times, con la quale si dicono “allarmati dall’estrema e razzista disumanizzazione dei palestinesi da parte della società israeliana”. E definiscono un “genocidio” quanto sta accadendo a Gaza.
Di seguito la loro lettera apparsa sul New York Times:
In qualità di ebrei sopravvissuti e discendenti di vittime del genocidio nazista, condanniamo inequivocabilmente il massacro dei palestinesi a Gaza e la continuazione dell’occupazione e colonizzazione della Palestina storica. Altresì condanniamo gli Stati Uniti per fornire a Israele i finanziamenti necessari ad attuare l’attacco, nonché i paesi occidentali più in generale per usare il loro peso diplomatico al fine di proteggere Israele da condanne.

I genocidi cominciano col silenzio del mondo.
Siamo allarmati dall’estrema e razzista disumanizzazione dei palestinesi da parte della società israeliana, che ha raggiunto livelli febbrili. Politici e opinionisti nel Times of Israel e nel Jerusalem Post hanno apertamente chiesto il genocidio dei palestinesi, mentre israeliani di destra adottano gli emblemi nazisti.

Siamo inoltre disgustati e indignati dall’abuso su queste pagine della nostra storia operato da Elie Wiesel (Qui il link: lo scorso 11 agosto) volto a promuovere delle palesi falsità usate per giustificare l’ingiustificabile: il massiccio sforzo di Israele per distruggere Gaza e l’assassinio di circa 2.000 palestinesi, con molte centinaia di bambini. Nulla può giustificare il bombardamento di rifugi dell’ONU, di abitazioni civili, di ospedali e di università.

Nulla può giustificare il privare la gente dell’elettricità e dell’acqua.
Dobbiamo levare le nostree voci collettive e usare il nostro potere per porre fine ad ogni forma di razzismo, compreso il genocidio in corso del popolo Palestinese. Chiediamo l’immediata cessazione del blocco di Gaza. Chiediamo un completo boicottaggio economico, culturale e accademico di Israele. «Mai più» deve significare «mai più per tutti».
A questo link ( http://ijsn.net/gaza/survivors-and-descendants-letter/
) la lista di tutti i firmatari.

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I due link seguenti sono di articoli molto interessanti sugli arabi vittime della Shoà e sulla propaganda mirata a far passare gli arabi per più o meno nazisti:
http://www.thepostinternazionale.it/mondo/palestina/anche-noi-arabi-vittime-della-shoah

http://www.thepostinternazionale.it/mondo/israele/a-pranzo-con-la-storia

BIGLIETTO VERDE E PERICOLI PER LA VOLATILITA’ MONETARIA INTERNAZIONALE

Ruolo del dollaro e volatilità monetaria internazionale

Paolo Raimondi* Mario Lettieri** 

Il 2015 potrebbe segnare l’inizio di profondi rivolgimenti monetari con effetti economici planetari. I segnali in tale direzione non sono stati pochi. Soprattutto nelle economie emergenti, dove flussi repentini di capitali in entrata ed poi in uscita, si sono verificate pesanti svalutazioni. E’ stato l’effetto della grande liquidità creata dalla Federal Reserve negli Stati Uniti. Adesso nel ciclone potrebbero entrarci direttamente il dollaro e l’euro.

Anche gli economisti della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea hanno cercato di dare una spiegazione al fatto che, mentre l’economia americana rappresenta meno di un quarto del Pil mondiale, le riserve mondiali in dollari sono ancora più del 60% del totale. Questo livello si è mantenuto negli anni, nonostante che dal 1978 la quota del Pil americano sul totale mondiale si sia ridotta del 6% e nonostante che il dollaro sia diminuito in media del 24% rispetto alle maggiori valute.

Ciò, secondo gli analisti della Bri, dipenderebbe dalla dimensione non dell’economia statunitense bensì della “zona del dollaro”.

Quest’area rappresenterebbe ancora oltre la metà dell’economia mondiale. In essa rientra, ad esempio, tutta quella parte di economia e di commercio dei vari Paesi del mondo che viene contrattata in dollari. Per cui componenti significative delle riserve di molti Paesi sono tenute in dollari in quanto gli interventi nei mercati dei cambi vengono gestiti in dollari, cioè nella divisa con la quale si negozia maggiormente la moneta nazionale.

Confrontando l’attuale situazione anche con le tendenze storiche riguardanti il ruolo di moneta di riserva della sterlina tra le due passate guerre mondiali, la Bri conclude che le quote delle varie valute nei panieri delle riserve monetarie potrebbero in futuro modificarsi molto rapidamente.

Una delle principali ragioni di tale cambiamento potrebbe essere la decisione della Cina di negoziare una parte crescente del suo commercio in renminbi o in monete di altre nazioni. Se il renminbi evidenziasse un movimento sostanzialmente indipendente rispetto alle principali valute e se le monete dei Paesi vicini e dei partner commerciali della Cina condividessero un tale movimento, si potrebbe determinare una “zona del remninbi” simile a quella del dollaro. In tal caso, i gestori delle riserve ufficiali potrebbero scegliere di detenere una quota considerevole di renminbi, forse non troppo diversa dal peso delle rispettive monete all’interno della citata zona.

Dopo le sanzioni, anche la Russia sta pensando di rendersi, per quanto possibile, sempre meno dipendente dal dollaro e dalle riserve in dollari. Prima dell’inizio della crisi ucraina ne deteneva circa 90 miliardi. Il comportamento dell’Europa purtroppo non aiuta, per il momento, all’individuazione dell’euro come principale moneta di riserva alternativa da parte della Banca Centrale russa.

Anche la recente decisione della Banca Nazionale Svizzera di sganciarsi dal cambio fisso con l’euro e di lasciare fluttuare liberamente il franco sta creando dei terremoti all’interno del sistema monetario internazionale. In poche ore il franco si è rivalutato di circa il 20% nei confronti dell’euro e del 17% rispetto al dollaro.

La decisione della Bns è avvenuta il 15 gennaio scorso, esattamente il giorno dopo il parere espresso da un rappresentante del consiglio degli avvocati della Corte di Giustizia dell’Ue secondo cui le cosiddette operazioni monetarie sui titoli (omt) annunciate da Draghi nel 2012 non violerebbero le leggi europee. In altre parole ci si aspetta che il quantitative easing della Bce dovrebbe essere sbloccato. Ciò comporterà l’acquisto da parte della Bce di titoli europei e l’allargamento dei suo bilancio. Di conseguenza una maggiore circolazione di euro avrebbe portato ad una fortissima pressione per una rivalutazione del franco rispetto alla moneta europea.

Come è noto, dopo la decisione svizzera del 6 novembre 2011 di fissare il cambio a 1,20 franchi per 1 euro, la Bns ha dovuto costantemente comprare euro nel tentativo di mantenerne tale livello senza rivalutare. Così nel tempo ha accumulato 220-240 miliardi di euro di riserve. Con il QE di Draghi la Bns avrebbe dovuto accrescere e di molto gli acquisti di euro. Ha invece deciso di gettare la spugna prima anche se ciò ha fatto perdere decine e decine di miliardi sul valore delle sue riserve in euro e anche in dollari. A seguito della rivalutazione della sua moneta la Svizzera teme anche di perdere una grossa fetta delle sue esportazioni con effetti recessivi sulla sua economia. Adesso altre monete, a cominciare dalla corona danese, sono sotto simili enormi pressioni.

A questo punto le continue sortite della stampa ufficiale tedesca, anche se smentite in verità in modo poco convincente, secondo cui Berlino avrebbe cambiato opinione circa la volontà di tenere la Grecia nell’euro, non giovano alla stabilità della moneta europea e di quella dell’intero sistema monetario internazionale.

Tenuto conto della crescente e preoccupante instabilità geopolitica, la volatilità monetaria rischierebbe di portare il mondo verso una crisi inimmaginabile, di sicuro molto rischiosa per l’economia e per gli equilibri politici. Per questa ragione ancora una volta noi riteniamo urgente che i Paesi del G20 inizino a lavorare per la costruzione di un nuovo sistema monetario internazionale multipolare basato su un paniere di monete importanti.

* Economista **già Deputato e Sottosegretario all’Economia

L’ARABIA SAUDITA FINAZIA IL TERRORISMO? COMPRESO l’11 SETTEMBRE DELLE TWIN TOWERS di NEW YORK?

USA: declassificare i documenti sui finanziatori dell’11 Settembre

 

Paolo Raimondi* Mario Lettieri** 

 

Il 7 gennaio, mentre a Parigi i giornalisti di Charlie Hebdo venivano massacrati dai terroristi islamici, a Washington si teneva un’importante conferenza stampa sulla necessità di rendere pubbliche le 28 pagine della Relazione d’Inchiesta del Congresso americano del 2002 che rivelerebbero i finanziamenti dell’Arabia Saudita ai terroristi dell’11 Settembre. Queste pagine furono secretate dal presidente George Bush. Purtroppo lo sono ancora.

La citata conferenza stampa è stata tenuta dall’ex senatore democratico Bob Graham insieme a due deputati, il repubblicano Walter Jones e il democratico Stephen Lynch, e alla co-presidente dell’Associazione delle Famiglie e dei Sopravvissuti dell’11/9, la signora Terry Strada.

Secondo noi si tratta di un evento politico di grandissima rilevanza che può contribuire a rendere più efficace la lotta al terrorismo e al fondamentalismo. Purtroppo la grande stampa europea ed internazionale lo ha ignorato. E’ davvero singolare se si considera che si dice a gran voce di voler colpire alla radice i sostenitori ed i finanziatori del terrorismo.

Bob Graham, che è stato anche governatore della Florida e membro del Senato Federale per tre mandati, nel 2001-2 era presidente della Commissione d’Intelligence del Senato.

Dopo l’attentato alle Torri Gemelle fu copresidente della Commissione d’Indagine conoscitiva attivata dalle Commissioni di Intelligence del Senato e della Camera.

Nel dicembre del 2002 venne redatto un rapporto di oltre 800 pagine. Quando però sei mesi dopo tale documento fu declassificato, si scoprì che 28 pagine mancavano. Proprio quelle che spiegavano il ruolo dell’Arabia Saudita nel finanziamento dei terroristi e dell’attentato dell’11/9.  

Va sottolineato che allora una maggioranza bipartisan di senatori e deputati, tra cui anche Joe Biden, attuale vice presidente, John Kerry, oggi Segretario di Stato e Hillary Clinton, si appellarono a Bush affinché le rendesse pubbliche, in quanto non pregiudizievoli per la sicurezza nazionale. Non vi riuscirono.

Perciò in questi anni il senatore Graham non ha mai smesso di chiederne la pubblicazione. Egli ne conosce bene il contenuto avendolo redatto e sottoscritto. Più volte ha portato alla luce dettagli importanti del coinvolgimento saudita nell’11/9. Ma, fintanto che il Presidente americano non le rende pubbliche per decreto, egli è tenuto al segreto sul contenuto delle 28 pagine.

Sic stantibus rebus, reputiamo che il contributo migliore alla verità sia citare parti dell’intervento svolto a Washington dal senatore Graham. “I Sauditi, ha detto, sanno quello che hanno fatto. Non sono persone che non conoscono le conseguenze delle azioni del loro governo. I Sauditi sanno che noi sappiamo quello che hanno fatto. Persone del Governo americano hanno letto le 28 pagine e hanno letto anche tutti gli altri documenti che sono stati fino ad oggi secretati. E i Sauditi lo sanno.”

“Quale potrebbe essere la reazione dei Sauditi che osservano come gli USA abbiano assunto una posizione di passività o di vera ostilità a che questi fatti siano resi pubblici? ”, ha chiesto il senatore.

“Bene, ha aggiunto Graham, per prima cosa essi hanno continuato e forse accresciuto il loro sostegno allo wahabismo, una delle forme più estremiste dell’Islam, a livello mondale ed in particolare nel Medio Oriente. In secondo luogo hanno sostenuto il fervore religioso delle organizzazioni che portavano avanti queste forme estreme di Islam con appoggi finanziari e di altro tipo. Queste comprendono moschee, madras e strutture militari. Al Qaeda era una creatura dell’Arabia Saudita e gruppi regionali come quello di Shabaab, (la cellula somala di Al Qaeda) sono stati in gran parte creature dell’Arabia Saudita; e adesso l’ISIS è l’ultima creatura… l’ISIS è una conseguenza non una causa, è una conseguenza dell’espandersi dell’estremismo in gran parte sostenuto dall’Arabia Saudita:.” Il senatore americano ha poi detto: ”La conseguenza della nostra passività nei confronti dell’Arabia Saudita ha fatto anche tollerare una moltiplicazione di organizzazioni violente, estreme e fortemente dannose per la regione mediorientale e una minaccia a tutto il mondo, come abbiamo visto questa mattina a Parigi.”

Trattasi di accuse molto gravi che, data l’autorevolezza della fonte, richiedono il massimo di chiarezza.

Alla conferenza i deputati Jones e Lynch hanno annunciato di aver presentato alla Camera una risoluzione, la H Res. 14, per richiedere al Presidente Obama di togliere il segreto alle suddette 28 pagine.

Sia il testo della legge che il video della conferenza stampa sono disponibili sui siti dei due parlamentari, www.jones.gov e www.lynch.gov .

La signora Terry Strada, da parte sua, ha ribadito che “tutti sanno che Al Qaeda e Osama bin Laden ci hanno attaccato l’11/9, ma questa è solo metà della verità. Crediamo che l’altra metà stia nelle 28 pagine redatte dalla Commissione d’Inchiesta”. “Dobbiamo declassificarle e denunciare i finanziatori dell’attacco terroristico e intraprendere azioni contro di loro”, perché, ha aggiunto, “le famiglie delle vittime e dei sopravvissuti dell’11/9 hanno il diritto di conoscere la verità”.

A questo punto sarebbe opportuno che non solo i singoli Stati ma anche l’Unione Europea sollecitassero l’Amministrazione Obama per ottenere il massimo di trasparenza su una vicenda tanto dolorosa quanto inquietante.

*Economista

**già Deputato e Sottosegretario all’Economia

E PER I DERIVATI DI STATO GARANZIE MILIARDARIE DATE DAL GOVERNO QUASI DI NASCOSTO

[Non intendo certo rinunciare a dire la mia sulla strage di Parigi. Ho però preferito evitare di scriverne a botta calda, sotto la violenta spinta del dolore e dell’orrore priva però di qualche dato in più. Sull’accaduto scriverò prossimamente. Intanto pubblico questo intervento dei nostri due economisti su tutt’altro argomento]

 

Garanzie miliardarie per i derivati di Stato

 Mario Lettieri* Paolo Raimondi**  

Le polemiche roventi causate dal decreto legge in materia di fisco adottato lo scorso 24 dicembre dal governo hanno indotto Renzi a rinviare il testo al Consiglio dei Ministri del 20 febbraio per trasmetterlo poi alle competenti commissioni parlamentari. Purtroppo le polemiche sul famoso 3% di franchigia dalle sanzioni penali delle evasioni fiscali, rischiano di coprire altri aspetti e provvedimenti della legge di Stabilità che, ignorati dalla grande stampa, potrebbero passare nella più totale indifferenza. In essa “il Tesoro è autorizzato a stipulare accordi di garanzia bilaterale in relazione alle operazioni in strumenti derivati»fatte con le banche”.

Il governo giustifica tale decisione affermando che trattasi di una facoltà, non di un obbligo. Ma, come è già avvenuto in Irlanda e in Portogallo, lo Stato italiano potrebbe essere chiamato ad accantonare e bloccare somme molto consistenti a garanzia dei suoi derivati su cui le banche potrebbero valersi in caso di rischio default. Si tratta di un vero favore alle banche perché si modifica, sostanzialmente, il contratto a suo tempo sottoscritto. Ciò non avviene per nessun altro accordo bancario.

Secondo le stime ufficiali del governo, gli strumenti derivati per la gestione del debito pubblico emesso dalla Repubblica Italiana ammontano a circa 161 mld di euro di valore nozionale. In gran parte, sono swap su tassi di interesse accesi per garantirsi contro possibili loro variazioni. Tale cifra non comprende i derivati degli enti locali.

Secondo l’ultimo bollettino della Banca d’Italia del 6 novembre 2014 il loro valore di mercato, aggiornato al secondo trimestre 2014, è negativo per 34,428 mld . In altre parole, se detti derivati dovessero essere liquidati oggi, lo Stato italiano dovrebbe sborsare oltre 34 mld di euro! Si ricordi che nel 2013 le operazioni in derivati hanno già generato un esborso netto superiore a 3 mld. Nel 2012, invece, la ristrutturazione di un singolo derivato fatto con l’americana Morgan Stanley è costata all’erario ben 2 mld e mezzo di dollari.

Naturalmente i cantori della «bellezza dei derivati»ci dicono che però tutto è momentaneo e dipende dall’attuale andamento dei tassi di interesse che sono scesi vicino alla zero. Domani potrebbe andare diversamente. Potrebbero ritornare a salire anche se, dicono sedicenti esperti e approssimativi governanti, ciò non è auspicabile in quanto sarebbe deleterio per la creazione del credito e per la stessa ripresa economica.

È davvero stupefacente constatare che nelle leggi finanziarie Usa e di tutti i paesi Ue, Italia compresa, non vi sia stata una puntuale riflessione sulla pericolosità dei derivati. Eppure la bancarotta del sistema bancario del 2007-8 e le crisi di molti paesi sono state causate proprio dai derivati finanziari altamente speculativi.

È evidente che il debito pubblico non si può risolvere con trucchi contabili e con giochi finanziari. Lo si riduce soltanto attraverso la crescita economica e il taglio drastico delle spese correnti, spesso inutili. L’esposizione creditizia delle Stato non è, di per sé, negativa purché sia finalizzata allo sviluppo e alla creazione di ricchezza reale e di occupazione.

Non vi è quindi una finanza magica né vi sono derivati che possano rendere comunque roseo il futuro. Purtroppo i derivati vengono sempre presentati come se fossero dei toccasana, un guadagno sicuro, per i sottoscrittori e per le banche. Non è stato e non è così. A rimetterci sono quasi sempre gli stati e gli enti pubblici. Se a perdere sono le banche, allora gli stati intervengono con operazioni di salvataggio a spese di tutti i contribuenti.

 

*Sottosegretario all’Economia del governo Prodi ** Economista

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IL VERO MISTERO DEL TRAGHETTO NORMAN ATLANTIC: PERCHE’ LA LONTANA BRINDISI ANZICHE’ LA VICINA VALONA?

Nella brutta vicenda del traghetto Norman Atlantic, partito da Patrasso e diretto ad Ancona, c’è una domanda che nessuno pone e che è invece fondamentale: perché se n’è voluto rimorchiare il relitto fino a Brindisi anziché farlo attraccare nel porto albanese di Valona, che a un certo punto distava appena 7 miglia? Da notare che il 31 dicembre lo stesso procuratore della Repubblica di Bari; Giovanni Volpe, dichiarava quanto segue ( http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/norman-atlantic-rotta-verso-lalbania-causa-2062827/ ):

“Il relitto del Norman Atlantic è stato agganciato, ma le condizioni meteo non consentono di trainarlo in Puglia. Si sta quindi muovendo in direzione dell’Albania”.

Però poi lo stesso procuratore deve esseresi dimenticato di questa sua dichiarazione. I temi all’attenzione della procura sono infatti altri: i clandestini a bordo, i troppi automezzi imbarcati, gli autisti che a quanto pare avrebbero acceso nella stiva un fuoco per scaldarsi, le dotazioni di sicurezza della nave, i troppi ritardi dei soccorsi e il numero dei morti e dei dispersi. Dei 499 imbarcati, compresi tre clandestini e almeno passeggeri 18 in overbooking, 11 sono i morti accertati e gli scomparsi vengono valutati tra i 10 e i 15.

“La tragedia poteva però assumere dimensioni catastrofiche a causa dell’inspiegabile decisione di puntare su Brindisi anziché su Valona”,

fa notare il giornalista Mario Scialoja, velista da una vita ed ex inviato de L’Espresso, nel cui sito cura una rubrica velica. Che nell’ultima puntata si occupa proprio del disastro della Norman Atlantic ( http://scialoja.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/12/31/la-norman-atlantic-e-il-mistero-di-valona/ ). Scialoja scende nei dettagli:

“Quando alle 4,30 del 28 dicembre le macchine della Norman Atlantic si sono fermate a causa del grande incendio, il tragetto si trovava a 12 miglia da Valona. Un tiro di schioppo.
Non solo, il vento e le onde facevano scarrocciare il relitto proprio verso la baia di albanese. Ma per tre giorni le autorità responsabili (?) non hanno preso in considerazione l’idea di puntare al porto molto più vicino e di usare Valona come base operativa per i soccorsi. Una scelta tanto più irragionevole e incoprensibile alla luce del fatto che il ministro della Marina greca, Milziade Valvitriotis, ha ricordato più volte di aver suggerito alle autorità italiane la convenienza di optare per Valona.
Gli italiani avrebbero potuto chiedere all’Albania, che certo non avrebbe rifiutato, di creare una base operativa di soccorso nel loro porto. Con la pssibilità di radunarvi un gran numero di elicotteri che avrebbero potuto raggiungere il relitto in pochissimi minuti. E atterrare e decollare a volontà. Fruendo delle strutture logistiche di una città.
Non solo, per due o più volte i cavi di traino dei rimorchiatori si sono spezzati, perché l’obiettivo era quello di rimorchiare il relitto verso Brindisi, contro il mare e contro il vento. Se si fosse deciso di far rotta su Valona, che a quel punto non distava più di sette miglia (causa scarroccio), forse i cavi non si sarebbero spezzati”.

E il traghetto sarebbe arrivato nella rada albanese ben prima che in quella italiana, con la conseguente forte probabilità di un bilancio finale di morti e dispersi meno pesante. Tuttavia Valona è stata evitata. Perché? Se lo chiede anche Scialoja:

“Perché questa scelta ovvia (e suggerita dai greci) non è stata fatta? Non lo so, ma ritengo che questo sia il vero buco nero sul quale la magistratura e i ministeri competenti dovrebbero indagare. Motivi di stupido nazionalismo? Problemi burocratico-diplomatici? Rigidità mentali? Interessi economici? Queste e molte altre cose insieme? Fatto sta che la soluzione Valona, la più semplice, è stata ancora scartata”.

Per poi concludere:

“Trovo sorprendente che televisione e giornali nazionali, nel mare magnum dei loro servizi, non abbiano prestato quasi nessuna attenzione a un interrogativo così lampante”.

In effetti, è strano che perfino il capo dello Stato nel suo discorso di fine anno pur avendo parlato della Norma Atlantic si sia limitato a elogiare in primis il comandante, ma senza accennare neppure da lontano all’infelice scelta di ignorare Valona, cioè la soluzione più semplice e sicura.

Purtroppo il caso della Norman Atlantic fa venire in mente un altro caso: la tragedia della motovedetta albanese Katër i Radës, progettata per ospitare 9 persone, ma carica di 120 profughi albanesi e affondata il 28 marzo 1997 nel canale d’Otranto dalla corvetta Sibilla della nostra marina militare: al contrario del caso attuale, allora la scelta fu di impedire che lo scafo albanese arrivasse in Italia e la Sibilia finì con lo speronarla, provocandene così l’affondamento. Dei 120 a bordo, se ne salvarono solo 34. Il comandante albanese fu condannato a 4 anni, ridotti in appello a tre anni e dieci mesi. Fabrizio Laudadio, comandante della Sibilla, venne condannato a tre anni, ridotti in appello a due anni e quattro mesi.

Il comandante della Norman, Argilio Giacomazzi, sarà un eroe, e certamente ha il merito di essere sceso dalla nave per ultimo e non tra i primi come invece ha fatto il comandante Francesco Schettino quando la sua grande Costa Crociera nel gennaio 2012 è finita sugli scogli dell’isola del Giglio. Ma è strano che non abbia fatto controllare in modo efficace che a bordo non vi fossero clandestini, che dei camionisti non dormissero nei camion anziché in cabina e che non venissero accesi eventuali fuochi nella stiva per scaldarsi.

Riguardo i clandestini, la vigilanza dovrebbe infatti essere ben più alta per il semplice motivo che è universalmente noto e assodato che i traghetti sono uno dei mezzi preferiti per entrare illegalmente in Italia: nel 2014 il ritmo degli arrivi è stato di almeno 200 al mese. E gli immigrati irregolari che vengono respinti verso la greca Patrasso, da dove è partita la Norman Atlantic, sono sempre più numerosi.

PALESTINA-ISRAELE: CHI HA PAURA DELLO STATO BINAZIONALE?

di Gideon Levy

http://frammentivocalimo.blogspot.it/2014/02/gideon-levy-chi-ha-paura-dello-stato.htmlSintesi personale

Sintesi personale

Ebrei e arabi hanno vissuto insieme in uno stato dal 1948; israeliani e palestinesi vivono insieme in uno stato dal 1967. Questo paese è ebreo e sionista, ma non democratico per tutti. I suoi cittadini arabi sono limitati , mentre i palestinesi nei territori sono diseredati e privi di diritti .una soluzione per i suoi cittadini ebrei e un disastro per i suoi sudditi palestinesi. Quelli che sono spaventati da un unico Stato, quasi tutti gli israeliani ,ignorano che nella realtà è  già esistente.  Sono terrorizzati dal cambiamento : da uno stato di apartheid e di occupazione ad uno stato egualitario, da uno stato binazionale travestito da stato-nazione (del sovrano), ad uno stato binazionale in linea di principio. In entrambi i casi, gli ebrei e palestinesi  vivono in questo stato da almeno due generazioni, anche se  divisi. E impossibile ignorare.ciò
Le relazioni tra i due popoli in questo paese hanno conosciuto cambiamenti: da un regime militare  per gli arabi-israeliani fino alla sua abolizione (nel 1966), da un periodo di maggior calma e libertà nei territori a periodi tempestosi di terrore omicida e  di violenta occupazione. A Gerusalemme, Acri, Giaffa, Ramle, Lod, la Galilea e di Wadi Ara vivono arabi ed ebrei e le relazioni tra loro non sono impossibili.

Le relazioni con i palestinesi nei territori sono cambiati,  ma nel corso degli anni abbiamo vissuto in un  unico paese, anche se con la spada.
Per 47 anni  c’è stata la possibilità di ritirarsi dai territori per mantenere il carattere  ebraico e democratico dello Stato ,ma gli israeliani  hanno scelto di non farlo. E ‘forse questo un loro diritto, ma è loro dovere  offrire un’altra soluzione.   Sotto questa bandiera hanno ampliato gli insediamenti e perpretato l’occupazione con l’  obiettivo  di contrastare  la partizione. Questa finalità  è diventata irreversibile : non si parla più di evacuare oltre mezzo milione di coloni  e quindi non si parla più di una giusta soluzione dei due stati.

Le proposte di Stato John Kerry, che scoraggiano anche un gran numero di israeliani negli Stati Uniti, non garantiscono una soluzione giusta,  non garantiscono una soluzione: i ” blocchi di insediamenti ” resteranno in vigore. . ” Le misure di sicurezza “saranno in vigore per la Valle del Giordano, forse anche lì  sarà  consentito agli insediamenti di rimanere. La proposta dice no al ritorno dei profughi  o a una soluzione al problema dei rifugiati. Nel frattempo  ci  si impegna a non ” evacuare un Ebreo “e si  propone  la sovranità palestinese per i coloni
A questo punto può essere possibile andare dal droghiere all’angolo, formulare e anche firmare un altro documento (senza alcuna intenzione di  attuarlo  ) che somiglia notevolmente a tutti  quelli precedenti  ed ora 
riposti, pieni di polvere, in qualche archivio,ma è impossibile risolvere il conflitto con un tale piano. I rifugiati, i coloni , la Striscia di Gaza, la mancanza di buone intenzioni e  di giustizia   resteranno  .

Chi sostiene la soluzione dei due stati – a quanto pare la maggior parte degli israeliani – deve offrire una soluzione reale. Le proposte di Kerry non fanno ben sperare. Israele vi aderirebbe , ma solo per mantenere le sue relazioni con gli Stati Uniti e il mondo e per spingere i palestinesi nell’angolo , non certo per stabilire la pace o imporre la giustizia.
Da questo generale “no” sorge il “sì  a uno stato”. Se gli israeliani vogliono mantenere gli insediamenti ,nella Valle del Giordano, a  Gush Etzion e Maale Adumim, a Gerusalemme Est e leader nel Beit El devono prendere atto che c’è  un solo stato. Se c’è uno stato, allora il discorso deve cambiare: diritti uguali per tutti.
I problemi sono molti e complicati e come loro lo sono anche le soluzioni: divisione in distretti, federazione,  governi separati . Non ci sarà alcun cambiamento demografico qui – perché lo Stato è  da lungo  tempo  binazionale ,  ma solo un cambiamento democratico e consapevole. E allora si porrà la questione in tutta la sua forza: perchè così spaventoso vivere in uno stato egualitario? Infatti tutte le altre possibilità sono molto più spaventose.

http://www.haaretz.com/opinion/.premium-1.571863

Gideon Levy : Who’s afraid of a binational state?